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lunedì 8 febbraio 2016

La bocciatura è un assurdo pedagogico! (di Samuele Amendola

Riceviamo e pubblichiamo:
Rimango sempre più allibito ed amareggiato nel constatare che a pagare il prezzo di riforme sbagliate e dell'incapacità di un sistema scolastico debbano essere sempre e solo i più deboli, i più piccoli, coloro che non hanno voce in capitolo. Che fine hanno fatto, mi domando rivolgendomi agli insegnanti e ai genitori, gli insegnamenti di grandi pedagogisti del passato, come Maria Montessori e Don Milani, ma anche le più recenti esperienze di Lorenzoni e Zavalloni? Cari insegnanti, bocciare, soprattutto nelle scuole primarie, è un assurdo pedagogico. È l'ammissione di un fallimento della scuola e di chi la dirige, che dovrebbe sempre e comunque scoraggiare e limitare solo a casi eccezionali e rari, come dice la legge, il ricorso alla ripetenza.
L'insegnante che boccia, farebbe bene a cambiare mestiere; perché dovrebbe prima di tutto interrogarsi sulla capacità della scuola di saper dare le giuste risposte alla diversità dei ritmi e dei profili di apprendimento di ciascun alunno. Una scuola che boccia chi resta indietro, chi ha difficoltà, chi non riesce a stare al passo con "programmi" che in realtà non esistono più... è "come un ospedale che si prende cura dei sani e rinuncia a curare i malati". Ma sono i singoli bambini che devono "innalzarsi" per stare ai ritmi della programmazione o dovrebbe essere la programmazione ad "abbassarsi" al livello di ciascun bambino? Questo modello di scuola che in nome del “merito” funziona sempre e più come un’azienda che deve sfornare ragazzi tutti allo stesso livello, “misurati” attraverso procedure standardizzate è profondamente sbagliato: un simile messaggio potrebbe arrivare anche ai vertici del Ministero se i docenti vivessero con meno ansia le prove Invalsi che non hanno come finalità la valutazione della competenza dei docenti, tanto meno servono alla valutazione dei bambini, ma semplicemente a dare una visione globale del sistema scolastico così da poter intervenire con strumenti adeguati laddove ce n’è il bisogno.
La bocciatura è una selezione classista, inutile negarlo: ad essere bocciati, infatti, sono quasi sempre i bambini più svantaggiati dal punto di vista socio-economico e culturale. Sono i figli di quelle famiglie più in difficoltà, che non hanno le risorse economiche per garantire il doposcuola e gli aiuti necessari ai propri figli, sono le famiglie che non hanno le forze per rappresentare un aiuto e un valido sostegno alle difficoltà che ogni giorno i propri figli incontrano nel loro percorso.
Sono le famiglie che attraversano momenti di crisi o che hanno vissuti difficili. Talvolta, infatti, ad essere bocciata è la famiglia, quella che per questioni culturali non ha saputo instaurare un rapporto di collaborazione o non è riuscita a dare la giusta importanza alle segnalazioni dei docenti. Ma è giusto per questo penalizzare i bambini? Oppure la scuola, oltre ad essere strumento di istruzione, è prima di tutto “agenzia educativa” che deve farsi carico di quelle situazioni difficili, in cui ad un bambino mancano i diritti di base e/o l'ambiente familiare non è in grado di garantirli?! E non mascheriamoci, come in una sfilata di carnevale, dietro l'alibi della bocciatura come "regalo" ed opportunità per il bambino di ripetere e di ripercorrere le tappe di un percorso che ha già sperimentato come fallimentare e per cui ripetere l'anno successivo nel medesimo modo, senza un cambio di metodologie e di strumenti didattici, non serve proprio a nulla. Diventa solo un modo per mascherare le proprie difficoltà nel mettere in atto quelle iniziative didattiche innovative che tutte le più recenti normative prevedono senza purtroppo, questo bisogna pur dirlo, supportare la loro applicazione con le adeguate risorse economiche. Quindi, ancora una volta, pagano i bambini per delle mancanze di noi adulti.
“L’obiettivo della scuola non può essere soprattutto quello di inseguire lo sviluppo di singole tecniche e competenze; piuttosto, è quello di formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri. Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate. Al contrario, la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno." Questo è quanto affermato nelle “Indicazioni Nazionali per il Curriculo” che oggi hanno sostituito i vecchi “programmi ministeriali”, le stesse Indicazioni oggi prevedono per i bambini dei tempi “dilatati”, rallentati in base ai ritmi di sviluppo di ciascuno. Quindi un bambino non dovrà necessariamente saper leggere entro il primo anno di scuola primaria e chi non è al passo NON può essere bocciato! Infatti le Indicazioni Nazionali danno tempo fino a tutto il primo biennio per raggiungere tale obiettivo e se per caso fosse necessario si può attendere anche ai primi mesi del terzo anno. Così se un bambino in terza classe non ha ancora appreso le tabelline, non può e NON deve essere bocciato perché ha tempo fino al quinto anno per consolidare queste conoscenze e competenze. Ciò non significa trascurare o non attenzionare le difficoltà degli alunni; la scuola, infatti, deve attivare tutte quelle iniziative, previste dalla legge, per fornire ai bambini gli aiuti di cui hanno bisogno: percorsi di recupero portati avanti da docenti diversi da quelli curriculari; iniziative di “classi aperte” e cioè momenti, adeguatamente programmati, in cui gli alunni di classi parallele o in verticale possano vivere esperienze in gruppi eterogenei, valorizzando anche le compresenze tra gli insegnanti. Attivare nel pomeriggio dei laboratori teatrali, musicali, sportivi, scientifici nei quali gli alunni più in difficoltà possano esprimersi attraverso modalità differenti. Ed allora ecco che il bimbo che fa tanti errori ortografici si potrebbe rivelare un bravissimo attore e potrebbe apprendere gli stessi contenuti di letteratura o di storia recitando piuttosto che imparando “a memoria” una o due paginette del sussidiario, facendone esperienza viva ed indelebile e non un mero esercizio mnemonico che lascia il tempo che trova con contenuti destinati a perdersi al momento della memorizzazione della lezione successiva. Meno compiti per casa e più lavoro di gruppo in classe, dove ciascun bambino ricopra un ruolo e a turno tutti possano cimentarsi nelle diverse attività; dove anche le modalità di verifica cambiano, con un insegnante che passa tra i gruppi e dialoga con i bambini riducendo al minimo le odiose interrogazioni individuali che servono solo a “competere” e non aiutano a “cooperare”. Allora si scoprirebbe che la bambina che fa fatica a concentrarsi durante l’esercizio di matematica è estremamente brava ad esprimersi con la musica o con i pastelli mentre realizza la scenografia di una recita. Ecco che le valutazioni cambierebbero, ecco che davanti agli occhi di un insegnante si aprirebbe un mondo, un mondo che invece oggi resta pressappoco intravisto, quando va bene, oppure completamente nascosto nel peggiore dei casi.
So che mi attirerò molte antipatie con questa presa di posizione, provocatoria e probabilmente rivoluzionaria; ma occorre che qualcuno dia voce a chi una voce non ce l’ha perché non viene “ascoltato”: anche quando chiede aiuto attraverso comportamenti che lasciano spiazzati docenti e genitori, subito si corre il rischio di “medicalizzare” queste espressioni, questo bisogno di aiuto, questa richiesta di attenzione, perdendo di vista la sfida pedagogica cui siamo chiamati come società. Esistono un’infinità di studi che dimostrano l’inutilità della bocciatura ai fini del recupero; ovviamente cosa ben diversa è per le scuole superiori dove i ragazzi, o i loro genitori, potrebbero avere fatto errori al momento della scelta dell’indirizzo e qualche bocciatura può essere considerata per permettere al ragazzo di riorientarsi e di seguire il percorso più adatto ai propri bisogni e ai propri interessi. Per questo motivo, chiedo e supplico gli insegnanti, soprattutto quelli delle scuole primarie, di riprendere in mano la responsabilità educativa ed accettare le sfide difficili, rallentando e “riprendendosi il tempo” di educare, quel tempo che una società sempre più frenetica e tecnologica ci sta rubando. “Perdere tempo per guadagnare tempo” dovrebbe essere il nuovo motto di una scuola che non boccia, ma PROMUOVE: la vita, la diversità, l’integrazione, l’espressione personale. Per questo mi piace concludere con le parole di un grande maestro, il quale prima di tutto è stato uno dei tanti bambini definiti lenti, svogliati, insomma da bocciare:
«Ogni studente suona il suo strumento, non c'è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l'armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un'orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all'insieme. Siccome il piacere dell'armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica. Il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini.» (Daniel Pennac).
Samuele Amendola

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