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sabato 27 settembre 2025

Oggi, 27 settembre: San Vincenzo de' Paoli


È chiamato il Tommaso d'Aquino della carità; come S. Tommaso diede al mondo cristiano il capolavoro della teologia con la sua Somma, così S. Vincenzo de' Paoli con le sue istituzioni diede agli uomini il capolavoro della carità. Seppe raccogliere nell'anima sua tutto ciò che la generosità cattolica, nel volgere delle età aveva trovato per sollevare il dolore e la povertà. 
Nacque a Puy nella diocesi di Dax, il 24 aprile del 1576. 
Piccolo e povero, aveva spartito il pane della sua colazione coi compagni di scuola. Possedendo una volta trenta soldi li aveva regalati ai poveri. Portando del grano al mulino ed incontrandosi con un mendico, gliene aveva dato la metà. 
A dodici anni studiò a Dax, a 16 faceva ripetizione al figlio di un avvocato, perchè il padre povero non poteva fargli continuare gli studi. A venti anni riceveva gli ordini minori, ed a 24 il Sacerdozio. 
I primi anni di ministero furono terribili per il giovane prete, ardente di carità, ma necessariamente senza esperienza: consumò non solo tutto il suo, ma contrasse debiti notevoli per cui si trovò in serie difficoltà: difficoltà che risolse con sapienza e con l'aiuto di anime buone. 
Consigliato da Pietro De Berulle, accettò la parrocchia di Clichy, dove fece tanto bene; s'incaricò dell'educazione dei figli di casa Gondy che furono mecenati generosi per le sue molteplici opere di carità; e diede la celebre missione di Colleville che fu la prima di una lunga serie, ottenendo mirabili conversioni. Nominato regio cappellano di tutte le galere di Francia, fu il padre dei galeotti e pose ogni cura per sollevarli dalle loro miserie. Ottenne che fossero trattati meno duramente, fondò ospedali per gli ammalati, e la sua comparsa nelle galere era una festa per quei poveri disgraziati. 
Un giorno le guardie lo trovarono in una cella, legato alla catena in veste da galeotto. Aveva messo in libertà un miserabile e l'aveva sostituito. 
Confessore d'Anna d'Austria, distribuì due milioni in elemosine. Aprì orfanotrofi, ricoveri per i vecchi, ritiri per i dementi. 
Per tutte queste opere occorreva il personale adatto ed a questo scopo istituì le Figlie della Carità. 
Né qui si fermò la sua ardente carità. Egli attese anche al clero: istituì delle conferenze ecclesiastiche che ancor oggi continuano tra il clero di Francia, fondò seminari e spesso diede esercizi ai chierici ordinandi. Infine riunì in congregazione i sacerdoti che lo aiutavano nelle sue opere e li chiamò Preti della Missione.
Morì all'età di 84 anni, affranto dalle fatiche, il 27 settembre del 1660. 
La Francia atea gli innalzò un monumento. Leone XIII lo dichiarò patrono universale delle Congregazioni di carità. 
PRATICA. — Rendiamo anche noi la nostra carità « paziente, benefica, sempre pronta a scusare e a sopportare ». 
PREGHIERA. — O Dio, che per evangelizzare i poveri e per promuovere il decoro dell'ordine ecclesiastico arricchisti il beato Vincenzo di virtù apostoliche, deh! concedi, che come ne veneriamo la pietà ed i meriti, così ne imitiamo gli esempi.

Buongiorno. Oggi è sabato 27 settembre


 

venerdì 26 settembre 2025

Accadde...oggi...nel 1997


 

Il disco verde al bilancio rasserena gli animi è Sos sul caro-rifiuti. L'articolo del direttore Sarpi sulla Gazzetta del sud del 26 settembre 2025


 

Humanitas per le Eolie. Prevenzione, 2 giorni di visite gratuite e consulti a Lipari


 

Incidente nel porto di Panarea: Urto tra una motonave da mini crociere e un catamarano

Un incidente si è verificato, stamattina, nel porto di San Pietro a Panarea. Una motonave adibita a minicrociere, con a bordo diversi passeggeri, durante le operazioni di uscita dallo scalo, ha urtato, lateralmente, un catamarano che era fermo.

A seguito dell'impatto, tre persone che si trovavano sul catamarano sono cadute in mare. Fortunatamente, tutte e tre sono riuscite a risalire rapidamente a bordo del natante e, secondo le prime informazioni, non hanno riportato conseguenze o ferite.

I Carabinieri di Panarea, già presenti in zona per servizio, sono intervenuti immediatamente sul posto per avviare le indagini e i necessari accertamenti.

Le due imbarcazioni, che a un primo esame sembrano non aver riportato danni strutturali ingenti, sono state spostate al largo per non intralciare il traffico portuale. I comandanti sono stati immediatamente interrogati per ricostruire l'esatta dinamica dell'accaduto. L’obiettivo è stabilire se l’incidente sia stato causato da un errore di manovra da parte del conducente della motonave o dalla risacca, che in quel momento sembrava particolarmente intensa.

La Guardia Costiera di Lipari è stata informata dell’accaduto e proseguirà nelle indagini di competenza per chiarire ogni dettaglio.

Edilizia, in Sicilia nuova modulistica per l'agibilità.

Arriva in Sicilia la nuova modulistica per la Segnalazione certificata di agibilità (Sca) in linea con il Salva casa. Le modifiche sono state approvate con un decreto firmato oggi dall’assessore regionale al Territorio e all’ambiente, Giusi Savarino. Anche nell’Isola, dunque, le procedure vengono adeguate agli standard previsti a livello nazionale, coerentemente con la normativa della Regione.

«Continuiamo a portare avanti in tempi record l’opera di semplificazione delle procedure a favore dei cittadini nel settore dell’urbanistica e dell’edilizia, secondo la direzione tracciata dal decreto Salva casa – dichiara Savarino –. Oggi introduciamo la nuova modulistica per l’agibilità nel pieno rispetto delle tempistiche e dei criteri che sono stati fissati in sede di Conferenza unificata. Con il decreto, inoltre, forniamo strumenti condivisi ai Comuni, che dovranno adeguare la loro modulistica entro ottobre, in modo da garantire uno standard unico a tutti i procedimenti di questo tipo».

Tra le novità introdotte ci sono quelle che riguardano le deroghe ai requisiti igienico-sanitari, i parametri ridotti in base ai quali il tecnico può asseverare l’agibilità in base a certi requisiti, le condizioni per applicare le deroghe stesse, i termini di presentazione e le scadenze. Nello specifico, la Sca dovrà essere trasmessa entro 15 giorni dalla conclusione dei lavori di finitura. Il nuovo modulo sarà in vigore con la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale della Regione Siciliana.

E' deceduto Francesco Fiore

Le onoranze funebri sono a cura della 
ditta ALFA&OMEGA di Lipari
Alla famiglia le nostre condoglianze

Le foto dei lettori: Serve basilico? Lo trovi anche nei vicoli di Lipari


 

Tanti auguri di...

Buon compleanno a Sharon Allegrino, Angela Chiara Ziino, Giuseppe Giunta, Luca Aliberti, Luana Pergolizzi, Nicoletta Biviano 



Come eravamo, luoghi e personaggi (10° puntata): la Bergman e Rossellini in barca a vela a Stromboli


La festa dei Santi Cosma e Damiano a Lipari


 

La "Pagina culturale": QUELLA DI FLORENZIA, UNA STORIA DA RACCONTARE di Michele Giacomantonio (Puntata 2 di 10 - Riproposizione)

2. Povertà e miseria, la scoperta di una differenza

Questo capitolo è illustrato con gli acquarelli di Armando Saltalamacchia. Fatti appositamente per il libro su Madre Florenzia.
La prima esperienza del dolore e della morte Giovanna l’incontra l’anno dopo, quando il fratello più piccolo, Ninuzzo, che era sempre malato, improvvisamente peggiora e muore. Aveva pregato tanto per questo bambino a cui si era affezionata e passava diverse ore con lui a parlargli e cantargli canzoncine e lui la guardava con il suo sguardo sempre un po’ triste, come se conoscesse la sua sorte. La morte di Ninuzzo era stata in parte compensata, qualche mese prima, dalla nascita di un’altra sorellina che avevano chiamato Maria. E poi trascorrono poco meno di due anni e nasce un nuovo fratellino a cui metteranno il nome di Antonino, che ha per diminutivo Ninuzzo, ma Giovanna e in famiglia lo chiameranno sempre Antonino per non ricordare il fratellino morto. Maria e Antonino crescevano robusti e in salute e così anche un’altra sorellina, Caterina, che arrivò poco più di due anni dopo la nascita di Antonino. Ora in famiglia erano sette fratelli, e quattro erano più piccoli di lei per cui aveva una bella responsabilità.
E fu anche per questo che, superata la terza media e dovendo frequentare la quarta, chiese e ottenne di non andare più a scuola.
“Sa leggere e fare di conto – commentò mamma Nunziata con papà Peppe –, perché obbligarla ad andare in una scuola che non ama. È meglio che frequenti un buon corso di taglio e cucito e aiuti in casa, dove lavoro ce n’è tanto e due mani in più ad aiutare non sono certo inutili”.
A Giovanna, Lipari non mancava. Si trovava bene nella quiete e nella tranquillità di Pirrera. Lipari voleva dire il frastuono di chi vanniava per le strade, i vicoli sempre sporchi e col rischio che, girando l’angolo, ti trovavi di fronte a un coatto ubriaco, le strade dove scorrazzavano bande di proietti, cioè di bambini senza famiglia a cui una volta – così raccontava la mamma – provvedeva in qualche modo il vescovo e, da quando c’era l’Unità d’Italia, non ci pensava più nessuno, e se ne andavano sporchi e seminudi in giro chiedendo l’elemosina.

 

Una volta aveva chiesto ad Assuntina se erano questi i poveri. Sì, le aveva risposto la sorella, ma esistono poveri che conducono la loro vita con dignità e decoro e altri, invece, che si abbandonano al degrado e all’abbrutimento. Allora la povertà diventa miseria.No, non era bello vivere a Lipari e, quando andavano a scuola, percorrevano le strade quasi di corsa da dove abitavano – n’tu strittu a Sena – per la via del Pozzo, via di Santo Pietro, u Timparozzu, che si chiamava via Garibaldi, e poi il vicolo Sant’Antonio dove, di fronte alla chiesetta, vi erano le aule. E, una volta finita la scuola, di nuovo a casa, sempre di corsa, dove la signora Bartolina - che la mamma aveva incaricato di pulire e ordinare le stanze e di cucinare per loro il pranzo e la cena - le stava aspettando.
No, Lipari non le mancava. Da quando non andava più a scuola, vi scendevano di tanto in tanto con mamma Nunziata per fare delle compere: un paio di scarpe, della stoffa per fare un vestito, le medicine per papà Peppe, che proprio in quegli anni aveva preso a star male con la sua artrosi e aveva bisogno di pomate e altri medicinali. Scendevano al mattino e risalivano dopo qualche ora e, se la roba da portare era molta, chiamavano mastru Vanni, che caricava l’asino e gliela faceva avere a casa.
Poi, a cominciare dal 1885, quando Giovanna aveva già 12 anni, papà era peggiorato e qualche volta lo accompagnava a Bagnomare, dove sulla spiaggia c’erano dei soffioni che facevano bene ai dolori e, per il malato, si scavava una fossa che subito si riempiva di acqua calda dove poteva sedersi, rilassarsi e godersi il caldo della fumarola. Là sulla spiaggia c’erano delle pietre piatte e Giovanna si divertiva a lanciarle in acqua, ed era divenuta così brava da farle rimbalzare più volte sulla superficie del mare, prima che affondassero. Era un gioco che si chiamava delle mignole magnole, ma lei non ne conosceva il significato perché nessuno era stato in grado di spiegarglielo.
Nell’isola per combattere i dolori c’era anche un altro luogo che dicevano prodigioso – i bagni di San Calogero –, ma erano abbastanza distanti da Pirrera e per curarsi bisognava fermarsi lì a dormire e mangiare per almeno una settimana o anche più. Papà c’era stato una o due volte, ma siccome bisognava pagare e le esigenze della famiglia erano tante, non lavorando e non potendo più viaggiare per vendere il vino, di soldi in casa ne entravano sempre meno.
Giovanna era ora una signorina e queste cose le capiva. Sapeva che la malattia del padre, che lo costringeva sempre più a lungo a letto e quasi non andava nemmeno più nei campi a zappare, a potare, a badare alle viti e agli alberi, voleva dire che stavano diventando poveri. Molte cose che una volta si compravano ora bisognava farne a meno. Ogni tanto andava col pensiero a quelle scene di miseria che aveva visto a Lipari: uomini ubriachi barcollare per i vicoli, bambini sporchi e seminudi chiedere l’elemosina. E si interrogava se anche loro sarebbero diventati così. Ma era un pensiero fugace e subito si diceva che loro avrebbero saputo vivere la povertà con dignità, come le aveva raccontato Angelina.
Il pensiero della povertà e della miseria le tornava spesso alla mente. Ormai giovanetta, intorno ai 15 anni, partecipava con le amiche alla pigiatura dell’uva, che era – insieme alla macina delle olive – uno dei momenti conviviali e festosi della vita in campagna. Le amiche parlavano di ragazzi, di vestiti, di feste in famiglia, di quelle già fatte e di altre che sarebbero venute, in cui contavano di divertirsi e di fare nuove conoscenze. Giovanna, da un po’ di tempo, non era gioviale e allegra come al suo solito, era un po’ distratta e non partecipava alle conversazioni. Le amiche se ne accorgevano e gliene chiedevano il motivo. “Non ti senti bene? Sei offesa con noi?”. Giovanna non poteva rispondere col silenzio, perché il suo atteggiamento sarebbe stato scambiato per superbia e così confidò alle amiche che quel tipo di vita, a cui pure aveva partecipato con slancio sino allora, non le bastava più, anzi la interessava sempre meno. Sentiva come un vuoto dentro che la spingeva a estraniarsi, a cercare il silenzio, a meditare.
“Non ti sarai per caso innamorata?”, le chiedono. Ma Giovanna taceva. “Dai confidati, chi è questo ragazzo? Qui ci conosciamo tutti…”. “Non c’è nessun ragazzo…”, sussurrò Giovanna. “Ci sono momenti in cui sento dentro di me invadermi una grande gioia e vorrei che questa gioia investisse tutti. Vorrei che tutti fossero felici. E vorrei fare qualcosa perché tutti lo fossero, soprattutto i vecchi, i poveri, i bambini. Ho letto e riletto il Vangelo, per molte ore sono rimasta in chiesa sola, dinanzi alla statua della Madonna, in silenzio, dimenticandomi persino di andare a casa ad aiutare la mamma a fare i servizi. E una volta la mamma è arrivata in chiesa molto arrabbiata. “Che preghi a fare – mi ha detto –, se poi trascuri i tuoi doveri? Te lo confessi questo?”. Io vorrei fare come ha fatto Gesù: andare in giro a parlare alla gente, consolare chi soffre, soccorrere chi ha bisogno… Ma com’è possibile?”.
Le amiche non sapevano che risponderle. Quei discorsi non li capivano, sembrava che Giovanna appartenesse a un altro mondo. E così, da quel giorno, non la stuzzicarono più. Anzi la guardavano con un nuovo senso di rispetto.
Un giorno che aveva messo a letto i fratellini più piccoli, Antonino e Caterina, che avevano 6 e 4 anni, e mentre gli altri erano nella stanza da letto dei genitori per fare compagnia a papà Peppe, scese le scale per andare nella stanza da pranzo a prendere un bicchiere d’acqua. Improvvisamente sentì la voce di mamma Nunziata. Stava pregando dinanzi all’immagine di sant’Antonio. Si arrestò indecisa nell’ombra. Non voleva disturbarla e non voleva nemmeno spiarla. Che fare. Rimase così indecisa e impacciata.
“Sant’Antonio – diceva la mamma – tu devi farmi una grazia. Peppe sta sempre male ed ha bisogno di cure. Oramai non lavora più. Qualcosa facciamo noi, io e le ragazze più grandi, ma siamo donne e non abbiamo la forza di un uomo. Tu devi prenderti cura della nostra famiglia. Non devi permettere che cadiamo nella miseria. Ed io ti prometto, sant’Antonio, che nessuno dei miei figli si sposerà. Rimarremo sempre uniti e vivremo nella tua devozione. Ti faccio questo voto sant’Antonio, ma proteggi la mia famiglia”.
Giovanna rimase turbata. Capì che la preoccupazione per la povertà non era solo sua, ma anche della mamma. Povera mamma, che grosso peso si portava appresso. Il dolore per la malattia di papà e il pensiero dei figli. In silenzio Giovanna risalì le scale senza fare rumore e andò nella stanza dei genitori, dove c’erano Angelina, Annunziata e Giuseppe e dove c’era il braciere con la carbonella per riscaldare perché, se pure era marzo, faceva ancora freddo, specialmente di sera.

3. La vocazione di Giovanna


Quella notte non riuscì a chiudere occhio. Aveva già 17 anni e si sentiva matura per compiere una scelta di vita. Da tempo andava riflettendo che la sua vocazione era quella di dedicarsi alla preghiera e di mettersi al servizio degli altri, i più poveri, i miserabili. Sempre le tornavano alla mente quei bambini sporchi, laceri, vocianti che correvano per le strade di Lipari; quegli uomini ubriachi che camminavano barcollando per i vicoli, dicendo cose incomprensibili. Da qualche tempo, a Lipari erano arrivate le Suore di Carità, che erano andate a stare nella casa vicina al Palazzo vescovile e si dedicavano alla scuola delle ragazze delle famiglie borghesi. La loro vita in comunità, fatta di preghiera e di lavoro, l’attirava, anche se pensava che erano altri, le ragazze e i bambini, di cui bisognava prendersi cura. Ma non c’erano solo le suore a Lipari. Conventi di suore ce n’erano anche a Milazzo e a Messina.
Ma come parlare ora alla mamma di questo proposito? Ora che l’aveva colta in un momento di preghiera, ma anche di forte preoccupazione. Ora che c’era tanto da fare in casa, che bisognava accudire al papà e ai fratellini più piccoli. Sapeva che cosa le avrebbe risposto. “La prima cura deve essere verso la propria famiglia”.
Così la mattina dopo era andata, come ogni mattina, in chiesa alla messa con Angelina e Nunziata e, dinanzi alla statua della Madonna, aveva fatto una promessa solenne.
“Madonna mia, io vorrei farmi suora, perché ho capito che questa è la mia vocazione. Ma oggi non posso lasciare la mia famiglia che ha già tanti problemi. Per questo mi impegno a vivere come se fossi una suora. Vivrò il mio tempo fra la casa e la chiesa; sarò riservata nei rapporti con gli altri; niente più feste in casa degli amici, niente serate spensierate dedicate ai canti ed alle danze. In casa mi occuperò dei fratellini più piccoli a cominciare da Caterina che ha solo 4 anni e di Antonino che ne ha 6; mi occuperò di papà Peppe, che ormai sta sempre più frequentemente a letto perché i dolori non lo lasciano più. Gli farò compagnia, lo aiuterò nelle sue esigenze, cercherò di liberare la mamma dalle mille incombenze. E questo per sempre, fino a che non mi daranno il permesso di farmi suora”.
Quando uscì dalla chiesa, la luce del mattino aveva già arrossato l’orizzonte, oltre il Monte Rosa, e il sole stava per spuntare dal mare. Giovanna si fermò a guardare lo spettacolo della natura, che sembrava destarsi dal sonno della notte, e sentì dentro di sé crescere un senso di pienezza e di gioia. Improvvisamente le vennero in mente i versi di un salmo che aveva ascoltato in chiesa qualche settimana prima: “Svegliati, mio cuore, svegliatevi, arpe e cetra, voglio svegliare l’aurora”. Ecco le sembrava che questa pace e questa gioia che sentiva dentro ora si comunicava a tutto il creato e sollecitava il sole a fare il suo corso, a lasciare il letto dell’orizzonte e a inondare di luce le campagne e poi, là in basso, Lipari col suo castello.
Si avviò, con le sorelle, verso casa per il solito viottolo salutando con un cenno chi incontravano per la strada: gli uomini che andavano al lavoro e le donne già indaffarate nei loro bagghi nelle faccende domestiche. Ogni tanto qualcuna di queste chiedeva loro come stesse il loro padre e a turno rispondevano: “Al solito, commare, al solito”.
Quando furono in vista della casa, Giovanna disse alle sorelle: “Stamattina ho promesso alla Madonna che mi farò suora e che questa è la mia vocazione. So che oggi non è possibile per i motivi che sappiamo, ma ho promesso che vivrò come una suora nella riservatezza, nella preghiera e facendomi carico dei lavori più umili e, soprattutto, prendendomi cura di papà. Vi chiedo di aiutarmi in questa mia decisione e, se volete, parlatene alla mamma”.
Le sorelle non risposero. Sapevano come era determinata Giovanna e, quando si metteva una cosa in testa, era impossibile farle cambiare parere. E poi rispettavano la sua decisione e non vedevano motivo per contraddirla. Sarebbe stata Angelina, che era la più grande, a parlarne alla mamma.
E così da quel giorno Giovanna visse la sua nuova vocazione, ma non voleva assolutamente diventare una “monaca di casa”, secondo la tradizione liparese, per cui molte ragazze vestivano l’abito religioso, ma rimanevano in casa al servizio dei genitori e della famiglia, guadagnando così una maggiore libertà nei movimenti. Giovanna non avrebbe vestito nessun abito speciale e sarebbe rimasta in casa solo per il tempo necessario a superare questa difficile congiuntura.
Passarono, così, altri cinque anni fino a quel drammatico Natale del 1895, quando papà Peppe non si alzò nemmeno dal letto perché gli mancavano le forze e i dolori gli maceravano le carni. Alla vigilia era venuto il medico a visitarlo e aveva scosso la testa lasciando capire che non ne aveva ancora per molto.
Era stato un triste Natale quello. La notte Giovanna e i fratelli erano andati a messa nella chiesetta di Pirrera. Ora era cappellano don Luigi Lombardo, che aveva cresimato Antonino ed era divenuto così suo compare. Don Luigi, qualche anno prima, aveva cominciato i lavori per ingrandire la chiesa, ma le opere andavano a rilento perché occorrevano parecchi fondi e la frazione era povera, soprattutto ora che era arrivato il male della vite, la fillossera, e uva e vino se ne producevano poco e niente.
La messa, quindi, si diceva ancora nella vecchia chiesetta, dove la gente faceva fatica a entrare. D’estate, gli uomini rimanevano sulla soglia, ma d’inverno faceva freddo e, quindi, tutti cercavano di farsi posto dentro non solo per ascoltare la funzione, ma anche per mettersi al riparo dalla pioggia e dal vento.
La mamma era rimasta a casa a vegliare papà Peppe. Sarebbe andata a messa l’indomani mattina, quando al capezzale del malato sarebbe rimasta Giovanna. Erano cinque anni che Giovanna praticamente non si muoveva dal letto del padre, e ora per dargli un bicchiere d’acqua, ora per accomodargli il cuscino e il materasso, e questo accadeva parecchie volte al giorno perché, stando sempre a letto, il poveretto sentiva il bisogno di cambiare posizione. E non era cosa facile, perché negli ultimi mesi si erano formate delle piaghe. Piaghe che rendevano più difficili i movimenti e andavano curate. Inoltre, spesso il padre diventava insofferente e la chiamava in continuazione e bisognava che fosse sempre pronta a esaudire le sue richieste. Nei primi tempi, la mamma non voleva che Giovanna si occupasse anche di tutte le incombenze che riguardavano il malato. Riteneva che dovesse essere lei sola a occuparsi del corpo del marito, di lavarlo, cambiarlo, medicarlo Ma un giorno la giovane reagì con una durezza che lasciò Nunziata sconcertata.
“Perdonami mamma, ma non sono più una ragazza. Si è deciso che rimanessi in casa per prendermi cura di papà ed intendo farlo sino in fondo. Se fossi una suora e dovessi accudire dei malati in ospedale, credi che qualcuno si farebbe questi scrupoli? Assolutamente no. Ed allora è inutile farseli in casa propria. Pensa a me come se fossi una suora che fa il suo lavoro di infermiera”.
Quella mattina di Natale, mentre la mamma era andata in chiesa e le sorelle ordinavano la casa e preparavano il pranzo, Giovanna ripensò a quegli anni trascorsi. Non era stato facile portare avanti questo compito che si era assegnato, perché spesso le sofferenze di papà Peppe erano strazianti. I suoi lamenti le arrivavano al cuore e al cervello. Vi erano momenti che sembrava non riuscisse a sopportarli e aveva come un moto di stizza che subito reprimeva, perché comprendeva che era una forma di autodifesa per non lasciarsi coinvolgere nella sua passione, una forma di egoismo, si diceva, e per la quale chiedeva perdono a Gesù e pregava la Madonna che le desse maggiore forza.
Quanto aveva pregato vicino a quel letto. Quante volte era rimasta in attesa di sentire la voce che le portasse conforto. Quante volte aveva chiesto alla Madonna che intercedesse per un miracolo, che suo padre tornasse in salute.
“Non te lo chiedo per me, Madonnina mia, io continuerò a fare questa vita magari vicino ad un altro malato, ad un altro sofferente. Te lo chiedo per lui, perché finisca questo strazio, questo calvario. Te lo chiedo per la mamma che è ogni giorno di più affranta ed angosciata. Te lo chiedo per i miei fratelli, che ormai da anni condividono questa passione che nei più piccoli ha cancellato la spensieratezza della fanciullezza”.
Ma la salute del padre era andata sempre peggiorando e Giovanna aveva pensato che questa fosse una grande prova, attraverso la quale tutta la famiglia doveva necessariamente passare.
Natale, quell’anno, era venuto di mercoledì e il giovedì, in quei tempi, c’era di nuovo scuola. Certo le condizioni di papà Peppe erano gravi, ma niente faceva pensare a una fine immediata. Così, il 26 mattino, Antonino, Maria e Caterina, erano scesi per andare a scuola e sarebbero risaliti a Pirrera, come al solito, il sabato pomeriggio. A casa con la mamma erano rimasti, intorno al capezzale del padre, Angelina, Annunziata, Giovanna e Giuseppe.
Ma proprio il 26 il malato entrò in agonia e la notte, fra il 26 e il 27, Giuseppe fu mandato di corsa a Lipari a prendere i fratelli, perché la famiglia fosse tutta riunita intorno al padre morente.
Peppe Profilio muore così a 64 anni, lasciando la famiglia affranta e con un avvenire nero di fronte.
Dopo che ebbero accompagnato il congiunto nella chiesetta di Pirrera, fu detta la messa e impartita la benedizione da parte di don Luigi. Il corpo venne sepolto nella tomba comune che si trovava nella stessa chiesa. La famiglia, quindi, si ritrovò nella stanza matrimoniale della casa, al primo piano, intorno al letto ormai vuoto, a piangere per la perdita e a pregare per l’anima del defunto.
Ma insieme alle preghiere di suffragio nelle menti di ognuno di loro, soprattutto di mamma Nunziata e dei fratelli più grandi, si affacciava insistente la domanda: “E adesso?”.
Ciascuno di loro sapeva che la famiglia in quegli anni di malattia aveva consumato tutto, che non solo non c’erano più risparmi e il magazzino era vuoto, ma non c’erano in casa nemmeno più oggetti di valore.
E come si chiuse quel triste 1895, così si aprì il 1896. Giornate sempre eguali: si lavorava la terra per quel poco che si poteva, si continuava a fare il pane con la farina che si riusciva a rimediare; si risparmiava su tutto sia sul mangiare, sia sul vestire.
Una sera di febbraio, finita la recita del rosario, mamma Nunziata dice ai figli che deve parlare loro seriamente.


“Ci sono rimasti – esordisce – solo gli occhi per piangere, ma il Signore non ci abbandonerà e quell’anima santa di vostro padre, che sicuramente è in cielo, pregherà per noi. Anch’io in queste settimane ho pregato e ho pensato molto, e ho preso una decisione che va bene per tutti. Voi sapete che ho un fratello in America, a New York, partito tanti anni fa, che ha fatto un po’ di fortuna e se la passa abbastanza bene. Ci siamo scritti ed è stato lui a propormi di partire, al più presto, tutti per gli Stati Uniti. Penserà lui alle pratiche e ai soldi del viaggio, come anche alla casa in America. Poi, con calma gli restituiremo tutto col nostro lavoro. Lì, se si lavora, si guadagna anche bene e lavoro ce n’è. Voi ragazze andrete in una grande sartoria, sapete tutte fare di taglio, cucito e ricamo e quindi non avrete problemi. Giuseppe andrà, invece, in un grande negozio che lì chiamano store. Antonino rimarrà qui perché deve terminare il seminario e deve farsi prete. Ne ho parlato al canonico Lombardo, che è suo padrino, a cui ho affidato i nostri beni. Li curerà dopo la nostra partenza e, con il loro rendimento, pagherà la retta di Antonino al seminario di Lipari”.
I figli avevano ascoltato tutti in silenzio e, terminato la mamma, nessuno parlò, perché le sue decisioni erano legge e non si discutevano. Improvvisamente, nel silenzio generale, Giovanna, che aveva compiuto ormai 22 anni, prende il coraggio a quattro mani e interviene.
“Mamma, voi sapete che da sempre io ho questo desiderio di farmi suora e voi mi avete sempre detto che non era il momento. Ed avevate ragione, perché con tutte le preoccupazioni che ci dava la malattia di papà non potevamo mettere un altro problema ed un altro carico sulla famiglia per pensare alla mia dote. Ma ora papà non c’è più e voi partite per l’America, mentre Nino rimane qui a finire il seminario. Perché non posso rimanere anch’io e farmi suora?”.
Mamma Nunziata è risoluta.
“La famiglia deve rimanere unita per superare questo difficile momento. Nino è ormai in seminario e sarebbe un peccato distoglierlo dalla sua strada. Noi, invece, dobbiamo lavorare per compensare lo zio dei soldi che ci anticipa e farci una posizione in questo nuovo paese ed aiutare da lì – se ce ne fosse bisogno – anche Nino. Non è questo il momento di pensare alla tua vocazione. Se è quello che vuole il Signore, la sua volontà si farà sentire anche in America. Ora pensiamo a fare tutte le cose per bene per organizzare questo viaggio, perché – ammesso che torneremo e io mi auguro di tornare – sicuramente lasceremo Lipari per molto tempo. Comunque, sia fatta sempre la volontà del Signore”.

4. Lipari addio o… forse, arrivederci


Un mese di preparativi e poi giunse il giorno della partenza. A mattina inoltrata, mamma Nunziata passò in rassegna le stanze con i materassi rialzati e ricoperti da un lenzuolo, perché non prendessero polvere e così anche i mobili. I loro bagagli – una vecchia valigia del padre e dei cesti di canne ricoperti da un telo – erano già sul bagghiu e attendevano che arrivasse l’uomo con l’asino per portarli a Lipari. Visto che tutto era in ordine, Nunziata, con gli occhi arrossati, chiuse le porte con la grossa chiave di ferro che ripose nella sua borsa e che avrebbe consegnato, come stabilito, al canonico Lombardo. Poi si rivolse ai figli.
“Diciamo insieme un’Ave Maria e affidiamoci alla Madonna che ci accompagni nel viaggio ed in questa nuova avventura in America. Non sappiamo se e quando torneremo. Io prego il Signore che mi dia la grazia di ritornare per morire qui dove è sepolto vostro padre. Ora, coraggio, ecco l’uomo che porterà i bagagli. Noi dobbiamo passare dalla chiesa per salutare il canonico e consegnargli le chiavi di casa”.
E così in fila, ciascuno con una borsa con le cose più intime e indispensabili, si misero in cammino. Avanti la mamma con i più piccoli, a chiudere la fila Giovanna che si guardava intorno osservando una primavera che cominciava a destarsi nell’aria e nei fiori. E in silenzio cominciò a recitare il rosario e, in particolare, i misteri della gioia perché le sembrava giusto che non dovessero rivolgere un saluto triste alla loro terra, ma un saluto gioioso carico di speranza e di fiducia nel Signore che li avrebbe assistiti nel viaggio.
Erano questi i pensieri che continuava a ripetere e a suggerire alle sue sorelle e ai parenti, che erano venuti alla Marina San Giovanni a salutarli in attesa di imbarcarsi. La Zelina, il piroscafo di linea della Società Siciliana di Navigazione a vapore, li avrebbe condotti a Milazzo e poi da lì il treno per Messina e Napoli e, quindi, la nave per New York.
Quando arrivò il piroscafo con i suoi due alberi e nel mezzo un’alta ciminiera sbuffante, si fermò al largo della penisoletta del Purgatorio e la famigliola salì, con i bagagli, sulla barca che li portò sottobordo e, quindi, attraverso una scaletta, sulla tolda. Era la prima volta che Giovanna lasciava Lipari e saliva a bordo di un vapore. Fino allora aveva viaggiato solo con la fantasia, inseguendo i racconti dei suoi viaggi che le faceva papà Peppe, quando era prima bambina e poi ragazzina. Ma i viaggi di suo papà erano spesso delle avventure perché, per raggiungere Napoli, dove commerciava il vino, il padre si serviva di piroscafi non di linea, senza nessuna comodità. Non che ora, nei viaggi di linea, le comodità fossero maggiori, e i posti di terza classe erano all’aperto, alla pioggia, al vento e spesso anche agli spruzzi delle onde, quando il mare era agitato. E, se si viaggiava sottovento, spesso il fumo della ciminiera rendeva il viaggio dei passeggeri ancora più tormentato. Ma erano meno di tre ore fra Lipari e Milazzo e il sacrificio era sopportabile. Inoltre, quello della partenza era un pomeriggio di una bella giornata di metà febbraio e il mare era calmo come una tavola; c’era solo un piccolo venticello che disperdeva il fumo del piroscafo.
Giovanna, appena a bordo, si affacciò a guardare la banchina dove vi erano ancora i parenti e gli amici che salutavano. Di fronte c’era la chiesa di San Giuseppe, la piazza, le mura del castello e, più a destra, sulla penisoletta, la chiesetta delle Anime del purgatorio. Cercava di imprimersi ogni particolare nella memoria, perché non sapeva se e quando avrebbe più rivisto quell’isola dove era nata e cresciuta e di cui conservava ricordi lieti e ricordi tristi e, comunque, gli unici ricordi della sua esistenza. Mentre guardava, il piroscafo levò le ancore e si mosse verso Vulcano e così si aprì la visuale della baia e, oltre al Monte Rosa, ora poteva vedere Pirrera con la sua chiesa e un gruppo di case. Non la loro perché era in fondo alla vallata e dal mare non si poteva scorgere, ma le case, che erano sul costone che scendeva verso Canneto, poteva contarle una per una. Così, più sotto, vedeva la chiesetta della Serra e le poche case che le si stringevano vicino e poteva indovinare il sentiero che portava a Bagnomare e da qui a Marina San Nicolò. Una strada che conosceva bene e aveva percorso mille volte. Ma già la nave si era lasciata Lipari alle spalle e puntava su Vulcano.
E Giovanna, lanciando un ultimo sguardo a Pirrera che ormai era solo un puntino, disse dentro di sé: “Lipari addio, o… forse, arrivederci”.
Impiegarono una giornata intera a raggiungere Napoli, viaggiando tutta la notte e poi la mattina e un pezzo di pomeriggio. Tutto era nuovo per Giovanna, come per suo fratello e le sue sorelle. Il ritmico rumore del treno che sferragliava sulle rotaie, le luci lungo la linea ferroviaria e nelle stazioni, le grida dei ferrovieri e dei venditori di panini e caffè, le gallerie dove il treno si immergeva sbuffando, gli alberi che correvano fuori dai finestrini, l’apparire e lo scomparire dei paesaggi, delle case, dei campi, del mare.
E poi la confusione di Napoli, della stazione, delle strade, ma soprattutto del porto, dove dovettero aspettare che si sbrigassero le pratiche per potersi imbarcare. Passarono alcune ore seduti con i loro bagagli, mentre la mamma, accompagnata dal fratello Giuseppe, andava a far timbrare i biglietti e vistare i documenti. Biglietti di terza classe, perché non potevano permettersi nessun lusso e sapevano già che sarebbe stato un viaggio duro e anche pericoloso.
Pericoloso per le tempeste che nell’oceano potevano sopraffare la nave, come pure era già successo e, infatti, di storie se ne raccontavano tante là sulla banchina con gli emigranti, raggruppati a nuclei familiari con le loro valigie e le loro ceste, che contenevano le poche cose che si erano portate dietro e anche le uniche che rappresentavano tutta la loro ricchezza.
Vicino alle ragazze Profilio, che aspettavano la mamma e il fratello, c’era una famiglia calabrese con tre bambini, due femminucce e un maschietto, che con la schiettezza dei bimbi avevano fatto subito amicizia soprattutto con Giovanna.
– Di dove siete? chiese la bimba più grande che poteva avere 9 anni e si chiamava Maria.
– Di Lipari, un’isola vicino a Messina in Sicilia – le rispose Giovanna –, e tu?
– Di Rosarno e andiamo a New York. Mio padre fa il falegname e dice che in America si fa fortuna e così diventiamo ricchi.
– E tu sai che vuol dire diventare ricchi?
– Non avere più preoccupazioni per il mangiare e il vestire – rispose la bambina –. A Rosarno c’erano giornate che facevamo la fame e Ciccio, il mio fratello più piccolo, si è ammalato. Ha sempre la tosse e il dottore dice che dovrebbe mangiare carne, ma noi non abbiamo i soldi per comprarla.
– Maria, non disturbare le signorine – la riprese la madre, una donna vestita di nero, che doveva essere ancora giovane, ma già appariva segnata dagli stenti. E poi, rivolta alle ragazze –, scusatela, ma ha sempre voglia di fare nuove conoscenze e di imparare cose nuove. A scuola il maestro diceva che è brava e sarebbe un peccato se non potesse studiare. Ma far studiare i figli costa soldi e noi non abbiamo nemmeno il sufficiente per mangiare. Speriamo che veramente a New York si possa trovare lavoro e vivere più sereni.
Il grande spiazzo nel porto, dove gli emigranti attendevano che arrivassero i permessi e l’ordine di poter salire a bordo, era tutto un incrociarsi di racconti di vite difficili e di speranze in mille dialetti per lo più tutti meridionali, perché a Napoli affluivano da tutte le regioni del Meridione, mentre da Genova partivano gli emigranti del Nord Italia.
Giovanna osservava tutto e cercava di applicare a quella massa di gente la distinzione che aveva appreso a Lipari fra la miseria e la povertà. Dava per scontato che loro fossero poveri e si chiedeva se la famiglia di Maria appartenesse alla miseria. Ma volgendo gli occhi intorno, notava che erano tanti i gruppi che sembravano stare peggio. Non c’erano solo famiglie con bambini, c’erano anche gruppi di soli uomini con facce che le sembravano poco raccomandabili, e c’erano anche uomini e donne che se ne stavano in disparte, per proprio conto, e non familiarizzavano con nessuno. Quanti erano in quello spiazzo gli emigranti che aspettavano? Un migliaio… Forse anche di più… E sarebbero partiti tutti con la loro nave. Certo, quella che si vedeva attraccata alla banchina era una nave grande di ferro. Ma li avrebbe contenuti tutti?
Dopo qualche ora, arrivarono la mamma e Giuseppe e dissero che tutto era a posto. Ancora qualche ora e li avrebbero fatti salire a bordo. La nave era grande, ma i passeggeri erano molti e qualcuno sussurrava che erano molto di più di quanti avrebbero potuto imbarcarne. Ma i controlli alla partenza erano relativi. Se avevi i documenti in regola per l’espatrio e pagavi il prezzo del biglietto, non ti chiedevano nient’altro e, ancora meno, le autorità chiedevano agli armatori delle navi.

                                    (Seconda puntata. Continua )
Per chi volesse leggere la 1° puntata questo è il link https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da.html

Oggi, 26 settembre: Santi Cosma e Damiano

I Santi martiri Cosma e Damiano furono fratelli gemelli, secondo il Martirologio Romano, e compagni non solo di sangue, ma anche di fede e di martirio. Studiarono assieme medicina in Siria e salirono ben presto a grande fama per la loro valentia nel curare i malati. Forse erano arabi di nascita, ma assai per tempo ricevettero un'educazione cristiana veramente ammirabile. Animati da vero spirito di fede e di carità si servirono della loro arte per curare sia i corpi sia le anime con l'esempio e con la parola. Riuscirono a convertire al cristianesimo molti pagani . Si portavano in fretta presso chiunque li richiedesse rifiutando ogni compenso, contenti di poter per mezzo della loro arte esercitare un po' di apostolato. In questo modo si attirarono amore e stima non solo dai cristiani, ma anche dagli stessi infedeli. Venivano da tutti soprannominati "Anàrgiri" (dal greco anargyroi, parola greca che significa senza denaro), proprio perché non si facevano pagare per la cura dei malati. 
Mentre essi compivano tanto bene, ecco scoppiare la persecuzione di Diocleziano. I santi Cosma e Damiano si trovavano in quel tempo ad Egea di Cilicia, in Asia Minore. Così circa l'anno 300 i santi medici si videro arrestati e tradotti davanti al tribunale di Lisia, governatore della Cilicia. « Ho l'ordine, dice il proconsole, di far ricerca dei cristiani, punire quelli che resistono e premiare quelli che si sottomettono alle leggi dell'impero. Voi siete accusati di appartenere alla setta... Scegliete ». « La scelta è fatta, risposero i santi fratelli, siamo cristiani e come tali siamo pronti a morire ».
« Riflettete bene, soggiunse Lisia, perché si tratta di vita o di morte, non potendo, né dovendo io tollerare una ribellione alle leggi ». « Noi rispettiamo come gli altri le leggi civili, ma nessuna legge ci può costringere ad inchinarci ai vostri dei di fango; noi adoriamo il Dio vivo e ci inchiniamo a Gesù Cristo Salvatore ». Lisia sdegnato ordinò che fossero legati e flagellati. Dopo questo primo tormento, persistendo i Santi nel loro fermo proposito, ordinò che fossero gettati in mare. L’ ordine fu all’ istante, mentre una grande turba di cristiani piangeva dirottamente. Il Signore venne in loro soccorso: le onde li spinsero fino alla riva e così poterono salvarsi. A tal vista il popolo gridò : « Siano salvi i nostri medici; si rispettino quelli che il mare stesso rispetta ». Purtroppo tutte queste grida furono vane: il proconsole li voleva assolutamente morti, perciò li fece gettare in una fornace ardente. Liberati miracolosamente dal Signore, dopo altri vari tormenti, furono fatti decapitare a Egea probabilmente nel 303.
Sul loro sepolcro si moltiplicarono i miracoli: lo stesso imperatore Giustiniano, raccomandatosi alla intercessione di questi santi medici, fu guarito da mortale malattia e per riconoscenza fece erigere in loro onore una sontuosa basilica. 
In loro onore Papa Felice IV (525-530) fece costruire a Roma una chiesa, decorata di mosaici stupendi.
I resti dei santi martiri sono custoditi nel pozzetto dell'antico altare situato nella cripta dei Ss. Cosma e Damiano in Via Sacra, dove li depose S. Gregorio Magno (590-604).
Vivo il loro culto in Oriente in Occidente, dove numerose chiese e monasteri di epoche diverse sono intitolate ai santi martiri "guaritori".
PRATICA. Facciamo oggi qualche opera di misericordia spirituale e corporale in favore del prossimo. 
PREGHIERA. Fa', te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che noi che celebriamo la festa dei tuoi martiri Cosma e Damiano, veniamo liberati per loro intercessione da tutti i mali che ci minacciano.

Buongiorno. Oggi è venerdì 26 settembre


 

giovedì 25 settembre 2025

Accadde...oggi...nel 1979


 

Lipari, dopo lo scontro l'aula dà il via libera alla manovra triennale. L'articolo del direttore Sarpi sulla Gazzetta del sud del 25 settembre 2025


 

Lipari, sicurezza garantita. Assolto titolare di un lido. L'articolo del direttore Sarpi sulla Gazzetta del sud del 25 settembre 2025


 

Bilancio approvato al Comune di Lipari: La nota di Rinascita eoliana - Riccardo Gullo sindaco)

(Da Rinascita eoliana - Riccardo Gullo sindaco)

𝐁𝐈𝐋𝐀𝐍𝐂𝐈𝐎 𝐀𝐏𝐏𝐑𝐎𝐕𝐀𝐓𝐎, 𝐐𝐔𝐄𝐒𝐓𝐀 𝐕𝐎𝐋𝐓𝐀 𝐒𝐄𝐍𝐙𝐀 𝐂𝐎𝐌𝐌𝐈𝐒𝐒𝐀𝐑𝐈𝐎 𝐆𝐑𝐀𝐙𝐈𝐄 𝐀𝐋𝐋𝐀 𝐑𝐄𝐒𝐏𝐎𝐍𝐒𝐀𝐁𝐈𝐋𝐈𝐓𝐀̀ 𝐃𝐈 𝟖 𝐂𝐎𝐍𝐒𝐈𝐆𝐋𝐈𝐄𝐑𝐈 𝐒𝐔 𝟏𝟔. 𝐈𝐋 𝐂𝐎𝐍𝐒𝐈𝐆𝐋𝐈𝐎 𝐑𝐄𝐒𝐓𝐀 𝐈𝐍 𝐂𝐀𝐑𝐈𝐂𝐀

 "IL SUCCESSO NON È DEFINITIVO E L'INSUCCESSO NON È FATALE.

L'UNICA COSA CHE CONTA DAVVERO È IL CORAGGIO DI CONTINUARE”
Questa citazione, di Winston Churchill, oggi trova una sua attualizzazione nelle vicende del Comune di Lipari.
L’attività ostruzionistica da parte dell’opposizione Consigliare stamattina è stata sepolta da quattro approvazioni che, ci permettiamo di affermare, cambiano per sempre la vita Amministrativa del Comune. Tutto quello che abbiamo detto in questi anni ora diventa patrimonio di tutti e prassi Amministrativa.
Innanzi tutto, i bilanci vanno approvati; e, come per ultimo ha statuito il TAR di Catania, la loro approvazione è PREVALENTE NELL’INTERESSE DELLA STABILITÀ FINANZIARIA DELL’ENTE.
Come si bloccavano i bilanci?
Bocciando abusivamente i PEF, utilizzando il Consiglio come plotone di esecuzione per eliminare sul nascere il procedimento di approvazione del bilancio previsionale.
Poteva il Consiglio Comunale bocciare il bilancio?
NO, NO e NO.
Quindi, una volta ripristinato l’iter legittimo motivato da un articolatissimo parere del Segretario Generale del Comune e certificato da ben due pareri dell’Assessorato Regionale delle Autonomie locali, riguardante la presa d’atto dei PEF (senza alcuna approvazione), ecco che come per incanto il bilancio viene approvato e, di conseguenza, da oggi sarà possibile provvedere ad avviare e/o continuare tutte le iniziative che abbiamo già elencato:
- 𝐋𝐞 𝐧𝐮𝐦𝐞𝐫𝐨𝐬𝐢𝐬𝐬𝐢𝐦𝐞 𝐨𝐩𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚𝐭𝐞;
- 𝐋𝐚 𝐫𝐞𝐝𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐑𝐞𝐠𝐨𝐥𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐮𝐚𝐥𝐞;
- 𝐋𝐚 𝐫𝐞𝐝𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐏.𝐔.𝐆 – 𝐏𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐔𝐫𝐛𝐚𝐧𝐢𝐬𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐆𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐥𝐞;
- 𝐋𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢𝐧𝐮𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐝𝐞 𝐞 𝐦𝐚𝐫𝐜𝐢𝐚𝐩𝐢𝐞𝐝𝐢;
- 𝐋𝐚 𝐥𝐢𝐪𝐮𝐢𝐝𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐨𝐦𝐦𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐚𝐢 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚𝐝𝐢𝐧𝐢 𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚𝐝𝐢𝐧𝐞 𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐢𝐫𝐞 𝐝𝐚𝐢 𝐧𝐮𝐦𝐞𝐫𝐨𝐬𝐢 𝐝𝐞𝐛𝐢𝐭𝐢 𝐟𝐮𝐨𝐫𝐢 𝐛𝐢𝐥𝐚𝐧𝐜𝐢𝐨 𝐞𝐫𝐞𝐝𝐢𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐜𝐚𝐮𝐬𝐚𝐭𝐢 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐩𝐫𝐞𝐜𝐞𝐝𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐢𝐥𝐥𝐞𝐠𝐢𝐭𝐭𝐢𝐦𝐞 𝐛𝐨𝐜𝐜𝐢𝐚𝐭𝐮𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐥𝐢𝐚𝐫𝐢; 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐦𝐚𝐦𝐦𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐥𝐚 𝐥𝐢𝐪𝐮𝐢𝐝𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐢𝐛𝐮𝐭𝐨 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐨𝐫𝐢𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐚𝐢 𝐬𝐞𝐫𝐯𝐢𝐳𝐢 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢 𝐛𝐢𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨𝐬𝐢, 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐧𝐯𝐚𝐥𝐢𝐝𝐢 𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥’𝐢𝐧𝐟𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚;
- 𝐋’𝐚𝐬𝐬𝐮𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐬𝐞𝐫𝐯𝐢𝐳𝐢 𝐚𝐥𝐥’𝐮𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚, 𝐞𝐜𝐜.
Quindi, abbiamo concluso favorevolmente - tra ricorsi, controricorsi, esposti, vari papelli e bolle arrivati in tutte le procure e tribunali della Repubblica e in decine di Istituzioni pubbliche - una controversia amministrativa?
Non soltanto, abbiamo anche cambiato la cultura amministrativa del paese portandola su un diverso livello di confronto nell’interesse pubblico e dei cittadini!
𝐒𝐕𝐎𝐋𝐓𝐀 𝐒𝐓𝐎𝐑𝐈𝐂𝐀
Da oggi la vita amministrativa del paese non sarà più quella del passato e, come ha detto Confucio, “Non importa quanto vai piano, l'importante è che non ti fermi.”
E noi di Rinascita non ci siamo mai fermati!

Stromboli accoglie la nuova dirigente scolastica

La comunità di Stromboli ha accolto oggi con grande gioia la visita della Prof.ssa Patrizia Muscolino, nuova Dirigente Scolastica dell'Istituto Comprensivo "Isole Eolie".

L'incontro è stato un momento di forte coesione: fanciulli e ragazzi dei vari ordini di scuola presenti sull'isola, insieme ai loro insegnanti, alle famiglie e al personale ATA, si sono stretti intorno alla dirigente in un grande e caloroso abbraccio.

Al termine dell'accoglienza, la comunità scolastica si è unita ai fedeli nella Chiesa di San Vincenzo per un momento di preghiera. Nel giorno dedicato a San Pio da Pietrelcina, i presenti si sono ritrovati intorno all'altare per pregare per la Pace. A questa preghiera si è unita anche la locale stazione dei Carabinieri dell'isola, rappresentata da due militari.

Don Giuseppe Mirabito e Padre Emilio hanno portato i saluti dell'Arcivescovo. Quest'ultimo, in un messaggio indirizzato al mondo della Scuola in vista dell'inizio delle lezioni, ha esortato studenti e insegnanti a impegnarsi per costruire ponti di dialogo e abbattere muri di divisione: “Solo rispettando la dignità di ogni persona e accogliendo nella vita la nostra diversità, potremo edificare la pace e una società migliore”.

Al termine della celebrazione, la Dirigente Scolastica Patrizia Muscolino ha rinnovato la sua personale gratitudine per il "Dono" di questa giornata, esprimendo la certezza che resterà tra i ricordi più cari nel cuore di tutti i partecipanti.


Scriveva così...oggi...lo scorso anno la Gazzetta del sud


 

;Lipari: Assunzione a tempo determinato e part - time per 7 Istruttori di Polizia Municipale

Con delibera della giunta Gullo sono assunti, a tempo determinato (20.12.2025) e part- time (30 ore settimanali), sette Istruttori di Polizia Municipale - Cat. C. Prenderanno servizio dal prossimo 1° ottobre

La delibera è consultabile all'Albo Pretorio del Comune www.comunelipari.it 

Calendario disinfestazione nell'isola di Lipari


 

Auguri di...

Buon compleanno a Alessia Carbonaro, Roberta Lorizio, Paola Cincotta, Anna Maria Mandarano, Rosanna Mandarano, Alessio Ferrara, Andrea Cordaro, Manuela Giunta, Antonello Favorito, Francesca Fonti, Lucia Ziino 




C.S. Lipari, una storia a tinte rosso - blu: Capuano, De Salvo, Arico', Accetta


 Da sx: Lorenzo Capuano, Pippo De Salvo, Giovannello Arico', Gaetano Accetta. 

Undicesimo anniversario dalla scomparsa di Damiano Russo

 
Il tuo ricordo è luce che non si spegne, forza che non ci abbandona, amore che resta per sempre

La "Pagina culturale" QUELLA DI FLORENZIA, UNA STORIA DA RACCONTARE di Michele Giacomantonio (Puntata 1 di 10 - Riproposizione)


Eolienews torna a rioccuparsi della vita di Giovanna Profilio in religione Florenzia. 
Sarà fatto, attraverso la riproposizione di 10 puntate tratte dal   libro di Michele Giacomantonio “Questa è Florenzia”, Edizioni San Paolo.  

1° puntata

Da lassù si spaziava sull’isola. Si scorgevano anche tutte le altre isole dell’arcipelago e spingendo lo sguardo, in quella bella giornata di maggio, si intravedevano anche le coste della Sicilia e della Calabria. Uno spettacolo da mozzare il fiato, lontano dai rumori, circondati dai colori vivi della natura ancora primaverile.
      È proprio bella Lipari, soprattutto da quassù, osservò la ragazza, indicando con un gesto ampio del braccio la cittadina adagiata nel pianoro vicino al mare, le colline circostanti, Vulcano sullo sfondo e poi – volgendo il capo – il bianco monte Pelato, Salina, Panarea e Stromboli.
Sì, da quassù non si vedono i diversi guasti che sono stati recati all’ambiente, le brutture dei due porticcioli, lo scempio di alcuni tratti di Marina lunga…, commentò il vecchio con ironia.
Non è che poi i guasti sono così gravi, in giro c’è di peggio. Vulcano ad esempio… – cercò di correggere la ragazza che qualche volta trovava eccessivo il pessimismo dell’anziano professore –. Piuttosto mi chiedo come mai posti così belli non abbiano generato anche anime splendide che si sono affermate divenendo famose…
Non sempre le anime splendide diventano famose. Per lo più rimangono nell’anonimato. È più facile che si impongano all’attenzione quelli che sanno apparire piuttosto che essere… Comunque, Lipari ha avuto un personaggio che ha saputo emergere a livello mondiale ed è nato proprio qui a poche centinaia di metri da Forgia Vecchia. Gli sono state dedicate strade, scuole non solo a Lipari, a Palermo, a Roma, ma anche in Brasile e in Perú.
“E chi è? Uno scrittore? Un poeta?”.
“No. È una donna, una grande donna, una suora”.
“Una suora?!”.
“Sì, una suora. Se vuoi, te ne racconto la storia”.
“Sarà madre Florenzia Profilio, so che qualche tempo fa è uscito un libro su di lei”.
“Florenzia che ha svegliato l’aurora”. È un libro scritto soprattutto sui documenti storici. Quella che voglio raccontare ora è, invece, una storia che va al di là dei documenti e delle testimonianze. È la storia della mia Florenzia, nel senso che ho cercato di ricostruire, con il cuore e la mente, anche momenti salienti della sua vita che non sono espressamente documentati.
“Quindi un racconto più libero ma sempre fondato e aderente alla realtà”.
“Proprio così. Ho cercato di camminare lungo le linee certe della sua vita, riempiendo solo dei vuoti. Come quando un bambino colora un album: le figure sono tracciate e lui vi aggiunge solo i colori”.  

LA GIOVINEZZA A LIPARI  
1. In ascolto della voce

Nella seconda metà dell’Ottocento a Pirrera, laggiù a est della chiesa, in quei terreni ai piedi del ripido sperone, viveva una famiglia di modesti contadini che, grazie al lavoro del padre, oltre a coltivare i campi e a produrre il vino e l’olio, aveva avviato un piccolo commercio. Infatti, il padre si recava spesso a Napoli, approfittando dei velieri di passaggio, per vendere il vino che produceva. Così la famiglia, che era diventata piuttosto numerosa, viveva, per quei tempi, una vita decorosa e serena.
Era la famiglia di Peppe Profilio, che nel 1881, quando voglio fare iniziare il racconto, aveva 50 anni. Papà Peppe era un gran lavoratore e, fino a quando ebbe salute, garantì alla famiglia, sempre in crescita, una discreta agiatezza come poteva essere quella di una famiglia di contadini di quel tempo. Oltre che un lavoratore, Giuseppe era un marito fedele e un padre affettuoso e aveva una particolare predilezione per Giovanna, la terza figlia, nella quale intravedeva un carattere forte e determinato. La moglie di Peppe era Nunziata, che di anni ne aveva dodici di meno, e poi vi erano quattro figli, dalla più grande Angelina, che però tutti chiamavano Rosa, e aveva 12 anni, fino ad Antonino chiamato Ninuzzo, il più piccolo, di solo 3 anni, gracile e malaticcio. I Profilio avevano avuto anche un altro figlio, il primo, che avevano chiamato Giuseppe come il papà, ma a poco più di un anno se l’era portato via una brutta malattia, e così il nome Giuseppe era passato a un altro fratellino, che era nato otto anni dopo la morte del primo.
Mamma Nunziata era una donna religiosa ma non bigotta, nel senso che sapeva armonizzare la pietà religiosa e i suoi doveri familiari che non trascurava mai. Era anche severa e persino rigida con i figli, e non tollerava disobbedienze. Questo non voleva dire che non fosse anche amorevole, ma il suo era un amore possessivo, geloso e forse, come vedremo, esclusivo.


Il centro di Lipari sul finire dell’800

Giovanna, è lei la protagonista della nostra storia, aveva a quel tempo 8 anni. Viveva la vita che si faceva nelle tranquille contrade di una Lipari, la cui cittadina capoluogo invece tranquilla non era perché ospitava una colonia di coatti, cioè di persone che si erano macchiate di reati comuni e per questo venivano mandate al confine. Più tardi al confine verranno mandate anche persone di tutt’altra educazione e formazione perseguitate per reati politici. Ma non erano queste persone il problema, il vero problema erano i <<coatti>> che, ubriacandosi abitualmente, qualche volta lasciandosi andare ad azioni violente o molestando gli abitanti e soprattutto le donne, rappresentavano un fattore di turbativa, di grave degrado sociale e, per molti aspetti, anche un’emergenza igienico-sanitaria.
Nelle campagne, invece, la vita trascorreva serena, cadenzata dal ritmo delle stagioni. Si coltivava la terra, si accudiva al pollaio e agli animali domestici, come l’asino e qualche capra per il latte o un paio di pecore per la lana, una volta la settimana si impastava e infornava il pane e ogni tanto anche qualche dolce e, quando era il tempo, si pigiava l’uva per fare il vino e si spremevano le olive per ricavarne l’olio.
Giovanna, oltre a partecipare di questa vita, frequentava la scuola elementare. Tutti i lunedì mattina scendeva con le sorelle Angelina e Nunziatina da Pirrera a Lipari, a piedi, per un sentiero scosceso e sconnesso che, passando la Serra, a fianco della chiesetta della Madonna Assunta, l’accompagnava sino a Bagnomare e poi da lì, costeggiando la Marina San Nicolò, come si chiamava allora Marina Lunga, arrivava alla cittadina. Mezz’ora di strada a passo svelto a scendere, ma un’oretta buona a risalire il sabato dopo pranzo. E questo tutte le settimane, con qualsiasi tempo, col sole o con la pioggia e col vento.

Lipari vista da Pirrrera. Dalle stampe di Salvatore D’Austria, seconda metà dell’800.

Giovanna non amava molto la scuola non solo per la fatica che doveva sobbarcarsi tutte le settimane e per il fatto che a Lipari dovevano, tutt’e tre le sorelle, cavarsela da sole nella casa du strittu a Sena pressappoco dove oggi c’è la chiesetta del Pozzo, ma anche perché le cose che a scuola le insegnavano non la interessavano molto. Va bene imparare a scrivere e a leggere, va bene imparare a fare di conto, ma tutte quelle poesie da studiare che le sembravano un po’ vuote e astruse, quelle letture francamente irreali, quei problemi assurdi, e non è che Giovanna fosse una ragazzina svogliata e pigra. Lei di interessi ne aveva tanti, ma non erano quelli che si affrontavano a scuola. Si stupiva di tutto quanto gli accadeva intorno e lo stupore la portava a farsi delle domande. Si stupiva che nel mese di marzo, al primo sole tiepido, i prati verdi si riempivano di fiorellini gialli che chiamavano “pratarole”; si stupiva e si entusiasmava a vedere i mandorli prima e i peschi poi mettere i fiori che annunciavano la primavera; aveva cominciato a stupirsi fin da bambina, quando da u bagghiu della sua casa osservava incantata il volo delle rondini, tutte in fila ordinate. Si
U bagghiu delle case eoliane

soffermava a pensare come mai il mosto diventava vino, come mai il pane lievitasse, come sbocciavano i fiori e crescevano le piante, come nascevano gli animali domestici. Ecco, questo fatto che la natura si trasformava secondo una propria logica, un proprio disegno, dove sembrava che ogni cosa si collegasse a un’altra, l’affascinava. Sembrava un grande coro, più grande di quello che in chiesa organizzava il cappellano con le ragazze di Pirrera.

 Il quadro della Madonna degli Angeli, oggi.

Nella natura ognuno faceva la sua parte senza stonare e non c’era bisogno che qualcuno intervenisse a richiamare chi se ne andava per i fatti propri. E Giovanna sapeva chi era a dirigere questo coro. Sapeva che era stato Dio a creare l’universo e a dare ad esso un ordine. Quando Giovanna pensava a Dio, lo vedeva come un signore molto lontano, là sulle nuvole. Più prossimi gli apparivano, invece, il suo figlio Gesù e la mamma di lui, la Madonna. Passava ore intere Giovanna a contemplare il quadro della Madonna degli angeli nella chiesetta di Pirrera e vi sarebbe rimasta anche più a lungo, se mamma Nunziata non l’avesse richiamata sgridandola, perché c’era tanto da fare in casa e, soprattutto, bisognava accudire al fratello più piccolo, Ninuzzo, che stava sempre male, mentre lei spariva, spesso, quasi per una mezza giornata.
“Dove sei stata?”, le chiedeva un po’ burbera mamma Nunziata.
“In chiesa”, rispondeva quasi sempre Giovanna, “ho aiutato don Peppino a fare un po’ di pulizia e a sistemare i fiori e, quando lui è andato via, mi sono seduta a guardare la Madonna”.
“La Madonna sa che in casa c’è tanto bisogno e non è contenta, quando tu te ne stai lì seduta a correre dietro alle tue fantasie”, concludeva la mamma.
Ma Giovanna non correva dietro fantasie. Da qualche tempo aveva intuito che il silenzio era importante per capire la natura non solo, ma che soprattutto Gesù e la Madonna nel silenzio parlavano. Il silenzio, per lei, era ascolto. Ascolto di un altro che esisteva anche se non lo vedevi. Un altro che voleva parlarti, ma che tu non sentivi perché avevi la testa piena di troppi pensieri, di troppe cose, cose tue spesso futili. Un altro che tentava di parlarti, ma tu non stavi a sentire.
Una volta suo padre gli aveva raccontato che ci sono suoni che sentono solo gli animali e non le persone. Glielo aveva detto uno scienziato che aveva incontrato in uno dei suoi viaggi. E a Giovanna, nella mente, improvvisamente si era dischiusa una porta.
Così aveva cominciato a pensare che forse anche Gesù e la Madonna cercavano di parlare con gli uomini, ma gli uomini non li sentivano perché il loro orecchio non li percepiva.
Più ci pensava Giovanna e più le sembrava che questo fosse possibile. E un giorno ne parlò a don Peppino. Don Peppino era un prete paziente e stette a sentire la bambina. Poi la guardò fisso e le disse con gli occhi che si erano fatti luminosi.
“Potrebbe essere. Anzi probabilmente è così. Di santi che sentivano la voce di Gesù e della Madonna ce ne sono diversi. Per esempio san Francesco, per esempio Giovanna d’Arco. A Lourdes, più di vent’anni fa, la Madonna è apparsa a Bernadette, una ragazzina di un paesino francese, e le ha parlato. Tu continua a parlare con Gesù e la Madonna e può darsi che un bel giorno essi ti rispondano. E poi, fra qualche mese, farai la prima comunione. In quell’occasione Gesù, comunque, parlerà al tuo cuore e forse… chissà, anche alle tue orecchie”.
E così Giovanna si mise ad aspettare il giorno della prima comunione. Ora stava con le orecchie e il cuore aperto non solo in chiesa dinanzi al quadro della Madonna, ma in ogni momento della giornata che aveva libero. Ascoltava in silenzio e pregava. Pregava e ascoltava in silenzio. E allora sentiva intorno a sé una grande serenità, sparivano tutti i problemi e le preoccupazioni.
Così arrivò il giorno della prima comunione, una splendida mattina di maggio. Giovanna si recò in chiesa con i genitori, vestita del suo abitino bianco che già era servito alle sue sorelle e che la mamma le aveva adattato. E davanti alla chiesa aveva incontrato le altre bambine, tutte vestite di bianco, tutte eccitate per quella giornata di festa. C’era chi parlava dei regali che aveva ricevuto, chi del pranzo che a casa avevano preparato, ma Giovanna pensava all’incontro con Gesù. Le avrebbe finalmente parlato? Avrebbe sentito la sua voce? Ci aveva pensato tutta la sera precedente appena giunta a letto e aveva fatto fatica a prendere sonno. Ma poi il sonno era arrivato di botto.
La messa e le comunioni furono una bella funzione e don Peppino, alla predica, disse delle cose commoventi. Anzi, a un certo punto, le sembrò che si riferisse in particolare a lei quando soggiunse: “Parlate a Gesù e vedrete che egli vi risponderà”.
Di ritorno a casa, mentre papà e mamma chiacchieravano con gli altri genitori, Giovanna prese in disparte Angelina, che era la sorella più grande e aveva già 12 anni.
“Gesù mi ha parlato, mentre facevo la comunione”, le confidò Giovanna in un sussurro.
“Certo – le rispose la sorella –, Gesù parla sempre al nostro cuore”.
“Io ho sentito la sua voce – insistette Giovanna –, come ora sento la tua”.
“Ti ho detto che Gesù parla al cuore – ribatté la sorella con maggiore forza –, ma la sua voce non si sente”.
“Ed io, invece, ti dico che l’ho sentita e mi diceva che, se io continuerò a parlargli, lui seguiterà a rispondermi”, replicò Giovanna con altrettanta forza.
Angelina non se la sentì di ribattere. Era un po’ strana quella sua sorella e spesso si fissava su delle cose. Così chiuse la conversazione con un suggerimento.
“Forse è meglio non dirlo troppo in giro, la gente potrebbe prenderti per pazza”.
                 (Prima puntata. Continua)