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venerdì 7 agosto 2015

Caro e vulcanico Maestro. Il ricordo di Cenzi Cabianca (di Maurizio Carta su Livesicilia)

Non è mai facile per un allievo ricordare il proprio Maestro, e per me che lo sono stato negli ultimi 25 anni con intensità, affetto, condivisione e quotidiana relazione, anche quando negli ultimi tempi la sua malattia non gli lasciava le forze che abbiamo sempre conosciuto, ma non ne aveva spuntato minimamente l'acume e la raffinatezza del pensiero. Da quando nel 1990 gli chiesi la tesi di laurea non ho mai abbandonato il Professore – come l'ho sempre chiamato fino all'ultimo – e i suoi insegnamenti, da assistente, prima, da suo ricercatore, poi, da collega ordinario erede della sua Cattedra dopo il suo pensionamento, fino alla commovente declamazione della laudatio in occasione del conferimento del titolo di Emerito dell’Università di Palermo (non mi vergogno di ricordare che venni travolto dall'emozione durante la cerimonia).
La figura di Vincenzo Cabianca – Cenzi per gli amici – è stata magistrale per l'urbanistica siciliana, italiana e internazionale perché è sempre stato prima di tutto un umanista scienziato, un intellettuale rinascimentale che faceva una urbanistica come connubio di arte e scienza, conoscenza e azione, tecnica e seduzione. Il suo modo di ragionare e di progettare è sempre stato quello di avere contemporaneamente una grande capacità di teorizzazione e di astrazione, ma di non sottrarsi dalla dimensione militante, e dalla attività progettuale estrarre gli elementi, le componenti, le passioni, gli strumenti che arricchiscono il suo pensiero e lo traducono in modelli e metodi. Sapeva costruire tavole di piano che erano affreschi seducenti e didascalie che erano romanzi avvincenti.
Cabianca, quarantenne e già famoso, appena arrivato a Palermo nel 1968 fonda all'interno della Facoltà di Architettura la “Scuola di pianificazione”, svecchiando e arricchendo la cultura urbanistica vigente, portando un potente vento di novità e uno stile didattico, culturale e umano unico. Una Scuola che ha avuto la peculiarità, oltre che nel metodo scientifico, anche nella sua passione di saper costruire gruppi interdisciplinari che lavoravano insieme, che lavoravano fino a notte fonda, che non andavano a dormire, che scalavano montagne – sia in senso metaforico che reale nei molti sopralluoghi – per stare dietro a lui che le scalava con maggiore vitalità. Da quella Scuola sono passati in tanti, molti degli allievi di Cabianca sono diventati suoi assistenti perché rimanevano sedotti dal suo modo di pensare e dalla sua straordinaria generosità: ad ogni suo laureato dava un "passaporto permanente" per la sua casa romana per poter attingere alla sua biblioteca delle meraviglie in cui ogni branca dello scibile umano veniva catalogata per indicare quale contributo desse alla pianificazione. Molti dei suoi assistenti negli anni sono diventati protagonisti di questa terra e di questa città, portando sempre con sé la lezione di Cabianca nel loro modo di vedere la città, il territorio e il paesaggio.

Lui uomo che amava i vulcani, era vulcanico nel suo insegnamento. E bisognava saper resistere a questa potente eruzione di conoscenze, di esempi, di suggestioni, ma chi resisteva, quando la lava si depositava, raccoglieva frutti preziosi che non ci hanno mai abbandonato: la passione per l'urbanistica come disciplina umana, la consapevolezza che non ci sono confini tra le connessioni che si possono fare nel nostro mestiere, ci ha fatto comprendere che la pianificazione è non solo tecnica, ma atteggiamento complesso e cultura della trasformazione del territorio. Ci ha fatto capire che la partecipazione non è fredda costruzione del consenso, ma è educazione, coinvolgimento, corresponsabilità.
Cabianca ha sempre amato Palermo e la Sicilia, tanto da non essersene mai voluto separare, rifiutando persino l'invito dello IUAV di Venezia di prendere il posto di Giovanni Astengo alla sua guida. Non era solo affetto per i suoi allievi, amore per una città e una terra che lo aveva accolto con entusiasmo, ma era la consapevolezza che qui andava condotta la battaglia per la qualità dell'urbanistica, che qui andava sperimentato il recupero democratico dei centri storici – famoso il suo libro "Palermo Vertenza Centro Storico" – che qui andava allevata una generazione di nuovi pianificatori che avessero nuovi occhi per affrontare la valorizzazione dei beni archeologici – sua la prima Carta regionale – e sapessero usare nuovi strumenti per progettare un nuovo e migliore futuro, uno squadrone di pianificatori convinti che "la conoscenza sia matrice di libertà e la pianificazione sia matrice di pari opportunità".
E a Palermo ha voluto dedicare la sua ultima fatica, quando già stava male, ma non aveva perso la granitica volontà e la sua straordinaria generosità, chiedendomi di scrivere insieme a lui il testo sulle vicende urbanistiche di Palermo per il prestigioso volume dedicato alla città dalla Enciclopedia Treccani. Quel testo non è solo un contributo scientifico, ma è una storia d'amore scritta a quattro mani e dedicata a tutte le città attraverso il nome della città più amata. Scrivere quel testo con Cabianca è stato emozionante e fertile: la sua poesia e la mia prosa si inseguivano con schermaglie lessicali, il suo scavare nel palinsesto della storia si integrava con la mia interpretazione di traiettorie abbandonate di futuro, il suo magistero di studioso si interfacciava con le mia recenti esperienze progettuali.
Anche il modo coner cui Cabianca pianifica – sì pianifica, perché non riesco a parlarne al passato – è peculiare, paragonabile a come si racconta facesse Michelangelo, vedendo la statua dentro il blocco di marmo e lavorando di scalpello per liberarla. E così fa Cabianca nei confronti del territorio, estraendovi il piano che vi è contenuto: lui vede lì dove altri non riescono a percepire nulla, e io ricordo le sue mani che si muovevano nell’aria a simulare la plasticità delle Eolie, la geomorfologia dei vulcani, come se le avesse davanti, dopo averle viste per lungo tempo allo stereoscopio. E non c’era luogo in cui Cabianca avesse soggiornato che non avesse da qualche parte conservata una delle valigette di legno con dentro uno stereoscopio, che aveva comprato in quantità in modo da non esserne mai sprovvisto quando necessario. Così ci ha insegnato a vedere il territorio, la sua complessità, a svelarne la storia.
L'elenco dei piani di Cabianca è lunghissimo, molti dei quali in Sicilia, come il lavoro per i parchi archeologici di Segesta e Selinunte, insieme ai progetti dei Musei Archeologici di Tindari, Segesta e Lipari e lo straordinario e anticipatore Piano Regolatore di Siracusa, il quale è ancora oggi una pietra miliare per l'urbanistica nazionale, il primo a contrastare concretamente la speculazione edilizia, innovando il punto di vista tra conservazione e trasformazione.
Ma il suo più grande lascito è il Piano Territoriale Paesistico delle Isole Eolie (1994-97), perché lì un Cabianca ricco di esperienza ha ripreso passioni, sfide anche alcuni strumenti della sua lunga vita. Un piano che è la sintesi di necessità conservative e di opportunità di trasformazione, di opportunità di far dialogare diversi soggetti e di necessità di comporre conflitti, al fine di individuare gli elementi non negoziabili per poter dare la forza agli elementi che possono essere oggetto di concertazione. Nel Piano Paesistico delle Eolie Cabianca ha saputo intervenire con lungimiranza sulla conservazione e trasformazione compatibile delle Eolie con grande capacità innovativa, anticipando soluzioni che il dibattito disciplinare inizierà a trattare poco dopo e che negli ultimi anni sono diventate patrimonio normativo dell’Europa con la Convenzione Europea sul Paesaggio. L’opera di Cabianca per le Eolie ha anche valso alle isole il conferimento dello status di Patrimonio Culturale dell’Umanità da parte dell’Unesco. E per me è stata una fondamentale esperienza aver collaborato in maniera immersiva – lavoravamo anche di notte e durante le festività – alla redazione del piano e alla predisposizione di un primigenio sistema informativo territoriale.
E dalle Eolie Cenzi non si è mai separato, fino all'ultimo è stato impegnato nella promozione del Parco Archeologico e Vulcanologico Eoliano e del Parco Omerico della letteratura dei Vulcani Eoliani, un progetto esposto nelle principali capitali europee e oggetto di interventi presso università e istituzioni scientifiche internazionali anche negli anni in cui il ritorno della malattia tentava di minarne il fisico non riuscendovi con la mente.
Avrei tanto altro da raccontare di Vincenzo Cabianca, dei suoi piani e del suo modo di insegnare, del suo modo di progettare e del suo essere un poeta, del suo amore per l'arte e per la scienza, che ci infondeva con delicatezza come solo i veri maestri sanno fare.
Palermo, che lui ha sempre amato, perde un figlio, l'Università di Palermo, di cui lui andava orgoglioso, perde un padre.
Grazie Maestro per quello che ci hai trasmesso e per quello che ancora ci insegnerai estraendolo dalle tue vulcaniche lezioni, dagli scritti che ci hai lasciato e dai piani che hai redatto, scaveremo con forza nella lava dei nostri ricordi per estrarre materia preziosa per andare avanti, come ci ha sempre spronato a fare: "in più e non invece" ci dicevi quotidianamente.
Addio Professore, ciao mio vulcanico Maestro

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