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mercoledì 1 ottobre 2025

La "Pagina culturale": QUELLA DI FLORENZIA, UNA STORIA DA RACCONTARE di Michele Giacomantonio (Puntata 8 di 10)

Capitolo VIII
FINALMENTE A ROMA

1. Il viaggio e l’arrivo
Florenzia era dal 1939 che pensava a Roma. Una casa a Roma, anzi la casa generalizia, voleva dire ancorare l’istituto – un istituto che sognava grande e fiorente – vicino al papa, al centro della cristianità. Ma per ben cinque anni aveva dovuto mordere il freno accontentandosi di potenziare la presenza in Sicilia e di mettere a punto la struttura giuridica e organizzativa. Ma quando la guerra volge al termine, non vuole più indugiare oltre. Ha superato i 70 anni e i dolori ogni giorno le tormentano le gambe e le ginocchia, ma è determinata a compiere questo passo che giudica fondamentale. Così, non appena i tedeschi firmano la resa incondizionata e viene dichiarata la cessazione ufficiale delle operazioni belliche in Italia, Florenzia decide di partire.
“Ma come – le fanno presente le consorelle – la linea ferrata per Roma è interrotta in diversi punti, alcuni ponti sono crollati. Nelle vostre condizioni è un viaggio impossibile”. Ma di impossibile per Florenzia non c’è nulla, soprattutto quando sente le sollecitazioni della sua “voce”. E così, il 22 maggio 1945, si mette in viaggio con la vicaria, suor Pia, e un’altra suora, quella Concettina, di cui parleremo più avanti.
Il viaggio fu una vera e propria passione. Le suore impiegarono per raggiungere Roma due giorni e due notti in un treno affollatissimo. A Gioia Tauro il ponte era stato distrutto dai tedeschi prima della ritirata e, quindi, si fece la traversata prima a piedi con il pericolo di perdere il contenuto delle valigie perché, anche addosso ai portabagagli, gente ladra e inasprita dalle conseguenze della guerra, tagliò le corde e tentò di aprirle; poi si continuò il viaggio su un carro tirato da buoi, un vero supplizio per Florenzia per la difficoltà nel salirvi e la scomodità, nelle sue condizioni, di stare seduta. Ma ella non si lamentava e accettava tutto con serenità.
Giunte a Roma, le difficoltà e le sofferenze, però, non erano terminate. Era pomeriggio inoltrato e le suore dovevano trovare un alloggio nei pressi della stazione, perché Florenzia era distrutta e doveva riposare e rifocillarsi. Era impensabile che potesse sobbarcarsi la fatica di girare per una Roma praticamente ancora priva di servizi pubblici e con la difficoltà di trovare anche mezzi di trasporto privati a pagamento.
Chiedono intorno e viene loro indicato un istituto di suore tedesche, a un centinaio di metri dalla stazione.
– Madre, lei aspetti qui, da queste suore – propone suor Pia – mentre io e suor Concettina andiamo alla casa generalizia dei Frati Minori. Padre Balestrieri sa del nostro arrivo e saprà darci un’indicazione dove alloggiare per questi primi giorni.
La portinaia dell’istituto le accoglie gentilmente e fa accomodare Florenzia con tutti i bagagli in sala d’aspetto. Ma suor Pia e suor Concettina erano appena andate via che arriva la superiora e non vuole sentire ragioni di sorta. Sono periodi difficili e non ci si può fidare di nessuno. Che esca dal portone con le sue valigie. E a Florenzia non rimane che accamparsi sopra il marciapiede dove la troveranno le consorelle quando, un paio d’ore dopo, faranno ritorno.
– Madre, ma che è successo? chiedono stupite.
– Niente – è la risposta serafica di Florenzia –, penso che la madre si sia allarmata credendoci suore travestite e gente sospetta. Forse – aggiunse con ironia – avrà pensato che questo cilindro di metallo che abbiamo contenesse un pericoloso strumento bellico e non un innocuo stendardo ricamato in oro.
– Ora vado io e insegno loro l’educazione –. Reagisce nel suo romanesco vivace il portabagagli che suor Pia era riuscita a trovare alla stazione e, con grande disponibilità, le aveva seguite.
– No, no. Lasciamo perdere – tira dritto Florenzia –, abbiamo ben altre cose da fare che metterci a litigare. Piuttosto avete risolto qualcosa alla casa generalizia.
– Sì, abbiamo una buona notizia – risponde suor Pia –, padre Balestrieri ci ha trovato un alloggio presso le Suore Clarisse Missionarie del SS.mo Sacramento.
– Non è molto distante – le rassicura il portabagagli – basta attraversare la stazione e siamo subito arrivati.
E così, giunte al pensionato delle Suore Clarisse, Florenzia finalmente può riposare.
Che a Roma si fosse circospetti e sospettosi in quel 1945 lo si può ben capire. La città era stata liberata già da un anno, ma portava ancora i segni drammatici della guerra e, in particolare, di quell’ultimo periodo in cui era sta dichiarata “città aperta”. Non aveva subìto gravi danni Roma dai bombardamenti, a parte quelli gravissimi del 19 luglio 1943, quando era stato raso al suolo il quartiere San Lorenzo facendo migliaia di vittime. Ma più che per i danni e le vittime da bombardamenti, Roma soffrì duramente per la fame e il terrore che i tedeschi avevano diffuso nella popolazione. Finita la guerra, la città faticava a ritrovare un proprio equilibrio, anche perché i guasti degli ultimi anni si cumulavano a quelli più profondi che la città si trascinava dietro per uno sviluppo dissennato e disordinato, che aveva visto gli abitanti crescere a dismisura in condizioni di precarietà e di degrado a cominciare dalle abitazioni. Moltissime abitazioni delle borgate erano vere e proprie baracche. I problemi della fame, i problemi dell’abitare, i problemi dei trasporti, la disoccupazione... questa era la Roma in cui giungeva Florenzia in quel maggio del 1945 e nella quale veniva a portare il suo contributo, per quanto modesto fosse, al risanamento e alla ripresa.

2. Le difficoltà fra ricerca della sede e autorizzazione del Vicariato
Dal giorno dopo, Florenzia e le due suore si mettono all’opera per risolvere i due problemi per cui si sono trasferite nella capitale: aprire una casa in questa città e ottenere il riconoscimento pontificio affrancandosi dalla qualifica di “Istituto di diritto diocesano”, che limitava fortemente le prospettive della congregazione e la sua volontà di consolidamento e di espansione. E mentre le due suore contattano un’agenzia perché le aiuti nella ricerca di un edificio adeguato, Florenzia, che non era pensabile che dopo la fatica del viaggio si rimettesse a girare per Roma, incontra padre Balestrieri per discutere dell’approvazione delle Costituzioni, il primo passo per avere il riconoscimento pontificio.


Con l’aiuto di un frate che lavorava alla Congregazione dei Religiosi, in quindici giorni furono pronti tutti i documenti necessari corredati dalle lettere di lode dei vescovi delle diocesi dove avevano sede le case dell’istituto. Buone notizie anche dal fronte della ricerca dell’immobile. Dopo quasi un mese di ricerche, finalmente fu trovata una bella villa a Monte Mario, ubicata in una zona periferica a nord ovest, che era in pieno sviluppo con una proprietà molto estesa appartenente a un generale che aveva necessità urgente di vendere.
Prima di procedere all’acquisto del villino, bisognava, però, ottenere l’autorizzazione del Vicariato all’apertura della nuova casa. La risposta del cardinale vicario, anche se la richiesta era sostenuta dal superiore generale dei Frati Minori, è però negativa.
– A Roma ci sono già troppi istituti siciliani di diritto diocesano. È un modo per forzare la mano verso il riconoscimento pontificio. Ma queste furbizie io non posso avallarle.
Ma Florenzia non si dà per vinta, lei sa che alla fine la risposta non può essere che positiva. Si ricorda che il provinciale siciliano dei Frati Minori di Sicilia e attuale cappellano dell’istituto, padre Pierantoni, le aveva detto di conoscere bene il cardinale vicario e pensa di ricorrere a lui.
Padre Pierantoni doveva essere a Palermo e così telefona a padre Balestrieri per farsi dare il numero di telefono del convento palermitano. Quale sorpresa quando apprende che, invece, il padre stava entrando, proprio in quel momento, nel convento di via Merulana a Roma.
Florenzia non indugia e si precipita a incontrarlo.
– Padre, lei solo può aiutarci. Il cardinale vicario ci ha rifiutato l’autorizzazione ad aprire una nostra casa a Roma. E pensi che, malgrado le difficoltà, siamo riuscite a trovare una bella villa a Monte Mario. Mentre telefonavo qui in convento per avere il suo numero di Palermo, ci dissero che lei era già qui. Una fortunata coincidenza.
– Molto di più, Madre – risponde padre Pierantoni –. Pensi che io dovevo salire a Roma solo in ottobre. Poi ieri mi telefona un amico pilota dell’aereo di linea e mi dice che nel suo volo si è reso libero un posto. Se voglio approfittarne, è gratuito. E così in tutta fretta mi organizzo e decido di partire. È come se lei mi avesse chiamato.
– Forse non io, ma qualcuno l’ha chiamata, commenta Florenzia.
– Non si preoccupi, Madre, parlerò io al cardinale vicario, conclude il padre provinciale visibilmente commosso.
Passano due giorni e padre Pierantoni convoca Florenzia.
– Stia serena, Madre, il cardinale vicario ha dato il permesso.
– Sia ringraziato il Signore, risponde Florenzia, e la felicità la si legge sul volto.
– Non è stato facile – commenta il frate –. All’inizio il cardinale era inflessibile. E mi disse subito la ragione. “Se ogni Istituto di diritto diocesano pensasse di aprire a Roma una casa, si avrebbe una proliferazione enorme con scarsissima efficacia dal punto di vista pastorale perché si tratta, per lo più, di congregazioni che sopravvivono nella precarietà. Inoltre, Padre, lei sa che le suore siciliane hanno una visione tutta particolare della religiosità. Prima di tutto e innanzitutto c’è la famiglia d’origine. Altre volte abbiamo dovuto constatare che la casa di Roma diventa una sorta di ufficio di collocamento per fratelli e nipoti”. Che potevo rispondere? Forse il giudizio era eccessivo, ma un fondo di verità l’aveva. E così ho gettato lì: ”Le mie suore non sono siciliane, Eminenza, l’Istituto è nato a Lipari nelle isole Eolie e ha presentato alla Sacra Congregazione dei Religiosi i documenti necessari per l’approvazione delle Costituzioni”. “Già, le isole Eolie non sono in Sicilia – ribatte ironico il cardinale –. Comunque, se proprio vuole, Padre, così sia. Dica loro che domani possono venire in Vicariato a ritirare il permesso”.
E, il 26 giugno, suor Pia e suor Concettina si presentano agli uffici di via della Pigna .
– Ancora voi? – sbotta, quando le vede, il segretario del Vicariato per gli istituti religiosi femminili.
– Ci hanno detto che è pronto il permesso.
– Impossibile. Da che mondo è mondo, nessun cardinale si è mai contraddetto con quanto ha deciso.
Ma di fronte alle insistenze delle suore il segretario accetta di andare a verificare e, quando torna, ha un grande sorriso stampato sul volto: – Cose dell’altro mondo. Avevate ragione voi, congratulazioni. Avete ottenuto il permesso. Giorno 30 potrete ritirarlo.

3. Un intreccio di miracolose coincidenze
Giorno 30 vuol dire meno di quattro giorni. Un tempo risicato per organizzare tutto, ma anche un termine limite per effettuare l’acquisto. Il proprietario della villa, infatti, aveva fretta. Le sue condizioni di salute, a causa delle torture subìte dai tedeschi nei giorni in cui spadroneggiavano a Roma, peggioravano di giorno in giorno e lui voleva concludere in fretta questa transazione, perché era subissato dai debiti e non voleva lasciare nei guai la famiglia e i figli che erano ancora minorenni. Per di più aveva una tratta da pagare che scadeva proprio il 30 giugno alle 14.
Ma come procurarsi i fondi necessari in soli quattro giorni? Le casse dell’istituto non riuscivano a coprire l’intera cifra e bisognava ricorrere ai prestiti dei benefattori. E così Florenzia si mette al telefono. Non ha paura di scomodare qualcuno e di apparire insistente e inopportuna. Sta giocando una partita fondamentale per il suo istituto e, se fosse necessario, in quattro giorni potrebbe andare in Sicilia e tornare. Ma non è necessario… Tutto va secondo le più rosee speranze e, così il 30 giugno mattina, chiama suor Pia e suor Concettina e definisce la strategia.
– Io vado dal notaio. L’appuntamento per l’atto è fissato per le 12 per dare il tempo ai venditori di pagare entro le 14 la loro cambiale, altrimenti ipotecano la villa e poi mi hanno detto che il generale può morire da un momento all’altro. Anzi i dottori si meravigliano come sia ancora in vita. Voi, suor Pia e suor Concettina, vi recherete in Vicariato a ritirate il permesso del cardinale vicario.
In Vicariato, però, suor Pia e suor Concettina si imbattono in un imprevisto. Prima di consegnare il permesso, il segretario chiede dov’è situato il villino che stanno acquistando.
– In via Maffeo Vegio al 34, a Monte Mario, dice suor Pia.
– È impossibile – ribatte il segretario – lì si trovano le Suore Benedettine solo da pochi mesi e non è pensabile che arrivi un altro istituto a intralciarle nel loro lavoro.
Nella stanza si fa improvvisamente silenzio. Le suore sono turbate. Ma suor Pia non demorde.
– La nostra opera è un preventorio e non darà alcun ostacolo al convento vicino.
Il segretario guarda le suore, riflette qualche istante, e poi aggiunge nel permesso la clausola che le Francescane in quell’istituto non potranno volgere opere simili a quelle delle Benedettine. E finalmente consegna il tanto atteso documento.

Dal notaio, intanto, si vivono momenti di tensione. Il procuratore e il giovane figlio del generale erano impazienti e continuavano a guardare l’orologio. Alle 13 finalmente suor Pia e suor Concettina entrano nello studio e l’atto può subito stipularsi. Appena in tempo. Proprio nel momento in cui furono apposte le firme si sentì bussare alla porta. Portavano la notizia che il povero generale era morto. Se questo fosse accaduto anche solo un quarto d’ora prima, l’atto non si sarebbe potuto stipulare e si sarebbe dovuta attendere l’autorizzazione del giudice tutelare perché, come si è detto, i figli erano minorenni. Settimane e, forse, mesi.
Lo stesso 30 giugno le tre suore presero possesso della villa, dichiarata libera nell’atto di vendita. Fu lo stesso procuratore del generale che chiese alle truppe inglesi un camion – visto che mancavano i mezzi pubblici e i servizi di trasporto privati erano difficili da trovare – per portare a Monte Mario le valigie delle suore con la biancheria, tre letti e tre materassi avuti in prestito dalle suore che le avevano ospitate. Lo stesso camion al ritorno avrebbe dovuto trasportare le masserizie del giardiniere e del custode che, insieme alle loro famiglie, avrebbero dovuto lasciare la villa quello stesso giorno.
Ma questi non vollero saperne di andar via e rimasero ancora per parecchio tempo con la scusa che non trovavano appartamenti liberi. Per di più vi era anche una famiglia sfollata che arbitrariamente aveva occupato due stanze e un magazzino durante la guerra. Inoltre, il primo e il secondo piano era occupato da una colonia israelita. Di tutta la villa, quindi, risultavano libere solo poche stanze al pianterreno, dove si sistemarono le tre suore sperando che l’incomodo fosse questione di pochi giorni.
Lo sforzo fatto per racimolare la somma per l’acquisto aveva esaurito la cassa generalizia. Si era, quindi, nelle ristrettezze. Si preparava qualcosa da mangiare in una cucinetta avuta in prestito generosamente, insieme a delle stoviglie, dal guardiano della villa. E con la cucina arrivarono anche due sedie. Quindi, a turno, una delle tre rimaneva in piedi.
Considerando la situazione, Florenzia ripeteva: “Ringraziamo Gesù Bambino e la Madonna poverella che ci vogliono associare alla loro estrema povertà del presepe di Betlemme”. Poco per volta la casa fu arredata dello stretto necessario. Il guaio più grande fu che non bastarono pochi giorni a liberare la villa, ma si dovette pazientare e fare le pratiche per la sistemazione di queste tre famiglie che era impensabile potessero convivere con le suore. Per circa tre mesi Florenzia e le consorelle vissero ristrette in appena tre stanze, due adibite a dormitorio, l’altra che funzionava da cucina e refettorio. Finalmente, a settembre, si resero liberi il primo e il secondo piano che erano occupati dalla colonia israelita.


4. Parte l’attività assistenziale della casa di Roma

La casa generalizia a Roma in via delle Benedettine.

Ora c’era spazio sufficiente e si poteva pensare a organizzare delle opere di bene. Si pensò subito a un preventorio antitubercolare: una struttura importante, visto la situazione sociale e sanitaria della periferia romana. Ma i costi di ristrutturazione per una tale impresa erano troppo alti e si dovette rinunciare.
– Pazienza – disse madre Florenzia –, faremo i lavori strettamente necessari e lasceremo la casa come si trova, senza grandi modifiche e ristrutturazioni. Svolgeremo un’opera umanitaria meno impegnativa, quella che vorrà il Signore.
Intanto, si scelse la stanza per la cappella, che nella spiritualità di Florenzia rappresentava il cuore dell’istituto, e iniziarono i lavori. L’opera umanitaria che prese il via fu quella più tipica nell’esperienza dell’istituto fin dai primi tempi di Lipari: un orfanotrofio, visto che a Roma, nel dopoguerra, vi erano diversi casi di bimbi orfani, abbandonati, bisognosi di assistenza.
La prima bambina fu Antonietta, orfana di madre, figlia di un siciliano, mutilato di guerra, il quale, per racimolare qualcosa per vivere girovagava facendo lavoretti e lasciava la figlioletta sulla strada. Era un caso pietoso e Florenzia decise subito di prenderla.
E, così il primo novembre 1945, quarant’anni dopo la fondazione dell’istituto a Lipari, cominciò anche a Roma quell’opera assistenziale con i bambini che si sarebbe sviluppata in futuro. Le case di Lipari e Acireale spedirono materassi di lana, coperte, biancheria da letto, sedie, ecc. Altri aiuti arrivarono da diversi enti che le suore instancabilmente interpellavano. Il Comitato della Gran Bretagna mandò piatti, scodelle, bicchieri, posate, stoviglie e la stoffa per le uniformi delle bambine. L’Aiuto Cristiano assegnò per le piccole lettini, materassi, cuscini, coperte, lenzuola, federe, asciugamani, scarpe e biancheria personale. La Croce Rossa americana mandò abitini d’inverno e golfini di lana.
La nuova casa ora era meta di ospiti illustri, che volevano conoscere il miracolo di questo istituto siciliano che era riuscito ad approdare a Roma e prosperare.
Nel 1947 le bambine avevano raggiunto il numero di quaranta e i locali disponibili erano divenuti insufficienti. E siccome la condizione finanziaria dell’istituto era migliorata grazie ai versamenti dalle varie case dell’istituto, si riprese il progetto di ampliamento. Il problema era rappresentato dalle due famiglie, che, malgrado fossero passati due anni, continuavano a occupare buona parte del pianterreno e pareva non avessero intenzione di andar via. Ci vollero. infatti, ancora tre anni abbondanti per chiudere la questione.
Completati i lavori di ristrutturazione, ci si accorse che purtroppo erano stati fatti male. In un giorno di vento, crollò il tramezzo che divideva il dormitorio dal corridoio e solo per miracolo non ci furono vittime. Le bambine, infatti, si erano allontanate solo pochi minuti prima. Comunque, fatte le riparazioni e gli ampliamenti, ripresero attivamente le opere della casa che ora, oltre all’asilo, alla scuola elementare, comprendono anche l’assistenza alle minori dell’orfanotrofio, l’apostolato nella parrocchia Nostra Signora di Guadalupe, l’impegno nell’Azione Cattolica.
Ormai Florenzia risiedeva pressoché stabilmente nella casa di Roma per seguire direttamente la pratica dell’approvazione delle Costituzioni da parte della Santa Sede, anche se, nonostante l’età avanzata, non trascurava di visitare, di tanto in tanto, le case della Sicilia e specialmente Acireale, soprattutto in occasione di vestizioni e professioni religiose, che dopo il periodo di guerra avevano ripreso ad affluire.
La tanta attesa approvazione delle Costituzioni arriva il 25 aprile 1949 e, come è prassi, è un’approvazione ad experimentum per sette anni. Con il riconoscimento delle Costituzioni arriva anche il decreto della Congregazione dei Religiosi, con cui il Santo Padre Pio XII dichiara l’istituto di diritto pontificio sotto il nome ufficiale di Istituto delle Suore Francescane dell’Immacolata Concezione di Lipari.
E siccome le buone notizie qualche volta richiamano altre buone notizie, soprattutto quando gli obiettivi sono stati perseguiti con tenacia e impegno, il 9 giugno 1949 viene pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica del 21 aprile, n. 270, che riconosce la personalità giuridica all'Istituto delle Suore Francescane dell’Immacolata Concezione di Lipari con sede a Roma. Con questo atto l’Istituto può, finalmente, intestarsi il proprio patrimonio come aveva suggerito mons. Angelo Paino circa quarant’anni prima. Un patrimonio che ormai risultava formato da diversi immobili a Roma, Lipari, Canneto di Lipari, Acireale.

5. Tempo di celebrazioni
Raggiunti gli importanti obiettivi che Florenzia si era prefissi – la casa a Roma e il riconoscimento dell’Istituto di diritto pontificio –, ora si può anche festeggiare e l’occasione dei festeggiamenti è data dai suoi cinquant’anni di professione religiosa che Florenzia calcola a partire dai voti emessi ad Allegany. Le celebrazioni saranno nella casa di Roma il 20 giugno 1950 e, il 22 luglio, nella casa madre di Lipari.
Nel 1952 le giunge la notizia della morte della sorella Caterina in seguito ad un delicato intervento chirurgico. La notizia gliela da don Antonino che aveva tenuto, anche su sollecitazione di Florenzia che nella sua vita aveva dovuto combattere con le ostinazioni e i pregiudizi della madre, i contatti con questa sorella da quando mamma Nunziata l’aveva dichiarata morta e quindi esclusa dalle vicende familiari. Ed era sempre don Antonino che la teneva aggiornata sulla vita di Caterina, sulla morte del marito ed il trasferimento nel New Jersey.
Nel settembre del 1953 si deve tenere un nuovo Capitolo generale e viene scelta come sede Acireale che è ancora la casa generalizia. È una scadenza importante perché nella congregazione c’è qualche sommesso dissenso, sul fatto che Florenzia, alla sua età e sofferente nella salute, possa ancora reggere la responsabilità dell’istituto. Infatti, questa volta Florenzia non ottenne l’unanimità come era stata prassi nei capitoli precedenti, le mancarono alcuni voti, ma ottenne la maggioranza assoluta e, quindi, venne proclamata e confermata Superiora generale della congregazione. Un limitato dissenso che la fece soffrire, anche se rimase col volto sereno. Nel 1953, con il permesso della Congregazione dei Religiosi, la casa generalizia fu trasferita a Roma.

Un Capitolo generale nella Casa generalizia di Roma.

Quello del 1953-54 fu un inverno molto freddo: neve, vento, acqua, come da tempo non si ricordava. Florenzia in ottobre si ammala – come diagnostica il medico chiamato al suo capezzale – di broncopolmonite acuta. Furono avvisate telefonicamente la vicaria e la segretaria generale, che erano assenti, e anche tutte le superiori delle varie case, che raggiunsero Roma il più presto possibile. Florenzia si mostrò felice di quest’incontro, ma il suo stato di salute era così grave che non riconosceva le ultime arrivate. Questo creò preoccupazione nella comunità, ma quasi per miracolo la Madre cominciò a poco a poco a migliorare superando la grave malattia.
Rimessasi, con una lucidità sorprendente riprese in mano le redini dell’istituto e, quantunque sofferente e anziana, contava 81 anni, continuò a osservare gli orari della comunità con la massima puntualità. Era la “regola vivente”. Riprende la corrispondenza con le suore e quando, il 21 febbraio, scrive in Brasile, è lei stessa a dare la notizia che si è rimessa in salute. Ogni giorno, terminata la corrispondenza, suonava il campanello, chiamava la suora guardarobiera e, per sollevarla dall’assillo del cucito, le chiedeva la biancheria delle bambine e i vestitini da rattoppare.
Nella tradizionale circolare pasquale che scrive il 13 aprile annuncia che quell’anno gli esercizi spirituali si terranno a Roma nella nuova casa generalizia, e sarà l’occasione per lei di incontrare tutte le sue suore e per loro di visitare Roma, le basiliche, le opere d’arte e, possibilmente, il papa; poi, col parere del Consiglio, fu deciso che, oltre a Roma, tutte a turno andassero a visitare la città di Assisi, la terra di san Francesco. Una notizia inaspettata, che creò gioia ed entusiasmo nella comunità.

6. Nuove case, nuove esperienze
Mentre Florenzia lavorava a perseguire i grandi obiettivi, non trascurava lo sviluppo dell’istituto sul territorio soprattutto in relazione a nuove esperienze. Il 20 luglio 1947 si apre la casa di Canneto di Lipari, che riprende l’esperienza del 1912. Questa volta l’attività ha inizio con l’assistenza a una colonia diurna della Pontificia Assistenza. I bambini erano numerosi, cento per ogni turno, e li assistevano, oltre alle suore, anche le vigilatrici e il chierico don Pino Raffaele, che rappresentò il vero braccio destro dell’operazione. I bambini erano felici anche perché non mancavano le gite, i dolciumi, i rinfreschi, il vitto abbondante e quanto può interessare i piccoli. In ottobre poté avere inizio l’asilo. Molti dei bambini venivano ammessi gratuitamente e pochi pagavano la retta, ma era un’opera umanitaria. Quasi contemporaneamente, richiesta della gente, si aprì una scuola di taglio e cucito. Col tempo fu trovata una casa grande e bella, in posizione centrale, a pochi passi dalla chiesa di San Cristoforo, con l’esposizione di fronte al mare. Le somme per l’acquisto provenivano in parte dai fondi della comunità di Lipari, in parte da una colletta effettuata negli Stati Uniti da don Profilio tra gli abitanti di Canneto lì residenti, e il resto pagati con i ricavi delle colonie di Lipari e Canneto che il vescovo decise di destinare a questo scopo.



La casa di Canneto come si presenta oggi.

A Lipari, nell’ottobre del 1949, si aprì una nuova casa, oltre a quella Madre di via Diana. L’attività delle suore che gestivano l’orfanotrofio e curavano la presenza in ospedale si arricchiva ora di un’altra attività di cura per bambini e anziani e venne chiamata “Casa Charitas”, situata nei locali dell’antico seminario vescovile, che erano rimasti vuoti dopo la partenza delle Suore di Carità. Le suore insegnavano il catechismo e si dedicavano alla formazione religiosa, oltre a gestire la colonia estiva e una scuola di ricamo. Col tempo si organizzò anche un asilo infantile e i bambini che lo frequentavano erano numerosi.
Il 12 dicembre 1950, si apre una casa a Piombino per gestire un grandioso asilo frequentato da quasi 200 bambini, di proprietà della società “Magona d’Italia” e denominato “Roberto Spranger”. L’edificio era grande, bello e arieggiato, circondato da un’ampia pineta, al cui centro vi era una giostra. L’asilo era collocato nel piano rialzato: ingresso, direzione, aule, salone, ampio refettorio… tutto secondo le norme igieniche e le esigenze scolastiche. Il primo piano, invece, era destinato alle suore con la cappellina dove era presente il Santissimo. Con l’asilo venne la collaborazione con la parrocchia per le opere di bene e di apostolato. Durante le vacanze estive, fu affidata alle suore una colonia montana organizzata sempre dalla Magona con la mutua integrativa. Si stabilirono in una villa a Saltino, circa quaranta chilometri da Firenze, sulle montagne di Vallombrosa, a poche centinaia di metri dalla storica abbazia, dove affluirono un numero considerevole di ragazze.
Purtroppo arrivarono anche i tempi magri. Si chiuse lo stabilimento della Magona, gli operai furono licenziati, si postergò l’apertura dell’asilo e lo stesso direttore si dimise. La Magona propose alle suore di continuare l’opera a favore non solo dei figli dei dipendenti, ma di tutti i bimbi di Piombino. La superiora accettò la proposta e si escogitarono tutti i mezzi per promuovere ed effettuare opere di bene e di apostolato. Si aprì l’asilo a tutti i bambini, oltre alla cerchia dei figli dei dipendenti, realizzando il sogno di chi da tempo sperava di mandare i figli in quel luogo bello e salubre; si organizzò una colonia della Pontificia Opera di Assistenza con sessanta ragazze provenienti da Roma, accompagnate da alcune suore francescane di quella comunità e dal parroco della parrocchia Nostra Signora di Guadalupe, quella a cui apparteneva la casa di Roma.
Nel marzo del 1954 le suore accettano di occuparsi dell’assistenza dei ragazzi della Città del Fanciullo in Acireale. Si tratta di un’esperienza che va avanti per nove anni, anche se sempre molto combattuta da chi l’aveva gestita precedentemente in un abbandono totale, con una direzione latitante e con una situazione assicurativa del personale molto incerta e, quindi, in continua tensione con la direzione e, in un primo momento, anche con le suore. Col tempo, però, il personale riuscì ad affiatarsi con le suore e si creò un clima di serenità fattiva.
L’impegno delle suore francescane non mancò di risaltare e, dopo pochi anni di presenza, la Città aveva cambiato volto: tutto arredato e sistemato con il massimo ordine e pulizia, a cominciare dai grandi saloni. Refettori, dormitori, camere dei sacerdoti educatori, tutto con i rispettivi armadi con l’occorrente necessario: biancheria da letto, uniformi dei ragazzi, servizi da tavola, ecc.
Purtroppo, però, la direzione continuava a essere assente e l’economo praticava una politica di lesina, per cui alla fine questa esperienza fu abbandonata.
Sempre del 1954 si ha l’avvio di un’altra importante esperienza di grande rilievo missionario, un mendicicomio a Giarre. La signora Paola, donna di carità della San Vincenzo, nelle varie visite ai poveri ammalati s’imbatté un giorno in una vecchia capanna dove, in un misero giaciglio, un paralitico trascorreva le sue giornate. Qualche passante gli portava un tozzo di pane, ma nessuno si interessava di sollevarlo dalle sue sofferenze giunte al punto che nell’immobilità a cui era sottoposto, oltre alle piaghe, i topi gli avevano rosicchiato le dita dei piedi. A tale vista, commossa, la signora si propose di fare qualsiasi sacrificio pur di venire incontro a questa umanità abbandonata e dolorante. E, con l’aiuto di altri benefattori e il contributo della Regione Siciliana, si pose mano alla realizzazione di una costruzione. Realizzato il pianterreno e parte del primo piano, data l’impellente necessità di ricoverare quattro povere vecchiette sole e abbandonate, si decise di dare inizio all’attività anche senza arredamento. Per quelle poverette, che non avevano niente e vivevano in mezzo a una strada, anche un letto, qualche sedia, un tavolo e poche stoviglie parevano un paradiso.
Ma come assisterle? La signora Paola cercava di aiutarle come poteva, ma non era possibile assumere personale di servizio. Vivevano sole, qualcuna chiedeva l’elemosina ai passanti e cercavano, per quanto potevano, di bastare a se stesse per le faccende domestiche.
Ma era chiaro che le cose non potevano andare avanti così.
Si era nei mesi estivi e venne a villeggiare dalle parti del mendicicomio un commendatore di Catania, benefattore dell’istituto di Florenzia. Questi, incuriosito dal vedere una vecchietta che lì viveva chiedere l’elemosina, volle visitare la struttura. Così conobbe la signora Paola che gli raccontò la vicenda di questa nascente casa di riposo e le difficoltà legate all’assistenza.
– Forse conosco chi può risolvere il vostro problema, la rassicurò il commendatore e lo stesso giorno telefonò a Florenzia.
Era una nuova sfida per la Madre e per la sua vocazione a favore dei poveri. Florenzia non seppe resistere alla richiesta e mandò le suore gratuitamente. Il 5 ottobre si diede così inizio a questa nuova opera di bene.
Grandi furono i disagi del primo anno, giacché nel reparto degli ospiti e delle suore mancava quasi tutto. Ma alla fondazione delle case Florenzia aveva avuto, quasi sempre, compagna la povertà. Alle esigenze si fece fronte con alcune iniziative e col tempo si accolsero anche gli uomini che occuparono il pianterreno, mentre le donne passarono al primo piano.
L’ultima nuova esperienza, nel settembre del 1955, che Florenzia benedice prima della sua partenza terrena è la Casa di Castagnolino di Bentivoglio in provincia di Bologna. Sarà la casa più a nord dell’istituto e, quando arriverà l’inverno, questo provocherà seri problemi per delle suore meridionali che non avevano mai avuto a che fare con temperature così basse.
Oltre che di freddo, le suore soffrivano anche per la mancanza del necessario, a cominciare dal vitto, ma lavoravano con slancio nell’asilo, nel doposcuola, nella scuola di ricamo ed erano l’anima di tutto il movimento parrocchiale: istruzione catechistica, preparazione dei bambini alla prima comunione e alla cresima, direzione della Gioventù Femminile di Azione Cattolica e sezioni minori, preparazione di drammi, dialoghi, bozzetti e quanto altro in occasione di feste. La gente, per riconoscenza, offriva alle suore quello che poteva per il loro mantenimento e le suppellettili strettamente necessarie alla vita di lassù e avevano un’attenzione particolare per loro nelle feste. Il parroco era entusiasta di questo risveglio e anche le suore partecipavano di questo entusiasmo… se non fosse stato per il clima rigido.
Nel primo inverno che passarono lassù, dal 31 gennaio in poi nevicò per otto giorni e otto notti e Castagnolino era sepolto dalla neve. Poca gente usciva di casa, gli spazzaneve cercavano di rendere praticabile la strada principale. Il freddo era intenso e dinanzi a ogni abitazione si vedevano gli uomini spalare la neve. Per fortuna il campanaro si ricordò delle tre povere suore esiliate dalla neve e, munitosi di pala, realizzò un piccolo passaggio per permettere a queste di potere uscire e frequentare l’asilo. Tutte le sere il momento peggiore era quando giungeva l’ora di andare a letto, nelle celle era come stare all’aperto, la temperatura segnava 16-20 gradi sotto zero. Una temperatura per la quale le suore non erano attrezzate. Al freddo, a un certo punto, si aggiunse la mancanza dell’acqua perché questa si era gelata nelle tubature.
Florenzia seguiva con trepidazione e preoccupazione queste vicende, attraverso il telefono, e incoraggiò la superiora a rivolgersi al parroco perché fornisse loro l’indispensabile, almeno per riscaldare i letti, e la consigliò di comprare il vitto necessario senza impressionarsi se il parroco ogni domenica, dopo la messa, leggeva in pubblico l’elenco delle spese che facevano le suore. E così in qualche modo si riuscì ad andare avanti.
Ma non per molto. Malgrado i successi pastorali, le suore dovettero desistere dall’impegno e, ne 1960, abbandonarono Castagnolino.
Negli anni che vanno dal 1948 al 1956, non si pensa solo ad aprire nuove sedi, ma anche a potenziare e rendere più funzionali quelle esistenti. Per finanziare questi lavori spesso si fa ricorso alla pubblica amministrazione, visto che si trattava di edifici dedicati alle scuole o ad attività assistenziali: orfanotrofi e case per anziani soprattutto. Ma ci fu anche il concorso di tutto l’istituto che sempre rispondeva alle sollecitazioni di Florenzia, dando una dimostrazione di solidarietà, di affetto e di attaccamento alla congregazione che rappresentò per Florenzia una grande consolazione. Questa solidarietà si verificò, in particolare, per l’ampliamento della casa di Acireale e della casa madre di Lipari, per la ristrutturazione della casa di Giarratana, per l’acquisto della casa di Catania, di Trapani e di Petralìa Sottana, per la costruzione di quella di Palermo, la ristrutturazione di quella di Roma, ecc. Una solidarietà fra le comunità che continuò anche dopo la scomparsa della fondatrice.

7. Una suora infedele nella vocazione
Nel 1950 viene a conclusione, con la sua dimissione dall’istituto, la vicenda di suor Concettina che, per il suo comportamento, era stata causa di tensioni con le consorelle e di problemi anche per Florenzia. La Madre, infatti, era sempre parsa prestarle fede e non voleva credere alle accuse che le venivano mosse. Spesso anzi la difendeva e riteneva che dietro le contestazioni ci fosse solo della gelosia.
Concettina, infatti, era una donna intraprendente e dotata di una grande capacità di accattivarsi la fiducia e la simpatia dei suoi interlocutori. Oltre che presso Florenzia, era riuscita a trovare ascolto e sostegno nel direttore spirituale delle suore ad Acireale, nel provinciale dei Minori della Sicilia, in un monsignore del Vicariato a Roma, nel canonico direttore delle suore di Lipari, nel sacerdote confessore delle orfanelle sempre della casa di Lipari.
Solo durante il soggiorno romano si accentuano i dubbi in Florenzia che fino a quel momento aveva tutt’al più coltivato qualche perplessità. Anche quando la vicaria, suor Pia, la sollecitava a mandarla via da Roma per fare tornare la concordia nella casa inviandola in quella di Lipari, Florenzia, pur acconsentendo, le fa osservare che al Vicariato hanno parlato bene di lei riconoscendole “ottime doti”. E infine, quando a Lipari la sua malafede e i suoi traffici diventeranno manifesti e con l’assenso del vescovo e della Congregazione dei Religiosi si decide la sua espulsione, Florenzia vuole che la si tratti con umanità e carità e la si congedi dandole cinquantamila lire, la biancheria e il biglietto per il viaggio.
Ma andiamo per ordine. Concettina era stata ammessa alla vestizione nel 1937 non più giovanissima, giacché aveva circa 30 anni, e proveniva da altre esperienze negative presso un paio di istituti. Aveva indubbie doti. Era molto intelligente, dinamica, attiva, ma aveva anche gravi difetti: era senza scrupoli, ambigua, esigente, ambiziosa di comando…
Chi le era stata vicina a lungo e l’aveva conosciuta a fondo, come suor Pia, racconterà che mostrava apparentemente una generosità e uno zelo sorprendente per l’istituto, ma era tutta apparenza. Seguiamo questo racconto di suor Pia che è quasi una requisitoria. La maestra durante il noviziato la credette sincera, virtuosa perché così sapeva camuffarsi e, dopo la professione, la descrisse a Florenzia come una creatura ottima, dinamica, virtuosa, capacissima di coadiuvarla in tutto. Essendo matura di età, la Madre pensò di affidarle le giovani universitarie della casa di Catania. Concettina aveva un’arte tutta speciale per apparire umile, pia, osservante e zelantissima per il bene delle pensionanti e della casa. Florenzia andava spesso a Catania e la suora con la sua loquela ammaliatrice le dava relazione di quello che si svolgeva, prospettando che tutto andava bene e che nel pensionato in quel periodo le universitarie affluivano più numerose. Si mostrava tutto affetto per la Congregazione, osservante della povertà, vigilante perché nulla andasse a male e cercava, a poco a poco, di insinuare nell’animo di Florenzia il sospetto verso le consorelle che, a suo dire, difettavano nell’osservanza della povertà e nell’amore verso le altre suore. Per attirarsi la sua benevolenza con parole accorate e convincenti faceva risaltare che le consorelle non la tolleravano ed erano gelose di lei. È incredibile, impensabile la sua capacità, la sua fine astuzia velata di zelo per l’istituto nel farsi credere una vittima innocente che operava con fine soprannaturale, mentre le altre la giudicavano male. Florenzia, vedendo che nella casa di Catania non c’era più pace, la trasferì ad Acireale. Là giunta, Concettina cominciò subito a irretire il padre direttore dell’istituto. Un frate virtuoso, dotto, pio, zelante. Con la sua intelligenza, la sua loquela, il suo modo di esprimersi convincente e persuasivo, con un’arte tutta atteggiata a umiltà e zelo, fece pensare al padre francescano e al suo coadiutore che poteva essere un soggetto prezioso per la Congregazione. Infatti, il direttore propose a Florenzia di nominare Concettina – che non aveva ancora emesso i voti perpetui – economa e maestra delle postulanti. Questa, felice delle cariche ottenute, si sentì più libera di fare e disporre come credeva. Da quel momento ebbe sempre la smania di essere o economa o superiora, ma Florenzia, quantunque continuasse a stimarla, dopo questa esperienza, mai più la propose per una carica.
Si era in guerra e, quindi, in periodo di penuria con i viveri che difettavano. Le suore, le novizie, le postulanti ricorderanno sempre come furono trattate male da Concettina, durante questa sua esperienza di economa, riguardo al vitto, specie nel periodo in cui Florenzia, per ragione di salute, non essendo in grado di scendere in refettorio, consumava il cibo in camera.
Ma mentre rassicurava la Madre che nulla mancava alle novizie e alle postulanti, Concettina nascondeva quanto avanzava e, tramite un’amica, vicina di casa, faceva scomparire tanto ben di Dio, perfino il pane, per venderlo. Intanto, la guerra infuriava e i bombardamenti atterrivano sempre più la popolazione. Florenzia fu consigliata di sfollare con le suore, novizie e postulanti e andarono a Dagala. Prima di partire, Concettina si presentò con il suo solito falso zelo e arte convincente, preoccupata che una casa abbandonata si sarebbe facilmente prestata ai furti, e si offrì di rimanere in Acireale, pronta ad affrontare qualsiasi pericolo pur di salvaguardare gli interessi dell’istituto. Dato che anche un’altra suora accettava di rimanere con essa e c’era a pianterreno un piccolo magazzino dove rifugiarsi durante i bombardamenti, Florenzia, commossa e sempre più ammirata dallo zelo di questa suora, acconsentì. In quel periodo di libertà agognata, continuò a tenersi in contatto con il direttore e a questi confidava maldicenze sulle suore di Arciplatani, specie sulla superiora che aveva preso come bersaglio. E il direttore tutto credeva in buona fede e si preoccupava di porre rimedio facendo soffrire tante anime innocenti. Questo faceva con il padre francescano e questo continuò a fare con Florenzia mettendo in cattiva luce – con la sua incredibile forza ammaliatrice – tante brave suore. Sosteneva che si sacrificava per l’istituto, mentre seminava ovunque discordie e sotterfugi.
Quando nel maggio del 1945 la Madre decise di andare a Roma, insieme alla vicaria generale condusse con sé anche Concettina, perché questa l’aveva convinta che a Roma conosceva un monsignore che le avrebbe aiutate. Ma erano solo chiacchiere. Aperta la casa, dimorò a Roma circa tre anni. La sua fu una vita di infedeltà e di sotterfugi; faceva regali senza permessi per contrarre delle amicizie. Ma questa volta suor Pia assunse una posizione ferma e la spuntò con Florenzia e così fu effettuato il trasferimento nella casa di Lipari. Concettina non voleva affatto allontanarsi da Roma, si ribellò mostrando un grande risentimento contro le consigliere e, prima di partire, nell’indignazione sfogò la sua collera dicendo che tutto si faceva per la gelosia e l’invidia che si aveva per lei. Ma a questo punto ormai Florenzia doveva aver capito molte cose. Aveva capito che rubava nella casa per mandare quanto poteva al fratello, che le nascondeva le medicine, che si era appropriata di 80 mila lire. Quando scoprì che Florenzia si era convinta a mandarla via da Roma, le si rivoltò contro e, gettando via la maschera, si vantò di aver fatto perdere all’istituto ben diciotto vocazioni.
Giunta a Lipari in questo stato d’animo, non aveva pace e la tolse alla comunità. Cercava di attirarsi la fiducia e la benevolenza della superiora dicendo che poteva aiutarla in tutto anche nell’economato. Ma dato che l’economa era stata già designata dal Consiglio generale, non potendo giungere al suo intento, cercò di avere diversi abboccamenti con il canonico presidente dell’orfanotrofio e cappellano della casa di Lipari, e col confessore delle orfanelle, tutti e due virtuosi, pii e santi sacerdoti.
Li convinse che per invidia era stata ostacolata a lavorare per il bene e lo sviluppo dell’orfanotrofio perché giudicata male in tutto. Essi conoscevano a fondo la superiora della casa e sapevano che non poteva essere capace di quanto veniva accusata e, con tutto ciò, Concettina riuscì a farsi credere innocente, virtuosa, incompresa e, quindi, a strappare la loro attenzione e il loro aiuto. Il prete confessore, don Vincenzino, rimase talmente conquistato dalle espressioni di Concettina che s’immedesimò tanto e giunse a imbucarle le lettere che clandestinamente – contro quanto prevedevano le Costituzioni dell’Istituto – mandava al fratello. E fu proprio una di queste lettere che, ritornando respinta al mittente e finendo nelle mani della superiora, permise di svelare tutto il marchingegno. Bastò questa, presentata alla Congregazione dei Religiosi, per decidere la dispensa dei voti e rimandarla in famiglia.

Questa la ricostruzione dura e senza dubbi che ne fa suor Pia. Eppure la vicenda ha un seguito.
Concettina, dimessa dall’Istituto di Florenzia, fondò una nuova congregazione religiosa – l’Istituto Pia Assistenza “Maria SS. Immacolata” – con l’autorizzazione del vescovo di Trapani. E, nel 1981, prima di morire, scrive sulle virtù di Florenzia. “Amava tutte le suore come se fossero una sola, s’interessava della salute di tutte... Era molto materna e per le novizie era una madre. Io sono convinta che mi voleva un gran bene. La sua carità per le bambine era grande, si preoccupava quando si ammalavano e raccomandava alle suore di essere come mamme… La Madre aveva una grande fede, nelle difficoltà sapeva confidare nel Signore... Tante volte, accusata ingiustamente, non si scusava, ma soffriva e offriva a Dio... Amava e raccomandava a tutte che ci sapessimo guardare dagli uomini e aveva grande cura e rispetto per il proprio corpo e così insegnava a noi”. Non una parola sull’espulsione dall’Istituto, non un rammarico. Concettina si era ravveduta e aveva cambiato profondamente la propria esistenza? Era stato eccessivo il giudizio di suor Pia? E l’atteggiamento di Florenzia a che cosa era dovuto? A prudenza e carità cristiana o ad altri sentimenti? Il direttore spirituale della casa di Acireale ricorda che la madre Profilio era “una donna severa ed austera”e in suor Concettina vedeva solo una persona molto pratica e capace.
Quella di Florenzia è solo prudenza verso un’anima che le appariva segnata da contraddizioni. E quando decide di mandarla via, non lo fa perché aveva recato danno all’istituto, ma perché si era convinta che “non vi era speranza di correzione”. Ed era proprio su una correzione in cui Florenzia, ormai giunta a una maturità spirituale dove più nulla poteva turbarla, aveva sperato. Può essere che, una volta fuori dall’istituto, magari colpita dalla misericordia con cui era stata trattata, questa speranza si sia avverata?

8. La guarigione di suor Pasqualina
Ma se una suora è di scandalo per la sua infedeltà alla vocazione, un’altra è invece di conforto per una guarigione miracolosa preannunciata alla Madre dalla “sua” voce.
Nel 1954, nella casa di Lipari vi era una suora, Pasqualina si chiamava in religione, che improvvisamente comincia ad avvertire terribili mal di testa. Viene visitata da un medico che le diagnostica un tumore al cervello.
– È un caso difficile, quasi disperato. Consiglierei un immediato ricovero all’ospedale di Roma per tentare un intervento molto delicato.
È il responso e la superiora chiama subito Florenzia che, senza frapporre alcun indugio, prenota il ricovero all’ospedale Santo Spirito.
Cinque giorni di osservazione, poi l’operazione che dura sei ore, dalle nove del mattino alle 15, con le suore che l’avevano accompagnata nel corridoio ad aspettare. Quando fu portata fuori dalla sala operatoria, le consorelle si fecero incontro al chirurgo.
– Fatele somministrare l’estrema unzione e vi consiglierei di portarla a casa, perché qui non c’è più niente da fare.
Un giudizio drastico e senza appello. Fu chiamato il prete per l’estrema unzione, ma Pasqualina rimase in ospedale. Le consorelle non volevano arrendersi. Passavano i giorni e la suora non dava segni di vita. I medici facevano i controlli quotidiani e scuotevano la testa. Non reagiva nemmeno alla fiammella dinanzi agli occhi, nemmeno un moto impercettibile. Dopo cinque giorni, le suore si convincono che non c’era più nulla da fare e vanno all’istituto per prendere un abito pulito da fare indossare all’ammalata per il ritorno a casa. All’istituto vanno a riferire a Florenzia.
– Come sta suor Pasqualina?
– Madre, non c’è più niente da fare. Siamo venuti a prendere un suo abito e riportarla qui. È inutile che rimanga in ospedale.
– Pasqualina non muore – replica con decisione Florenzia –. Me lo ha detto la Madonna. Lasciamola ancora in ospedale. Si riprenderà.
Titubanti ma ubbidienti, le suore tornano al Santo Spirito e riprendono la veglia alla consorella. Ancora due giorni e, improvvisamente, una mattina la suora che la vegliava scorge che batte le palpebre. È il primo segno di vita, dopo più di una settimana dall’operazione, e vengono chiamati i medici.
– Presto l’ossigeno e speriamo che si riprenda. Comunque, non facciamoci troppe illusioni. È stata diversi giorni in coma e difficilmente riacquisterà tutte le funzioni. Sicuramente rimarrà cieca.
Eppure di giorno in giorno Pasqualina migliora. Riprende a parlare, riprende a vedere, riprende, passo dopo passo, a camminare. Prima dello scadere di un mese dall’operazione, è perfettamente guarita e può tornare all’istituto.
Sulla porta l’aspettava Florenzia a braccia aperte.
“Suor Pasqualina, ci ha fatto tanto penare, ma io ero certa della sua guarigione – e poi al suo orecchio quasi in un sussurro – me l’aveva assicurato l’Immacolata che ho pregato tanto. Ora lei si riposi. Rimarrà con noi un mese senza fare niente, pensando solo a riacquistare le forze”.
(Ottava Puntata. Continua 8)

Scrivevamo così...oggi...lo scorso anno


 

Buongiorno. Oggi è mercoledì 1° ottobre


 

martedì 30 settembre 2025

Lipari proclamato per domani il lutto cittadino in occasione dei funerali di Cristian Acquaro

 Il sindaco di Lipari, Riccardo Gullo ha proclamato il lutto cittadino per domani,1° ottobre 2025, in concomitanza con la celebrazione delle esequie di Cristian Acquaro, "improvvisamente scomparso, quale segno tangibile di partecipazione dell’Amministrazione Comunale, della comunità liparese ed eoliana tutta al dolore della famiglia".

Accadde oggi...nel 1980


 

Nuova presidente regionale di Italia Nostra. L'augurio di buon lavoro dalla sezione Isole Eolie


Comunicato - Italia Nostra Isole Eolie 

Si è svolta il 28 settembre 2025, presso Palazzo Moncada a Caltanissetta, la riunione del Consiglio Regionale di Italia Nostra Sicilia a cui ha partecipato anche la Sezione Isole Eolie, rappresentata dal socio dott. Alessandro Sardella con delega del Presidente di Sezione Angelo Sidoti. 
Dopo i saluti generali ed il messaggio di benvenuto, il Presidente arch. Leandro Janni, ha presentato l’attività svolta nel corso dei suoi 6 mandati e condiviso con i rappresentanti delle sezioni e i presidi di Italia Nostra Sicilia la storia del suo lungo e appassionante impegno, come socio e come Presidente dentro la Sezione di Caltanissetta e alla guida del Consiglio Regionale (dal 2004 al 2025).

Tutti i partecipanti hanno riconosciuto all’unanimità la competenza del Presidente ringraziandolo per tutto il lavoro svolto con dedizione per più di 20 anni.

Il testimone passa adesso al nuovo Presidente prof. Nella Tranchina, eletta all’unanimità.

La prof. Tranchina ha accolto con entusiasmo la nomina e ha ringraziato per la fiducia, assicurando che con la collaborazione delle sezioni porterà avanti i valori di Italia Nostra finalizzati alla salvaguardia del patrimonio culturale e naturale della nostra Regione. 
 
Alla nuova Presidente ed alla Giunta, di cui fa parte lo stesso arch. Leandro Janni come vicepresidente, la Sezione delle Isole Eolie augura i più sinceri auguri di buon lavoro mettendosi a piena disposizione per portare avanti con successo le prossime attività sul nostro territorio, anche rivedendo il programma stilato in fase di costituzione della sezione e condividendo gli obiettivi con i soci.

Per i nostri lettori. Lo spettacolare tramonto di oggi 30 settembre (Foto: Luciano Vivacqua)


 

Riunione a Palermo sulla continuità territoriale con le isole minori. L'on. Calderone (FI) "Garantiamo il nostro massimo impegno"



 

Collegamenti marittimi "inadeguati". L'articolo del direttore Sarpi sulla Gazzetta del sud del 30 settembre 2025

IT.A.CÀ Festival del Turismo Responsabile arriva a Lipari dall'11 al 12 ottobre


L’11 e 12 ottobre 2025 Lipari diventa palcoscenico di una tappa che unisce memoria, tradizioni e futuro sostenibile. Tra il mare e i paesaggi vulcanici, le Eolie accolgono il primo festival diffuso in Italia dedicato al turismo responsabile, trasformando l’isola in un laboratorio a cielo aperto di cultura e comunità.

Lipari, 11–12 ottobre 2025 - L'arcipelago eoliano si prepara a ospitare IT.A.CÀ - Festival del Turismo Responsabile con una tappa che si terrà l'11 e 12 ottobre a Lipari.

L'evento, curato dal Comune di Lipari, è reso possibile grazie al coinvolgimento di realtà locali, associazioni, operatori turistici e cittadini.

Il festival fa parte del progetto "Excover – Explore and Discover the Aeolian Islands", un'iniziativa volta a valorizzare il sito UNESCO delle Isole Eolie. Questo progetto è finanziato dal Ministero del Turismo e vede il Comune di Lipari come capofila, in collaborazione con i Comuni di Leni, Malfa e Santa Marina Salina.

Il filo conduttore scelto per questa edizione eoliana è “Custodire il futuro nelle proprie mani”: un invito a riflettere sul valore delle mani come simbolo dell’intreccio tra tradizioni, generazioni e innovazione, e sull’importanza di prendersi cura dell’ambiente, del cibo, degli oggetti e delle comunità.

Un programma che intreccia memoria, tradizioni e futuro

Durante le due giornate si alterneranno laboratori, visite guidate, incontri e spettacoli, tutti ispirati all’identità e alla storia del territorio eoliano.

Il programma prevede:

      una visita guidata alla Rocca di Lipari per riscoprire le stratificazioni storiche e culturali dell’isola;
un incontro dedicato alla dieta mediterranea e alle produzioni locali, tra saperi antichi e nuove prospettive di sostenibilità;

      La presentazione del libro Donne di mare dell’antropologa Macrina Marilena Maffei ci guiderà in una riflessione sulla figura delle pescatrici delle isole Eolie, partendo dalle sue ricerche etnografiche. L'autrice esplora le ragioni di quel paradossale oblio, raccontando la vita e il lavoro quotidiano di queste donne, spesso dimenticate, ma fondamentali per la tradizione e l'economia di queste isole.

      un laboratorio pratico dal grano alla pasta, con pranzo conviviale a base di piatti della tradizione eoliana;

      la visita Percorsi del Confino, un itinerario nei luoghi simbolo della memoria politica del Novecento guidato dal Centro Studi Eoliani;

      la presentazione del progetto di valorizzazione del Museo Diocesano di Lipari, a cui seguirà un rinfresco conclusivo.

Una comunità protagonista

Questa tappa non è solo un’occasione per scoprire le bellezze naturali e culturali di Lipari, ma soprattutto un momento di partecipazione collettiva: diverse realtà locali – produttori, associazioni, studiosi, guide ed esperti – sono state coinvolte attivamente nella costruzione del programma, a dimostrazione di come il turismo responsabile nasca dal basso, dall’ascolto e dalla valorizzazione della comunità ospitante.

IT.A.CÀ: un festival che cambia il modo di viaggiare

IT.A.CÀ – Migranti e Viaggiatori è il primo e unico festival in Italia dedicato al turismo responsabile. Presente in numerose regioni italiane, propone ogni anno un ricco cartellone di eventi, promuovendo un’idea di viaggio capace di coniugare sostenibilità, inclusione e valorizzazione dei territori.
Il tema dell’edizione 2025 è “Custodire il futuro – Dalle scelte di oggi, il volto del domani”, un invito a immaginare nuovi orizzonti partendo dalle responsabilità del presente.

Tutti gli eventi della tappa di Lipari sono gratuiti e a numero chiuso. È necessaria la prenotazione tramite form online: Modulo di iscrizione


Presentati oggi a Roma gli "Stati generali delle isole minori” in programma a Lipari dal 10 al 12 ottobre

Il Ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, Nello Musumeci, ha aperto, di fatto oggi, con la presentazione ufficiale, tenutasi a Palazzo Chigi gli “Stati generali delle isole minori” che si terranno a Lipari dal 10 al 12 ottobre: un appuntamento che mette al centro le sfide di mobilità, infrastrutture e sostenibilità dei territori insulari. 

La kermesse, organizzata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal ministro della Protezione Civile e le Politiche del Mare, in collaborazione con i Dipartimenti Politiche del mare, Protezione Civile, Casa Italia e con Anci e Ancim, vedrà la partecipazione di nove ministri, viceministri, sottosegretari, esponenti delle Regioni, delle amministrazioni locali e delle Capitanerie di porto. Sarà presente anche il vicepresidente della Commissione europea, Raffaele Fitto, mentre la premier Giorgia Meloni interverrà con un videomessaggio: una ottantina saranno, complessivamente, i relatori. 

Gli “Stati generali” rappresentano un’occasione di ascolto e confronto, con l’obiettivo di trasformare le proposte in azioni concrete e avviare un percorso di sviluppo duraturo per le comunità insulari e che riguardano la governance delle emergenze, la tutela sanitaria, i collegamenti, la giustizia, la valorizzazione culturale e la gestione delle fragilità ambientali. 

Il Ministro, durante la presentazione, ha sottolineato come questi territori non devono essere considerati marginali, ma parte integrante della fascia costiera italiana e patrimonio da preservare “Delle isole minori ci occupiamo d’estate e le consideriamo luoghi turistici per eccellenza, invece si tratta di realtà complesse, belle ma fragili, alle quali non sempre è stata dedicata la giusta attenzione. 

“Il Governo Meloni – ha affermato il ministro Musumeci – ha deciso di accendere i riflettori su queste realtà, ma anche su Sicilia e Sardegna. Buona parte delle isole minori registrano da tempo una emorragia demografica che, senza provvedimenti adeguati, rischia di diventare inarrestabile. Le loro potenzialità sono legate al fascino e alla poesia che riescono ad esprimere, ma sono territori fragili che devono fare i conti con il cambiamento climatico che impone di metterle in sicurezza. Inoltre, non tutti gli abitanti possono godere degli stessi diritti di quelli della terra ferma, penso ad esempio alla mobilità dove per settimane non sono garantiti i collegamenti. C’è poi la sanità che non ha un servizio adeguato per carenza di strutture e medici. Il legislatore deve ascoltare e tirare fuori i provvedimenti più immediati che possono dare le prime risposte, ecco perché abbiamo pensato agli Stati Generali delle Isole minori marine. Un appuntamento – ha concluso - di grande spessore culturale dove cercheremo di esaminare tutti gli aspetti legati alla complessità di questa realtà”

IL PROGRAMMA: (Le locandine diventano leggibili cliccandoci sopra)






Come eravamo, luoghi, cose e personaggi delle Eolie di un tempo (13° puntata) 22.09.13: Torna dopo 34 anni la Processione dell'Addolorata a Canneto



Tanti auguri di...

Buon compleanno a Miriam Saltalamacchia, Rosaria Cincotta, Salvatore Naso, Elvira Signore Fichera, Leonardo Greco, Domenico Villani, Rosa Guarino 





All'ospedale di Lipari è continua emergenza . Onorevole Calderone denuncia gravi carenze



 

Ginostra: Frana dal costone sopra il Pertuso, a rischio unica via d'accesso e di fuga

Mattinata di apprensione per gli abitanti e i turisti a Ginostra, la minuscola frazione dell'isola di Stromboli. Una frana di grosse dimensioni si è staccata dal costone, in prossimità dello scalo Pertuso, nella zona portuale del borgo.

Fortunatamente il materiale non è precipitato direttamente sull'area di transito, rimanendo sospeso e in bilico grazie alla rete di contenimento che, tuttavia, è arrugginita e lacerata in più punti e, quindi, potrebbe cedere da un momento all’altro.

Gli abitanti di Ginostra lanciano un appello urgente alle autorità competenti affinchè si intervenga.: sotto il costone interessato dalla frana, infatti, passa l’unica strada che conduce al porto del villaggio. Questa strada non è solo l'unica via d'accesso e uscita per residenti e mezzi, ma rappresenta anche l'unica via di fuga in caso di emergenza (come un'eruzione o un maremoto), rendendo la messa in sicurezza dell'area una priorità assoluta e indifferibile per la sicurezza pubblica.

C.S. Lipari, una storia a tinte rosso-blu: Federico Gallo


 

La "Pagina culturale": QUELLA DI FLORENZIA, UNA STORIA DA RACCONTARE di Michele Giacomantonio (Puntata 6 di 10)

Sesta puntata
FUORI DAL TUNNEL: I PREGIUDIZI DI MONS. BALLO

1) La vicenda di suor Francesca


Un primo piano di Mons. Paino  

Gli anni più difficili per Florenzia sono quelli che vanno dal 1919 al giugno del 1924. L’istituto, che è ormai costituito da quattordici anni e ha avuto uno sviluppo modesto, ora non solo si blocca completamente senza vestizioni e professioni religiose, ma vi sono diversi abbandoni. Anzi il bilancio fra arrivi di nuove aspiranti e defezioni per malattie, demoralizzazioni, ripensamenti fu decisamente negativo. Una delle spiegazioni di queste accresciute difficoltà sta nel rapporto difficile che si instaura fra Florenzia e mons. Salvatore Ballo Guercio, che sostituirà a Lipari mons. Paino. Mons. Ballo sarà nominato amministratore apostolico il 10 gennaio 1921 e lo rimarrà fino al 17 aprile 1928.
Abbiamo già detto della freddezza che era calata fra mons. Paino e la superiora francescana negli ultimi tempi a causa del comportamento del fratello Antonino, che era partito per gli Stati Uniti con l’impegno di tornare dopo tre mesi. Invece gli anni passavano e lui trovava sempre nuovi espedienti per rimanere a New York.
– È un abile giocatore d’astuzia –. Era il giudizio che aveva dato di lui il vescovo.
Comunque, il raffreddarsi dei rapporti fra il vescovo e la suora non arrivarono a coinvolgere l’istituto. Quando i genitori e i parenti delle aspiranti e delle novizie gli si rivolgevano per informarsi sulla congregazione, lui li rassicurava.
– State tranquilli – ripeteva a tutti –, l’istituto è stabile e non c’è pericolo che le vostre figlie rimangano in mezzo a una strada
Poi, proprio negli ultimi mesi in cui mons. Paino aveva la responsabilità episcopale di Lipari, accadde un fatto che fece molto scandalo e gettò una luce negativa sulle Suore Francescane. Lo scandalo ha un nome: suor Francesca Pino, che aveva emesso i voti triennali nell’ottobre del 1913. Francesca era rimasta orfana nel terremoto del 1908 ed era stata ricoverata in un istituto di Messina. Qui la conobbe Florenzia e la ragazza ne rimase tanto conquistata che chiese di seguirla a Lipari perché voleva farsi suora.
Alla casa di Lipari fu ammessa come aspirante, perché non aveva l’età necessaria. Frequentò l’istituto tecnico con profitto e incominciò, da aspirante, a studiare musica sotto la guida di quel bravissimo musicista che era il maestro Concetto Abate. Sia per la bravura del professore, sia per la spiccata tendenza per la musica che la ragazza dimostrava, sia per la perseveranza in questi studi, ai quali si applicò per più di dieci anni, Francesca raccolse subito riconoscimenti e apprezzamenti e, a partire dal 1918, insegnò musica nell’istituto delle suore con soddisfazione dei genitori e degli alunni. Grazie a lei la casa di Lipari, alla scuola elementare, all’asilo, al laboratorio di taglio, cucito e ricamo poteva aggiungere anche la scuola di musica. Florenzia le era molto affezionata, ma questo sentimento non le offuscava il giudizio. C’era qualcosa in quella giovane che non la persuadeva e per questo, scaduto il tempo della professione triennale, non aveva voluto darle il benestare per la professione perpetua.
– È bene che tu rifletta ancora un po’, suor Francesca – le aveva consigliato –, la professione perpetua è un passo decisivo perché deve essere per tutta la vita.
E, proprio verso lo scadere di un nuovo triennio, le sensazioni della superiora cominciarono a prendere corpo. Fino allora Francesca era sempre stata molto precisa ed esemplare nel rispettare la regola e nel partecipare alle funzioni religiose e ai momenti spirituali, ora invece appariva sempre più come svogliata e distratta. Aveva la testa altrove e anche il suo insegnamento alla scuola di musica aveva preso a soffrirne e, per la prima volta, allievi e genitori cominciarono a lamentarsene.
Florenzia voleva vederci chiaro e cominciò a discuterne con le suore più anziane, suor Margherita, suor Veronica e suor Teresa, di cui si fidava ciecamente. E così, confidenza dietro confidenza, venne fuori che fra suor Francesca e Assunta, una ragazza di Lipari che frequentava il laboratorio di ricamo, si era sviluppata un’amicizia particolare. La rivelazione colpì profondamente Florenzia che considerava Francesca come una figlia.
– Le parlo io – disse alle tre suore –, voi non ditele niente.
Ma quando la superiora incontrò Francesca, si trovò di fronte a una reazione che non aveva previsto. Rivelando una rabbia profonda, a voce sempre più sostenuta questa cominciò a dire che lei veniva discriminata perché era troppo brava e nell’istituto, invece, facevano strada le incapaci e le ignoranti che non potevano fare ombra alla superiora. Per questo non le era stato permesso di fare la professione perpetua. Ma lei non intendeva più far finta di niente come era avvenuto finora. Quello che accadeva in quell’istituto l’avrebbe detto a tutti. E, gesticolando, pose fine al colloquio volgendo le spalle e andandosene via.
Da allora cominciò a creare situazioni incresciose, cercando di attizzare scontri e polemiche. Ora faceva apposta rumore durante i momenti di preghiera, sapendo quanto Florenzia ci tenesse al silenzio; ora protestava per la qualità del cibo; ora trascurava i suoi impegni, dicendo che non stava bene e lamentando forti mal di testa e così via. Poi una sera – proprio quando Florenzia, sempre più provata e prostrata dal dolore, si chiedeva come risolvere la situazione – alla fine di un’ennesima sfuriata, prendendo lo spunto da un’osservazione della superiora che l’aveva mandata a chiamare perché era ora di cena e lei si attardava a chiacchierare con Assunta sulla porta dell’istituto, Francesca, quasi gridando, dichiarò che quella era la goccia che faceva traboccare il vaso. Platealmente si tolse l’abito e il velo, corse nella camerata a cambiarsi e a raccogliere le sue cose, annunciò alla superiora e alle suore esterrefatte e sgomente che se ne andava via per sempre e raggiunse l’amica che l’aspettava al portone,
Qualche giorno dopo, avveniva l’insediamento a Lipari di mons. Ballo e Francesca chiese subito di essere ricevuta. Per scusare la propria condotta che ormai era di dominio pubblico, la giovane, si presentò a mons. Ballo e rovesciò dinanzi al presule una grande quantità di calunnie nei confronti di

Florenzia e dell’istituto, parlando di comportamenti stravaganti, di strani sistemi formativi, di metodi punitivi che facevano rabbrividire. Purtroppo non si trattava di accuse isolate. Da qualche tempo, circolava a Lipari un giudizio diffuso, sia negli ambienti ecclesiastici sia nel popolo, che la mancanza di vocazioni e gli abbandoni fossero dovuti al carattere troppo ostinato e rigido della superiora. La gente, infatti, spesso parla senza conoscere i fatti e sembra prendere gusto a denigrare le figure di spicco che vengono proposte come esempio e modello. E questi giudizi amplificati e confezionati ad arte, passando da ambiente ad ambiente, non avevano trascurato le Suore di Carità che continuavano a vivere l’iniziativa dell’istituto francescano come un pericolo per la loro attività. E le Suore di Carità non avevano trascurato di riferire le voci all’amministratore apostolico a sostegno delle loro lamentale, anche queste amplificate e confezionate.
Mons. Ballo, senza alcuna esperienza del posto e non solo per la fresca nomina, ma anche perché risiedeva a Pace del Mela e veniva a Lipari saltuariamente e sempre di fretta, aveva per di più un carattere propenso a emettere giudizi sbrigativi senza verificarli e, quindi, a giudicare le persone dalla prima impressione esteriore. Sommò così uno più uno e sposò, nei confronti di Florenzia e del suo istituto, la posizione più estrema. Si convinse che, essendo quella suora un’illusa, una donna senza cultura, impari al compito che si era preposto, la migliore soluzione sarebbe stata quella di chiudere l’opera e ritenne di poterlo fare, visto che l’istituto era di diritto diocesano. Per intanto applicò la linea della sospensione delle vestizioni e delle professioni.

2. La malattia di Florenzia
Anni difficili, anzi terribili per Florenzia, abbiamo detto. Malgrado la sua forte fede, la suora dovette in qualche momento temere per il futuro del suo istituto fra la freddezza del vescovo, la diffidenza dell’ambiente, le difficoltà economiche prodotte dalla guerra, i problemi interni alla Casa cui abbiamo fatto cenno, la solitudine e i problemi della famiglia lontana. Il pericolo più grave e imminente era che mons. Ballo desse seguito alla minaccia di chiudere l’istituto. Poteva veramente farlo e come si poteva impedirlo? A chi rivolgersi e chiedere consiglio? Naturalmente al fratello, sebbene fosse a New York. Lui aveva studiato e avrebbe saputo come consigliarla. E, infatti, don Antonino scrive al suo professore di morale, don Lavitrano, che abbiamo già conosciuto perché aveva difeso mons. Raiti nel conflitto con le Suore di Carità.
E la risposta non si fa attendere e dissipò le preoccupazioni di Florenzia almeno su questo punto. Dal 1917 – scriveva il docente – era in vigore il canone 413 del Codice di diritto canonico che stabiliva che una congregazione, sia pure di diritto diocesano, anche se con una sola casa, poteva essere soppressa solo dalla Santa Sede e sulla base di una rigorosa documentazione. Quindi don Antonino poteva scrivere alla sorella di stare tranquilla. “Lasci che il Vescovo faccia i suoi passi, che la vicenda poi sarebbe stata opportunamente seguita da Roma”.
Se finalmente giungeva una buona notizia, la tensione patita era stata, però, troppo forte. Essa esplose con particolare violenza minando il fisico della suora. Ne risentirono i nervi e fu sopraffatta da una debolezza che non riusciva a superare in alcun modo. Così, su consiglio del medico, dovette ritirarsi a Pirrera nella casa paterna e prendersi un periodo di riposo assoluto, lontana dall’istituto. Un periodo lungo di sei mesi che le temprò lo spirito, ma le lasciò tracce nel fisico – come una continua tensione nervosa – che l’accompagnarono fino alla morte.
Il panorama da Pirrera

Lunghe giornate trascorse nella quiete di Pirrera in solitudine. A giorni alterni l’andava a trovare suor Margherita che l’aggiornava sui problemi e ogni tanto, quasi tutte le settimane, venivano su le altre suore a farle un po’ di compagnia. Soprattutto nel pomeriggio, verso sera, faceva una passeggiata per le campagne e arrivava fino a Forgia Vecchia o verso Culìa, o visitava le amiche di un tempo e i parenti chiacchierando del più e del meno. Ma la maggior parte del tempo lo passava a meditare e a pregare. Meditava e pregava nella sua casa, nella chiesa, camminando per le stradelle. In cima ai suoi pensieri c’era la sorte dell’istituto. Che cosa era più opportuno fare? Florenzia sapeva che ancora una volta tutto dipendeva da lei, dal coraggio e dalla forza con cui sarebbe riuscita ad affrontare la situazione, a tranquillizzare le sue consorelle e, soprattutto, a convincere il vescovo. Si era persuasa ormai che, se l’istituto rimaneva chiuso nei confini di Lipari, sarebbe deperito sempre più. Lei non voleva abbandonare Lipari, qui era nato l’istituto e qui doveva continuare a vivere la sua casa madre. Ma, se voleva che l’istituto si sviluppasse, una testa di ponte forte doveva essere aperta in Sicilia, e possibilmente ad Acireale, dove aveva già messo un avamposto. E riflettendo, quasi impercettibilmente, il ragionamento diventava preghiera. Pregava e pregava l’Immacolata sotto la cui protezione aveva posto la congregazione. E alla Madonna, nella sua riflessione orante, Florenzia ripeteva: “La mia non è una fuga dalle difficoltà, vuole essere un passo avanti per superare le difficoltà” E mentre ripeteva queste parole, se era in chiesa, volgeva lo sguardo verso quella statua che tanto aveva contemplato da bambina e da ragazza. E fuori dalla chiesa – come faceva da giovinetta quando, al mattino presto, all’aurora, andava ad ascoltare la messa – gettava lo sguardo oltre Monte Rosa, là dove il cielo toccava il mare e si colorava di rosso fuoco.
E finalmente, una mattina di novembre, sentì che nel suo animo non c’era più apprensione e preoccupazione, ma una grande serenità. Finita la messa, uscendo sul sagrato della chiesa nuova, vide che era venuta a incontrarla suor Margherita.

“Ha scritto padre Luciano Geraci, l’arciprete di Petralìa Sottana. Vuole due suore per lavorare nella parrocchia”. “Ci andrete voi, suor Margherita, che conoscete ormai la zona – le rispose sorridendo Florenzia e subito aggiunse –: la quarantena è finita e si torna a battagliare nel nome del Signore. Oggi stesso tornerò alla Casa. Voi, che ormai siete la nostra punta di diamante, fatevi accompagnare da vostra nipote e andate a vedere com’è la situazione. Padre Geraci è una gran brava persona”.
Così Florenzia rientrò a Lipari, in via Diana, accolta dalle suore e da quanti frequentavano la casa festanti, felici di rivederla ristabilita, ma soprattutto determinata e risoluta. Alle suore comunicò subito che nel giro di qualche giorno sarebbe andata a trovare il vescovo e gli avrebbe chiesto di convocare il primo Capitolo generale della Congregazione per eleggere la superiora e le consigliere secondo quanto stabilito dallo Statuto.
Florenzia non è la sola che si è preparata a questo incontro e l’attende con ansia. Anche mons. Ballo vi si era preparato o aveva creduto di prepararsi. Oltre a Francesca, aveva raccolto la confidenza di alcune altre suore. Quante? Tutte, almeno così confida in una lettera al vescovo di Acireale, e tutte gli avrebbero manifestato il malcontento dell’intera comunità. Troppo aspra e nervosa, questa superiora, senza le doti necessarie per poterne tenere la direzione. Per questo l’istituto non si è sviluppato… Per amore dell’abito che le suore indossano – aggiungeva il prelato – e per non vederle trasferire ora in una, ora in un’altra casa, sarebbe prudente consigliarle di fondersi con qualche congregazione di Suore Francescane oggi fiorentissime. Comunque, visto come la pensavano tutte le suore, il prossimo capitolo avrebbe posto fine alla vicenda.
Con questi propositi maturati è ben contento mons. Ballo di acconsentire, quando Florenzia ne fa richiesta, affinché si svolga il primo capitolo.

2. Il primo Capitolo
Il giorno 23 marzo 1922 ha inizio questo evento con la celebrazione della messa allo Spirito Santo, presieduta dallo stesso mons. Ballo. Poi, fatta colazione, si passa nell’aula capitolare. Il vescovo è solo con le suore. Si fa consegnare le chiavi dell’istituto, la Regola e le Costituzioni e quindi prende la parola.
“Questa di oggi, dice fra l’altro, non è una semplice formalità, ma un atto di grande rilevanza che obbliga ognuno di voi a compiere la scelta a cui è chiamata in piena coscienza e libertà. Le sorti della Congregazione sono nelle vostre mani”.
Nelle votazioni per la superiora, Florenzia ebbe subito la maggioranza al primo scrutinio e fu, quindi, canonicamente eletta e proclamata Superiora generale della congregazione da parte dello stesso vescovo. A questo punto mons. Ballo ordina di andare in chiesa per la recita del Te Deum e consegna all’eletta le chiavi dell’Istituto, la Regola e le Costituzioni.
Ritornate in aula, si proseguì alle elezioni delle consigliere e della maestra delle novizie. Consigliere vennero elette Veronica La Greca, Teresa La Spina e Margherita Restuccia. Suor Veronica fu eletta anche vicaria e suor Margherita maestra delle novizie. Finite le votazioni, mons. Ballo – facendo buon viso a un risultato che non riusciva a spiegarsi, salutando le suore col volto serio – tornò in episcopio.
Un volto serio che diceva più di molte parole come ebbe a constatare Florenzia quando, un paio di mesi dopo, andò in episcopio a illustrare il suo progetto di trasferire il noviziato ad Acireale, pur lasciando a Lipari la casa generalizia.
Riguardo al pensiero del vescovo, la superiora non si faceva illusioni, ma era determinata e forte dei suoi diritti. Quando fu fatta entrare nello studio al cospetto del prelato, con calma e umiltà ribadì le sue ragioni.
Mons. Ballo capisce che questo è il momento di mettere sul tavolo i suoi convincimenti, rispetto ai quali, malgrado i risultati del capitolo, non era arretrato di un sol passo. Così smise di giocare di fioretto e sfoderò armi più pesanti.
“Cara Madre, l’Istituto non si è sviluppato non per le ragioni che lei dice, ma perché lei è inadeguata a fare la superiora. Io speravo che fossero le stesse suore a sciogliere questo nodo, ma così non è stato. Ora mi sembra che ci siano solo due strade di fronte a voi: o fondersi in un istituto fiorente di suore francescane ed io stesso posso darle una mano se accetta questa prospettiva, oppure lei mi costringe a chiudere l’istituto che è di diritto diocesano e, quindi, dipende da me”.
“Eccellenza, con tutto il rispetto, Lei non può chiudere l’istituto”, ribatté Florenzia e ricordò al vescovo il canone 413 del diritto canonico in vigore dal 1917, di cui aveva parlato al fratello il professore don Lavitrano.
Il vescovo non si aspettava questa reazione e, soprattutto, questa citazione così precisa. Scatta in piedi e, rosso in volto, comincia a raccogliere le carte che ha sul tavolo come per darsi un contegno.
Ma le parole gli si strozzano in gola e non riesce che a dire, farfugliando un po’: “Vada fuori” e, puntando il dito verso la porta, fece capire che il colloquio era finito.
Che cosa significava quel “Vada fuori”? Il consenso ad andare ad Acireale come volle interpretarlo Florenzia e come riferì alle consorelle tornando in istituto? Oppure, più semplicemente, un brusco congedo per troncare quella riunione?
Probabilmente entrambe le cose, giacché mons. Ballo nel suo giudizio negativo non accusò mai la suora di disubbidienza e, inoltre, sarebbe stato ben felice se l’apertura di una casa ad Acireale avesse significato il togliersi l’Istituto dalla sua responsabilità.
Cosa, però, che non avvenne, anche se il 5 giugno la suora scrive al vescovo di Acireale per chiedere l’autorizzazione di aprire nella sua diocesi una casa religiosa. In quel momento la diocesi di Acireale è vacante. Mons. Bella era morto il 9 marzo e passeranno mesi prima che il nuovo ordinario, che sarà mons. Fernando Cento, ne prenda possesso.
Ed è praticamente ormai la fine del 1922, quando il nuovo vescovo ha la possibilità di occuparsi della richiesta di Florenzia. Ha sul tavolo le referenze positive del parroco di Petralìa Sottana e del delegato dell’Amministratore apostolico di Cefalù, ma conosce anche le critiche di mons. Ballo di cui, almeno in partenza, sembra condividere il giudizio su Florenzia – nulla da eccepire dal punto di vista religioso e morale, ma riserve sulla cultura, sul temperamento e sulle capacità quindi di essere superiora – e sull’istituto, e cioè il consiglio che queste suore si aggreghino a una congregazione già fiorente.
Questo scrive mons. Cento a Roma alla Congregazione dei Religiosi delegando ad essa ogni decisione. Se Roma riterrà di mantenere in vita questa struttura, comunque soggetta al vescovo di Lipari, egli ne avrebbe seguito con benevolenza il noviziato e avrebbe incaricato le Suore Francescane nella cura delle parrocchie rurali dove avrebbero potuto fare gran bene.
Ma è proprio sul problema di quale dovesse essere la diocesi responsabile – Lipari o Acireale – che si sviluppa un lungo contenzioso per corrispondenza fra mons. Cento e mons. Ballo, chiamando in causa la stessa Congregazione romana. Un contenzioso che si trascinerà per anni bloccando professioni religiose e vestizioni.

4. Un clima più sereno
Intanto Florenzia e le sue suore hanno un problema immediato. Una casa del noviziato doveva avere una sede adeguata e non poteva restringersi in poche stanze. E quindi ci si mise alla ricerca per tutta la cittadina e, alla fine, fu trovata in un antico e grande palazzo che le stesse suore – con sacrifici enormi, ma anche con serafica letizia – si misero a ripulire e ammobiliare. Nei primi giorni mancava di tutto: sedie, letti, tavoli. Ma Florenzia, come al solito, nonostante le sofferenze nel fisico che da qualche tempo non l’abbandonavano mai – alla debolezza dei nervi si erano aggiunti il mal di fegato e i reumatismi –, si coricava per terra assieme alle suore con tanta serenità da destare ammirazione.
Mons. Cento aveva raccomandato che nell’allestimento della nuova casa si prestasse soprattutto attenzione alla cappella. E Florenzia dedicò alla cappella la stanza più bella della nuova struttura e, per arredarla e addobbarla, chiese aiuto anche alle suore che si trovavano a Petralìa Sottana.
Ritrovare vecchie amiche come suor Margherita, suor Giacinta e suor Immacolata fu una grande festa. Improvvisamente i malanni e i dolori sembrarono svanire e la Madre fece da guida alle consorelle nel visitare la casa.
– È un bell’appartamento di otto stanze – commentò suor Margherita –, ma richiede tanto lavoro.
– E noi siamo qui per questo, aggiunsero suor Giacinta e suor Immacolata.
– Prima però – le interruppe Florenzia – raccontatemi di Petralìa.
– Le cose non potrebbero andare meglio – la rassicurò Margherita –; due giovani verranno ad Acireale per partecipare al noviziato e diverse altre ragazze hanno manifestato vocazione. E siccome devono trovare una casa accogliente, mettiamoci subito al lavoro.
– Gli operai hanno praticamente già completato i lavori – le informò la Madre –, quindi non rimane che fare le pulizie generali e arredare la cappella.
– Ci vorrebbe una bella statua, suggerisce Margherita.
– Una statua del Sacro Cuore, suggerisce Florenzia.
E poi – aggiungono le altre – un calice, la pisside, i candelieri, i portafiori, il leggìo, le pianete, e tela di lino per le tovaglie e i camici, la stoffa per le pianete, ecc. ecc…
– Un sacco di soldi.
– Occorrerebbe un’anima generosa che ci finanziasse.
– Don Antonino, mio fratello – confida Florenzia – mi ha promesso un aiuto, ma chissà quando arriverà.

 La casa di Acireale , oggi.

- Non un solo finanziatore, ma tanti finanziatori – interviene convinta suor Margherita –. Se c’è una suora che viene con me, mi incarico io di fare una colletta a Catania che è una città grande, dove ci sono tante famiglie benestanti. Vedrete che in una o due settimane raccogliamo quanto è necessario per la statua e tutto il resto.
E così fu. E mentre alcune suore giravano per Catania bussando alle porte delle case e degli uffici, altre pulivano, lavavano, lucidavano le stanze della nuova sede e altre ancora ricamavano pianete, corporali, purificatoi, tovaglie. Due mesi di lavoro notte e giorno, ma tutto fu pronto per l’inaugurazione che avvenne il 27 agosto 1923.
La serena letizia. che aveva caratterizzato questi due mesi di lavori straordinari, non era un’eccezione, ma la norma del piccolo istituto. Malgrado le preoccupazioni, Florenzia era il punto di riferimento e il motore di tutto: modello alle sue figlie di pietà soda e sincera, di spirito di sacrificio, di osservanza delle regole, di ogni virtù. Governava, dirigeva, formava le aspiranti con mano sapiente, avendo assunto per sé anche il compito di maestra delle novizie coadiuvata dalla vicaria, suor Veronica, quando doveva assentarsi. Insegnava a pregare, a salmodiare, a lavorare. Disponeva le sacre funzioni, dirigeva il coro, imponendo che fosse condotto con dignità, devozione e grazia.
Fedele a san Francesco, la Madre coltivava la perfetta letizia e comprimeva nel profondo dell’anima l’ansia e l’angoscia. Infatti, passavano i mesi e gli anni e non sapeva che cosa rispondere alle giovani che le chiedevano quando avrebbero preso i voti e fatta la vestizione. Eppure chi le era vicino la vedeva semplice e forte, premurosa e caritatevole. Ascoltava le suore animandole all’osservanza, all’umiltà, base e fondamento di ogni virtù, all’accettazione delle correzioni con umiltà e ripeteva loro spesso il motto di un filosofo che aveva appreso seguendo una lezione al corso delle novizie: “Se non hai un amico che ti corregga, paga un nemico che ti renda questo servizio”.
Nessuna insofferenza, nessuna recriminazione nei confronti di mons. Ballo, ma la convinzione ferma che tutto avveniva per volontà di Dio e che fosse Dio a metterla alla prova. Quante volte dovette meditare su quella frase del libro di Giobbe dove il giusto sofferente osserva: “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?”(2,10). “Uniformarci, soleva dire, alla volontà del Signore, il quale, certamente, avrà avuto i suoi fini particolari anche nel fare ritardare le vestizioni e sa risolvere sempre per il nostro bene”.
Certo, tanta serenità, umiltà e remissività non erano senza sforzo, ma il risultato di una pressione forte e continua sul suo temperamento impulsivo e passionale, per cui la tensione che portava dentro finiva con lo scaricarsi sul suo corpo già provato e ne minava la salute.
La fiducia di Florenzia nella Provvidenza traspariva soprattutto nella gestione dell’istituto che, malgrado le nubi e i temporali che stazionavano su di esso, continuava ad andare avanti nella propria vita e nel proprio impegno.
Ora l’istituto contava sedici professe, parecchie postulanti e tre case: Lipari, Petralìa Sottana e Acireale. La casa di Lipari si occupava di scuola, catechismo e di lavoro, ricamo, taglio e cucito; aveva anche un pensionato e, inoltre, contava due congregazioni di Immacolatine e Pagetti del SS.mo Sacramento, aventi ognuna di esse il rispettivo direttore. Quella di Petralìa Sottana si occupava di pensionato, scuole di lavoro e catechismo in parrocchia. La nuova casa di Acireale, oltre alla formazione delle novizie, stava organizzando un orfanotrofio e scuole professionali.
Non si può dire che ogni nube minacciosa sulla congregazione si fosse dissolta. Comunque, sembrava che con l’apertura della nuova casa di Acireale tutta l’opera riprendesse respiro: tornarono ad affluire le vocazioni e l’iniziativa di apostolato prese a svilupparsi, anche se di voti perpetui ancora non si parlava. In particolare, l’istituto si faceva conoscere e si diffondeva nella nuova diocesi. E come al solito Florenzia incessantemente si muoveva da Petralìa, a Lipari, ad Acireale. Non erano viaggi facili e scevri di pericoli, come l’episodio che le capitò alla stazione di Castelbuono, un’ottantina di chilometri prima di Palermo, proprio viaggiando da Petralìa a Milazzo per prendere il vaporetto per Lipari. Persa la coincidenza, in una stazione completamente deserta chiese al guardiano, che era l’unica persona nei paraggi, quale fosse il prossimo treno per Milazzo.

– Non ci sono più treni fino a domattina. Stasera alle 11 passa un direttissimo, ma non si ferma. Cara sorella, deve passare qui la notte, ma non si preoccupi, il tempo lo faremo passare e… ci divertiremo.
E il figuro, con un aspetto poco rassicurante, concluse con una fragorosa risata. A Florenzia si gelò l’animo. Atterrita, invocò la Madonna.
– Madre santissima, non mi abbandonare. Fa’ che il treno si fermi.
E, recitando il rosario, si mise sul marciapiede dove doveva passare il direttissimo. Alle 11 sente il caratteristico sferragliare del treno che in stazione rallenta. Florenzia fa cenno al macchinista.
– Sono sola, per favore mi faccia salire –, grida.
E il treno rallenta fino quasi a fermarsi. Florenzia apre lo sportello e in quel momento sente una mano che la tira su. Ma ad accoglierla non c’è nessuno. Richiude lo sportello e il treno riparte.

5. Un periodo nuovo
Sarà proprio la considerazione per le postulanti, che da anni aspettavano di poter emettere i voti e vestire il saio e l’ammirazione per la perseveranza della loro fede e del loro proposito, che finalmente, il 27 giugno 1924, ancor prima che la Santa Sede avesse sciolto il nodo, convincono il vescovo. Mons. Cento esamina personalmente le giovani per quella che si chiama “esplorazione della volontà” – e cioè accertare che la scelta che si sta compiendo è avvenuta con consapevolezza e in libertà – e per la preparazione catechistica. Quindi presiede la cerimonia della vestizione religiosa che si svolgeva per la prima volta ad Acireale, nuova sede del noviziato, nella cappella della nuova casa. Una cerimonia solenne, resa suggestiva dal canto della schola cantorum del collegio di Santonoceto di Acireale. Le aspiranti dovevano essere sette, ma, negli ultimi giorni, diventano otto per l’arrivo di Santa Rusignuolo di Petralìa Sottana. Si tratta di un acquisto importante per la piccola congregazione. Santa Rusignuolo, che prenderà il nome in religione di suor Pia, diventerà presto il braccio destro di Florenzia, sarà poi per lungo tempo la sua vicaria e le succederà, alla sua morte, nella responsabilità di superiora generale. Diplomata maestra elementare, sarà la redattrice puntuale delle cronache dell’istituto e anche di una sua piccola storia di Florenzia, sicuramente la prima in ordine di tempo.
Quando era a Petralìa, Santa andava a trovare giornalmente le suore e aveva iniziato a frequentare la scuola di ricamo. Avrebbe voluto già da tempo farsi suora, ma il padre non si convinceva a darle il consenso. Dovette intervenire suor Margherita, che era la superiora della casa, e finalmente il genitore abbandonò ogni resistenza. Anzi volle accompagnare lui stesso la figlia ad Acireale.
In questo gruppetto, oltre a suor Pia, vi erano anche altre suore che avranno un ruolo importante nella vita dell’istituto, come suor Chiara La Pira, suor Modesta Spedale, suor Nazarena Gentuso, suor Gemma Guerra e suor Agnese Zaia, la ragazza di Pirrera, che da anni sognava di farsi suora e di unirsi alla missione di Florenzia.
Sbloccate le professioni e le vestizioni, l’istituto riprende vita. Non solo arrivano nuove postulanti, ma ora i parroci fanno a gara ad avere l’aiuto di queste suore in parrocchia. Così nelle parrocchie San Salvatore e Santa Maria delle Scale, entrambe alla periferia di Acireale, così a Linera e Aciplatani, due piccoli centri agricoli.
La collaborazione delle suore permetteva ai parroci di sviluppare attività pastorali che non erano mai riusciti a realizzare e che sapevano affidate a persone responsabili. Così il parroco di San Salvatore fu ben lieto di fare partecipare al catechismo anche i bambini che abitavano quasi alla periferia della parrocchia, praticamente in campagna. Le suore, a piedi, si partivano dalla casa più lontana e si dirigevano cantando, con i bambini in fila, alla chiesa parrocchiale. Lungo il tragitto aggregavano altri bambini che le mamme – contente di poterli affidare loro – facevano trovare pronti all’orario stabilito, disposti in fila. Finito il catechismo, venivano riaccompagnati a casa. Era un compito semplice, ma con delle responsabilità, come dimostrò un episodio che fortunatamente si risolse solo con un grande spavento. Una domenica, mentre, come al solito, una lunga fila di bambini si dirigeva alla parrocchia cantando, apparvero all’improvviso, sulla strada, due buoi infuriati che correvano all’impazzata. I bambini, impauriti, si precipitarono sul lato opposto del vialone dove, proprio in quel momento, sopraggiungeva un tram. Una suora, col coraggio della disperazione, fece un balzo dinanzi alla fila dei bambini come a proteggerli, con il suo corpo, dal tram. Si sentì uno stridio di freni e, per alcuni momenti, le suore e i passeggeri del tram, che guardavano pietrificati quanto stava accadendo, trattennero il respiro. E finalmente il tram si fermò proprio di fronte alla suora e ai bambini. Questi, che non avevano capito molto di quanto era successo, atterriti dalle grida del tranviere e dei viaggiatori, si stringevano alle suore.
Con il crescere dell’impegno nella diocesi di Acireale e il moltiplicarsi dei giudizi positivi dei parroci anche l’attenzione del vescovo va mutando e, se all’inizio era stato piuttosto distaccato, formale e, forse, anche un po’ infastidito, ora guarda all’istituto con crescente benevolenza aiutato, nella scoperta delle sue virtù, dal vicerettore del seminario, don Angelo Calabretta, che era divenuto cappellano e grande sostenitore della congregazione.
Erano ragazze di grande fede, serie, che lavoravano sodo e sapevano accettare responsabilità e sacrifici, queste suore. E anche quella loro superiora, così ruvida all’apparenza, si rivelava una donna trasparente, tutta votata alla propria missione e capace di trasmettere alle consorelle fede, passione ed entusiasmo. Così una sera di autunno, prima di cena, dopo una giornata di lavoro, uscito col suo segretario per fare due passi per la cittadina, mons. Cento passa nei pressi della casa e d’impulso decide di suonare il campanello. Le suore stanno pregando in cappella, in scrupoloso silenzio, quando la suora portinaia si avvicina a Florenzia e le sussurra qualcosa all’orecchio. Florenzia è sorpresa, ma la segue. Sul portone c’è il vescovo sorridente. “Non mi fa entrare, Madre. Mi lascia sulla porta?”. “Eccellenza, a quest’ora? Ma non sa che a quest’ora le suore vanno a pregare?”. “Madre, mi meraviglio – soggiunge il vescovo con espressione sorniona – non si ricorda cosa dice il Signore nel Vangelo? Lo sposo giunge di notte, per trovare le vergini deste, in preghiera. Sono venuto a pregare con le suore”.

6. Mons. Ballo arriva ad Acireale
Tutto sembrava andare per il meglio quando, il 24 giugno 1926, mons. Cento veniva nominato nunzio apostolico in Venezuela e abbandonava Acireale. Sembrava un destino crudele che tutte le volte che Florenzia incontrava, sul suo cammino, un ordinario che finalmente la comprendeva questo dovesse abbandonarla. Così era stato con mons. Raiti, così era ora con mons. Cento. E se problema di destino era, questo sarebbe apparso ancora più crudele con la notizia che a sostituire mons. Cento sarebbe arrivato mons. Ballo, che a questo punto raccoglieva in sé le funzioni di Amministratore apostolico di Lipari e di Acireale.
Ma Florenzia non credeva nel destino, credeva nella Provvidenza e, quindi, non poteva che vivere questa nuova esperienza che si apriva come una prova ulteriore sul suo cammino, dove le prove non erano state poche.
Era regola e prassi che le suore, come il clero in genere e gli ordini religiosi, si presentassero al nuovo pastore per riverirlo, farsi conoscere e assicurargli l’obbedienza. Florenzia non poté andare all’incontro con mons. Ballo, perché era immobilizzata a letto con dolori e pesantezza alle gambe, che dopo i 60 anni sarà il male che non l’abbandonerà più. All’incontro andarono suor Pia e suor Agnese, due giovani che da poco avevano emesso i voti triennali e che nulla sapevano – anche perché la Madre non aveva ritenuto di preavvisarle – delle difficoltà che Florenzia e l’istituto avevano incontrato con questo presule.
Ma non ci volle molto per le due giovani capire qual era la situazione. Appena entrate nello studio del vescovo e avuto il permesso di accomodarsi, mons. Ballo esordisce: – Il primo pensiero, quando sono stato eletto Amministratore apostolico della diocesi di Acireale, fu quello di trovarvi le Suore Francescane dell’Immacolata Concezione di Lipari.
Non un sorriso, non una battuta per metterle a loro agio. Piuttosto un’indifferenza glaciale e un tono burbero che mantenne per tutte le tre ore che durò il colloquio. Un vero e proprio interrogatorio sulla loro vita in comunità, sull’osservanza della Regola e dell’orario, sullo stato economico dell’istituto, sulle opere di apostolato, ecc. E a tutte le domande le due giovani rispondevano con puntualità e passione. E quanto più l’incontro si protraeva ed esse avvertivano che non si trattava da parte del monsignore di un interesse naturale e di routine, ma dietro quegli insistenti interrogativi, spesso addirittura insinuanti, intravedevano dell’astio e del malanimo che a fatica riusciva a dissimulare, tanto più esse alla deferenza dovuta al superiore univano la fermezza nelle proprie ragioni, di cui mostravano di essere fortemente convinte. Un atteggiamento umile e coraggioso che dovette colpire mons. Ballo al di là della sua prevenzione. E così decise di giocare l’ultimo affondo.
– Delle brave suore come voi, così intelligenti, scrupolose e devote, è un peccato che dobbiate affrontare tanti sacrifici con un istituto povero che ha difficoltà a essere riconosciuto. Vi trovereste molto meglio, invece, in un istituto più ricco e già riconosciuto e approvato dalla Santa Sede. Ve ne sono tanti, per esempio quello di Maria Ausiliatrice.
– Con tutto il rispetto, Eccellenza, – gli risponde suor Pia – ma io qui sono felice perché vivo nella povertà francescana. Le difficoltà, i sacrifici, i problemi che si presentano giorno per giorno, l’insicurezza del domani, il sentirci abbandonati nelle mani della Provvidenza, tutto questo fa parte della mia vocazione. Quando ho scelto di farmi suora, io conoscevo questa congregazione, l’avevo frequentata al mio paese Petralìa Sottana e alla vita che intravedevo è legata la mia vocazione. In un altro istituto, magari più ricco e più fiorente, non sentendomi chiamata, sarei la creatura più infelice della terra.
– Io vengo da un paesino ancora più piccolo di quello di suor Pia – aggiunse suora Agnese – vengo da Pirrera, lo stesso paesino dove è nata la nostra superiora. Ho atteso quasi dieci anni che giungesse il momento di entrare nell’istituto di madre Profilio, perché prima c’era la guerra e i miei, che avevano un figlio sotto le armi, non avrebbero voluto che l’altra figlia si allontanasse. Ma appena è stato possibile, ho coronato il sogno della mia vita.
Mons. Ballo le ascoltò con attenzione e, un po’ contrariato, borbottò: – Contente voi, ma vi siete chiuse in un vicolo cieco. Restando in questo istituto, andrete a sbattere con la faccia al muro.
Non avendo altro da dire, cercò di fare buon viso a una situazione che si era palesata ben differente da quella che riteneva potesse gestire. Così, finalmente alzandosi in piedi, congedò le suore promettendo che presto avrebbe fatto una visita alla madre superiora. Le due giovani si inginocchiarono ed egli le benedisse.
Ma se le suore avevano colpito mons. Ballo, non per questo l’avevano convertito. Non solo egli non mantenne la promessa di andare a trovare Florenzia, ma non smise di osteggiare l’istituto e prese a dilazionare sine die la cerimonia di vestizioni delle nuove postulanti.
L’istituto sembrava ripiombato in quella precarietà che non invogliava le aspiranti a rimanere e scoraggiava le nuove dall’accostarsi. Ma questa volta Florenzia non è sola. Ha al suo fianco il cappellano, don Angelo Calabretta, che svolge una continua opera di intercessione presso il vescovo. Ed è grazie ai suoi buoni uffici che il presule consente prima il 17 settembre che si tengano le elezioni per le cariche dell’istituto e – all’inizio del nuovo anno – toglie la dilazione e consente alla vestizione di nuove postulanti.
Rimaneva però che, malgrado i buoni uffici di don Angelo, quello col vescovo era un rapporto difficile, dovuto probabilmente non solo a pregiudizi e prevenzioni, ma anche a differenti visioni pastorali, come dimostra l’episodio della suora maestra a Giuliana, un paesino della provincia di Palermo. All’inizio dell’anno scolastico 1926-27, Florenzia intende autorizzare, come era avvenuto precedentemente, una sua suora, maestra elementare, a continuare l’insegnamento nella scuola di Giuliana. La suora vi sarebbe andata accompagnata da una consorella che le avrebbe fatto compagnia. D’altronde, questa era una strategia precisa, già usata in passato, e che sarà ripetuta in seguito, infatti nascerà così nel 1929 la casa di Mistretta. Una suora va a fare la maestra in un paesino o in una cittadina, prende dei contatti, si inserisce nell’ambiente e da questo può nascere l’apertura di una casa e l’avvio dell’attività apostolica. Ma mons. Ballo nega l’autorizzazione. Florenzia ricorre alla Congregazione dei Religiosi e il presule deve giustificarsi.
“Non essendoci a Giuliana comunità religiose – risponde mons. Ballo alla segreteria dell’Istituto romano –, le due suore avrebbero dovuto prendere in affitto una casa. Non sembrandomi conveniente che le due suore dimorassero lontano e che una suora con l’abito religioso insegnasse nelle pubbliche scuole elementari, ho negato il permesso. A novembre poi seppi che le due suore erano partite egualmente da Acireale per Giuliana. E poiché la superiora insisteva per avere il mio permesso, visto che io non intendevo concederlo, perché non intendo assumere responsabilità di sorta, mi disse che si sarebbe rivolta alla Sacra Congregazione”.
Si potrebbe sorridere di fronte a questa disputa, liquidando il tutto come il frutto di una mentalità oggi superata. In realtà, proprio questo fatto è rivelatore. Il vescovo non vuole assumersi responsabilità di sorta là dove Florenzia sa che, se vuole fare breccia nell’animo delle persone, bisogna rischiare. Il vescovo si preoccupa delle convenienze mondane, mentre le uniche convenienze che Florenzia conosce sono quelle che le dettano la sua Regola e le sue Costituzioni, e Regole e Costituzioni non impediscono a una suora di insegnare, con l’abito religioso, in una scuola pubblica.

7. Alcuni problemi di crescita




Mons. Evasio Colli a sinistra e Mons. Salvatore Bernardino Re a destra

Come Dio volle col 1927 finisce anche l’Amministrazione apostolica di mons. Ballo ad Acireale e, il 15 gennaio, fa il suo ingresso in diocesi il nuovo vescovo mons. Evasio Colli. Anche la reggenza di Lipari è agli sgoccioli, ancora qualche mese e il 27 maggio farà il suo ingresso mons. Bernardino Salvatore Re, cappuccino.
E indubbiamente con il 1928 una fase nuova, questa volta senza colpi di coda del passato, prende il via per l’istituto. Si regolarizzano le cerimonie di vestizione e di professione religiosa, si sviluppa l’attività pastorale, si buttano le basi per nuove case. È vero che anche alcune se ne chiudono, come, ad esempio, quella di Linera, perché le condizioni di vita delle suore incidevano sul rispetto della Regola, degli orari per le pratiche di pietà, anche se le attività sociali e pastorali prosperavano. Ma, in genere, i problemi che si presentano in questa fase sono tutti problemi di crescita come, per esempio, la ricerca di una casa più grande ad Acireale, che fu possibile acquistare grazie a un generoso contributo di don Antonino, che era tornato dagli Stati Uniti per un breve periodo.
Questa contingenza rivela come le esigenze dell’istituto siano molte e onerose. Come far loro fronte? È sempre don Antonino a cercare delle soluzioni scaturite dalla sua vicenda americana. Così quella delle messe commissionate da siciliani emigrati negli Stati Uniti per le anime dei loro defunti e celebrate ad Acireale. Una percentuale dell’onorario di queste messe sarebbe andato all’istituto delle suore francescane. Il prete scrive a questo proposito al vescovo di Lipari per averne il consenso. L’iniziativa viene autorizzata e andrà avanti senza troppi problemi fino al 1935, quando la Congregazione del Concilio solleverà esigenze di trasparenza, sollecitando una maggiore responsabilizzazione della diocesi e, di fronte alle perplessità dell’ordinario, negherà ulteriori autorizzazioni.
Venuto meno questo canale, don Antonino ne cerca però un altro, pensando a una colletta presso gli eoliani emigrati negli Stati Uniti, sempre appoggiandosi al vescovo di Lipari.
Gli eoliani di New York solo in questa città contano dodici società operanti come reti di solidarietà fra gli immigrati e due “congreghe” di San Bartolomeo con lo scopo di celebrare due volte l’anno la festa del patrono delle Eolie. La raccolta è mirata a favore dell’orfanotrofio delle suore inaugurato a Lipari nel giugno del 1928, ma senza locali adeguati. Sebbene la raccolta parta a ridosso della grande crisi del ’29, i risultati raggiunti sono apprezzabili raccogliendo, nel complesso, circa 25 mila lire.
Per don Antonino non è che il primo passo e vorrebbe che l’esperienza fosse ripetuta in Australia. Ma mons. Re gli ricorda che i problemi della diocesi sono numerosi, fra cui vi è urgente la ricerca di fondi – anche qui si parla di 30 mila lire – per realizzare il Vascelluzzo in oro e argento, che porterebbe le reliquie del santo patrono e ricorderebbe un suo miracolo a favore delle isole.
(Sesta puntata. Continua 6)
Per chi volesse leggere le puntate precedenti:
1) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da.htm
2) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_14.html
3) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_15.html 
4) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_16.html

5) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_17.html