Prima di procedere all’illustrazione dei motivi che inducono lo scrivente a sottoporre al vaglio di codesta eccellentissima Corte le disposizioni sopra menzionate, si ritiene necessario far menzione dell’iter procedimentale dell’iniziativa legislativa ai fini di una migliore intelligenza delle norme in essa contenute.
Codesta Corte ha più volte chiarito che l’obbligo della copertura finanziaria imposto dall’art. 81 Cost., costituisce la garanzia costituzionale della responsabilità politica correlata ad ogni autorizzazione legislativa di spesa e che al rispetto di tale obbligo, rientrante tra quelli di coordinamento finanziario, sono tenuti tutti gli enti in cui si articola la Repubblica.
Corollario del principio posto dall’art. 81 è quello dell’equilibrio finanziario sostenibile, elaborato con chiarezza dalla costante giurisprudenza di codesta Corte, anche antecedentemente al trattato di Mastricht, di cui adesso il patto di stabilità e crescita costituisce il principale parametro esterno. La centralità di tale principio è ancora più avvalorata dall’articolo 119 della Costituzione che implica, ed esige, la stretta osservanza del principio della finanza pubblica responsabile e solidale a garanzia della complessiva tenuta del disegno costituzionale.
Il principio dell’articolo 81 è stato reso concreto dal legislatore ordinario che ne ha indicato gli strumenti e le modalità di attuazione nell’articolo 17 della L. 31 dicembre 2009, n. 196 dal titolo “Legge di contabilità e finanza pubblica”, le cui disposizioni, costituendo principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, si applicano anche alle regioni a statuto speciale in quanto finalizzate alla tutela dell’unità economica della Repubblica.
Il cennato articolo 17 della legge n. 196/2009 non solo indica, in attuazione dell’art. 81 della Costituzione, i mezzi di copertura che devono essere individuati da ogni legge che comporti nuovi o maggiori oneri, ma anche dispone le modalità per pervenire ad una puntuale quantificazione della spesa autorizzata ed alla individuazione delle risorse da reperire.
Il 3° comma del medesimo articolo 17, infatti, stabilisce che tutti i disegni di legge che comportano conseguenze finanziarie “devono essere corredati da una relazione tecnica” sulla quantificazione delle entrate e degli oneri recati da ciascuna disposizione, nonché sulle relative coperture.
Nella relazione tecnica devono essere altresì indicati i dati e i metodi utilizzati per la quantificazione, le loro fonti ed ogni elemento utile per la verifica tecnica in sede parlamentare.
Per quanto attiene poi, nello specifico, al disegno di legge di stabilità, l’articolo 11 della cennata legge n. 196/2009 richiede “fermo restando l’obbligo di cui al prima illustrato articolo 17, comma 3” la predisposizione di una specifica nota tecnico-illustrativa.
Alla luce della sopra riportata normativa, vincolante anche per le Regioni a Statuto Speciale, come acclarato da codesta Corte da ultimo con la sentenza n. 115 del 2012, ai fini di una quanto più ponderata ed esaustiva valutazione delle previsioni di entrata e di spesa, in data 22 e 30 aprile 2013 è stato richiesto all’amministrazione regionale, nell’approssimarsi dell’esame parlamentare del disegno di legge in questione, di voler fornire, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 488/1969, copia della relazione tecnica in quanto quelle allegate al testo originariamente presentato dal Governo regionale (all. 1) e all’emendamento successivamente depositato in Assemblea (all. 2) non presentavano i requisiti previsti dall’art. 17 L. 196/2009.
L’esigenza di acquisire elementi tecnici di valutazione sulle previsioni di entrata era stata peraltro avvertita anche dall’Assemblea Regionale che aveva formulato apposita richiesta al Ragioniere Generale della Regione. Soltanto il 4 maggio 2013, ad avvenuta approvazione del disegno di legge, è pervenuta a questo Commissariato la relazione tecnica sui documenti economico-finanziari, datata 3 maggio 2013, che peraltro non contempla tutte le disposizioni contenute nel provvedimento legislativo e che è stata integrata con successiva nota sempre del Ragioniere Generale del 6 maggio 2013, in pendenza del termine dell’esame della legge (all. 3 e 4)
L’assenza di adeguata preventiva valutazione tecnico finanziaria sugli effetti della disposizione legislativa approvata comporta, come si illustrerà in prosieguo, la censura di costituzionalità per violazione dell’art. 81 della Costituzione di numerosi articoli.
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L’art 8, che si riporta, si pone in contrasto con gli artt. 81, 4° comma e 117 della Costituzione.
“1. Per il biennio 2014-2015 sono mantenute le medesime maggiorazioni dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’addizionale regionale all’IRPEF vigenti nell’esercizio finanziario 2013, fatti salvi comunque i regimi di esenzione.
2. I maggiori gettiti di cui al comma 1, come stimati dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze, compresi quelli relativi all’esercizio finanziario 2013, sono destinati alla copertura dei disavanzi di gestione del servizio sanitario regionale.
3. Per l’esercizio finanziario 2013, i maggiori gettiti di cui al comma 2 sono destinati alla finalità del medesimo comma sino all’importo massimo di 120.808 migliaia di euro.”
La previsione di cui al comma 1, del mantenimento della maggiorazione dell’aliquota fiscale dell’ IRAP e dell’addizionale regionale all’IRPEF per il solo biennio 2014-2015, anziché per il triennio 2014-2016, si pone in contrasto con l’articolo 2, comma 80, della legge n. 191/2009, che prevede l’obbligo per la regione sottoposta a piano di rientro (o a programma operativo di prosecuzione dello stesso, ai sensi dei commi 88 e 88-bis del medesimo articolo) del mantenimento, per l’intera durata del piano, delle maggiorazioni di IRAP e addizionale regionale all’IRPEF e della relativa finalizzazione al finanziamento del servizio sanitario regionale. Atteso che il programma operativo della Regione Siciliana, di prosecuzione del Piano di rientro dai disavanzi sanitari, ai sensi dell’art. 11, comma 1, del decreto legge 78/2010, convertito, con modificazioni dalla legge n. 122/2010, si articolerà negli esercizi 2013, 2014 e 2015, è indispensabile che il relativo fabbisogno di copertura si protragga per l’intero periodo 2014-2016.
La disposizione in questione non garantisce la copertura al citato Programma operativo per l’intera sua durata.
Analogamente anche la previsione di cui al comma 3 si pone in contrasto con il cennato art. 2, comma 8 della L. n. 191/2009, che espressamente prevede, da un canto, l’obbligo per la regione sottoposta a piano di rientro o a programma operativo di prosecuzione dello stesso, di mantenere le maggiorazioni dell’ IRAP e dell’addizionale IRPEF per l’intera durata del piano e, dall’altro, la possibilità, qualora si verifichi il rispetto degli obiettivi economico-finanziari del piano con risultati quantitativamente migliori, di ridurre nell’esercizio successivo le aliquote fiscali in misura corrispondente al migliore risultato ottenuto.
La facoltà di riduzione, che opera certamente “ex post”, ovverossia soltanto dopo la verifica da parte dei competenti organi statali dell’avvenuto conseguimento degli obiettivi propri del piano di rientro, implica anche la facoltà di un diverso utilizzo. La norma testé approvata, invece, destina a priori solo una parte, unilateralmente determinata, non essendo stata ancora verificata dai tavoli tecnici la sussistenza delle condizioni economico-finanziarie che legittimano la destinazione di parte del gettito fiscale a finalità extra sanitarie. Peraltro la Relazione tecnica, anche nella sua parte integrativa, conferma che in atto non si è determinato ufficialmente il tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’Economia.
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L’art. 13 prevede l’incremento, a far data dal 1° gennaio 2013, del 20% per la produzione di idrocarburi liquidi e gassosi ottenuti nel territorio della Regione che il titolare di ciascuna concessione è tenuto a corrispondere annualmente. Per le medesime concessioni non sono previste esenzioni al pagamento delle aliquote stesse.
Secondo quanto sancito da codesta Corte con costante giurisprudenza (ex plurimis sent. n. 432/1997) il divieto di retroattività della legge, pur non essendo stato elevato a dignità costituzionale salvo che per la materia penale, costituisce un fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore ordinario deve di regola attenersi.
Nel rispetto di tale principio il legislatore può emanare norme innovative con efficacia retroattiva solo quando le stesse trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere dalle leggi preesistenti.
Emerge quindi come la retroattività abbia carattere di eccezionalità conformemente alle previsioni contenute nell’articolo 11 delle preleggi e, anche se non escludibile a priori, deve trovare una corretta giustificazione sul piano della ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre un’immotivata disparità di trattamento.
Proprio sotto questo profilo la disposizione appare censurabile in quanto nell’intero contesto normativo, volto a reperire nuove e/o maggiori risorse con cui far fronte agli impegni finanziari della Regione, solo per una categoria di operatori economici viene prevista l’efficacia retroattiva agli incrementi dei canoni dovuti.
Sul punto non è dato inoltre rinvenire nella relazione tecnica alcuna quantificazione del prevedibile maggior gettito che potrebbe in teoria giustificare il perseguimento di altri valori più rilevanti di quello della tutela dell’affidamento legittimamente sorto in soggetti destinatari della norma e così motivare il diverso trattamento disposto nei confronti di altri operatori economici destinatari degli articoli 12 e 15 cui i relativi incrementi di canone decorrono dalla data di entrata in vigore della legge.
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L’art. 15, comma 4, fra le varie riserve nel riparto delle assegnazioni ordinarie per i comuni, alla lettera m) dispone che sia assegnata una quota pari a 600 migliaia di euro, a disposizione dell’Assessore regionale per le autonomie locali e la funzione pubblica, per fronteggiare esigenze dei comuni che registrano emergenze sociali e di criminalità organizzata e che gestiscono beni confiscati, al fine di garantire l’erogazione di servizi primari per l’infanzia o per interventi in favore di comuni che, in assenza di contributo regionale, hanno comunque proceduto alla stabilizzazione di personale ex LSU, nonché per fronteggiare emergenze abitative derivanti da eventi eccezionali non ricompresi nelle precedenti lettere. Con decreto del dirigente generale del Dipartimento regionale delle autonomie locali si provvede al riparto della predetta somma.
Tale previsione, nell’accomunare finalità diverse (emergenze sociali, criminalità organizzata, erogazione servizi primari per l’infanzia, misure di sostegno per la stabilizzazione del personale ex LSU, emergenze abitative) senza definire i criteri per il riparto ai singoli comuni e le quote da assegnare ad ogni singolo scopo, appare lesiva del principio di legalità posto a fondamento dell’azione amministrativa e, pertanto, in contrasto con l’articolo 97 della Costituzione anche sotto il profilo dell’incertezza e della difficoltà nel dare attuazione allo stesso, atteso che peraltro alcune delle finalità individuate dalla norma costituiscono già oggetto di autonomi e distinti finanziamenti a carico del bilancio regionale.
Codesta eccellentissima Corte ha più volte affermato l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi sia osservato il principio di legalità, che non consente l’indeterminatezza del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa (sent. C.C. 115/2011).
Parimenti la lettera n), che attribuisce una quota pari a 700 migliaia di euro, in favore del Corpo dei vigili urbani del comune di Messina per l’emergenza traffico non appare conforme ai principi degli articoli 3 e 97 della Costituzione giacché introduce una norma di privilegio per il solo comune di Messina a fronte del contributo di carattere generale previsto dalla lett. d) del medesimo comma.
Non appare, infatti, rinvenibile alcuna plausibile ed obiettiva motivazione a sostegno dell’assegnazione di 700.000 euro per un solo ente locale, seppure di notevoli dimensioni, in corrispondenza di un’assegnazione globale per tutti i comuni dell’isola pari a 11 milioni di euro.
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L’art. 16 si pone in contrasto con gli artt. 23 e 117, 2° comma lett e) Cost.
Esso infatti prevede che “I Comuni ricadenti nelle isole minori … sono autorizzati, anche in riferimento a quanto già previsto dalla L. 26/04/2012 n. 44, a determinare il ticket di sbarco alle isole minori siciliane e il ticket di accesso alle sommità dei vulcani, entro la misura massima unitaria di € 5,00 per ciascuna tipologia di ticket.”
La disposizione in esame, nonostante l’utilizzo della terminologia “ticket di sbarco” – che apparentemente sembra fare riferimento ad un compenso di natura corrispettiva – costituisce un’entrata di evidente natura tributaria, che si caratterizza come prelievo coattivo di ricchezza destinato al soddisfacimento di bisogni pubblici. In tal senso depone, del resto, l’esplicito riferimento, anche se impreciso, alla legge 26 aprile 2012, n. 44, la quale nel convertire il d.l. 2 marzo 2012, n. 16, ha introdotto nel corpo dell’art. 4, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, il comma 3-bis con il quale è stata istituita la c.d. imposta di sbarco nelle isole minori.
Ad avallare la tesi della natura tributaria della fattispecie in esame milita anche la circostanza che il comma 2 dell’articolo in questione stabilisce che “il ticket di sbarco e il ticket di accesso alle sommità dei Vulcani dovrà essere riscosso, unitamente al prezzo del biglietto”, elemento che esclude la natura corrispettiva del prelievo.
In ordine alla legittimità dell’istituzione dei prelievi in esame occorre rilevare che l’art. 36 dello Statuto Speciale, pur riconoscendo alla Regione la facoltà di istituire tributi propri regionali, non prevede che essa possa istituire o autorizzare gli enti locali situati nel proprio territorio ad istituire “tributi locali”.
Nè tale facoltà può desumersi dalle norme d’attuazione ed in particolare dall’art. 6, secondo comma, del D.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, recante “Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria”. Tale disposizione, infatti, prevede esclusivamente che “Nei limiti dei principi del sistema tributario dello Stato la Regione può istituire nuovi tributi in corrispondenza alle particolari esigenze della comunità regionale”.
Pertanto l’articolo in esame eccede i limiti della potestà legislativa regionale in materia tributaria previsti dall’art. 36 dello Statuto speciale e dall’art. 6 del D.P.R. n. 1074 del 1965.
Anche a voler ammettere che l’istituzione di tributi locali rientri nella potestà legislativa in materia tributaria riconosciuta alla Regione Siciliana, “il ticket di sbarco alle isole minori siciliane” appare in ogni caso illegittimo, in quanto contrasta con i principi del sistema tributario dello Stato di cui al citato art. 6, comma 2, del D.P.R n. 1074 del 1965.
L’imposta in esame, infatti, nel prevedere il medesimo presupposto impositivo del prelievo istituito dall’art. 4, comma 3-bis del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 – peraltro già disciplinato da diversi comuni siciliani come Favignana, Lipari, Santa Marina Salina e Malfa – finisce sostanzialmente con il sovrapporsi ad esso.
La formulazione della norma, poi, lascia spazio all’ipotesi che il tributo regionale possa anche considerarsi aggiuntivo all’imposta di sbarco, con il conseguente aggravio dell’imposizione di oltre il 400%, dal momento che la norma proposta prevede che la misura massima del ticket sia di € 5,00.
Ove poi, l’intenzione del legislatore regionale sia quella di elevare l’importo dell’imposta di sbarco vigente – fissato nella misura massima di € 1,50 – anche sotto tale prospettazione è palese l’illegittimità della norma, in quanto al legislatore regionale non è consentito intervenire sulla disciplina dei tributi erariali, ancorché devoluti agli enti locali, in quanto la materia tributaria rientra nella potestà legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione.
In entrambe le ipotesi l’imposizione verrebbe estesa anche ai soggetti che, in virtù di specifiche caratteristiche soggettive, sono espressamente esentati dall’imposta di sbarco. Infatti, contraddicendo palesemente la ratio che ha ispirato il legislatore nazionale, “il ticket di sbarco alle isole minori siciliane” finirebbe con l’applicarsi anche ai soggetti residenti nel comune, ai lavoratori, agli studenti pendolari, nonché ai componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l’imposta municipale propria e che sono parificati ai residenti.
E’ opportuno, altresì, evidenziare che il gettito del tributo statale “è destinato a finanziare interventi in materia di turismo e interventi di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”; viceversa il ticket regionale appare totalmente svincolato da tali finalità.
In altri termini, il nuovo tributo regionale finisce con il porsi in palese contraddizione con il vigente tributo statale e risulta, pertanto, in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lett. e) della Costituzione nonché con l’art. 36 dello Statuto e con l’art. 6, comma 2, del D.P.R. n. 1074 del 1965.
Anche il “ticket di accesso alle sommità dei vulcani”, pur configurandosi come tributo sostanzialmente nuovo, appare illegittimo per violazione dell’art. 23 della Costituzione.
Nella norma regionale, infatti, risultano sostanzialmente omessi alcuni elementi essenziali della fattispecie tributaria. In particolare, non appaiono correttamente delimitati il presupposto impositivo del nuovo tributo – limitandosi la norma a prevedere che esso colpisce “l’accesso alla sommità dei vulcani” – i soggetti passivi del tributo, ed il sistema sanzionatorio, elementi la cui determinazione non può essere rimessa al provvedimento dell’Assessorato regionale delle Autonomie locali e della funzione pubblica di concerto con l’Assessorato regionale dell’economia, come dispone il comma 2 dell’articolo in esame.
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Si ritiene che l’art 25 al comma 5 sia in contrasto con l’articolo 97 della Costituzione. Esso infatti riproduce sostanzialmente la previsione, oggetto di impugnativa del 26 aprile 2012 avverso l’art. 11, comma 12 del disegno di legge n. 801.
La disposizione comporta la riviviscenza di una norma già abrogata ( id est gli artt. 9 e 12 della L.R. n. 36/1999) a far data dall’entrata in vigore della L.R. n. 26/2012.
In merito alla riviviscenza di disposizioni abrogate, codesta Corte ha acclarato che, per regolare l’azione amministrativa, l’adozione di una disciplina normativa foriera d’incertezza, come l’attuale, attinente alla prosecuzione e al rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato, può generare conseguenze imprevedibili anche sotto l’aspetto finanziario e tradursi quindi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della Pubblica Amministrazione.
Il comma 7 del medesimo articolo dispone che, nell’ambito del contenimento della spesa e della valorizzazione delle risorse umane del settore forestale, tutte le prestazioni relative alla progettazione preliminare definitiva ed esecutiva, nonché alla direzione dei lavori e agli incarichi di supporto tecnico- amministrativo per le attività di forestazione e di sistemazione idraulico-forestale ed idraulico-agraria, siano espletate esclusivamente da personale interno all’amministrazione regionale “senza alcun compenso”.
L’esclusione di ogni forma di remunerazione per le succitate attività lavorative si ritiene essere in contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione. Appare infatti irragionevole preporre in forma esclusiva il personale dipendente a significative attività escludendo al contempo la corresponsione dei compensi dovuti per gli incarichi in questione previsti dall’art. 92, comma 5, del D. Lgs. N. 163/06, che invece continuano ad essere attribuiti al rimanente personale in servizio negli altri dipartimenti regionali.
Non appare conforme al principio costituzionale di cui all’art. 36 l’esclusione apodittica del diritto alla retribuzione, seppure accessoria, del lavoratore che, nella fattispecie in questione, sarebbe gravato di un maggiore carico lavorativo.
La disposizione non è altresì confacente al principio di buon andamento della pubblica amministrazione in quanto è agevolmente prevedibile che i soggetti destinatari delle norme avviino un contenzioso con l’amministrazione.
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Del pari le disposizioni di cui all’art. 28, commi 2, 3, 5 e 6 costituiscono oggetto di censura.
Preliminarmente si rileva la violazione dell’art. 81, 4° c. della Costituzione atteso che nella relazione tecnica nulla viene riportato circa la determinazione dell’onere e la relativa copertura che verrebbe posta, oltre che a carico del capitolo 313316, anche con le generiche disponibilità dell’UPB 6.31.3.99, nonché con le non meglio identificate risorse del FSE “Progetto Spartacus”.
A fronte della disposta soppressione dell’ente (comma 1) e della contestuale nomina di un commissario liquidatore (comma 4), il legislatore esprime la volontà di sopprimere il Consiglio di Amministrazione dello stesso ente (comma 6) nominando un amministratore unico, con un compenso non superiore a 30.000 euro annui, la cui attività non potrebbe che confliggere con quella del commissario liquidatore.
Al commissario liquidatore, che avrebbe il compito di definire le masse attive e passive dell’ente soppresso, verrebbero sottratti i beni immobili, gli impianti fissi, l’arredamento e le attrezzature di proprietà del CIAPI di Palermo affidati in uso gratuito a quello di Priolo. Per quanto attiene poi la sorte del personale dipendente, viene prevista la possibilità di un trasferimento, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio regionale, al CIAPI di Priolo. L’insieme di queste disposizioni appare non sorretto da plausibili giustificazioni di carattere tecnico-amministrativo e foriero di incertezze applicative in sede di attuazione e pertanto si ritiene che le stesse si pongano in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione.
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Il secondo comma dell’articolo 40, testualmente recita “I consorzi di bonifica sono autorizzati ad avvalersi, fino alla data del 31 dicembre 2013, del personale d’ufficio assunto con contratto a tempo determinato, stipulato ai sensi dell’articolo 3 della legge regionale 30 ottobre 1995, n. 76 e successive modifiche ed integrazioni.”
La disposizione si ritiene essere lesiva degli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione.
La citata norma, che proroga ulteriormente i contratti a termine, già scaduti e più volte rinnovati ai sensi della normativa regionale previgente, costituisce una chiara elusione del principio del pubblico concorso previsto dall’art. 97 della Costituzione a garanzia dell’uguaglianza, imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Le proroghe dei contratti a termine previste dalla norma impugnata sono chiaramente finalizzate a far rientrare i lavoratori titolari di tali contratti in un piano di assunzione a tempo indeterminato.
La norma in questione perpetuando una modalità di assunzione del personale, per porre rimedio ad eventuali carenze di organico, che fa del contratto a termine un modo ordinario di assunzione del personale, non riservandola, come dovrebbe, ad esigenze straordinarie, viola l’art. 97 della Costituzione.
La disposizione inoltre, nel prevedere una proroga generalizzata senza alcun riferimento alle effettive esigenze degli uffici interessati, si pone in contrasto anche con l’art. 117 comma 2, lett. l) della Costituzione che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di ordinamento civile.
La Relazione tecnica infine, pur trattandosi di norma in materia di personale, non contiene alcuna stima e valutazione degli oneri derivantine e pertanto in assenza di idonei criteri di quantificazione delle spese, si ritiene che le disposizioni di cui ai commi 2 e 4 dell’art. 40 siano lesive anche dell’art 81 della Costituzione.
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Il 3° comma dell’art. 46, che si trascrive, dà adito a censure di costituzionalità per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
3. L’Assessorato regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità – Dipartimento regionale dell’acqua e dei rifiuti è autorizzato a modificare il rapporto convenzionale con Siciliacque S.p.A. per il mantenimento in stand-by degli impianti di dissalazione di Porto Empedocle e Gela, con prioritaria copertura degli oneri derivanti dal mantenimento dei livelli occupazionali delle cessate gestioni degli impianti stessi ed assunti in carico a Siciliacque S.p.A. e con oneri a carico della stessa società.
Il legislatore intende autorizzare un’unilaterale modifica di un rapporto convenzionale dell’amministrazione regionale con la società “ Siciliacque” ponendo a carico della stessa il mantenimento in servizio dei dipendenti dei precedenti gestori degli impianti di dissalazione di Porto Empedocle e di Gela.
Nella relazione tecnica, nella parte relativa alle previsioni dell’art. 46, non è fatta alcuna menzione né del numero dei dipendenti e del relativo onere retributivo né dell’importo della convenzione. La stessa potrebbe prevedere un corrispettivo tale che, a seguito della disposta assunzione di oneri per il mantenimento in servizio di un numero di dipendenti non corrispondente alle attività gestionali di impianti in stand-by, potrebbe non essere più congruo ed adeguato per genere e quantità delle prestazioni richieste nell’originaria pattuizione.
La norma appare quindi essere in contrasto con l’art. 97 della Costituzione giacché posterga l’interesse ad una corretta ed ottimale gestione del servizio al mantenimento dei livelli occupazionali, finalità questa condivisibile, ma da perseguire con gli ordinari strumenti previsti dall’ordinamento e non surrettiziamente con il ricorso a modifiche unilaterali di convenzioni già stipulate.
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La disposizione di cui all’art.49, di oscuro significato, inserisce un comma aggiunto all’art.33 della L.R. n. 6/2009 in base al quale l’Assessore regionale dei lavori pubblici è autorizzato a stipulare con istituti di credito apposite convenzioni finalizzate “alla stipula di contratti di mutuo ventennale” con proprietari di immobili situati in centri storici per opere di manutenzione straordinaria, ponendo a carico del bilancio regionale gli oneri derivanti dal costo degli interessi.
La norma testé approvata, stante il tenore della disposizione integrata, sembrerebbe inserirsi “ex post” nella disciplina della corresponsione delle agevolazioni e quindi nei rapporti oggetto di convenzione, non precisando a quali si riferisca, ovverossia alla convenzione stipulata tra Assessore ed Istituti di credito o al contratto di mutuo sottoscritto dai singoli proprietari di immobili ed istituti di credito convenzionati.
In ogni caso la norma sembrerebbe contenere una valenza interpretativa “il termine entro il quale l’agevolazione è erogata si intende a far data dalla comunicazione di fine lavori all’amministrazione comunale competente. ……..” con potenziali effetti retroattivi su atti negoziali già perfezionati determinando inoltre una prevedibile diversa cadenza temporale della decorrenza del beneficio qualora vi siano più soggetti titolari di unità immobiliari dello stesso edificio.
L’assenza di una relazione esplicativa da cui possa desumersi l’intento del legislatore e la portata dell’intervento normativo, verosimilmente rivolto a rapporti giuridici già perfezionati e conclusi negli effetti, induce peraltro a ritenere che la norma possa contenere un’impropria sanatoria di atti precedentemente adottati in difformità dalla legge in assenza di un interesse pubblico preminente di carattere generale.
Per le ragioni prima esposte si ritiene che la disposizione “de qua”, di dubbia interpretazione e conseguente applicazione, si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto appare avulsa dal prima menzionato art. 33 della L.R. 6/2009 ed incoerente con lo stesso.
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Il terzo comma dell’art. 55 pone a carico degli enti del settore pubblico regionale l’obbligo di assicurare la diffusione dell’informazione dell’attività istituzionale con le modalità previste dal precedente comma 2 ovverossia la pubblicazione su quotidiani regionali e nazionali oltreché su quotidiani online e settimanali a diffusione regionale di articoli di approfondimento e diffusione per i cittadini di provvedimenti adottati aventi interessi generali.
Il legislatore, tuttavia, non provvede in alcun modo a definire l’onere a carico degli enti e a darne la relativa copertura finanziaria ponendosi così in palese contrasto con quanto prescritto dall’art. 81, 4° comma della Costituzione. Tale principio non può essere eluso, invero, dal legislatore addossando ad enti della c.d. finanza pubblica allargata una spesa senza indicare i mezzi con cui farvi fronte (sent. n 92/81 C.C.)
Del pari il comma 4 del medesimo articolo, che riproduce una norma già oggetto di impugnativa con il ricorso del 26/4/2012 avverso l’art. 11 comma 120 del ddl.n. 801, costituisce oggetto di censura.
La disposizione introduce forme di pubblicità degli appalti diverse da quelle previste dagli articoli 66 e 122 del Codice degli Appalti di cui al D. leg.vo n. 263/2006. Trattandosi di aspetti inerenti alle procedure di affidamento (così come acclarato da codesta Corte nella sentenza n. 411/2008) e quindi rientranti nella materia della tutela della concorrenza, le norme del predetto codice costituiscono un legittimo limite all’esplicarsi della potestà legislativa esclusiva della Regione. Questa, quindi, si ritiene non possa adottare, per quanto riguarda la tutela della concorrenza, una disciplina con contenuti difformi da quella assicurata dal legislatore statale con il D. Leg.vo n. 163/2006, in attuazione delle prescrizioni poste dalla U.E. (sentenza C.C. n. 221/2010). La norma è pertanto in contrasto con l’art. 117, 2° comma lett. e) Cost.
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L’art. 56, rubricato “personale Iridas”, dispone che la somma di 215 migliaia di euro del capitolo 373304 del bilancio della Regione denominato “contributo all’istituto dei ciechi opere riunite Florio e Salomone di Palermo” sia destinata per l’utilizzo del personale dell’Iridas da parte del suddetto Istituto.
Tale previsione di nuova spesa si ritiene essere censurabile sotto il profilo della violazione dell’art. 81, 4° comma della Costituzione.
Codesta eccellentissima Corte ha più volte ribadito, da ultimo nella sentenza n. 115/2012, che ove la nuova spesa si ritenga sostenibile senza ricorrere alla individuazione di ulteriori risorse, per effetto di una più efficiente e sinergica utilizzazione delle somme allocate nella stessa partita di bilancio per promiscue finalità, la pretesa autosufficienza non può comunque essere affermata apoditticamente, ma va corredata da adeguata dimostrazione economica e contabile, che nella fattispecie è assente.
Invero non costituisce ottemperanza al precetto posto dall’art. 81 la formale indicazione di poste nel bilancio dell’esercizio in corso ove convivono, in modo promiscuo ed indistinto, sotto il profilo delle pertinenti quantificazioni, i finanziamenti di precedenti leggi regionali e soprattutto, come nel caso in esame, quest’ultime siano insufficienti alla realizzazione delle originarie finalità come rappresentato dall’Istituto dei ciechi “opere riunite Florio e Salomone di Palermo” (all. 5).
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L’art. 60 rubricato “Irfis Finsicilia” dà adito a censura per violazione dell’articolo 97 della Costituzione.
Con esso si dispone l’ulteriore integrazione del fondo unico a gestione separata istituito presso l’Irfis-Fininsicilia S.p.A. dall’art. 61 della L.R. n. 17/2004 con le risorse destinate dagli articoli 60 e 63 della L.R. n. 32/2000 per la concessione di agevolazioni finanziarie, a breve e lungo termine in favore delle piccole e medie imprese commerciali, con forme e modalità di intervento definite e determinate dai medesimi articoli 60 e 63 della L.R. n. 32/2000.
La disposizione in esame, inoltre, integra la norma contenuta nell’art. 61 della L.R. n. 17/2004 prevedendo l’istituzione di un Comitato tecnico consultivo con Decreto del Presidente della Regione che dovrà disciplinare “le competenze, la durata e le modalità di funzionamento” dell’organo.
Al Presidente della Regione è altresì devoluto il compito, previo parere del Comitato (del quale avrà prima liberamente definito le competenze e la durata, secondo quanto previsto dal precedente comma 1 quater), di approvare la tipologia ed i settori di intervento, la ripartizione della disponibilità del fondo ai diversi settori (industriali e commerciali) nonché di determinare le nuove modalità di funzionamento nel solo rispetto dei massimali fissati dalla Commissione europea per gli aiuti “de minimis”.
Orbene tali disposizioni assolutamente generiche, non indicando in concreto alcun criterio per la determinazione delle modalità attuative, da parte del Presidente della Regione, confliggono con il principio di legalità sostanziale sancito dall’art. 97 della Costituzione (sent. n. 307/2004 e n. 156/1982 C.C.). Codesta Corte ha affermato più volte l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente “l’assoluta indeterminatezza” del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa che produce l’effetto di attribuire, come nel caso in ispecie, una “totale libertà” al soggetto od organo investito della funzione.
Come codesta Corte ha affermato nella sentenza n. 115/2011 non è sufficiente che il potere sia finalizzato alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nella modalità, in modo da mantenere una, pure elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa.
La disposizione appare censurabile ulteriormente sotto il profilo della violazione dell’art. 97 della Costituzione in quanto il contenuto si appalesa incerto ed ambiguo circa l’assetto definitivo che dovrà assumere l’Irfis Sicilia e che potenzialmente può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alle cure della Pubblica Amministrazione (sent. n. 364/2010 C.C.).
Infatti se da un lato il legislatore sembrerebbe voler potenziare l’attività dell’Irfis Sicilia quale società finanziaria regionale, affidandole la gestione di nuovi fondi ed intensificando l’attività di indirizzo dell’amministrazione regionale, dall’altro, impone alla società di apportare entro 60 giorni le modifiche al proprio statuto ed alla normativa interna, atteso che la stessa è soggetta, quale società di intermediazione finanziaria, esclusivamente alle disposizioni statali generali e di carattere societario nonché a quelle specifiche del settore bancario. Dalla relazione tecnica si evince inoltre che l’attuale assetto organizzativo della società e l’attuale statuto pongono “aspetti di incoerenza e potenziale incompatibilità, con riferimento ai requisiti richiesti per l’iscrizione nell’elenco ex art. 107 TUB, sia in relazione all’attuale disciplina dettata dalla Banca d’Italia, sia con quella in vista della prossima applicazione della nuova normativa per gli intermediari finanziari”. Foriera, inoltre, di materiale incertezza sul modo e l’assetto che il legislatore intenda assegnare all’Irfis Sicilia con conseguenze finanziarie imprevedibili è infine la previsione del comma 10 secondo la quale per il perseguimento dei suoi compiti istituzionali la stessa può acquisire su proposta della Giunta regionale la partecipazione di società anche non operanti nel settore creditizio, finanziario e dello sviluppo sotto forma di conferimento di quote da parte della Regione che in atto è peraltro impegnata nel piano di riordino e dismissione delle proprie società in base all’art. 20 della L.R. 11/2010 e obbligata ai sensi dell’art. 4 del D.L. n. 95/2012 convertito con modificazione dalla L. n. 135/2012.
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L’art. 61, rubricato “Moratoria dei debiti fiscali delle piccole e medie imprese nei confronti di Riscossione Sicilia S.p.A.”, prevede una disciplina particolare per la concessione di dilazioni di pagamento per i debiti fiscali delle piccole e medie imprese, con sede legale nel territorio della Regione, relativi “per almeno il 50 per cento a tributi di spettanza della Regione o di enti ricadenti nel territorio della regione, fino a 500.000 euro, comprensivo di sanzione e interessi moratori”.
Preliminarmente si rileva che le disposizioni contenute nella norma in esame non sono conformi ai principi della legislazione statale di riferimento e che la potestà legislativa concorrente che la Regione Siciliana vanta in materia di riscossione dei tributi è riconducibile esclusivamente all’organizzazione del servizio di riscossione e non agli aspetti sostanziali della procedura di riscossione dei debiti tributari.
Infatti, l’art. 17, primo comma, dello Statuto Speciale prevede che: “Entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, l’Assemblea regionale può, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, emanare leggi, anche relative all’organizzazione dei servizi, sopra le seguenti materie concernenti la Regione: …. i) tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse regionale”, tra cui la Regione annovera il servizio di riscossione dei tributi.
Inoltre, l’art. 70 del D. Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, recante “Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337”, ha stabilito, al comma 2, che i principi generali richiamati nel D. Lgs. n. 112 del 1999 si applicano anche alla Regione Siciliana che, nella sua potestà legislativa, provvede a disciplinare il servizio di riscossione delle entrate da riscuotere mediante ruolo.
Successivamente, il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, nel dettare disposizioni in materia di servizio nazionale della riscossione, ha previsto, all’art.3, comma 1, a decorrere dal 1° ottobre 2006, la soppressione del sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione ed ha attribuito le funzioni relative alla riscossione nazionale all’Agenzia delle entrate che le esercita mediante Riscossione S.p.A. (ora Equitalia S.p.A.). Il comma 29-bis del citato art. 3 ha poi precisato che, nel territorio della Regione Siciliana, tale funzione viene svolta dall’Agenzia delle entrate “relativamente alle entrate non spettanti a quest’ultima”.
L’art. 2 della legge regionale 22 dicembre 2005, n. 19, prevede, al comma 1, che “Ai sensi degli articoli 36 e 37 dello Statuto Speciale della Regione Siciliana e dell’art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 luglio 1965, n. 1074, le disposizioni dell’art. 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203,… si applicano nel territorio della Regione, salvo quanto previsto dalla presente legge”. Nei successivi commi 2 e 3 dell’art. 2 della stessa legge è stabilito, infatti, che le funzioni relative al servizio di riscossione in Sicilia sono esercitate dalla Regione mediante la società “Riscossione Sicilia S.p.A.”.
L’esame delle citate disposizioni, conferma, quindi, che alla Regione Siciliana viene riconosciuta dal legislatore statale la potestà legislativa concorrente esclusivamente nella gestione del servizio di riscossione, senza che la stessa possa intervenire in alcun modo sulla disciplina sostanziale della riscossione dei tributi.
Pertanto, le disposizioni contenute nell’articolo in esame, con le quali la Regione intende concedere dilazioni di pagamento “fino ad un massimo di sei rate consecutive del piano di dilazione dei debiti fiscali, scadute non oltre la data di entrata in vigore della presente legge” sono censurabili, in quanto ledono la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia tributaria, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. e), della Costituzione.
A sostegno di tale tesi, si osserva che codesta Corte Costituzionale, con la sentenza 6 settembre 2003, n. 296, nel sottolineare come nemmeno la tassa automobilistica possa qualificarsi “<<tributo proprio della regione>> nel senso oggi fatto proprio dall’art. 119, secondo comma, Cost.”, ha escluso che la Regione abbia il potere di “modificare i termini di prescrizione del relativo accertamento, rientrando la relativa materia nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lett. e), della Costituzione”.
Quindi la potestà legislativa concorrente della regione dovrebbe essere sempre esercitata nel rispetto e con l’osservanza dei principi fondamentali contenuti nella legislazione statale, ed in particolare, in tema di dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo di cui all’art. 19 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 recante “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”.
Inoltre, quanto previsto dalla Regione Siciliana creerebbe inevitabili disparità di trattamento tra i contribuenti del territorio nazionale soggetti alle restrizioni del citato D.P.R. 602/1973, poiché verrebbero concesse condizioni decisamente più favorevoli alle sole imprese con sede legale nel territorio della Regione Siciliana. Da ciò deriverebbe una palese ed ingiustificata violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, in quanto l’applicazione delle norme contenute nell’articolo in questione assicurerebbe ai soli contribuenti della Sicilia maggiori garanzie per la riscossione delle somme di cui risultano debitori.
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La norma contenuta nell’art. 62 estende agli anni 2014 e 2015 gli sgravi fiscali per incentivare l’imprenditoria giovanile e femminile nella Regione senza determinare né l’ammontare della spesa né la corrispondente copertura finanziaria, inoltre nella Relazione tecnica non è fatta alcuna menzione del previsto minor gettito.
La disposizione pertanto si ritiene essere in palese contrasto con l’art. 81, 4° comma della Costituzione.
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L’art 63 testualmente recita:
1. Per le finalità del comma 1 dell’articolo 5 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 29, l’Irfis ­FinSicilia è autorizzato a sostenere, per l’esercizio finanziario 2013, a valere sulle disponibilità del Fondo a gestione separata di cui all’articolo 8 della legge regionale 17 marzo 1979, n. 44, la spesa di 1.000 migliaia di euro da destinare all’erogazione dei contributi relativi all’anno 2013.
2. Con decreto dell’Assessore regionale per le attività produttive, di concerto con l’Assessore regionale per l’economia, sono emanate le disposizioni applicative del comma 1.
La sopra riportata disposizione dà adito a censura per violazione dell’art 81, 4° comma della Costituzione.
Preliminarmente si rileva che della stessa non è fatta alcuna menzione nella relazione tecnica per cui non è possibile verificare l’attendibilità della quantificazione dell’onere derivantine.
La norma prevede infatti che per il corrente esercizio sia corrisposto a tutti i titolari di licenza taxi o autorizzazione di noleggio con conducente un contributo sulle spese di gestione dell’autoveicolo determinato forfettariamente nella misura di 1.238 euro. Il legislatore peraltro predispone la copertura della spesa determinata in un milione di euro con modalità difformi da quelle previste dall’art 17 della L. n. 196/2009 che ai sensi dell’art. 19 della medesima legge sono tassative anche per le regioni a statuto speciale.
Inoltre la disposizione legislativa non dà alcuna contezza né dell’ammontare della dotazione del fondo a gestione separata istituita presso l’IRFIS-FinSicilia né tanto meno delle attuali disponibilità.
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L’art. 64, commi 2 e 3 dà adito a censure per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.
La norma contenuta nel secondo comma, in base alla quale i lotti destinati ad insediamenti produttivi vengono assimilati ai beni immobili strumentali rientranti nel patrimonio indisponibile dei singoli consorzi in atto in liquidazione, la cui proprietà deve essere trasferita all’Istituto Regionale per lo Sviluppo delle Attività Produttive, appare inconciliabile con quanto disposto dal precedente primo comma del medesimo articolo 64 e pertanto è affetta dal vizio di irragionevolezza.
Infatti con l’intervento di interpretazione autentica di cui al 1° comma il legislatore, da un canto, ribadisce che “in nessun caso è consentito che le singole posizioni debitorie dei soppressi consorzi ASI transitino all’IRSAP ovvero nel bilancio della Regione” e, dall’altro, sottrae la più cospicua parte patrimoniale attiva della massa liquidatoria, su cui potenzialmente possono trovare soddisfazioni i creditori dei soppressi istituti, nulla disponendo peraltro riguardo alle modalità e forme di finanziamento in favore di quest’ultimi.
Il terzo comma inoltre si pone in contrasto con l’art. 97 della Costituzione in quanto sostanzialmente comporta la reviviscenza di norme abrogate dall’art. 19, comma 12 della L.R. n. 8/2012.
Codesta Corte ha affermato che non è conforme all’art. 97 della Costituzione una disciplina “foriera di incertezze” posto che essa “può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione” (sent. n. 364/2010).
Il fenomeno della riviviscenza di norme abrogate rientra in linea generale in questa fattispecie perché può generare “conseguenze imprevedibili” (sent. n. 13/2012) valutabili anche con riguardo all’obbligo del legislatore di assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione. (sent. n. 70/2013).
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L’art. 65 prevede che “Al fine di favorire la ricomposizione fondiaria … gli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni agricoli … sono soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissata dal comma 4-bis dell’articolo 2 del D.L. 30 dicembre 2009 n. 194… e sono esenti dalle imposte di bollo e catastale.”
La norma, nell’incidere sull’ambito di applicazione di tributi statali, appare in palese contrasto con l’art. 117, secondo comma, lett. e), della Costituzione.
Essa, infatti, non si limita a riprodurre le agevolazioni previste dal citato art. 2, comma 4-bis, del D.L. n. 194 del 2009 – a favore dei coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, nonché le operazioni fondiarie operate attraverso l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) – ma ne estende arbitrariamente la portata, in violazione della potestà legislativa esclusiva statale in materia tributaria, a tutti gli “imprenditori agricoli singoli o associati”.
La norma, inoltre, proroga fino al 2015 alcune misure di esenzioni dalle imposte di bollo e catastali a favore dei medesimi soggetti già previste dal comma 1 dell’art. 60 L.R. n° 2/2002 e s.m.i. ma nella relazione tecnica redatta dal Ragioniere generale non è in alcun modo indicato il criterio seguito per la determinazione delle minori entrate rendendo così arbitraria la prevista quantificazione.
Si rileva inoltre che la forma di copertura prevista (parte delle economie realizzate sulla L.R. n. 19/2005) non può considerarsi riconducibile alle modalità prescritte dall’art. 17 della l. n. 196/2009 cogente per le regioni a statuto speciale secondo quanto previsto dall’art. 19 della medesima legge.
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L’art. 66 è di dubbia interpretazione in quanto lo stesso non appare formare sistema con la disposizione contenuta nell’articolo 27 della L.R. n. 8/2008 oggetto di integrazione che, a sua volta ha modificato l’articolo 2 della L.R. n 37/1994.
Sostanzialmente la disposizione testé approvata introdurrebbe una nuova fattispecie di provvidenze regionali ammettendo al beneficio soggetti prima esclusi in tutto o in parte in virtù dell’art. 2, comma 5 della L.R. n. 37/1994.
Tale norma rappresentando un aiuto di Stato alle cooperative agricole ha costituito oggetto dell’esame prima della Commissione e successivamente del Consiglio dell’Unione Europea ai fini della verifica della compatibilità con il mercato comune.
In particolare il Consiglio, con decisione dell’8 aprile 2003, ha ritenuto il sostegno finanziario disposto dalla Regione siciliana con la cennata legge n. 37 del 1994 compatibile con il mercato comune in quanto riferentesi esplicitamente alla legge 237/1993, già valutata positivamente dallo stesso Consiglio con decisione del 22 luglio 1997, in quanto “definiva l’elenco dei beneficiari in funzione dei criteri richiesti per l’iscrizione nell’elenco di cui alla normativa nazionale”.
Un’ulteriore estensione dei benefici, come nel caso in ispecie, per fattispecie non contemplate dalla L.R. 37/1994, né tanto meno dalle leggi nazionali 237/1993 e 338/2000, non è da ritenersi consentito.
Il Consiglio Europeo, infatti, ha ritenuto, con la decisione prima citata, conforme all’articolo 88, paragrafo 2, del Trattato CE l’intervento finanziario della Regione unitamente alle leggi statali di riferimento, poiché esistono circostanze eccezionali tali da consentire di considerare compatibile il sostegno economico “a titolo di deroga e nella misura strettamente necessaria”. L’attribuzione dei benefici anche per situazioni originariamente non contemplate dalla più volte cennata L.R. 37/1994, ponendosi in palese contrasto con la decisione del Consiglio dell’Unione espone lo Stato italiano alla procedura di infrazione comunitaria e costituisce violazione dell’articolo 117, 1° comma della Costituzione, nonché degli articoli 3 e 97 Cost.
La norma, inoltre, introducendo un’ulteriore fattispecie ammissibile comporterebbe l’obbligo per gli uffici competenti di riformulare una nuova graduatoria dei beneficiari a modifica di quella già definitiva ed operante con innegabile aggravio di procedure e conseguente violazione del richiamato art. 97 della Costituzione.
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L’articolo 69, che si trascrive, si ritiene essere in contrasto con gli articoli 3, 97 ed 81, 4° comma della Costituzione.
1. L’Amministrazione regionale, gli enti locali e gli altri enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione applicano le disposizioni di cui all’articolo 1 della legge 29 luglio 1949, n. 717 e successive modifiche ed integrazioni.
2. In applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, una quota della spesa totale prevista in ciascun progetto per la costruzione di edifici pubblici nonché di opere pubbliche, non inferiore alle percentuali indicate al comma 1 dell’articolo 1 della legge 29 luglio 1949, n. 717, è versata in un capitolo di entrata del bilancio della Regione per essere iscritta in un apposito fondo con decreto del Ragioniere generale della Regione da destinare ad iniziative di carattere culturale, individuate annualmente dalla Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale per il turismo, lo sport e lo spettacolo, di concerto con l’Assessore regionale per i beni culturali e l’identità siciliana.
3. Il fondo di cui al comma 2 può essere utilizzato, nella misura massima del 50 per cento delle risorse annualmente versate, per iniziative di carattere sociale, comprese quelle di sostegno alla povertà.
4. Con decreto del Presidente della Regione sono individuate le modalità ed i criteri di erogazione.
La sopracitata disposizione mentre, da un canto, al 1° comma dispone l’applicazione in ambito regionale di una norma statale già per sé operante, dall’altro, nel successivo comma 2, ne amplia la portata estendendola anche alle opere pubbliche e non ai soli edifici pubblici, imponendo al contempo agli enti locali ed agli enti sottoposti a controllo o vigilanza della Regione l’obbligo di versare una quota percentuale della spesa compresa tra il 2 e lo 0.5 per cento, previsti in ciascun progetto, in un capitolo di entrata del bilancio regionale da destinare a finalità culturali annualmente determinate dalla Giunta regionale e/o per iniziative sociali, comprese quelle di sostegno alla povertà.
Le finalità perseguite dai commi 2 e 3 risultano pertanto confliggenti con quella del 1° comma (abbellimento degli edifici pubblici mediante opere d’arte) di cui si afferma voler dare applicazione, manifestando così la norma di essere affetta da palese irragionevolezza.
Occorre altresì rilevare che il legislatore non delimita le risorse finanziarie con cui sono realizzate le opere pubbliche escludendo quelle di provenienza comunitaria con vincolo di destinazione, né indica le modalità con cui gli enti appartenenti alla finanza pubblica derivata devono far fronte al nuovo onere imposto, con ciò violando l’articolo 81, 4° comma della Costituzione.
La disposizione appare altresì censurabile sotto il profilo della violazione del principio di legalità dell’azione amministrativa posto dall’articolo 97 Cost. atteso che non delimita in alcun modo il potere attribuito al Presidente della Regione di individuare le modalità e i criteri di erogazione dell’istituendo fondo (CC. Sent. n. 307/2003 e n. 32/2009).
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L’art. 71, comma 2 pone a carico del Fondo di quiescenza l’onere delle spese di funzionamento ed organizzazione sino alla concorrenza di 550 migliaia di euro mediante l’utilizzo di parte degli interessi maturati a valere sulle eccedenze delle disponibilità finanziarie delle gestioni di cui al combinato disposto degli articoli 13 e 15 del decreto del Presidente della Regione 23 dicembre 2009, n. 14.
Detta disposizione sostituisce il comma 16 dell’art. 15 L.R. 6/2009 che prevede un onere annuo di 200 migliaia di euro per le medesime finalità.
Considerato anche che nella relazione tecnica non è fatta alcuna menzione riguardo alla quantificazione degli oneri derivanti dalla stessa disposizione né all’esistenza e all’ammontare degli interessi maturati sulle eccedenze delle disponibilità finanziarie delle gestioni affidate al Fondo, si ritiene che la norma sia in contrasto con l’art. 81, 4° comma Cost. in quanto dispone una modalità di copertura finanziaria difforme da quelle previste dall’art. 17 L. 196/2009.
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L’articolo 72 rubricato “Rifinanziamento leggi di spesa” autorizza per il triennio 2013-2015 la spesa complessiva di 296.435 migliaia di euro per il corrente esercizio per le finalità di cui alle norme e loro modifiche ed integrazioni riportate nell’allegato 1.
Orbene nel menzionato allegato, fra le norme oggetto di rifinanziamento triennale, è inserito l’art. 12 della L.R. n. 36/1990 ed i relativi capitoli 320013, 320014 e 320015 per un ammontare complessivo di spesa nel 2013 di 748 mila euro e di 754 mila euro per ognuno degli anni 2014 e 2015.
La spesa, definita obbligatoria per il capitolo 320013, sembra riferirsi alle retribuzioni dei dirigenti assunti con contratto di lavoro a termine presso l’Agenzia Regionale del lavoro.
La suddetta Agenzia in base all’art. 11, comma 12 della L.R. n. 26/2012 è stata soppressa a decorrere dal 1° luglio 2012 e le funzioni e competenze sono state trasferite al Dipartimento regionale lavoro presso l’Assessorato regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro e con successivo Regolamento, D.P.Reg. n. 6 del 18 gennaio 2013, sono stati rimodulati gli assetti organizzativi dello stesso.
Con ricorso del 26 aprile 2012 lo scrivente aveva sottoposto al vaglio di codesta Corte la disposizione dell’art. 11, comma 12 del disegno di legge n. 801, divenuto L.R. n. 26/2012, in quanto, sebbene fosse stata disposta la soppressione dell’Agenzia regionale in questione, veniva mantenuta la previsione dell’art. 12 comma 2 bis della L.R. n. 36/1990 (adesso indicata quale norma di riferimento nell’autorizzazione della spesa) che disponeva l’assunzione di personale dirigenziale con selezione diretta e mediante stipula di contratti quinquennali di diritto privato rinnovabili.
Tale previsione si riteneva essere in palese contrasto con l’art. 9, comma 28 del D.L. n. 78/2010 e quindi lesiva dell’art. 117, 3° comma in tema di coordinamento della finanza pubblica.
La norma impugnata è stata omessa in sede di promulgazione parziale della legge e quindi non è entrata a far parte dell’ordinamento giuridico regionale.
Vieppiù, in occasione dell’approvazione del disegno di legge n. 58 era stato soppresso un emendamento che consentiva il mantenimento in servizio di detto personale.
E’ di tutta evidenza che l’inserimento nell’allegato 1 alla presente legge, dei tre capitoli di spesa rifinanziati costituisce uno strumento surrettizio per il mantenimento in servizio almeno sino al 2015 di dipendenti con rapporti di lavoro a tempo determinato in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione e con l’art. 9, comma 28 del D.L. n. 78/2010 secondo cui a decorrere dall’anno 2011 le amministrazioni possono avvalersi di personale a tempo determinato nel limite del 50% della spesa sostenuta per la stessa finalità nell’anno 2009.
Si rileva inoltre che gli attuali stanziamenti risultano incrementati (per il capitolo 320013 di oltre il 50%) rispetto ai dati rendicontati negli esercizi 2010 e 2011 e previsti sul 2012
Cap. 320013 320014 320015
2010 398 36 59
2011 400 49 101 2012 431 56 117
Si osserva infine che sebbene la spesa “Stipendi ed altri assegni fissi al personale con qualifica dirigenziale a tempo determinato” del capitolo 320013 sia definita obbligatoria, il suddetto capitolo non è riportato tra le spese nell’elenco 1 del bilancio regionale.
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L’articolo 74 rubricato “Contributi ad enti, fondazioni, associazioni ed altri organismi” dispone il finanziamento di complessivi 24 milioni di euro ripartito fra 135 istituzioni, elencate all’allegato 2 della legge, per l’importo indicato a fianco di ciascuna di esse.
La norma dà adito a rilievi di carattere costituzionale sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 97 Cost. per i motivi che di seguito si espongono.
A fronte di una legislazione ordinaria e di principio che prevede l’ammissione a contributi pubblici di tutti i soggetti pubblici e privati su un piano di parità per il mantenimento e l’esercizio di attività di rilevante interesse culturale e sociale fruibili dalla collettività, l’Assemblea regionale interviene nuovamente con un provvedimento ad hoc destinato esclusivamente a determinate istituzioni, da anni fruitrici di provvidenze pubbliche senza ancorare la scelta operata a precisi e confacenti parametri di comparazione e valutazione.
Il principio di eguaglianza esige che le leggi singolari, come la norma in esame, corrispondano ad obiettive diversità delle condizioni considerate rispetto a quelle di enti similari, che giustifichino razionalmente ed obiettivamente la disciplina di privilegio adottata. Ove sussistono situazioni omogenee rispetto a quelle singolarmente considerate si incorre nella violazione del principio di eguaglianza perché si determinano ingiustificate posizioni di vantaggio per le istituzioni beneficiarie della norma rispetto a quelle escluse.
Orbene, se non sono contestabili la valenza ed il rilievo, anche a livello ultra regionale, di talune associazioni e fondazioni destinatarie dei contributi, ciò che costituisce motivo di censura è l’omessa valutazione e comparazione delle loro situazioni con quelle delle altre istituzioni operanti in medesimi settori in Sicilia.
Detto esame comparativo avrebbe potuto (e dovuto) essere effettuato mediante una esaustiva istruttoria amministrativa operata dalla competente Commissione legislativa prima dell’adozione della legge dalla cui conclusione potesse emergere una obiettiva diversità di condizioni che giustificasse la scelta operata dal legislatore in favore dei 135 enti in questione con esclusione degli altri casi cui lo stesso trattamento avrebbe potuto estendersi.
Invero non risulta leso il principio di cui all’art 3 della Costituzione soltanto nell’ipotesi in cui le situazioni giuridiche messe a confronto sono intrinsecamente eterogenee e quando differiscono tra loro per aspetti del tutto particolari.
Il legislatore, inoltre, non ha tenuto nella debita considerazione la circostanza che le istituzioni in argomento potrebbero essere già destinatarie di provvidenze erogate da altri soggetti pubblici e ciò al fine di garantire non solo la “par condicio” tra i vari enti ed associazioni ma anche l’ottimale utilizzazione delle risorse, peraltro esigue, destinate a garantire il soddisfacimento dei bisogni della collettività in ambito socio culturale.
Inoltre la disposizione impugnata, che si connota come legge-provvedimento, in quanto incide su un numero determinato benché elevato di destinatari ed ha contenuto particolare e concreto attribuendo a ben precisi soggetti collettivi sovvenzioni in denaro, deve essere soggetta ad un scrutinio stretto di costituzionalità (sentenze n. 2 e 153 del 1997, n. 227 del 2007) sotto il profilo della non arbitrarietà e non irragionevolezza della scelta del legislatore.
Dalla giurisprudenza costituzionale si ricava che lo stesso legislatore, quando emette leggi a contenuto provvedimentale, deve applicare con particolare rigore il canone della ragionevolezza (sentenza n. 137/2009) affinché il ricorso a detto tipo di provvedimento non si risolva in una modalità per aggirare i principi di eguaglianza ed imparzialità. La possibilità, non esclusa dalla Costituzione, per il legislatore di svolgere un’attività a contenuto amministrativo non può spingersi sino a violare l’uguaglianza fra i cittadini come nel caso in esame. Il legislatore siciliano infatti nell’adottare un’attività a contenuto particolare e concreto non ha dato modo di individuare i criteri ai quali sono state ispirate le scelte e le relative modalità di attuazione.
Proprio in questa prospettiva si ritiene che la norma-provvedimento in questione sia in contrasto con l’art. 3 della Costituzione non avendo rispettato il principio di eguaglianza nel suo significato di parità di trattamento.
Né dal testo della norma, che contiene con il rinvio all’allegato 2 un mero elenco di destinatari e di importi ripartiti, né dai lavori preparatori della legge, come prima prospettato, emerge la ratio giustificatrice di ogni caso concreto non risultando pertanto che l’Assemblea regionale abbia osservato criteri obiettivi e trasparenti nella scelta dei beneficiari dei contributi.
La norma, secondo quanto affermato da codesta Corte su un caso similare deciso con sentenza n. 137 del 2009, si risolve “in un percorso privilegiato per la distribuzione di contributi in denaro, con prevalenza degli interessi di taluni soggetti collettivi rispetto a quelli, parimenti meritevoli di tutela, di altri enti esclusi, ed a scapito quindi dell’interesse generale”.
PER QUESTI MOTIVI
il sottoscritto Prefetto Carmelo Aronica, Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, ai sensi dell’art. 28 dello Statuto Speciale, con il presente atto
I M P U G N A
I sottoelencati articoli del disegno di legge n. 69 dal titolo “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2013. Legge di stabilità regionale”, approvato dall’Assemblea Regionale Siciliana l’ 1 maggio 2013:
- art. 8 per violazione degli articoli 81,4° comma e 117, 3° comma Cost.; - art. 13, 1° comma limitatamente all’inciso “a decorrere dall’1 gennaio 2013” per violazione degli articoli 3 e 97 Cost.;
- art. 15, comma 4 lett. m) e n) per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.; - art. 16 per violazione dell’art. 117, 2° comma lett. e) Cost. e art. 36 dello Statuto Speciale; - art. 25, comma 5 per violazione dell’art. 97 Cost. e comma 7, limitatamente all’inciso “senza alcun compenso”, per violazione degli artt. 3, 36 e 97 Cost.; - art. 28, commi 2, 3, 5 e 6 per violazione degli artt. 81,4° comma; 3 e 97 Cost.; - art. 40, commi 2 e 4 per violazione degli artt. 3, 51, 97, 81 e 117, comma 2 lett. l) Cost; - art. 46, comma 3 per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.; - art. 49 per violazione degli artt. 3 e 97 Cost.; - art. 55, commi 3 e 4 per violazione artt. 81, 4° comma e 117, comma 2 lett. e) Cost.; - art. 56 per violazione art. 81, 4° comma Cost.; - art. 60 per violazione art. 97 Cost.; - art. 61 per violazione artt. 3 e 117, comma 2 lett. e) Cost.; - art. 62 per violazione art. 81, 4° comma Cost.; - art. 63 per violazione art. 81, 4° comma Cost.; - art. 64, commi 2 e 3 per violazione artt. 3 e 97 Cost.; - art. 65 per violazione art. 81, 4° comma e 117, comma 2 lett. e) Cost.; - art. 66 per violazione artt. 3 e 97 Cost.; - art. 69 per violazione artt. 3, 97 e 81, 4° comma Cost.; - art. 71, comma 2 per violazione art. 81, 4° comma Cost.; - art. 74 per violazione artt. 3 e 97 Cost.; - allegato 1 relativamente ai capitoli 320013-320014 e 320015 per violazione degli artt. 3, 51, 97 e 117, comma 3 Cost.
Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana (Prefetto Carmelo Aronica)