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domenica 16 gennaio 2011

Megaporto: una proposta alternativa (di Marco Saltalamacchia)

Ho seguito con grande interesse il dibattito che si è scatenato negli ultimi mesi sulla “grande opera” del cosiddetto “megaporto” di Lipari.
Come sempre, quando si tratta di grandi opere (si pensi al ponte sullo stretto) è sempre grande la tentazione di assumere posizioni  “massimaliste” e talvolta anche partigiane. Per questo motivo ho molto esitato ad intervenire sull’argomento, perché avverto nella qualità della discussione qualche volta la perdita di “senso di realtà” e l’assunzione di posizioni dialettiche solo di parte (e poco importa quale). Vorrei qui tentare un contributo di razionalità e forse un poco velleitariamente a ricondurre la discussione nell’ambito della concretezza. In fondo, qualcuno ha detto che la politica deve essere “l’arte del possibile”.
 Partiamo da una  prima domanda. Serve a Lipari un grande porto? La risposta è senza dubbio si. Un’isola, meglio, un sistema di isole la cui economia è oramai esclusivamente basata sul turismo deve  dotarsi delle infrastrutture necessarie a garantirne lo sviluppo.
 Quindi la  buona notizia è che  esiste un investitore (Condotte) che si dichiara disponibile ad effettuare l’investimento per la realizzazione dello stesso.
 A questo punto la domanda successiva da porsi è come (ed anche dove) andrebbe realizzato questo grande porto?
Il progetto che è stato presentato al pubblico presenta diversi lati di dubbia efficacia che sono stati sottolineati da molti ed hanno trovato una qualche “sponda” anche nella Regione Siciliana.
Provo a sintetizzarli :
  1. Sotto il profilo dell’impatto ambientale, la eccessiva cementificazione dello “skyline” di Lipari con la inevitabile deturpazione della rocca del Castello e di Marina Corta. 
  2. Sotto il profilo funzionale, lo sviluppo dell’area portuale di Marina Corta, in una zona che manca completamente delle infrastrutture viarie e degli spazi a terra per servizi dedicati  finirebbe solamente per aumentare solo la congestione in un area che è già naturalmente “compressa”. 
  3. Sotto il profilo tecnico/economico: la situazione dei fondali di Marina Lunga si presenta parecchio complessa, con delle scarpate sottomarine che superato l’attuale braccio di Pignataro discendono per diverse centinaia di metri, il che imporrebbe l’adozione di costose banchine galleggianti (stile Montecarlo)  ancorate attraverso delle catenarie al fondale. 
  4. Come dimostrato dall’esperienza dei vari porti turistici esistenti nel mondo, il ritorno sull’investimento non è, contrariamente a quanto potrebbe credersi, legato alla attività portuale “strictu sensu” ma ai servizi a terra (rimessaggi, carenaggi, tecnici, commerciali) ed alla possibilità di un moderato sviluppo immobiliare legato alla realizzazione delle marine. Si veda per esempio la recente realizzazione della Marina di Varazze da parte del gruppo Azimut-Benetti (http://www.marinadivarazze.it) o le altre recenti realizzazioni di altri porti (http://www.assonat.com/page/porti.php?pagina=porti ).Anche l’area di Marina Lunga, benché manchi del completamento del recupero magari con una passeggiata a mare ed una pista ciclabile che metta al sicuro i diportisti che volessero raggiungere il centro , non appare così idonea ad un espansione complessiva.Naturalmente ai punti precedenti, verrebbe voglia di aggiungere che se non si è riusciti a garantire il buon fine di una semplice opera di protezione marina ad Acquacalda, come una scogliera semiaffiorante di 300 metri, nonostante la presenza di finanziamenti consistenti, è legittimo porsi la domanda sulle capacità di questa Amministrazione di gestire un’opera dalla dimensioni ben più significative.
    A questo punto avrei voglia di “scompigliare” la discussione con un diverso contributo.
    Recentemente abbiamo appreso del concluso processo di concordato preventivo relativo a  Pumex (ed Italpomice) con addirittura la definizione del prezzo di cessione degli ex-impianti e la volontà espressa dall’Amministrazione di conversione della destinazione urbanistica dell’area di Porticello da industriale a turistica.
    Come è noto a tutti, e soprattutto a chi come me rifugiava la barca nottetempo a Porticello quando il Maestrale o il Grecale ci obbligavano notti insonni ad Acquacalda, i fondali sono particolarmente bassi e l’area si presenta ben protetta (da cui il suo nome sicuramente evocativo…). Oltre a ciò, esiste già una discreta viabilità che potrebbe essere solo potenziata. 
    Si potrebbe consentire una concessione di una moderata urbanizzazione finalizzata al recupero della  parte della cava più bassa  in cambio di oneri di urbanizzazione da tradursi in infrastrutture di pubblico utilizzo (sportive, congressuali,…)  e certamente non mancherebbero i volumi da recuperare.
    Si decongestionerebbe il centro di Lipari dal traffico commerciale e si recupererebbe un’area diversamente destinata a divenire una realtà abbandonata, pericolosa e che senza una valorizzazione economica, difficilmente troverebbe le risorse per essere riqualificata.
    Che ne pensate?
    Un caro saluto da Milano. 
    Marco Saltalamacchia.

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