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domenica 5 luglio 2015

Il Pd prova a staccare la spina al Governo Crocetta

Approvata dalla direzione regionale del Pd, con voto quasi unanime, una risoluzione del segretario regionale Fausto Raciti, che, di fatto, anche se non sono indicati i tempi, apre la crisi del Crocetta Ter. «Se il partito me lo chiede, sono pronto a lasciare», aveva, peraltro, convenuto poco prima il presidente della Regione, Rosario Crocetta, nel commentare l’intervento di Raciti , il quale aveva concluso la relazione alla direzione regionale, invitandolo a «individuare una via d'uscita e dare una prospettiva, anche a fronte di questioni che non trovano una soluzione, come le riforme, la vicenda province e l'emergenza finanziaria».
Relazione molto dura, alla quale era seguito l’intervento del “numero uno” dei renziani siciliani, il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone che, secondo i suoi fedelissimi, già da tempo sarebbe pronto a lasciare Roma per assidersi sulla poltrona di Crocetta a Palazzo d’Orleans. E non è una poltrona qualsiasi, solo la poltrona del primo cittadino dei siciliani. Non è quella del Duca d’Orleans, l’ultimo aspirante al trono di Francia, che nel 1947 fece il grande gesto donando il suo palazzo alla appena costituita Regione Siciliana, ma viene anch’essa da Parigi. È stata recuperata, infatti, una trentina d’anni or sono, o poco più, insieme con gli altri mobili che arredano le stanze del presidente, in uno dei più lussuosi bordelli parigini.
Per Faraone, la direzione di ieri sarebbe dovuta servire solo per decidere quando andare al voto. D’altronde, aveva sottolineato Raciti nel proporre la risoluzione, sulla quale si sono astenuti solo Ninni Terminelli e Alessandra Monastra, «non è entrato in crisi solo il governo, ma il patto su cui si fondava. Vedo solo abbandono e isolamento». E ha accusato Crocetta di aver eluso i problemi, sebbene per due volte abbia preso la parola.
Infatti Crocetta, gran parte del suo primo intervento lo aveva impegnato nel criticare un articolo dello scrittore siciliano Pietrangelo Buttafuoco. «Se devo stare alle parole sentite oggi qui – ha sottolineato pertanto Raciti – ho ragione di essere molto preoccupato. L'assenza di analisi e di consapevolezza del governatore è ormai sempre più chiaro anche all'opinione pubblica. Non è una questione morale, ma politica». E rivolto alla platea ha aggiunto: «Su nessuna delle due ho visto interventi che illuminassero la discussione. Oggi tutti gli scenari sono aperti. E una cosa è certa: prima o poi alle urne dovremo ripresentarci. E dovremmo affrontare già adesso sul quando e su quale coalizione contare».
Nei prossimi giorni, infatti, si dovrebbero svolgere gli incontri con gli altri partiti per decidere il dopo Crocetta. Per Raciti, comunque, «il Pd deve pensare a una fase nuova. Sicuramente – ha detto – il governo non può essere uno strumento per perdere consenso tra i cittadini. Io chiamo tutti - governo nazionale, maggioranza - attorno a questa riflessione. Io speravo si potesse giungere a una soluzione positiva già oggi, ma non ho avuto elementi per trovare questa soluzione. Noi però non possiamo più permetterci di girare a vuoto. A quel punto l'immagine del Pd sarebbe definitivamente compromessa».
«Dinanzi alla gravità della situazione economica e sociale della Sicilia – aveva, a sua volta, avvertito l’ex segretario regionale del Pd Beppe Lupo – non possiamo provocare una crisi al buio, di cui farebbero le spese principalmente i lavoratori e le fasce sociali più deboli. La direzione – aveva, quindi, suggerito – dia mandato al segretario Raciti di verificare insieme alla coalizione e al presidente Crocetta, se, come penso, ci sono le condizioni per una fase nuova di rilancio del programma per lo sviluppo e le riforme. Sia l'Assemblea del Pd – aveva concluso – a valutare e decidere se, e come, proseguire questa esperienza di governo».
Dello stesso parere il capogruppo del Pd all’Ars Baldo Gucciardi. «Il voto anticipato – ha detto – è una patologia. Rimango convinto che, se dimostreremo che deputati e governo sono in grado di risolvere i problemi è giusto che si vada avanti».
La parola definitiva la pronuncerà l’assemblea del Pd, convocata per fine mese. Sempre che Renzi non ordindi di staccare la spiona. E accadda quel che deve accadere.

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