Cerca nel blog

mercoledì 14 luglio 2021

QUELLA DI FLORENZIA, UNA STORIA DA RACCONTARE di Michele Giacomantonio (Puntata 6 di 10)

Sesta puntata
FUORI DAL TUNNEL: I PREGIUDIZI DI MONS. BALLO

1) La vicenda di suor Francesca






Un primo piano di Mons. Paino a sinistra e a destra Mons. Ballo con un ufficiale USA 

Gli anni più difficili per Florenzia sono quelli che vanno dal 1919 al giugno del 1924. L’istituto, che è ormai costituito da quattordici anni e ha avuto uno sviluppo modesto, ora non solo si blocca completamente senza vestizioni e professioni religiose, ma vi sono diversi abbandoni. Anzi il bilancio fra arrivi di nuove aspiranti e defezioni per malattie, demoralizzazioni, ripensamenti fu decisamente negativo. Una delle spiegazioni di queste accresciute difficoltà sta nel rapporto difficile che si instaura fra Florenzia e mons. Salvatore Ballo Guercio, che sostituirà a Lipari mons. Paino. Mons. Ballo sarà nominato amministratore apostolico il 10 gennaio 1921 e lo rimarrà fino al 17 aprile 1928.
Abbiamo già detto della freddezza che era calata fra mons. Paino e la superiora francescana negli ultimi tempi a causa del comportamento del fratello Antonino, che era partito per gli Stati Uniti con l’impegno di tornare dopo tre mesi. Invece gli anni passavano e lui trovava sempre nuovi espedienti per rimanere a New York.
– È un abile giocatore d’astuzia –. Era il giudizio che aveva dato di lui il vescovo.
Comunque, il raffreddarsi dei rapporti fra il vescovo e la suora non arrivarono a coinvolgere l’istituto. Quando i genitori e i parenti delle aspiranti e delle novizie gli si rivolgevano per informarsi sulla congregazione, lui li rassicurava.
– State tranquilli – ripeteva a tutti –, l’istituto è stabile e non c’è pericolo che le vostre figlie rimangano in mezzo a una strada
Poi, proprio negli ultimi mesi in cui mons. Paino aveva la responsabilità episcopale di Lipari, accadde un fatto che fece molto scandalo e gettò una luce negativa sulle Suore Francescane. Lo scandalo ha un nome: suor Francesca Pino, che aveva emesso i voti triennali nell’ottobre del 1913. Francesca era rimasta orfana nel terremoto del 1908 ed era stata ricoverata in un istituto di Messina. Qui la conobbe Florenzia e la ragazza ne rimase tanto conquistata che chiese di seguirla a Lipari perché voleva farsi suora.
Alla casa di Lipari fu ammessa come aspirante, perché non aveva l’età necessaria. Frequentò l’istituto tecnico con profitto e incominciò, da aspirante, a studiare musica sotto la guida di quel bravissimo musicista che era il maestro Concetto Abate. Sia per la bravura del professore, sia per la spiccata tendenza per la musica che la ragazza dimostrava, sia per la perseveranza in questi studi, ai quali si applicò per più di dieci anni, Francesca raccolse subito riconoscimenti e apprezzamenti e, a partire dal 1918, insegnò musica nell’istituto delle suore con soddisfazione dei genitori e degli alunni. Grazie a lei la casa di Lipari, alla scuola elementare, all’asilo, al laboratorio di taglio, cucito e ricamo poteva aggiungere anche la scuola di musica. Florenzia le era molto affezionata, ma questo sentimento non le offuscava il giudizio. C’era qualcosa in quella giovane che non la persuadeva e per questo, scaduto il tempo della professione triennale, non aveva voluto darle il benestare per la professione perpetua.
– È bene che tu rifletta ancora un po’, suor Francesca – le aveva consigliato –, la professione perpetua è un passo decisivo perché deve essere per tutta la vita.
E, proprio verso lo scadere di un nuovo triennio, le sensazioni della superiora cominciarono a prendere corpo. Fino allora Francesca era sempre stata molto precisa ed esemplare nel rispettare la regola e nel partecipare alle funzioni religiose e ai momenti spirituali, ora invece appariva sempre più come svogliata e distratta. Aveva la testa altrove e anche il suo insegnamento alla scuola di musica aveva preso a soffrirne e, per la prima volta, allievi e genitori cominciarono a lamentarsene.
Florenzia voleva vederci chiaro e cominciò a discuterne con le suore più anziane, suor Margherita, suor Veronica e suor Teresa, di cui si fidava ciecamente. E così, confidenza dietro confidenza, venne fuori che fra suor Francesca e Assunta, una ragazza di Lipari che frequentava il laboratorio di ricamo, si era sviluppata un’amicizia particolare. La rivelazione colpì profondamente Florenzia che considerava Francesca come una figlia.
– Le parlo io – disse alle tre suore –, voi non ditele niente.
Ma quando la superiora incontrò Francesca, si trovò di fronte a una reazione che non aveva previsto. Rivelando una rabbia profonda, a voce sempre più sostenuta questa cominciò a dire che lei veniva discriminata perché era troppo brava e nell’istituto, invece, facevano strada le incapaci e le ignoranti che non potevano fare ombra alla superiora. Per questo non le era stato permesso di fare la professione perpetua. Ma lei non intendeva più far finta di niente come era avvenuto finora. Quello che accadeva in quell’istituto l’avrebbe detto a tutti. E, gesticolando, pose fine al colloquio volgendo le spalle e andandosene via.
Da allora cominciò a creare situazioni incresciose, cercando di attizzare scontri e polemiche. Ora faceva apposta rumore durante i momenti di preghiera, sapendo quanto Florenzia ci tenesse al silenzio; ora protestava per la qualità del cibo; ora trascurava i suoi impegni, dicendo che non stava bene e lamentando forti mal di testa e così via. Poi una sera – proprio quando Florenzia, sempre più provata e prostrata dal dolore, si chiedeva come risolvere la situazione – alla fine di un’ennesima sfuriata, prendendo lo spunto da un’osservazione della superiora che l’aveva mandata a chiamare perché era ora di cena e lei si attardava a chiacchierare con Assunta sulla porta dell’istituto, Francesca, quasi gridando, dichiarò che quella era la goccia che faceva traboccare il vaso. Platealmente si tolse l’abito e il velo, corse nella camerata a cambiarsi e a raccogliere le sue cose, annunciò alla superiora e alle suore esterrefatte e sgomente che se ne andava via per sempre e raggiunse l’amica che l’aspettava al portone,
Qualche giorno dopo, avveniva l’insediamento a Lipari di mons. Ballo e Francesca chiese subito di essere ricevuta. Per scusare la propria condotta che ormai era di dominio pubblico, la giovane, si presentò a mons. Ballo e rovesciò dinanzi al presule una grande quantità di calunnie nei confronti di



Florenzia e dell’istituto, parlando di comportamenti stravaganti, di strani sistemi formativi, di metodi punitivi che facevano rabbrividire. Purtroppo non si trattava di accuse isolate. Da qualche tempo, circolava a Lipari un giudizio diffuso, sia negli ambienti ecclesiastici sia nel popolo, che la mancanza di vocazioni e gli abbandoni fossero dovuti al carattere troppo ostinato e rigido della superiora. La gente, infatti, spesso parla senza conoscere i fatti e sembra prendere gusto a denigrare le figure di spicco che vengono proposte come esempio e modello. E questi giudizi amplificati e confezionati ad arte, passando da ambiente ad ambiente, non avevano trascurato le Suore di Carità che continuavano a vivere l’iniziativa dell’istituto francescano come un pericolo per la loro attività. E le Suore di Carità non avevano trascurato di riferire le voci all’amministratore apostolico a sostegno delle loro lamentale, anche queste amplificate e confezionate.
Mons. Ballo, senza alcuna esperienza del posto e non solo per la fresca nomina, ma anche perché risiedeva a Pace del Mela e veniva a Lipari saltuariamente e sempre di fretta, aveva per di più un carattere propenso a emettere giudizi sbrigativi senza verificarli e, quindi, a giudicare le persone dalla prima impressione esteriore. Sommò così uno più uno e sposò, nei confronti di Florenzia e del suo istituto, la posizione più estrema. Si convinse che, essendo quella suora un’illusa, una donna senza cultura, impari al compito che si era preposto, la migliore soluzione sarebbe stata quella di chiudere l’opera e ritenne di poterlo fare, visto che l’istituto era di diritto diocesano. Per intanto applicò la linea della sospensione delle vestizioni e delle professioni.

2. La malattia di Florenzia
Anni difficili, anzi terribili per Florenzia, abbiamo detto. Malgrado la sua forte fede, la suora dovette in qualche momento temere per il futuro del suo istituto fra la freddezza del vescovo, la diffidenza dell’ambiente, le difficoltà economiche prodotte dalla guerra, i problemi interni alla Casa cui abbiamo fatto cenno, la solitudine e i problemi della famiglia lontana. Il pericolo più grave e imminente era che mons. Ballo desse seguito alla minaccia di chiudere l’istituto. Poteva veramente farlo e come si poteva impedirlo? A chi rivolgersi e chiedere consiglio? Naturalmente al fratello, sebbene fosse a New York. Lui aveva studiato e avrebbe saputo come consigliarla. E, infatti, don Antonino scrive al suo professore di morale, don Lavitrano, che abbiamo già conosciuto perché aveva difeso mons. Raiti nel conflitto con le Suore di Carità.
E la risposta non si fa attendere e dissipò le preoccupazioni di Florenzia almeno su questo punto. Dal 1917 – scriveva il docente – era in vigore il canone 413 del Codice di diritto canonico che stabiliva che una congregazione, sia pure di diritto diocesano, anche se con una sola casa, poteva essere soppressa solo dalla Santa Sede e sulla base di una rigorosa documentazione. Quindi don Antonino poteva scrivere alla sorella di stare tranquilla. “Lasci che il Vescovo faccia i suoi passi, che la vicenda poi sarebbe stata opportunamente seguita da Roma”.
Se finalmente giungeva una buona notizia, la tensione patita era stata, però, troppo forte. Essa esplose con particolare violenza minando il fisico della suora. Ne risentirono i nervi e fu sopraffatta da una debolezza che non riusciva a superare in alcun modo. Così, su consiglio del medico, dovette ritirarsi a Pirrera nella casa paterna e prendersi un periodo di riposo assoluto, lontana dall’istituto. Un periodo lungo di sei mesi che le temprò lo spirito, ma le lasciò tracce nel fisico – come una continua tensione nervosa – che l’accompagnarono fino alla morte.
Il panorama da Pirrera

Lunghe giornate trascorse nella quiete di Pirrera in solitudine. A giorni alterni l’andava a trovare suor Margherita che l’aggiornava sui problemi e ogni tanto, quasi tutte le settimane, venivano su le altre suore a farle un po’ di compagnia. Soprattutto nel pomeriggio, verso sera, faceva una passeggiata per le campagne e arrivava fino a Forgia Vecchia o verso Culìa, o visitava le amiche di un tempo e i parenti chiacchierando del più e del meno. Ma la maggior parte del tempo lo passava a meditare e a pregare. Meditava e pregava nella sua casa, nella chiesa, camminando per le stradelle. In cima ai suoi pensieri c’era la sorte dell’istituto. Che cosa era più opportuno fare? Florenzia sapeva che ancora una volta tutto dipendeva da lei, dal coraggio e dalla forza con cui sarebbe riuscita ad affrontare la situazione, a tranquillizzare le sue consorelle e, soprattutto, a convincere il vescovo. Si era persuasa ormai che, se l’istituto rimaneva chiuso nei confini di Lipari, sarebbe deperito sempre più. Lei non voleva abbandonare Lipari, qui era nato l’istituto e qui doveva continuare a vivere la sua casa madre. Ma, se voleva che l’istituto si sviluppasse, una testa di ponte forte doveva essere aperta in Sicilia, e possibilmente ad Acireale, dove aveva già messo un avamposto. E riflettendo, quasi impercettibilmente, il ragionamento diventava preghiera. Pregava e pregava l’Immacolata sotto la cui protezione aveva posto la congregazione. E alla Madonna, nella sua riflessione orante, Florenzia ripeteva: “La mia non è una fuga dalle difficoltà, vuole essere un passo avanti per superare le difficoltà” E mentre ripeteva queste parole, se era in chiesa, volgeva lo sguardo verso quella statua che tanto aveva contemplato da bambina e da ragazza. E fuori dalla chiesa – come faceva da giovinetta quando, al mattino presto, all’aurora, andava ad ascoltare la messa – gettava lo sguardo oltre Monte Rosa, là dove il cielo toccava il mare e si colorava di rosso fuoco.
E finalmente, una mattina di novembre, sentì che nel suo animo non c’era più apprensione e preoccupazione, ma una grande serenità. Finita la messa, uscendo sul sagrato della chiesa nuova, vide che era venuta a incontrarla suor Margherita.
Petralìa Sottana

“Ha scritto padre Luciano Geraci, l’arciprete di Petralìa Sottana. Vuole due suore per lavorare nella parrocchia”. “Ci andrete voi, suor Margherita, che conoscete ormai la zona – le rispose sorridendo Florenzia e subito aggiunse –: la quarantena è finita e si torna a battagliare nel nome del Signore. Oggi stesso tornerò alla Casa. Voi, che ormai siete la nostra punta di diamante, fatevi accompagnare da vostra nipote e andate a vedere com’è la situazione. Padre Geraci è una gran brava persona”.
Così Florenzia rientrò a Lipari, in via Diana, accolta dalle suore e da quanti frequentavano la casa festanti, felici di rivederla ristabilita, ma soprattutto determinata e risoluta. Alle suore comunicò subito che nel giro di qualche giorno sarebbe andata a trovare il vescovo e gli avrebbe chiesto di convocare il primo Capitolo generale della Congregazione per eleggere la superiora e le consigliere secondo quanto stabilito dallo Statuto.
Florenzia non è la sola che si è preparata a questo incontro e l’attende con ansia. Anche mons. Ballo vi si era preparato o aveva creduto di prepararsi. Oltre a Francesca, aveva raccolto la confidenza di alcune altre suore. Quante? Tutte, almeno così confida in una lettera al vescovo di Acireale, e tutte gli avrebbero manifestato il malcontento dell’intera comunità. Troppo aspra e nervosa, questa superiora, senza le doti necessarie per poterne tenere la direzione. Per questo l’istituto non si è sviluppato… Per amore dell’abito che le suore indossano – aggiungeva il prelato – e per non vederle trasferire ora in una, ora in un’altra casa, sarebbe prudente consigliarle di fondersi con qualche congregazione di Suore Francescane oggi fiorentissime. Comunque, visto come la pensavano tutte le suore, il prossimo capitolo avrebbe posto fine alla vicenda.
Con questi propositi maturati è ben contento mons. Ballo di acconsentire, quando Florenzia ne fa richiesta, affinché si svolga il primo capitolo.

2. Il primo Capitolo
Il giorno 23 marzo 1922 ha inizio questo evento con la celebrazione della messa allo Spirito Santo, presieduta dallo stesso mons. Ballo. Poi, fatta colazione, si passa nell’aula capitolare. Il vescovo è solo con le suore. Si fa consegnare le chiavi dell’istituto, la Regola e le Costituzioni e quindi prende la parola.
“Questa di oggi, dice fra l’altro, non è una semplice formalità, ma un atto di grande rilevanza che obbliga ognuno di voi a compiere la scelta a cui è chiamata in piena coscienza e libertà. Le sorti della Congregazione sono nelle vostre mani”.
Nelle votazioni per la superiora, Florenzia ebbe subito la maggioranza al primo scrutinio e fu, quindi, canonicamente eletta e proclamata Superiora generale della congregazione da parte dello stesso vescovo. A questo punto mons. Ballo ordina di andare in chiesa per la recita del Te Deum e consegna all’eletta le chiavi dell’Istituto, la Regola e le Costituzioni.
Ritornate in aula, si proseguì alle elezioni delle consigliere e della maestra delle novizie. Consigliere vennero elette Veronica La Greca, Teresa La Spina e Margherita Restuccia. Suor Veronica fu eletta anche vicaria e suor Margherita maestra delle novizie. Finite le votazioni, mons. Ballo – facendo buon viso a un risultato che non riusciva a spiegarsi, salutando le suore col volto serio – tornò in episcopio.
Un volto serio che diceva più di molte parole come ebbe a constatare Florenzia quando, un paio di mesi dopo, andò in episcopio a illustrare il suo progetto di trasferire il noviziato ad Acireale, pur lasciando a Lipari la casa generalizia.
Riguardo al pensiero del vescovo, la superiora non si faceva illusioni, ma era determinata e forte dei suoi diritti. Quando fu fatta entrare nello studio al cospetto del prelato, con calma e umiltà ribadì le sue ragioni.
Mons. Ballo capisce che questo è il momento di mettere sul tavolo i suoi convincimenti, rispetto ai quali, malgrado i risultati del capitolo, non era arretrato di un sol passo. Così smise di giocare di fioretto e sfoderò armi più pesanti.
“Cara Madre, l’Istituto non si è sviluppato non per le ragioni che lei dice, ma perché lei è inadeguata a fare la superiora. Io speravo che fossero le stesse suore a sciogliere questo nodo, ma così non è stato. Ora mi sembra che ci siano solo due strade di fronte a voi: o fondersi in un istituto fiorente di suore francescane ed io stesso posso darle una mano se accetta questa prospettiva, oppure lei mi costringe a chiudere l’istituto che è di diritto diocesano e, quindi, dipende da me”.
“Eccellenza, con tutto il rispetto, Lei non può chiudere l’istituto”, ribatté Florenzia e ricordò al vescovo il canone 413 del diritto canonico in vigore dal 1917, di cui aveva parlato al fratello il professore don Lavitrano.
Il vescovo non si aspettava questa reazione e, soprattutto, questa citazione così precisa. Scatta in piedi e, rosso in volto, comincia a raccogliere le carte che ha sul tavolo come per darsi un contegno.
Ma le parole gli si strozzano in gola e non riesce che a dire, farfugliando un po’: “Vada fuori” e, puntando il dito verso la porta, fece capire che il colloquio era finito.
Che cosa significava quel “Vada fuori”? Il consenso ad andare ad Acireale come volle interpretarlo Florenzia e come riferì alle consorelle tornando in istituto? Oppure, più semplicemente, un brusco congedo per troncare quella riunione?
Probabilmente entrambe le cose, giacché mons. Ballo nel suo giudizio negativo non accusò mai la suora di disubbidienza e, inoltre, sarebbe stato ben felice se l’apertura di una casa ad Acireale avesse significato il togliersi l’Istituto dalla sua responsabilità.
Cosa, però, che non avvenne, anche se il 5 giugno la suora scrive al vescovo di Acireale per chiedere l’autorizzazione di aprire nella sua diocesi una casa religiosa. In quel momento la diocesi di Acireale è vacante. Mons. Bella era morto il 9 marzo e passeranno mesi prima che il nuovo ordinario, che sarà mons. Fernando Cento, ne prenda possesso.
Ed è praticamente ormai la fine del 1922, quando il nuovo vescovo ha la possibilità di occuparsi della richiesta di Florenzia. Ha sul tavolo le referenze positive del parroco di Petralìa Sottana e del delegato dell’Amministratore apostolico di Cefalù, ma conosce anche le critiche di mons. Ballo di cui, almeno in partenza, sembra condividere il giudizio su Florenzia – nulla da eccepire dal punto di vista religioso e morale, ma riserve sulla cultura, sul temperamento e sulle capacità quindi di essere superiora – e sull’istituto, e cioè il consiglio che queste suore si aggreghino a una congregazione già fiorente.
Questo scrive mons. Cento a Roma alla Congregazione dei Religiosi delegando ad essa ogni decisione. Se Roma riterrà di mantenere in vita questa struttura, comunque soggetta al vescovo di Lipari, egli ne avrebbe seguito con benevolenza il noviziato e avrebbe incaricato le Suore Francescane nella cura delle parrocchie rurali dove avrebbero potuto fare gran bene.
Ma è proprio sul problema di quale dovesse essere la diocesi responsabile – Lipari o Acireale – che si sviluppa un lungo contenzioso per corrispondenza fra mons. Cento e mons. Ballo, chiamando in causa la stessa Congregazione romana. Un contenzioso che si trascinerà per anni bloccando professioni religiose e vestizioni.

4. Un clima più sereno
Intanto Florenzia e le sue suore hanno un problema immediato. Una casa del noviziato doveva avere una sede adeguata e non poteva restringersi in poche stanze. E quindi ci si mise alla ricerca per tutta la cittadina e, alla fine, fu trovata in un antico e grande palazzo che le stesse suore – con sacrifici enormi, ma anche con serafica letizia – si misero a ripulire e ammobiliare. Nei primi giorni mancava di tutto: sedie, letti, tavoli. Ma Florenzia, come al solito, nonostante le sofferenze nel fisico che da qualche tempo non l’abbandonavano mai – alla debolezza dei nervi si erano aggiunti il mal di fegato e i reumatismi –, si coricava per terra assieme alle suore con tanta serenità da destare ammirazione.
Mons. Cento aveva raccomandato che nell’allestimento della nuova casa si prestasse soprattutto attenzione alla cappella. E Florenzia dedicò alla cappella la stanza più bella della nuova struttura e, per arredarla e addobbarla, chiese aiuto anche alle suore che si trovavano a Petralìa Sottana.
Ritrovare vecchie amiche come suor Margherita, suor Giacinta e suor Immacolata fu una grande festa. Improvvisamente i malanni e i dolori sembrarono svanire e la Madre fece da guida alle consorelle nel visitare la casa.
– È un bell’appartamento di otto stanze – commentò suor Margherita –, ma richiede tanto lavoro.
– E noi siamo qui per questo, aggiunsero suor Giacinta e suor Immacolata.
– Prima però – le interruppe Florenzia – raccontatemi di Petralìa.
– Le cose non potrebbero andare meglio – la rassicurò Margherita –; due giovani verranno ad Acireale per partecipare al noviziato e diverse altre ragazze hanno manifestato vocazione. E siccome devono trovare una casa accogliente, mettiamoci subito al lavoro.
– Gli operai hanno praticamente già completato i lavori – le informò la Madre –, quindi non rimane che fare le pulizie generali e arredare la cappella.
– Ci vorrebbe una bella statua, suggerisce Margherita.
– Una statua del Sacro Cuore, suggerisce Florenzia.
E poi – aggiungono le altre – un calice, la pisside, i candelieri, i portafiori, il leggìo, le pianete, e tela di lino per le tovaglie e i camici, la stoffa per le pianete, ecc. ecc…
– Un sacco di soldi.
– Occorrerebbe un’anima generosa che ci finanziasse.
– Don Antonino, mio fratello – confida Florenzia – mi ha promesso un aiuto, ma chissà quando arriverà.


 La casa di Acireale , oggi.

- Non un solo finanziatore, ma tanti finanziatori – interviene convinta suor Margherita –. Se c’è una suora che viene con me, mi incarico io di fare una colletta a Catania che è una città grande, dove ci sono tante famiglie benestanti. Vedrete che in una o due settimane raccogliamo quanto è necessario per la statua e tutto il resto.
E così fu. E mentre alcune suore giravano per Catania bussando alle porte delle case e degli uffici, altre pulivano, lavavano, lucidavano le stanze della nuova sede e altre ancora ricamavano pianete, corporali, purificatoi, tovaglie. Due mesi di lavoro notte e giorno, ma tutto fu pronto per l’inaugurazione che avvenne il 27 agosto 1923.
La serena letizia. che aveva caratterizzato questi due mesi di lavori straordinari, non era un’eccezione, ma la norma del piccolo istituto. Malgrado le preoccupazioni, Florenzia era il punto di riferimento e il motore di tutto: modello alle sue figlie di pietà soda e sincera, di spirito di sacrificio, di osservanza delle regole, di ogni virtù. Governava, dirigeva, formava le aspiranti con mano sapiente, avendo assunto per sé anche il compito di maestra delle novizie coadiuvata dalla vicaria, suor Veronica, quando doveva assentarsi. Insegnava a pregare, a salmodiare, a lavorare. Disponeva le sacre funzioni, dirigeva il coro, imponendo che fosse condotto con dignità, devozione e grazia.
Fedele a san Francesco, la Madre coltivava la perfetta letizia e comprimeva nel profondo dell’anima l’ansia e l’angoscia. Infatti, passavano i mesi e gli anni e non sapeva che cosa rispondere alle giovani che le chiedevano quando avrebbero preso i voti e fatta la vestizione. Eppure chi le era vicino la vedeva semplice e forte, premurosa e caritatevole. Ascoltava le suore animandole all’osservanza, all’umiltà, base e fondamento di ogni virtù, all’accettazione delle correzioni con umiltà e ripeteva loro spesso il motto di un filosofo che aveva appreso seguendo una lezione al corso delle novizie: “Se non hai un amico che ti corregga, paga un nemico che ti renda questo servizio”.
Nessuna insofferenza, nessuna recriminazione nei confronti di mons. Ballo, ma la convinzione ferma che tutto avveniva per volontà di Dio e che fosse Dio a metterla alla prova. Quante volte dovette meditare su quella frase del libro di Giobbe dove il giusto sofferente osserva: “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?”(2,10). “Uniformarci, soleva dire, alla volontà del Signore, il quale, certamente, avrà avuto i suoi fini particolari anche nel fare ritardare le vestizioni e sa risolvere sempre per il nostro bene”.
Certo, tanta serenità, umiltà e remissività non erano senza sforzo, ma il risultato di una pressione forte e continua sul suo temperamento impulsivo e passionale, per cui la tensione che portava dentro finiva con lo scaricarsi sul suo corpo già provato e ne minava la salute.
La fiducia di Florenzia nella Provvidenza traspariva soprattutto nella gestione dell’istituto che, malgrado le nubi e i temporali che stazionavano su di esso, continuava ad andare avanti nella propria vita e nel proprio impegno.
Ora l’istituto contava sedici professe, parecchie postulanti e tre case: Lipari, Petralìa Sottana e Acireale. La casa di Lipari si occupava di scuola, catechismo e di lavoro, ricamo, taglio e cucito; aveva anche un pensionato e, inoltre, contava due congregazioni di Immacolatine e Pagetti del SS.mo Sacramento, aventi ognuna di esse il rispettivo direttore. Quella di Petralìa Sottana si occupava di pensionato, scuole di lavoro e catechismo in parrocchia. La nuova casa di Acireale, oltre alla formazione delle novizie, stava organizzando un orfanotrofio e scuole professionali.
Non si può dire che ogni nube minacciosa sulla congregazione si fosse dissolta. Comunque, sembrava che con l’apertura della nuova casa di Acireale tutta l’opera riprendesse respiro: tornarono ad affluire le vocazioni e l’iniziativa di apostolato prese a svilupparsi, anche se di voti perpetui ancora non si parlava. In particolare, l’istituto si faceva conoscere e si diffondeva nella nuova diocesi. E come al solito Florenzia incessantemente si muoveva da Petralìa, a Lipari, ad Acireale. Non erano viaggi facili e scevri di pericoli, come l’episodio che le capitò alla stazione di Castelbuono, un’ottantina di chilometri prima di Palermo, proprio viaggiando da Petralìa a Milazzo per prendere il vaporetto per Lipari. Persa la coincidenza, in una stazione completamente deserta chiese al guardiano, che era l’unica persona nei paraggi, quale fosse il prossimo treno per Milazzo.
– Non ci sono più treni fino a domattina. Stasera alle 11 passa un direttissimo, ma non si ferma. Cara sorella, deve passare qui la notte, ma non si preoccupi, il tempo lo faremo passare e… ci divertiremo.
E il figuro, con un aspetto poco rassicurante, concluse con una fragorosa risata. A Florenzia si gelò l’animo. Atterrita, invocò la Madonna.
– Madre santissima, non mi abbandonare. Fa’ che il treno si fermi.
E, recitando il rosario, si mise sul marciapiede dove doveva passare il direttissimo. Alle 11 sente il caratteristico sferragliare del treno che in stazione rallenta. Florenzia fa cenno al macchinista.
– Sono sola, per favore mi faccia salire –, grida.
E il treno rallenta fino quasi a fermarsi. Florenzia apre lo sportello e in quel momento sente una mano che la tira su. Ma ad accoglierla non c’è nessuno. Richiude lo sportello e il treno riparte.

5. Un periodo nuovo
Sarà proprio la considerazione per le postulanti, che da anni aspettavano di poter emettere i voti e vestire il saio e l’ammirazione per la perseveranza della loro fede e del loro proposito, che finalmente, il 27 giugno 1924, ancor prima che la Santa Sede avesse sciolto il nodo, convincono il vescovo. Mons. Cento esamina personalmente le giovani per quella che si chiama “esplorazione della volontà” – e cioè accertare che la scelta che si sta compiendo è avvenuta con consapevolezza e in libertà – e per la preparazione catechistica. Quindi presiede la cerimonia della vestizione religiosa che si svolgeva per la prima volta ad Acireale, nuova sede del noviziato, nella cappella della nuova casa. Una cerimonia solenne, resa suggestiva dal canto della schola cantorum del collegio di Santonoceto di Acireale. Le aspiranti dovevano essere sette, ma, negli ultimi giorni, diventano otto per l’arrivo di Santa Rusignuolo di Petralìa Sottana. Si tratta di un acquisto importante per la piccola congregazione. Santa Rusignuolo, che prenderà il nome in religione di suor Pia, diventerà presto il braccio destro di Florenzia, sarà poi per lungo tempo la sua vicaria e le succederà, alla sua morte, nella responsabilità di superiora generale. Diplomata maestra elementare, sarà la redattrice puntuale delle cronache dell’istituto e anche di una sua piccola storia di Florenzia, sicuramente la prima in ordine di tempo.
Quando era a Petralìa, Santa andava a trovare giornalmente le suore e aveva iniziato a frequentare la scuola di ricamo. Avrebbe voluto già da tempo farsi suora, ma il padre non si convinceva a darle il consenso. Dovette intervenire suor Margherita, che era la superiora della casa, e finalmente il genitore abbandonò ogni resistenza. Anzi volle accompagnare lui stesso la figlia ad Acireale.
In questo gruppetto, oltre a suor Pia, vi erano anche altre suore che avranno un ruolo importante nella vita dell’istituto, come suor Chiara La Pira, suor Modesta Spedale, suor Nazarena Gentuso, suor Gemma Guerra e suor Agnese Zaia, la ragazza di Pirrera, che da anni sognava di farsi suora e di unirsi alla missione di Florenzia.
Sbloccate le professioni e le vestizioni, l’istituto riprende vita. Non solo arrivano nuove postulanti, ma ora i parroci fanno a gara ad avere l’aiuto di queste suore in parrocchia. Così nelle parrocchie San Salvatore e Santa Maria delle Scale, entrambe alla periferia di Acireale, così a Linera e Aciplatani, due piccoli centri agricoli.
La collaborazione delle suore permetteva ai parroci di sviluppare attività pastorali che non erano mai riusciti a realizzare e che sapevano affidate a persone responsabili. Così il parroco di San Salvatore fu ben lieto di fare partecipare al catechismo anche i bambini che abitavano quasi alla periferia della parrocchia, praticamente in campagna. Le suore, a piedi, si partivano dalla casa più lontana e si dirigevano cantando, con i bambini in fila, alla chiesa parrocchiale. Lungo il tragitto aggregavano altri bambini che le mamme – contente di poterli affidare loro – facevano trovare pronti all’orario stabilito, disposti in fila. Finito il catechismo, venivano riaccompagnati a casa. Era un compito semplice, ma con delle responsabilità, come dimostrò un episodio che fortunatamente si risolse solo con un grande spavento. Una domenica, mentre, come al solito, una lunga fila di bambini si dirigeva alla parrocchia cantando, apparvero all’improvviso, sulla strada, due buoi infuriati che correvano all’impazzata. I bambini, impauriti, si precipitarono sul lato opposto del vialone dove, proprio in quel momento, sopraggiungeva un tram. Una suora, col coraggio della disperazione, fece un balzo dinanzi alla fila dei bambini come a proteggerli, con il suo corpo, dal tram. Si sentì uno stridio di freni e, per alcuni momenti, le suore e i passeggeri del tram, che guardavano pietrificati quanto stava accadendo, trattennero il respiro. E finalmente il tram si fermò proprio di fronte alla suora e ai bambini. Questi, che non avevano capito molto di quanto era successo, atterriti dalle grida del tranviere e dei viaggiatori, si stringevano alle suore.
Con il crescere dell’impegno nella diocesi di Acireale e il moltiplicarsi dei giudizi positivi dei parroci anche l’attenzione del vescovo va mutando e, se all’inizio era stato piuttosto distaccato, formale e, forse, anche un po’ infastidito, ora guarda all’istituto con crescente benevolenza aiutato, nella scoperta delle sue virtù, dal vicerettore del seminario, don Angelo Calabretta, che era divenuto cappellano e grande sostenitore della congregazione.
Erano ragazze di grande fede, serie, che lavoravano sodo e sapevano accettare responsabilità e sacrifici, queste suore. E anche quella loro superiora, così ruvida all’apparenza, si rivelava una donna trasparente, tutta votata alla propria missione e capace di trasmettere alle consorelle fede, passione ed entusiasmo. Così una sera di autunno, prima di cena, dopo una giornata di lavoro, uscito col suo segretario per fare due passi per la cittadina, mons. Cento passa nei pressi della casa e d’impulso decide di suonare il campanello. Le suore stanno pregando in cappella, in scrupoloso silenzio, quando la suora portinaia si avvicina a Florenzia e le sussurra qualcosa all’orecchio. Florenzia è sorpresa, ma la segue. Sul portone c’è il vescovo sorridente. “Non mi fa entrare, Madre. Mi lascia sulla porta?”. “Eccellenza, a quest’ora? Ma non sa che a quest’ora le suore vanno a pregare?”. “Madre, mi meraviglio – soggiunge il vescovo con espressione sorniona – non si ricorda cosa dice il Signore nel Vangelo? Lo sposo giunge di notte, per trovare le vergini deste, in preghiera. Sono venuto a pregare con le suore”.

6. Mons. Ballo arriva ad Acireale
Tutto sembrava andare per il meglio quando, il 24 giugno 1926, mons. Cento veniva nominato nunzio apostolico in Venezuela e abbandonava Acireale. Sembrava un destino crudele che tutte le volte che Florenzia incontrava, sul suo cammino, un ordinario che finalmente la comprendeva questo dovesse abbandonarla. Così era stato con mons. Raiti, così era ora con mons. Cento. E se problema di destino era, questo sarebbe apparso ancora più crudele con la notizia che a sostituire mons. Cento sarebbe arrivato mons. Ballo, che a questo punto raccoglieva in sé le funzioni di Amministratore apostolico di Lipari e di Acireale.
Ma Florenzia non credeva nel destino, credeva nella Provvidenza e, quindi, non poteva che vivere questa nuova esperienza che si apriva come una prova ulteriore sul suo cammino, dove le prove non erano state poche.
Era regola e prassi che le suore, come il clero in genere e gli ordini religiosi, si presentassero al nuovo pastore per riverirlo, farsi conoscere e assicurargli l’obbedienza. Florenzia non poté andare all’incontro con mons. Ballo, perché era immobilizzata a letto con dolori e pesantezza alle gambe, che dopo i 60 anni sarà il male che non l’abbandonerà più. All’incontro andarono suor Pia e suor Agnese, due giovani che da poco avevano emesso i voti triennali e che nulla sapevano – anche perché la Madre non aveva ritenuto di preavvisarle – delle difficoltà che Florenzia e l’istituto avevano incontrato con questo presule.
Ma non ci volle molto per le due giovani capire qual era la situazione. Appena entrate nello studio del vescovo e avuto il permesso di accomodarsi, mons. Ballo esordisce: – Il primo pensiero, quando sono stato eletto Amministratore apostolico della diocesi di Acireale, fu quello di trovarvi le Suore Francescane dell’Immacolata Concezione di Lipari.
Non un sorriso, non una battuta per metterle a loro agio. Piuttosto un’indifferenza glaciale e un tono burbero che mantenne per tutte le tre ore che durò il colloquio. Un vero e proprio interrogatorio sulla loro vita in comunità, sull’osservanza della Regola e dell’orario, sullo stato economico dell’istituto, sulle opere di apostolato, ecc. E a tutte le domande le due giovani rispondevano con puntualità e passione. E quanto più l’incontro si protraeva ed esse avvertivano che non si trattava da parte del monsignore di un interesse naturale e di routine, ma dietro quegli insistenti interrogativi, spesso addirittura insinuanti, intravedevano dell’astio e del malanimo che a fatica riusciva a dissimulare, tanto più esse alla deferenza dovuta al superiore univano la fermezza nelle proprie ragioni, di cui mostravano di essere fortemente convinte. Un atteggiamento umile e coraggioso che dovette colpire mons. Ballo al di là della sua prevenzione. E così decise di giocare l’ultimo affondo.
– Delle brave suore come voi, così intelligenti, scrupolose e devote, è un peccato che dobbiate affrontare tanti sacrifici con un istituto povero che ha difficoltà a essere riconosciuto. Vi trovereste molto meglio, invece, in un istituto più ricco e già riconosciuto e approvato dalla Santa Sede. Ve ne sono tanti, per esempio quello di Maria Ausiliatrice.
– Con tutto il rispetto, Eccellenza, – gli risponde suor Pia – ma io qui sono felice perché vivo nella povertà francescana. Le difficoltà, i sacrifici, i problemi che si presentano giorno per giorno, l’insicurezza del domani, il sentirci abbandonati nelle mani della Provvidenza, tutto questo fa parte della mia vocazione. Quando ho scelto di farmi suora, io conoscevo questa congregazione, l’avevo frequentata al mio paese Petralìa Sottana e alla vita che intravedevo è legata la mia vocazione. In un altro istituto, magari più ricco e più fiorente, non sentendomi chiamata, sarei la creatura più infelice della terra.
– Io vengo da un paesino ancora più piccolo di quello di suor Pia – aggiunse suora Agnese – vengo da Pirrera, lo stesso paesino dove è nata la nostra superiora. Ho atteso quasi dieci anni che giungesse il momento di entrare nell’istituto di madre Profilio, perché prima c’era la guerra e i miei, che avevano un figlio sotto le armi, non avrebbero voluto che l’altra figlia si allontanasse. Ma appena è stato possibile, ho coronato il sogno della mia vita.
Mons. Ballo le ascoltò con attenzione e, un po’ contrariato, borbottò: – Contente voi, ma vi siete chiuse in un vicolo cieco. Restando in questo istituto, andrete a sbattere con la faccia al muro.
Non avendo altro da dire, cercò di fare buon viso a una situazione che si era palesata ben differente da quella che riteneva potesse gestire. Così, finalmente alzandosi in piedi, congedò le suore promettendo che presto avrebbe fatto una visita alla madre superiora. Le due giovani si inginocchiarono ed egli le benedisse.
Ma se le suore avevano colpito mons. Ballo, non per questo l’avevano convertito. Non solo egli non mantenne la promessa di andare a trovare Florenzia, ma non smise di osteggiare l’istituto e prese a dilazionare sine die la cerimonia di vestizioni delle nuove postulanti.
L’istituto sembrava ripiombato in quella precarietà che non invogliava le aspiranti a rimanere e scoraggiava le nuove dall’accostarsi. Ma questa volta Florenzia non è sola. Ha al suo fianco il cappellano, don Angelo Calabretta, che svolge una continua opera di intercessione presso il vescovo. Ed è grazie ai suoi buoni uffici che il presule consente prima il 17 settembre che si tengano le elezioni per le cariche dell’istituto e – all’inizio del nuovo anno – toglie la dilazione e consente alla vestizione di nuove postulanti.
Rimaneva però che, malgrado i buoni uffici di don Angelo, quello col vescovo era un rapporto difficile, dovuto probabilmente non solo a pregiudizi e prevenzioni, ma anche a differenti visioni pastorali, come dimostra l’episodio della suora maestra a Giuliana, un paesino della provincia di Palermo. All’inizio dell’anno scolastico 1926-27, Florenzia intende autorizzare, come era avvenuto precedentemente, una sua suora, maestra elementare, a continuare l’insegnamento nella scuola di Giuliana. La suora vi sarebbe andata accompagnata da una consorella che le avrebbe fatto compagnia. D’altronde, questa era una strategia precisa, già usata in passato, e che sarà ripetuta in seguito, infatti nascerà così nel 1929 la casa di Mistretta. Una suora va a fare la maestra in un paesino o in una cittadina, prende dei contatti, si inserisce nell’ambiente e da questo può nascere l’apertura di una casa e l’avvio dell’attività apostolica. Ma mons. Ballo nega l’autorizzazione. Florenzia ricorre alla Congregazione dei Religiosi e il presule deve giustificarsi.
“Non essendoci a Giuliana comunità religiose – risponde mons. Ballo alla segreteria dell’Istituto romano –, le due suore avrebbero dovuto prendere in affitto una casa. Non sembrandomi conveniente che le due suore dimorassero lontano e che una suora con l’abito religioso insegnasse nelle pubbliche scuole elementari, ho negato il permesso. A novembre poi seppi che le due suore erano partite egualmente da Acireale per Giuliana. E poiché la superiora insisteva per avere il mio permesso, visto che io non intendevo concederlo, perché non intendo assumere responsabilità di sorta, mi disse che si sarebbe rivolta alla Sacra Congregazione”.
Si potrebbe sorridere di fronte a questa disputa, liquidando il tutto come il frutto di una mentalità oggi superata. In realtà, proprio questo fatto è rivelatore. Il vescovo non vuole assumersi responsabilità di sorta là dove Florenzia sa che, se vuole fare breccia nell’animo delle persone, bisogna rischiare. Il vescovo si preoccupa delle convenienze mondane, mentre le uniche convenienze che Florenzia conosce sono quelle che le dettano la sua Regola e le sue Costituzioni, e Regole e Costituzioni non impediscono a una suora di insegnare, con l’abito religioso, in una scuola pubblica.

7. Alcuni problemi di crescita




Mons. Evasio Colli a sinistra e Mons. Salvatore Bernardino Re a destra

Come Dio volle col 1927 finisce anche l’Amministrazione apostolica di mons. Ballo ad Acireale e, il 15 gennaio, fa il suo ingresso in diocesi il nuovo vescovo mons. Evasio Colli. Anche la reggenza di Lipari è agli sgoccioli, ancora qualche mese e il 27 maggio farà il suo ingresso mons. Bernardino Salvatore Re, cappuccino.
E indubbiamente con il 1928 una fase nuova, questa volta senza colpi di coda del passato, prende il via per l’istituto. Si regolarizzano le cerimonie di vestizione e di professione religiosa, si sviluppa l’attività pastorale, si buttano le basi per nuove case. È vero che anche alcune se ne chiudono, come, ad esempio, quella di Linera, perché le condizioni di vita delle suore incidevano sul rispetto della Regola, degli orari per le pratiche di pietà, anche se le attività sociali e pastorali prosperavano. Ma, in genere, i problemi che si presentano in questa fase sono tutti problemi di crescita come, per esempio, la ricerca di una casa più grande ad Acireale, che fu possibile acquistare grazie a un generoso contributo di don Antonino, che era tornato dagli Stati Uniti per un breve periodo.
Questa contingenza rivela come le esigenze dell’istituto siano molte e onerose. Come far loro fronte? È sempre don Antonino a cercare delle soluzioni scaturite dalla sua vicenda americana. Così quella delle messe commissionate da siciliani emigrati negli Stati Uniti per le anime dei loro defunti e celebrate ad Acireale. Una percentuale dell’onorario di queste messe sarebbe andato all’istituto delle suore francescane. Il prete scrive a questo proposito al vescovo di Lipari per averne il consenso. L’iniziativa viene autorizzata e andrà avanti senza troppi problemi fino al 1935, quando la Congregazione del Concilio solleverà esigenze di trasparenza, sollecitando una maggiore responsabilizzazione della diocesi e, di fronte alle perplessità dell’ordinario, negherà ulteriori autorizzazioni.
Venuto meno questo canale, don Antonino ne cerca però un altro, pensando a una colletta presso gli eoliani emigrati negli Stati Uniti, sempre appoggiandosi al vescovo di Lipari.
Gli eoliani di New York solo in questa città contano dodici società operanti come reti di solidarietà fra gli immigrati e due “congreghe” di San Bartolomeo con lo scopo di celebrare due volte l’anno la festa del patrono delle Eolie. La raccolta è mirata a favore dell’orfanotrofio delle suore inaugurato a Lipari nel giugno del 1928, ma senza locali adeguati. Sebbene la raccolta parta a ridosso della grande crisi del ’29, i risultati raggiunti sono apprezzabili raccogliendo, nel complesso, circa 25 mila lire.
Per don Antonino non è che il primo passo e vorrebbe che l’esperienza fosse ripetuta in Australia. Ma mons. Re gli ricorda che i problemi della diocesi sono numerosi, fra cui vi è urgente la ricerca di fondi – anche qui si parla di 30 mila lire – per realizzare il Vascelluzzo in oro e argento, che porterebbe le reliquie del santo patrono e ricorderebbe un suo miracolo a favore delle isole.
(Sesta puntata. Continua 6)
Per chi volesse leggere le puntate precedenti:
1) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da.htm
2) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_14.html
3) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_15.html 
4) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_16.html

5) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_17.html

Grata pericolosa in vico Montesanto a Lipari

 Riceviamo e pubblichiamo:

Al via “Le Energie per la Sicilia”, Baglieri: «Regione al fianco degli amministratori locali per sfruttare opportunità del Pnrr»

Al via questa mattina alle Ciminiere di Catania “Le Energie della Sicilia”, la tre giorni organizzata dal governo Musumeci nell’ambito delle “Giornate dell’Energia 2021”. Le energie rinnovabili, le isole minori come aree di test per tutta l’Isola, l’ecobonus per l’edilizia, i biocombustibili, la frontiera dell'idrogeno e l'asse tra Regione Siciliana, Università e grandi player, sono solo alcuni dei grandi temi affrontati dai protagonisti che intervengono da oggi a venerdì 16 luglio alle tavole rotonde promosse dall'assessorato regionale dell’Energia. Questa mattina a tagliare il nastro inaugurale dell'evento, l’assessore all’Energia e ai Servizi di pubblica utilità, Daniela Baglieri, e il sindaco di Catania, Salvo Pogliese, che hanno poi aperto i lavori della prima fra le tavole rotonde in programma su "La Transizione energetica delle città e nelle isole minori siciliane. Le comunità energetiche rinnovabili".

«Questa tre giorni – ha detto l’assessore Baglieri - rappresenta una opportunità per riflettere tutti insieme su come mobilitare le energie per la Sicilia. Non si parla solo di transizione energetica e di energia dal punto di vista della tecnologia, ma cerchiamo anche di capire come supportare gli amministratori locali in questo momento di cambiamento, anche grazie all’utilizzo degli energy manager e alla semplificazione amministrativa e, soprattutto, come sfruttare le opportunità che a livello nazionale ed europeo sono sul tavolo grazie al Pnrr. Infine, approfondiamo il ruolo che la Regione Siciliana si candida a svolgere sull’idrogeno come fonte energetica del futuro prossimo venturo».

«Questo evento assume una valenza simbolica – ha aggiunto il sindaco Pogliese – perché sancisce la ripartenza dopo la pandemia. Questi tre giorni ci permettono di approfondire tematiche di grande valenza su cui si registra una crescente sensibilità, dalla sostenibilità ambientale all’economia circolare sino alla mobilità sostenibile, dando l’opportunità agli operatori del settore, pubblici e privati, di capitalizzare le ingenti risorse regionali, nazionali ed europee a disposizione. Complimenti alla Regione Siciliana per aver reso possibile tutto ciò».

Procura generale Corte dei Conti rende note motivazioni per contestazione danno erariale relativo al servizio idrico a Lipari

Comunicato
La Procura Regionale della Corte dei conti di Palermo ha contestato un danno erariale di euro 2.698.309,35 in pregiudizio del Ministero della Difesa, nei confronti del sindaco (Giorgianni Marco) e dell’assessore con delega ai servizi idrici (Orto Gaetano) del Comune di Lipari, del dirigente del III settore dello stesso Comune (Ficarra Mirko Bartolo), nonché dei dirigenti del Dipartimento regionale dell’acqua e dei rifiuti (Ajello Felice, Loria Marcello, Greco Francesco e Anzà Salvatore) responsabili della procedura per la parte regionale. 
L’illecito riscontrato concerne il sottoutilizzo del dissalatore dell’Isola di Lipari rispetto alla capacità produttiva massima. 
In assenza di risorse naturali bastevoli a soddisfare i consumi, il sistema idrico dell’Isola di Lipari utilizza due modalità per il rifornimento idrico: il dissalatore e i rifornimenti tramite navi cisterna con costi differenti al metro cubo dell’acqua immessa in rete. 
Il costo dell’acqua prodotta da dissalatore è poco inferiore a 2 euro al mc e fa carico per il 40% al Comune di Lipari e per il rimanente 60% alla Regione siciliana. 
L’acqua rifornita dalle navi cisterna ha un costo di oltre 14 euro al mc a carico del Ministero della Difesa, mentre la gestione del servizio fa capo alla Regione siciliana. 
I vertici del Comune di Lipari, come accertato dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Palermo su delega del P.M. dott. Vincenzo Liprino, non hanno mai impegnato negli anni somme sufficienti per far fronte alla fornitura di acqua mediante dissalatore, accumulando una consistente esposizione debitoria nei confronti del gestore, tant’è che la Regione ha anche nominato nel 2019 un commissario ad acta. Si è accertato che il gestore, a fronte dei mancati pagamenti da parte del Comune, in più occasioni ha limitato volontariamente la produzione del dissalatore con conseguente ricorso da parte del Comune di Lipari all’approvvigionamento idrico tramite nave cisterna, causando un grave danno all’erario al Ministero della Difesa sul quale gravano i costi della fornitura idrica tramite le navi. Secondo la prospettazione della Procura regionale, gli organi del Comune di Lipari citati a giudizio non hanno predisposto adeguata copertura dei costi del dissalatore e non hanno neanche adeguato la tariffa idrica, immutata dal 2011, risultata insufficiente a coprire i costi del servizio. 
I dirigenti della Regione siciliana pure a fronte di una produzione dell’impianto ampiamente inferiore a quella attesa, hanno continuato ad avallare le richieste del Comune di Lipari di rifornimento a mezzo navi cisterna attivandosi solo tardivamente e in modo parziale in funzione sussidiaria a fronte della perdurante ed ingiustificata inerzia dell’ente comunale in materia di gestione dell’acqua. 
La segreteria del Procuratore Regionale

Accadde alle Eolie. Quattordici luglio 1961: Si costituisce a Canneto la Pro Loco


 

Città Metropolitana di Messina, in corso interventi su numerose strade provinciali presenti nelle isole di Lipari, Salina, Vulcano e Filicudi

Comunicato
Sono in corso gli interventi per fronteggiare le principali criticità sulle strade provinciali 178 di Vulcano, 179 di Piano Conte -Lipari, 181/A strada di decongestionamento centro abitato di Lipari, 181/B di Quattropani - Acquacalda, 181/C delle Terme di San Calogero, 181/D di Lami, 181/E di Serra Pirrera, 182 di Valdichiesa - Salina, 183 di Pollara - Malfa, 184 di Malfa, SPA di Filicudi, ricadenti nel territorio dei Comuni di Lipari e Salina.
L'importo complessivo del progetto ammonta a 937.600,00 euro, la ditta che sta eseguendo i lavori si è aggiudicata l’appalto per l’importo complessivo di 525.302,04 euro, al netto del ribasso d’asta del 29,8070%.
Le strade in questione si presentavano in condizioni di mantenimento tali da garantire gli standard minimi di transitabilità anche se la mancanza o l’inadeguatezza delle protezioni laterali, soprattutto nei tratti in curva o in versanti con dislivelli a valle ragguardevoli, associati alla vetustà o addirittura all’assenza di segnaletica orizzontale e verticale, costituivano ulteriori elementi di criticità che si stanno mitigando con gli interventi in corso.
In particolare, gli interventi in via di realizzazione consistono in: scavi di sbancamento e a sezione; miglioramento e potenziamento della raccolta e convogliamento delle acque meteoriche; rifacimento della pavimentazione stradale usurata o interessata da cedimenti del piano viabile; realizzazione di barriere di sicurezza e di parapetti laterali per il potenziamento della protezione a valle; messa in sicurezza delle scarpate a monte; miglioramento della visibilità delle curve più pericolose; sistemazione o sostituzione di reti di protezione dei versanti a monte e loro svuotamento nei tratti in cui presentano riempimento lapideo; realizzazione della segnaletica stradale.
Il Responsabile Unico del Procedimento è l'ing. Antonino Sciutteri, i progettisti sono l'ing. Anna Chiofalo ed i geometri Roberto Coppola e Michele Quarto.

Quindici e sedici luglio due giorni di sciopero nei collegamenti veloci. Questi iservizi garanti

Buon Compleanno a Salvatore Bertocchi, Giannina Zuradelli, Mariamaddalena de Luca, Maria Teresa Mollica, Lorenzo Favata,Tania Cosentino, Bartolo Basile, Giorgia Cacace, Maria Concetta Zavone, Simona Orto, Angela Ivaldi

Ginostra: Mario Lo Schiavo scrive a Giorgianni: "Riporta le salme dei miei cari al loro posto originale"

Oggi è il 14 Luglio. Buongiorno con questa foto di Tiziana Artale


Tramonto dalle Terme di San Calogero (Lipari) - 


martedì 13 luglio 2021

Coronavirus, 174 nuovi casi e 4 morti in Sicilia

Sono 174 i nuovi casi di Coronavirus registrati in Sicilia nelle ultime 24 ore su 15.499 tamponi processati. Il tasso di positività si attesta all'1,1%. Quattro i decessi

Cave di pomice, 5 stelle in campo per la crociata. L'articolo del nostro direttore sulla Gazzetta del sud

L'appello di Massimo Giunta "mandato a casa" dalla Loveral che chiede di "indagare cosa sta succedendo a Lipari"

Siamo stati autorizzati da Massimo a riprendere questo post dal suo profilo fb e lo pubblichiamo con la promessa che, almeno per quanto ci riguarda, ci siamo. Ci siamo... come sempre nelle giuste battaglie, a difesa del lavoro, della famiglia, di questa collettività che, in larghissima parte, è fatta di persone perbene come Massimo.

E' deceduta Federica Maria Alessandra Trimboli. Messa in suffragio domenica a Pianoconte


 

Benvenuti a Babilonia. Posteggio sulle strisce e ostruzione all'uscita dal porto

Ore 17 e 40 circa di oggi
 

L'Italia nel pallone (di Francesco Coscione)

 


Guardando questa immagine mi tornano in mente le parole dello scorso anno quando l’opinione pubblica tuonava contro la Chiesa che era favorita da uno stato pseudo laico perchè era consentito celebrare Messa col popolo mentre teatri e cinema erano chiusi. Vorrei comprendere quale criterio si è usato predicando di essere responsabili personalmente e poi consentendo ufficialmente e pubblicizzando come belle e gioiose cose come questa.

Come può essere credibile questa politica, questa società, questo modo di pensare? Sono stato uno stupido facilone a criticare il gesto anti-medaglia degli inglesi tacciandoli di poca sportività e cattivo esempio. Molto più educativi questi esempi nostrani.

Italiani avete fame? Saziatevi di pallone e di pallonari. Aspetto sulla riva del fiume solerti tutori dell’ordine che multeranno bagnanti che non rispettano le distanze sotto gli ombrelloni.

Totò docet: ma mi faccia il piacereeeeeeee!
Francesco Coscione

L'assessore De Luca: "Rosina Mirabito, Cavaliere al merito della Repubblica, testimonianza di forza, passione, sacrificio e dignità

Pubblichiamo una breve dichiarazione dell'Assessore Tiziana De Luca a seguito della celebrazione dei funerali della Sig.ra Rosina Mirabito, Cavaliere al merito della Repubblica Italiana:

" Ho partecipato commossa, in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale, al funerale di Rosina Mirabito, portando il saluto istituzionale al ricordo della nostra concittadina, insignita nel 2018 dell’onorificenza di “Cavaliere al merito della Repubblica Italiana” dal Presidente Sergio Mattarella quale “esempio straordinario di autonomia femminile”, insieme ad altre tre donne pescatrici eoliane, la cui storia, la cui vita, ci auguriamo possa essere per tutta la comunità eoliana una sempre viva testimonianza di forza, passione, sacrificio e dignità."

Dai, dai, dai, dagli una spinta, vedrai che partirà!. Ma non siamo allo Zecchino d'oro ma su un mezzo Loveral!

Senza gasolio e fermo in attesa di "soccorso" a Canneto.

Ennesima vicissitudine oggi ad un mezzo della Loveral, rimasto senza gasolio. Una volta rifornito "al volo", un altro mezzo, vedi video, interviene per farlo ripartire.

L'unica cosa positiva? La vicenda ci ha riportato alla mente una canzone dello Zecchino d'oro... facendoci tornare per un attimo ragazzini

Tornati a Lipari e Salina i primi scout eoliani. Il video dell'arrivo dei ragazzi di Eolie1 e le interviste


Sono tornati a casa, reduci dal Campo scuola di dodici giorni nei Castelli romani i primi Scout delle Eolie. 
Il Campo formativo era organizzato da Albalonga 1° Federscout, 
I ragazzi del gruppo "Eolie1" Daniel, Ramona, Fabio, Roberto, Sonia e Isabella di Lipari, Saba ed Emanuele di Salina, sono sbarcati, intorno alle undici e quaranta a Lipari e ad attenderli hanno trovato, oltre ai loro genitori, l'assessore alla Cultura Tiziana De Luca e la coordinatrice Luisa Mendoza. 
Saba ed Emanuele hanno, poi, proseguito per Salina
Li abbiamo ripresi, sin dal momento dello sbarco, raccogliendo anche delle interviste

A LIPARI RADDOPPIANO GLI ECO-COMPATTATORI DI BOTTIGLIE DI PLASTICA . INAUGURATO OGGI QUELLO DEL PORTO ALISCAFI


 
Ognuno di noi può fare qualcosa per difendere il mare, con gli eco-compattatori per la raccolta delle bottiglie di plastica a Lipari, Vulcano, Salina e Panarea.

 

13 luglio 2021 – Prosegue alle isole Eolie l’impegno per tutelare l’ambiente e combattere l’inquinamento da plastiche.

Da oggi, a Lipari, cittadini e turisti potranno portare le bottiglie di plastica anche alla Stazione Marittima, accanto alla biglietteria, dove è stato posizionato il secondo eco-compattatore che va ad aggiungersi a quello disponibile già dal 2018 presso la scuola Santa Lucia e alle altre macchine mangiabottiglie presenti a Vulcano, Panarea e Malfa.

Grazie alla campagna “#EmergenSea: Ognuno di noi può fare qualcosa per difendere il mare”- realizzata e portata avanti grazie al prezioso sostegno di Aeolian Islands Preservation Foundation, Blue Marine Foundation e della Caronte & Tourist e alla collaborazione dei Comuni di Lipari, Malfa, degli Istituti Comprensivi Lipari e isole Eolie e degli esercizi commerciali che hanno dato la disponibilità ad ospitare i compattatori - dal 2018 ad oggi sono state recuperate oltre 130mila bottiglie in plastica.

Anche questo compattatore, per premiare il gesto virtuoso compiuto inserendo le bottiglie in PET, erogherà buoni sconto da utilizzare presso diversi esercizi dell’isola.

“#EmergenSea è un progetto al quale teniamo molto, lo consideriamo un importante supporto nel processo di conoscenza sull'uso consapevole delle risorse e di contrasto alla dispersione di rifiuti nell’ambiente - dichiara Laura Gentile di Marevivo - ma al contempo rappresenta anche una sfida complessa che ci mette a confronto con le criticità della gestione dei rifiuti soprattutto nelle isole e che per essere vinta ha bisogno di un sempre maggiore impegno delle amministrazioni e della collaborazione di cittadini e turisti“.

La campagna, in particolare mira infatti a coinvolgere le comunità isolane nell’avvio di azioni concrete per favorire la messa a punto di un ciclo virtuoso che consenta il recupero di PET da destinare alla produzione di nuove bottiglie di plastica in PET riciclato. Se si considera poi che da gennaio 2021 anche in Italia è possibile produrre bottiglie in PET riciclato al 100%, la campagna #EmergenSea può assumere una particolare rilevanza anche nel richiamare l’attenzione dei diversi attori sul territorio sull’importanza di un corretto riciclo dei rifiuti.  
IL VIDEO CON TUTTI GLI INTERVENTI E LO SCIOGLIMENTO DEL NASTRO

Accadde alle Eolie. Tredici luglio 2017: Alena Seredova a Panarea

Si impartiscono lezioni d'inglese

Mi chiamo Lucrezia, sono una studentessa al 2° anno di Università. 

Madrelingua inglese con esperienza, impartisco lezioni individuali/ di gruppo nel mese di agosto

Per maggiori contattatemi via whatsapp o mail

Il fatto non sussiste. Bisazza assolto dall'accusa di violenza sessuale aggravata e continuata ed esercizio abusivo di professione

COMUNICATO

Il Tribunale di Barcellona P.G. in composizione Collegiale (Presidente Antonino Orifici, dott.ssa Noemi Genovese, dott.ssa Silvia Spina), dopo una camera di consiglio conclusasi in tarda notte, ha assolto Gaetano Bisazza nei confronti di alcune atlete giovanissime che frequentavano la palestra di judo, perché il fatto non sussiste, disponendo, altresì, la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica.

L’imputato è stato difeso dall’avv. Alessandro Mirabile. Il PM aveva chiesto la condanna dell’imputato alla pena della reclusione di anni 8, previa concessione di tutte le attenuanti. Le parti offese, costituitesi parte civile con l’avv. Susanna La Greca oltre alla condanna dell’imputato aveva avanzato una richiesta di risarcimento danni di 70.000 euro.

La gravissima accusa era scaturita da una denuncia presentata dalla persona offesa nel novembre del 2018 a seguito della quale i Carabinieri di Lipari avevano effettuato delle indagini, ricostruendo minuziosamente i vari episodi e accertando quanto denunciato.

Per tale motivo il Bisazza Gaetano, interdetto, cautelativamente, dall’esercizio dell’attività di istruttore di Judo e dall’ insegnamento scolastico, era finito agli arresti domiciliari e rimesso in libertà, a seguito della produzione di fondamentali prove documentali e fotografiche, dopo ben 11 mesi dal Tribunale di Barcellona.

La difesa dell’imputato durante la discussione, durata oltre tre ore, ha smontato tutte le prove dell’accusa evidenziando, tra l’altro, alcune falsità e simulazioni poste in atto dalle parti offese.

QUELLA DI FLORENZIA, UNA STORIA DA RACCONTARE di Michele Giacomantonio (Puntata 5 di 10)

Quinta puntata

LA LUNGA ATTESA DEL DECOLLO
1. Passi avanti e spinosi problemi



Ora nella casa di via Diana erano in cinque, tre suore e due novizie. Presto cominciarono ad arrivare altre giovani, la gran parte di loro, però, voleva approfittare degli studi presso l’istituto tecnico di Lipari e una volta conseguito il diploma, spesso scompariva la vocazione.
Teresa Spina rappresentò invece, fin da subito, una grande risorsa. Era intelligente e generosa e per di più sapeva “ricamare alla perfezione”. Così, ancora novizia, sostituì alla guida del laboratorio la giovane di Catania che aveva suscitato tante speranze, ma poi, alla prova dei fatti, e cioè alla mostra dei lavori effettuati dalle allieve, il suo apporto era risultato piuttosto deludente. Suor Teresa, invece, si impose subito con la sua maestria e le sue qualità all’attenzione della comunità liparese. Grazie a lei, al laboratorio non venivano solo le ragazze delle famiglie povere che frequentavano gratuitamente ma, un po’ alla volta, anche quelle delle famiglie benestanti che potevano pagare e, quindi, contribuire a sostenere la casa. Ancora, la giovane di Acireale non si limitava a insegnare ricamo, ma anche catechismo, curava le letture spirituali e l’istruzione religiosa, educava alle buone maniere. Presto diventò il braccio destro di Florenzia e un pilastro, assieme a Veronica La Greca, del giovane istituto. Un altro pilastro fu Giovanna Restuccia di Canneto, che arriverà da lì a poco e prenderà il nome di suor Margherita.
Florenzia poteva dirsi moderatamente soddisfatta. Dopo meno di quattro anni, l’istituto contava sei persone, oltre ad altrettante postulanti che frequentavano l’istituto tecnico e sulle quali cominciava a rendersi conto che poteva farsi poco affidamento per far sbocciare delle vocazioni. Comunque, si augurava che potessero portarsi nella vita una solida formazione religiosa e morale. Quanto alle suore e alle novizie, non su tutte poteva farsi lo stesso affidamento. Ce n’erano, infatti, un paio che le procuravano qualche preoccupazione e, infatti, le teneva costantemente sotto osservazione.
La piccola comunità viveva in fraternità e letizia e, anche se Florenzia era inflessibile riguardo alla regola, alla partecipazione alle funzioni religiose e al rispetto degli orari non mancavano i momenti di distensione animati soprattutto dalle più giovani studentesse. Inoltre, tutto era occasione di collaborazione gioiosa. Dalla cucina, alle pulizie della casa, all’organizzazione dell’asilo e del laboratorio, alla preparazione delle mostre e dei canti per le funzioni della domenica e delle giornate festive. Lei stessa era sempre la prima in cucina e in lavanderia con il suo grembiule da lavoro e le maniche rimboccate e lavorava svelta e allegra.
– Il Signore si serve in letizia, usava dire.
Teneva molto all’osservanza degli orari e della puntualità, soprattutto nei momenti di preghiera.
– Non è un puntiglio – spiegava –, è un mettere a frutto la forza di essere comunità. In questo modo il fervore di una suora avrebbe compensato la distrazione di un’altra. La regola vuol dire comunione di beni spirituali.
Ogni domenica conduceva suore, novizie e postulanti in campagna. E dopo aver camminato per almeno un’oretta, ci si fermava all’ombra di un albero, si cantavano canzoni popolari e inni religiosi e si consumavano i dolci fatti appositamente da loro stesse per l’occasione. Poi, sempre cantando, si tornava in paese. Ormai la gente aveva imparato a riconoscere questa comitiva e si avvicinava alla porta dei casolari per salutare. Nel mese di luglio prendeva in affitto una cabina per fare i bagni, e organizzava un periodo di villeggiatura a Pirrera nella casa della sua famiglia. Malgrado manifestasse una forte vitalità e vivacità, Florenzia, in quegli anni, era gracile e debole. Era, però, sorretta da una grande volontà.
Quella delle Suore Francescane era una piccola comunità affidabile che ogni giorno di più si integrava nella vita cittadina e dimostrava di dare un suo contributo a quel riscatto sociale e morale a cui la gente anelava per togliersi di dosso la nomèa di luogo dei coatti che offendeva e avviliva.
Il solito tran tran della vita quotidiana subisce improvvisamente una brusca frenata all’alba del 28 dicembre 1908. Erano da poco suonate le cinque e il cielo era ancora buio quando una fortissima scossa, “lunga due paternostri”, svegliò i liparesi e li gettò fuori dalle loro case.
– Che fu, che fu?, si chiedeva la gente ancora assonnata e stravolta.
– Un terremoto sicuramente, osservò qualcuno più lucido.
– Ci sono morti e feriti?
– Non lo sappiamo, qui in questo vicolo non sembra. Nella mia casa si è aperta una crepa nella parete larga un dito.
– Da me se n’è caduto il solaio dove teniamo le damigiane.
– Che facciamo?
– Andiamo da San Bartolo al Castello –, suggerì qualcuno.
L’indicazione fu ripresa di casa in casa, di vicolo in vicolo, e una lenta e lunga processione cominciò a salire verso la cattedrale come sempre accadeva nei momenti di pericolo e di grande paura. In meno di un’ora la chiesa madre fu zeppa di gente che invocava il santo, pregava, accendeva lumini e candele. Era corsa ad aprirla don Raffaele Acunto, che ne era il cappellano e abitava sopra il Piano. Quando arrivarono le luci dell’alba era già possibile fare un bilancio della situazione. Non si lamentavano morti e nemmeno feriti, solo alcune lesioni agli edifici.
– Una fortuna – commentò qualcuno –, vista la forza e la lunghezza della scossa.
– Ma che fortuna – si ribatté immediatamente da diverse parti –, questo è un miracolo. Ancora una volta san Bartolo ha voluto proteggere Lipari e i Liparesi com’è accaduto tante altre volte.
E la convinzione che la salvezza di Lipari si dovesse al santo patrono dilagò fra gli abitanti e si radicò ancora di più nelle coscienze quando, in serata, cominciarono ad arrivare le notizie sul disastro di Messina, di Reggio e dei paesi vicini. In particolare, per Messina si disse subito che il terremoto aveva raso al suolo tutta la città e almeno metà della popolazione era morta sotto le macerie. Si parlava di decine e decine di migliaia di persone, forse centomila, forse anche di più, e fra questi si temeva anche parecchi liparesi che si trovavano nella città per lavoro, per studiare, o per sbrigare delle incombenze.
Fin dalla sera del 28 e poi anche nei giorni seguenti, il banditore del Comune con il suo tamburo a tracolla passava per le strade di Lipari invitando i giovani e gli uomini validi a partecipare ai soccorsi, imbarcandosi su bastimenti che facevano la spola con la città dello Stretto.
A questa gara di solidarietà vorrebbero partecipare anche le Suore Francescane che avevano avuto nella loro casa un segno di questa tragedia. Al momento della scossa, la Madonnina che si trovava nella cappella, si era come inchinata e, quando era tornata alla precedente posizione, le mani giunte erano rimaste spostate di lato.

– Come se pregasse rivolta a Messina, commentò la suora che aveva assistito al fenomeno ed era corsa ad avvisare le consorelle, che ora guardavano la statuetta con un misto di stupore e di spavento.
Ma, vista la drammaticità delle notizie che giungono, c’è da pensare ad altro. Florenzia riunisce tutte nel piccolo refettorio.
– Sorelle, purtroppo non possiamo fare molto e servirebbe a poco andare a Messina. Forse saremo più utili restando a Lipari e assistendo gli scampati che saranno qui trasportati. Soprattutto i bambini che saranno rimasti orfani in questa sventura.
E, proprio qualche giorno dopo, si viene a sapere che fra i terremotati giunti a Lipari c’è anche una bambina di 5 anni rimasta senza genitori e senza parenti. Florenzia si rivolge al Comune per avere l’affidamento e l’ottiene prontamente.
Così, quando la superiora raggiante torna all’istituto con la bambina in braccio, la piccola Lina, rinominata “Linuccia”, diventa subito la beniamina delle suore e di tutte le bambine e le ragazze che frequentavano la casa. Florenzia decide che, pur con la collaborazione di tutti, si occuperà lei direttamente della bambina.
Un riflesso il terremoto avrà anche sulla famiglia Profilio. Il fratello e le sorelle di Florenzia, ma anche gli zii che vivono in America, preoccupati dalle notizie che arrivavano dall’Italia, presero a sollecitare la mamma e Maria perché partissero per New York e alla fine Nunziata si lasciò convincere. Così, nei primi mesi del nuovo anno, Nunziata riattraversò l’oceano.
Nella piccola comunità del nuovo istituto non tutto, però, procedeva tranquillamente. Vi fu il caso di una novizia che metteva zizzania fra le compagne, parlava male della superiora, criticava tutto quello che si faceva, e consigliava chi le dava ascolto a tornarsene a casa. Poi arrivò fra le postulanti Bartolina, una maestra anziana. Si sperava che, dato il titolo e l’età, fosse di aiuto e invece divenne una vera e propria spina nel fianco di Florenzia. Non era sincera ed era d’inciampo alle altre, aveva sempre pronte delle scuse per esimersi dal lavoro e, con arte, faceva rilevare che la colpa era della compagna che non l’aiutava ed era trascurata. Bartolina fece persino circolare nel noviziato la voce che una postulante era tisica, mentre si trattava di una banale influenza. Ma la paura del contagio mise in subbuglio tutti. Che fare? La superiora aveva informato consorelle, novizie e postulanti sull’inaffidabilità di Bartolina cercando di limitare i danni e di isolarla. Ma il disordine continuava. Disturbava i momenti di preghiera e le letture spirituali muovendosi in continuazione e facendo tutti i rumori possibili. Florenzia, perduta ogni speranza di poterla recuperare, si decise a rimandarla a casa. Attendeva solo il momento opportuno. E il momento arrivò nel corso di una notte. Mentre tutti dormivano ormai da qualche ora, improvvisamente la casa fu scossa da un urlo a cui seguirono grida e rumori di brande e comodini smossi.
– È il diavolo, è il diavolo – cominciò a gridare Bartolina –. Alza la rete per farmi cadere dal letto. O Madonna, o Gesù mio, aiutatemi, aiutatemi. Il diavolo vuole afferrarmi.
Nella camera delle postulanti tutte erano atterrite. Svegliate in pieno sonno, le ragazze si erano alzate e, ancora in camicia da notte, si stringevano alla parete il più lontano possibile dal letto della compagna. Accorsero tutte le suore e madre Florenzia ordinò che si inginocchiassero tutte.
– Se è veramente il demonio – disse – l’unico modo di scacciarlo è quello di pregare. Ora reciteremo cinque poste di rosario e invocheremo la Madonna Immacolata, nostra protettrice di ridarci la serenità. Poi domattina riprenderemo il discorso.
L’indomani mattina, dopo la messa, senza indugio Florenzia chiamò Bartolina e le disse di preparare la sua valigia perché doveva tornarsene a casa.
– Quanto è accaduto stanotte è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La vita religiosa non fa per voi ed è inutile tirare per le lunghe una situazione che voi non gradite e provoca disagio e disordine nella comunità.
– Io a casa non ci vado – ribatté decisa la postulante –, ho deciso di farmi suora e la suora voglio fare. Che colpa ho io se il demonio mi perseguita.
– Se foste perseguitata dal demonio come dite, e comunque intenzionata a farvi suora, reagireste con la preghiera e la penitenza non tormentando noi e le vostre compagne. Comunque, o ve ne andate spontaneamente o sarò costretta a chiamare i carabinieri e farvi accompagnare con la forza. Scegliete.
E Bartolina alla fine raccolse le sue cose e lasciò la casa senza clamori e senza fare scandali.
Ma non sempre le tensioni riuscirono a rimanere circoscritte all’interno. Qualche volta trapelarono – ingigantite e distorte come di solito accade – creando sconcerto fra la popolazione e preoccupazioni in Vescovado e fra i preti amici. E fu il caso di Francesca Natoli, in religione suor Dolores, la seconda religiosa in ordine di tempo entrata nell’istituto.
Questa un giorno chiese e ottenne il permesso di trascorrere un periodo presso i suoi familiari. Una volta a casa, Francesca fece sapere che non sarebbe più rientrata e rivendicava che le venisse restituita quel po’ di biancheria propria che era rimasta in istituto. E aggiungeva nella lettera che, se le sue cose non le venivano restituite con le buone, le avrebbe ottenute per via di legge.
– Se non volete tornare più in istituto – le rispose Florenzia –, dovete levarvi l’abito. Non è possibile che continuiate e vivere a casa vostra vestita da suora francescana.
La replica non si fece attendere.
– Non sono disposta a cambiare un palmo del mio cordone con tutto l’oro del mondo.
E così la vicenda finì in tribunale. Nei primi due gradi la sentenza fu favorevole a Florenzia, ma in terzo grado, però, la spuntò Francesca e Florenzia fu condannata a pagare le spese.
Qualche anno dopo, quando Francesca, la cui salute andò sempre più peggiorando, morì, le suore ebbero la sorpresa di vedere che aveva voluto lasciare 100 lire all’istituto. Un segno che Florenzia interpretò come un’offerta di riconciliazione e da allora non dimenticò più suor Dolores nelle sue preghiere.

2. L’episcopato di mons. Paino


Don Antonino Ptofilio a sinistra e Mons. Angelo Paino a destra.

Il 25 luglio 1909 è un giorno di grande gioia per Florenzia, perché si verificano due eventi importanti per lei. Proprio quel giorno il fratello Antonino veniva ordinato sacerdote a Roma nella cappella del collegio apostolico Leonino e nella cattedrale di Messina mons. Angelo Paino, un eoliano di Salina, designato fin dal 20 aprile vescovo di Lipari, riceveva la consacrazione episcopale. L’ordinazione del fratello era un successo per tutta la famiglia e la superiora comunicò subito alle suore che questi avrebbe celebrato la sua prima messa dopo l’ordinazione nella cappella dell’istituto. Quanto a mons. Paino, oltre a essere eoliano, aveva avuto già modo di conoscere l’istituto alla sua nascita, il 2 novembre 1905. Vi aveva tenuto, infatti, il discorso inaugurale. E questo era sicuramente di buon auspicio per le Suore Francescane che vivevano ancora fra tante incertezze e che la partenza di mons. Raiti aveva lasciato un po’ orfane. Così, quando il 22 agosto, antivigilia della festa del patrono delle Eolie, san Bartolomeo, il nuovo vescovo arrivò a Lipari e, nella cattedrale, clero e popolo gli si strinsero intorno per salutarlo e fargli gli auguri, c’era anche Florenzia con le sue suore. Il vescovo le riconobbe subito, le benedisse e promise loro aiuto e protezione.
La buona accoglienza riempì il cuore della nostra superiora di grandi speranze. Riprese a fare progetti per l’ampliamento e lo sviluppo dell’istituto. La casa della comunità francescana confinava con il terreno vescovile e sicuramente il nuovo prelato non le avrebbe negato un appezzamento di terreno per ampliare i locali che erano piuttosto modesti.
Florenzia ci ragionò su per diverse settimane e, in una giornata di novembre, si presentò in episcopio per esporre a mons. Paino i suoi progetti. Pensava che sarebbero stati accolti con disponibilità e benevolenza e, invece, vide che il vescovo era divenuto improvvisamente serio.
– C’è qualcosa che non va, Eccellenza? – chiese la suora con apprensione.
– No, no è che c’è una procedura da seguire… Bisogna far stimare il terreno per calcolare l’ammontare del canone… e poi c’è da chiedere l’autorizzazione a Roma. Ci vuole del tempo…
– Se è solo questo, Eccellenza, possiamo aspettare…
E Florenzia si accomiatò da mons. Paino con la promessa che si sarebbe avviata la pratica e le avrebbe fatto sapere. Ma non era tranquilla. Percepiva che non si trattava solo dei tempi burocratici, ma che nell’atteggiamento del vescovo giocavano altre perplessità. E aveva ragione. Infatti, l’istituto continuava ad avere una vita stentata, malgrado fossero passati cinque anni dalla sua fondazione. Si era fatto qualche passo in avanti, ma era difficile intravedere, così come stavano le cose, un futuro di prosperità per queste suore. E che cosa sarebbe successo se l’istituto avesse chiuso? L’edificio era di proprietà della famiglia Profilio e l’ampliamento di esso sul terreno della mensa vescovile avrebbe rischiato di aprire contenziosi esponendosi alla critica, ma anche al rischio concreto che si favorissero dei privati. Con tutta la simpatia per questa suora e il suo coraggio non era giusto.
Era questo il filo di pensieri che immediatamente si erano proposti al vescovo, quando aveva udito la richiesta di Florenzia e che aveva continuato a sviluppare nelle settimane successive, anche dopo che aveva fatto stimare il valore del terreno e mandato a Roma alla Congregazione del Concilio la richiesta di autorizzazione a darla in enfiteusi. Così, quando finalmente l’autorizzazione arrivò, mons. Paino aveva cambiato idea. Era meglio vendere il terreno che darlo in enfiteusi. Così, qualunque cosa fosse successo, in un domani, non si sarebbe potuto dire che si erano favoriti dei privati.
Ma la somma stabilita per la vendita, e cioè 50 mila lire era veramente proibitiva per il giovane istituto, per cui Florenzia continuò a perorare la richiesta dell’affitto e così si avviò una trattativa estenuante. Una trattativa estenuante, ma anche una grande sofferenza per la nostra suora che scrisse al fratello don Antonino per avere un consiglio. Questi, a sua volta, si rivolse al suo professore di morale a Roma.
Se il vescovo di Lipari ha veramente zelo per le anime e gli istituti religiosi, può benissimo in coscienza – fu il parere del docente – cedere quel terreno della mensa vescovile per quel canone enfiteutico, sia pure esiguo ma stabilito dalle competenti autorità….
Quando, con questo parere in mano, Florenzia si presentò a mons. Paino, questi lesse attentamente il biglietto e poi scosse la testa.
“È il parere di un moralista, non di un canonista”, commentò, ma non chiuse la faccenda anzi, sorridendo, disse: Sorella, mi lasci riflettere, la chiamerò presto e intanto preghi anche per me.
E il vescovo rifletté. Erano anni, quelli, duri e di scontro fra il Vescovado e il Comune a causa, soprattutto, dei proventi della pomice e prima ancora della proprietà sui terreni pomiciferi che le
due istituzioni rivendicavano, ognuno per la propria parte, appellandosi alla storia e andando a ritroso fino a mille anni prima.

In realtà, il vescovo Paino, a differenza dei suoi predecessori, aveva proposto un compromesso chiedendo solo una parte dei proventi per il sostegno della chiesa liparese che, con le cosiddette leggi eversive emanate dopo l’Unità d’Italia, aveva perso la gran parte dei suoi beni e non riusciva più a provvedere ai canonici, alle parrocchie e alle tradizionali opere di misericordia. Il compromesso era stato respinto e il Vescovado aveva chiamato in giudizio il Comune. L’atto aveva scatenato una dura polemica nelle isole e, in particolare, a Lipari che era il centro più popolato. Polemiche sulla carta stampata, ma non solo. Durante il carnevale avevano sfilato per le strade della cittadina gruppi mascherati che, cantando canzonette irriverenti e mimando scene, tendevano a stravolgere e ridicolizzare le posizioni del vescovo e della curia. Queste venivano presentate alla gente come la pretesa di ritornare al Medioevo col dominio clericale sulla società civile nel disinteresse completo per il futuro delle Eolie. Una polemica umiliante e frustrante, alla quale mons. Paino reagì lungo due linee strategiche. La prima, dedicandosi con impegno e decisione alla vertenza contro il Comune, rimandando a dopo l’eventuale successo la dimostrazione e spiegazione delle vere ragioni. E, proprio per avere le mani più libere, a un certo punto decise di abbandonare Lipari e trasferirsi a Messina. Gesto che venne interpretato come una fuga, spaventato, si disse, da un presunto attentato che sarebbe stato ordito a suo danno. Ma questo sarebbe accaduto nell’agosto del 1913.
L’altra linea consisteva nel ribattere decisamente alle insinuazioni, spiegando nelle chiese e con fogli a stampa che la battaglia non era contro i diritti civili e sociali degli eoliani, ma per la sopravvivenza della diocesi liparese e la possibilità di continuare a esplicare la sua opera a un tempo religiosa e sociale. Ed è in questa prospettiva che il vescovo pensa che un atto di liberalità nei confronti di suore che vogliono dedicarsi ai poveri della comunità possa essere più efficace di mille prediche e cento fogli stampati.
Così, quando Florenzia va in episcopio per conoscere le decisioni, comprende subito che qualcosa è cambiato.
– Madre Florenzia, avete pregato?, le dice subito il vescovo sorridendo.
– Ogni giorno e ogni ora del giorno, Eccellenza.
– E il Signore deve avervi dato ascolto perché ha illuminato la mente del vescovo. Il terreno che avete chiesto per ampliare la casa è vostro gratuitamente. Io spero che in un domani non troppo lontano voi riusciate e sistemare i problemi economici dell’istituto, distinguendo i beni di questo da quelli della vostra famiglia. Intanto, però, proseguite con i vostri progetti. Avete la mia benedizione.
E la benedizione e la fiducia di mons. Paino diedero nuovo entusiasmo a Florenzia, che per la verità aveva passato mesi di afflizione e di avvilimento, perché non riusciva a comprendere la ragione di un comportamento così contraddittorio con la simpatia e la stima che continuava a dichiarare a lei e all’istituto.
Intanto a Lipari, dopo il successo delle Immacolatine, Florenzia ripeté l’esperienza con i maschietti – bambini dai 3 ai 9 anni – e creò la Pia Unione dei Paggi del SS.mo Sacramento. A Pirrera, dove praticamente l’istituto si trasferiva in estate, collaborava col cappellano – che era il canonico Giovanni Paino, segretario del vescovo – alla cura della nuova chiesa dedicata al SS. Nome di Maria e ad animare le funzioni. Incontrava tutti i giorni le ragazze della contrada e, soprattutto, bambine che non avevano ancora fatto la prima comunione. Così si impegnò a prepararle a questo evento e fu festa grande – che rimase a lungo nella memoria di quella povera gente – con le comunicande tutte vestite di bianco e con il velo.
Certo si trattava di iniziative che impegnavano le suore, ma erano molto limitate e non portavano nuove vocazioni. E senza nuove vocazioni la casa rischiava di ripiegare su se stessa. A questo pensava Florenzia quando una mattina guardando le colline dalla finestra della sua cameretta sentì la “voce”.
“Perché non vai a formare le figlie di Maria a Pirrera?”. Era un bel suggerimento. A Pirrera conosceva tutte le ragazze e il parroco sarebbe stato certamente contento. Così, un giorno di domenica, assieme ad altre suore salì nella contrada e cominciò a girare per le viuzze. Passavano per le case, salutavano le donne che preparavano il pranzo. Tutte le accoglievano con cordialità e rispetto. Conoscevano Florenzia fin da bambina e molti erano parenti.
– Cugina, voi non le iscrivete pure le vostre figlie a questa associazione? – Apostrofò la donna che si sporgeva dal terrazzo, quando giunse sotto la casa dei Zaia.
– Perché no; le cose buone si accettano sempre; che cosa ci vuole? – Chiese la padrona di casa.
– Preparate l’abito bianco e il velo bianco per le due ragazze più grandi.
Di ragazze ne trovò sedici e il giorno della festa del santissimo Nome di Maria ci fu la cerimonia e da questo gruppo uscirono due vocazioni, fra cui quella di suor Agnese, che divenne uno dei pilastri dell’istituto.
Sembrava che finalmente la piccola congregazione stesse decollando, perché nell’arco di due anni – fra il 1911 e il 1912 – tre suore fecero la professione perpetua, mentre da Messina arrivarono due orfanelle.

3. L’apertura di nuove case


Ed è in questo clima di buoni auspici e di speranze che Florenzia accetta l’invito del segretario del vescovo di aprire una casa a Canneto, la borgata vicina a Lipari, un abitato che era cresciuto in fretta negli ultimi decenni a ridosso dell’escavazione, della lavorazione e del commercio della pietra pomice.
Veramente la superiora aveva dei dubbi. Malgrado fosse distante da Lipari pochi chilometri via d’aria, allora la contrada era raggiungibile, in un’ora buona di cammino, per un irto sentiero che scavalcava una collina, praticato da capre e a malapena percorribile con l’asino. Più agevole era il percorso per mare con il vapore, che vi faceva scalo operando con le barche, chiamate “vuzzi rollo”, all’andata e al ritorno sulla rotta per Salina, allora tre volte la settimana. Un villaggio che sembrava abbandonato, abitato da minatori che facevano anche i contadini e pescatori, che a malapena riuscivano a mettere insieme di che sfamarsi con le proprie famiglie, figurarsi se potevano sostenere una, per quanto esigua, comunità di suore. La carne si mangiava raramente e la mangiavano chi allevava galline o qualche coniglio. Ci si nutriva soprattutto di legumi. Anche la pasta era scarsa. Arrivava col vaporetto e tutti si mettevano in fila per ritirarla. Qualche volta anche inutilmente, perché la distribuzione finiva prima che tutti potessero accedervi e così scoppiavano litigi e doveva intervenire la forza pubblica.
Di case ce n’erano poche, alternate con grandi magazzini e baracche che servivano da depositi della pietra pomice, disposte lungo tutta la spiaggia che si sviluppa a falce. Al centro del paese, come oggi, la chiesa di San Cristoforo, il patrono della contrada, posta di fronte a una fila di case, dava direttamente sulla spiaggia.
Quando il segretario gliene aveva parlato, la risposta di Florenzia fu pronta.
– A Canneto? Non mi sembra che si potrà concludere molto.
– Se non andrà bene, vuol dire che ve ne tornerete a Lipari –. Fu la risposta altrettanto immediata.
E con questa la discussione era finita, perché la suora non se la sentiva di disobbedire. Florenzia si mise subito al lavoro. A fatica trovò una casa decente, grazie alla disponibilità di un cugino, e con lei portò suor Teresa Spina che farà da superiora, prima maestra e responsabile della scuola di ricamo, mentre lei, che doveva fare avanti e indietro da Lipari, si sarebbe occupata dei bambini più piccoli. Da maestre fungeranno due postulanti. Dopo qualche mese, Florenzia vide, però, che non ce la faceva a seguire Lipari e Canneto e decise di farsi aiutare da suor Margherita Ristuccia, che avrebbe curato l’asilo e la scuola di cucito. Col tempo, grazie alla disponibilità del maestro di musica di Lipari, si insegnò anche pianoforte a sette ragazze. Le suore coadiuvavano anche il parroco nelle opere di apostolato: catechismo, preparazione alla prima comunione e cresima e guida alla messa domenicale.
Ma – come Florenzia aveva messo in conto fin dall’inizio – c’era molta povertà e le famiglie non potevano dare niente... mentre le suore avevano bisogno di un contributo anche minimo. Quella povera gente si scusava di non poter fare molto – le famiglie più fortunate mandavano della frutta, della verdura, qualche pesce – non avendo neanche di che mangiare a sufficienza. E questo, pur riconoscendo il bene che ne derivava all’educazione e formazione dei loro figli. Tutti si dispiacevano, ma non potevano venire incontro alle suore. Queste resistettero un anno, ma furono costrette ad abbandonare.
Ma se l’esperienza di Canneto per il momento si esaurisce, fra il 1914 e il 1918 bisogna registrare il primo proiettarsi dell’istituto oltre i confini dell’isola di Lipari, anche qui con passi modesti, ma comunque concreti e importanti, soprattutto se si pensa che si era in periodo di guerra e i collegamenti di Lipari con la Sicilia risultavano sempre più difficili e scomodi.
Si tratta di piccoli centri come Alimena, duemila abitanti in provincia di Palermo; Malfa nell’isola di Salina, che a quel tempo contava poco meno di 1500 abitanti; Gangi nei pressi di Alimena, allora 7 mila abitanti, su una montagna e piuttosto fuorimano. Acireale, con i suoi 31 mila abitanti di allora, è una cittadina dove l’apertura di una casa ha un significato strategico per Florenzia giacché, in prospettiva, poteva rappresentare un punto di appoggio importante in Sicilia per lo sviluppo della congregazione. 


L’insediamento in Acireale fu – come vedremo – complesso e difficile, ma non fu facile nemmeno negli altri centri per quanto piccoli. Ad Alimena le suore dovevano andare a gestire un orfanotrofio, ma ci furono problemi a subentrare alla vecchia direttrice, le cui difficoltà poi si superarono e l’esperienza poté andare avanti; a Malfa, dove avevano cominciato a operare con soddisfazione del parroco e della gente, invece una serie di disgrazie si abbatterono sulle tre suore incaricate e alla fine la casa fu chiusa; a Gangi le suore dovevano occuparsi dell’ospedale, ma si era in periodo di guerra e vi erano diversi soldati ricoverati, reduci dai campi di combattimento, ai quali era impossibile imporre un controllo e una disciplina e così anche questa esperienza si esaurì presto.
Comunque, già in queste vicende, per quanto modeste, emerge uno stile di Florenzia nella creazione delle “sue” case. Innanzitutto, ella affronta il problema direttamente. Va personalmente con le sue suore a rendersi conto della realtà e a gestire il loro insediamento – condividendo anche i disagi iniziali che spesso non sono di poco conto – rimanendo sul posto fino a che non constata che la situazione abbia assunto una sua regolarità. Qualunque sia la ragione prima per cui sono state chiamate – la gestione di un orfanotrofio o di un ospedale –, le suore si impegnano anche nella parrocchia a sostegno delle attività liturgiche e pastorali e spesso aprono scuole di taglio, di cucito e di ricamo per le ragazze. Infine, anche quando la loro opera incontra delle difficoltà insuperabili e devono concludere l’esperienza, lasciano di loro un buon ricordo e un rimpianto nei parroci e nella popolazione.
Abbiamo detto che nell’agosto del 1913 mons. Paino decise di abbandonare Lipari per meglio seguire la causa con il Comune per la proprietà delle terre pomicifere. E per tutta una serie di ragioni, fra cui anche il fatto che il Vescovado perse in tutti i tre gradi processuali, non vi farà più ritorno. Ma, prima di lasciare Lipari, accade un fatto che incise notevolmente nei rapporti fra il vescovo e la suora francescana e non certo positivamente. A dire il vero, la vicenda non riguardava Florenzia, ma il fratello, don Antonino, però i riflessi negativi finirono col proiettarsi, in qualche modo, anche su di lei e il suo istituto.
Quando, terminati gli studi e divenuto prete, don Antonino tornò a Lipari, venne nominato coadiutore nella chiesa di San Giuseppe e qui si trovò al centro di un incidente. Il giorno di san Giuseppe nella confusione della festa, in chiesa, si sviluppò un alterco fra il giovane prete e una signora, la quale gli affibbiò un solenne ceffone. Indubbiamente la vicenda creò scandalo e don Antonino avrebbe voluto querelare la donna, ma il vescovo fu di diverso avviso e lo invitò a lasciar perdere e perdonare. Il giovane non condivise e abbandonò l’incarico di coadiutore, non solo, ma cominciò a pensare di lasciare Lipari e raggiungere i familiari a New York. La reazione di don Profilio non piacque al vescovo che si fece su di lui un’idea non lusinghiera. Così, quando qualche tempo dopo il prete chiederà l’autorizzazione di partire per gli Stati Uniti e andare a trovare la madre malata, mons. Paino gli negherà l’assenso. Don Antonino la spunterà nel settembre del 1913 facendo ricorso a una rappresentazione drammatica. Si getterà in ginocchio dinanzi al prelato e piangendo lo scongiurerà di lasciarlo partire giurando che sarebbe stato via solo tre mesi. In realtà, i tre mesi diventeranno – con espedienti e sotterfugi – trentatré anni e il prete farà ritorno a Lipari solo nell’estate del 1946.
Comunque, fino all’8 dicembre 1918 all’istituto continuarono le professioni religiose con una certa regolarità e la piccola comunità arrivò a contare quindici suore fra chi aveva professato i voti triennali e chi quelli perpetui. Da questa data fino al giugno 1924, invece, tutto si ferma. Nel gennaio del 1921 arriverà a Lipari un nuovo ordinario diocesano al posto di mons. Paino. Sarà un Amministratore apostolico, mons. Salvatore Ballo Guercio, che si rivelerà particolarmente ostile nei confronti di questa esperienza, e non solo non autorizzerà nuove professioni col risultato che le novizie e alcune suore che avevano professato solo i voti triennali sfiduciate abbandoneranno, ma, come vedremo, cercherà perfino di chiudere l’istituto. Saranno anni durissimi e terribili per Florenzia. 

Le prime suore della Congregazione con Linuccia.

4. Può una suora amare come una mamma?
In quegli anni, però, Florenzia sperimenta un grande dolore. Linuccia, la bambina che il terremoto di Messina aveva lasciato orfana e le era stata affidata, muore all’età di 12 anni. Era una bambina intelligente, studiava con amore e a scuola era sempre fra le prime. A 8 anni cominciava a suonare il piano e spesso, la sera, prima di andare a dormire, si esibiva mostrando alla comunità i progressi che faceva. Ma cresceva esile e malaticcia, malgrado le suore la circondassero di cure e cucinassero per lei pietanze sostanziose e appetitose. Poi, improvvisamente, intorno al 1916 la sua salute incomincia a peggiorare.
– È tubercolosi – sentenzia il medico che viene chiamato a visitarla – e non può rimanere in comunità, perché tutti i giorni vengono molti bambini e il pericolo del contagio è altissimo.
La sentenza del medico colpisce duramente Florenzia. Allora la tubercolosi era una malattia fatale che praticamente era impossibile curare. Allontanare Linuccia dalla comunità voleva dire mandarla in un sanatorio, fuori da Lipari, e abbandonarla al proprio destino. La superiora si rifugia nella cappella dinanzi alla statua della Madonna e prega tutta la notte. Al mattino riunisce le suore.
– Sorelle, tutte sapete della malattia di Linuccia e della necessità che abbandoni la casa per evitare il contagio. Ho pensato e pregato molto. Porterò la bambina a Pirrera e spero che l’aria di campagna le sia di giovamento. La curerò personalmente. Con me verrà una suora che accudirà la bambina, quando io giornalmente scenderò a Lipari perché non posso abbandonare la casa. La raccomando alle vostre preghiere.
Furono settimane di vita durissima. La mattina presto Florenzia scendeva a Lipari per essere con le sue suore alla messa e risaliva a Pirrera subito dopo pranzo per accudire alla bambina. Si coricava con lei la notte senza paura del contagio, spiando il suo sonno e il suo respiro, soffrendo a ogni colpo di tosse. Quello dell’assistenza amorevole e della preghiera era quanto poteva fare per la bambina e lo faceva senza risparmio.
Passava ore intere a pregare la Madonna, sperando di avere un segno da lei. Ma questo segno non arrivava. Forse quello che lei provava era un sentimento troppo esclusivo, mentre invece la sua vocazione le chiedeva di amare tutti i bisognosi e dedicarsi a loro con cuore indiviso? Ma se c’era una colpa, questa era sua e non della bambina. Che la Madonna la guarisse e lei avrebbe cercato di trovarle una buona famiglia che la potesse seguire nella crescita sino all’età adulta. Sì, se era questo il problema, ecco lei faceva questo voto. Non avrebbe tenuto Linuccia legata a sé, ma era importante che guarisse, che avesse la possibilità di una vita di fronte a sé.
Poi improvvisamente tutto precipitò. Florenzia mandò di corsa a chiamare il dottore, il quale, dopo aver visitato la bimba, a voce bassa, scuotendo la testa, sussurrò.
– Non c’è più nulla da fare. Si deve rassegnare, Madre.
La tosse divenne sempre più ostinata e continua e con la tosse gli sbocchi di sangue. E una notte, una terribile notte, la bimba entrò in agonia e, sul far dell’alba, morì.
Florenzia si affacciò al balcone della casa e guardò verso Monte Rosa. La prima luce del sole tingeva di rosso l’orizzonte. Si preannunciava una bella giornata di primavera inoltrata. Ma lei aveva una morsa che le stringeva l’animo. Avrebbe voluto piangere, ma non le riusciva. E così scese nel bagghiu e prese la via della chiesa. E rimase seduta sui bisuoli del sagrato fin quando il parroco non aprì la porta. E finalmente, dinanzi alla immagine della Madonna degli angeli, la sua Madonna, Florenzia diede libero sfogo alle lacrime.
Il giorno dopo, ci fu il funerale. Una lunga fila di persone, con in testa le Figlie di Maria, accompagnarono la piccola bara fino alla chiesa dove, dopo la messa, Linuccia fu seppellita.
Così Florenzia tornò alla vita di tutti i giorni, cercando di farsi forza e tentando di non vedere il vuoto che la bimba aveva lasciato. Le suore capivano il suo dolore e cercavano in tutti i modi di non ricordarglielo, fino a quando non fu lei stessa una sera a dire che dall’indomani mattina avrebbero inserito, nelle intenzioni della messa, anche il suffragio per l’anima di Linuccia.
Ripresero anche le gite a Pirrera, gli incontri con le Figlie di Maria che aveva fondato e poi affidate al parroco, la partecipazione alle processioni.
Fu durante una di queste occasioni che nacque la vocazione di una ragazza della contrada, che poi diventerà suor Agnese. Era una ragazza di 20 anni, molto devota ma anche molto timida che, di professione, faceva la sarta. Sempre assidua alle funzioni religiose, amava leggere le vite dei santi e, in particolare, si era appassionata alla storia di santa Agnese. Le amiche ci scherzavano su e continuavano a chiederle perché non si facesse suora. I discorsi giunsero alle orecchie di Florenzia.
– È vero che ti vuoi fare monachella?, le chiese un giorno la superiora.
La ragazza arrossì, ma rispose.
– Mi piacerebbe, ma non ho soldi.
– Questo non è un problema – la rassicurò Florenzia –. Se vuoi, il problema dei soldi si risolve.
– È quello che sogno, ma è periodo di guerra e mio fratello è stato chiamato alle armi e, col mio lavoro di sarta, aiuto la mia famiglia. Quando la guerra finirà, troverò il modo di parlarne ai miei genitori…
– E io non ti dimenticherò, concluse la suora.
Passarono diversi anni da quell’incontro e l’istituto dovette affrontare diverse traversie. Ma un giorno la ragazza si vide recapitare una lettera. Era Florenzia che le scriveva: “Ad Acireale – le diceva – abbiamo le prime postulanti della casa del noviziato. Se vuoi, puoi unirti a loro e fare la vestizione.
Ma questo accadeva nell’ottobre del 1923 e ancora tanti eventi dovevano affrontare Florenzia e il suo istituto. Torniamo, quindi, agli anni della grande guerra. Era ancora trascorso poco più di un anno dalla morte di Linuccia che il cuore di Florenzia fu messo nuovamente alla prova. Alla fine del vicolo di Diana, proprio dove questo allora sboccava nella campagna, di fronte alla casa delle suore, abitava una giovane che aveva avuto una bimba e non era sposata. Nel paese era segnata a dito ed emarginata, ma Florenzia, tutte le volte che la incontrava, la salutava e le chiedeva della bambina e così avevano preso a fare anche le altre suore. In realtà, la donna dopo il parto non si era mai ripresa, aveva perdite continue, era dimagrita e si era fatta pallida come un foglio di carta. A Lipari non sapevano dire che cosa avesse e sarebbe dovuta andare fuori, a Messina o Catania, e ricoverarsi in ospedale. Ma come faceva con la bambina di pochi mesi? A chi poteva lasciarla? Le suore l’aiutavano come potevano. Le facevano recapitare un piatto di carne, quando ne avevano per loro, e non le facevano mancare il latte per la piccola.
Ma la donna continuava a deperire e ormai passava intere giornate a letto a lamentarsi. Una notte del mese di luglio, le suore furono svegliate da grida e da forti lamenti.
– Aiutatemi, aiutatemi – si sentiva gridare –, sto morendo.
Florenzia e le suore si vestirono in fretta e si precipitarono nella casa della poveretta che viveva in un magazzino a pianterreno. Di fronte a loro si presentò una scena straziante. La donna doveva avere avuto un’emorragia più grave del solito ed era a letto in un mare di sangue con la bambina che piangeva disperatamente fra le braccia. Quando vide le suore, si rivolse verso Florenzia tendendole la bambina.
– Madre, sto morendo – sussurrò con un filo di voce –, vi prego di prendervi cura di mia figlia. Ha solo 6 mesi e non ha nessuno. Vi prego, vi scongiuro in nome di Dio.
Florenzia prese fra le braccia la bimba, l’accarezzò e le asciugò le lacrime. Poi l’affidò a una suora dicendole di portarla nella loro casa, di metterla nel suo letto e di aspettare che lei sarebbe arrivata. Quindi si sedette a fianco della donna ormai rantolante e le prese la mano tenendola fra le sue.
– Non abbiate timore per vostra figlia, ce ne occuperemo noi come fosse nostra. Volete che vi chiami un prete?
La giovane fece di sì con la testa e Florenzia mandò una suora a chiamare il canonico Giovanni Costa, che abitava proprio all’inizio del vicolo. Quando questi arrivò, fece appena in tempo a darle la benedizione che la poveretta spirò.
Così Francesca, era questo il nome della bambina, entrò a far parte della vita delle suore. Florenzia aveva voluto che le si mettesse una culla nella sua stanza e l’accudiva direttamente. Ma tutte le suore facevano a gara a vezzeggiarla e la bimba cresceva allegra e vivace.
Florenzia, però, aveva uno scrupolo nell’animo che non si sentiva di confidare a nessuno. Solo una volta ne parlò al confessore.
– Padre, ho paura per Francesca, la bambina che abbiamo preso in casa quando le è morta la mamma. Lei sa come io mi sia affezionata a lei come se fosse mia figlia. Ha sostituito nel mio cuore il grande vuoto che ha lasciato la morte di Linuccia. Ma io ho paura che Dio non sia contento di questo mio amore. Noi con i voti ci siamo negati ai sentimenti esclusivi per dedicarci a tutti coloro che hanno bisogno. Ogni tanto penso che Dio, togliendomi Linuccia, mi abbia voluto punire e non voglio che la stessa cosa accada a Francesca.
– Tu, Florenzia, sai che Dio è buono e non punisce chi ama – la confortò il prete –. Per questo stai tranquilla. Non è colpa tua la morte di Linuccia e il Signore vi ricompenserà per la generosità con cui avete accolto Francesca, dando conforto a una povera donna in punto di morte. Certo, tu devi controllare i tuoi sentimenti. Nessuno può rimproverarti di avere delle preferenze e delle attenzioni particolari per questa piccola che ti è stata affidata. Ma devi evitare di affezionarti troppo a lei come se fosse una cosa tua. Devi avere a cuore il bene suo, anche se questo può voler dire trovare una famiglia che le dia delle opportunità di vita maggiore di quelle che voi potete offrirle. Questo ti farà soffrire… ma quello di guardarti intorno e di cercare la soluzione migliore per Francesca deve essere il tuo costante pensiero.
Florenzia chinò la testa per ricevere l’assoluzione e da quel momento cominciò a cercare una buona famiglia che potesse accogliere la piccola. E giunse questo giorno. Francesca aveva ormai 3 anni ed era diventata la luce e la gioia di tutta la casa. La signora che aveva deciso di adottarla era la moglie di un avvocato benestante che non poteva avere figli. Frequentando le suore, si era affezionata alla bambina, le portava sempre dei regali e passava con lei intere giornate. Molte volte l’aveva portata a casa sua e anche il marito le si era affezionato. Staccarsi da Francesca fu straziante per tutte le suore e, in particolare, per Florenzia. Ma Florenzia sapeva che questo era giusto. La vita di una suora era una vita itinerante. Non poteva fermarsi, doveva amare e poi andare avanti per cercare altra gente che aveva bisogno di amore.
Questa fu la muta preghiera che la sera rivolse, come ogni sera, alla sua Madonnina e, in fondo al suo strazio, in fondo al suo dolore, le apparve il volto sorridente di Linuccia. Finalmente quella sera il suo animo era tornato veramente nella pace.
5. La casa di Acireale
Il tentativo di insediare l’istituto ad Acireale prende le mosse nel 1918. Ci sono tre giovani, suor Immacolata e due aspiranti, Maddalena e Cristina, che sono portate per gli studi. A Lipari le uniche scuole superiori sono quelle tecniche, mentre Florenzia vorrebbe, d’accordo con loro, che frequentassero il magistrale per diventare maestre per insegnare ai bambini. Puntare su Milazzo? La nostra superiora non serba un buon ricordo di questa cittadina. La fa ancora soffrire l’incontro con il guardiano dei francescani. E poi su Milazzo non ha nessun riferimento. Ad Acireale, invece, potrebbero avere un punto d’appoggio, perché suor Pacifica è di quella cittadina e la sua famiglia ha una casa grande e potrebbe ospitarle, almeno per i primi tempi, in una stanza. Inoltre, Acireale è sede di diocesi, non così antica come Lipari, ma certo più stabile e con minori problemi, con tante scuole e diversi istituti religiosi. Perché non ci dovrebbe essere spazio per le Suore Francescane?
È questo il ragionamento che ripete alle tre interessate e le trova subito entusiaste.
– Bene, andiamo ad Acireale –, risponde subito suor Immacolata.
– Il problema è che devo mandarvi da sole. Siamo troppo poche per distaccare un’altra suora.
– Non importa, Madre, ce la caveremo – la rassicura suor Immacolata. Studieremo, ci cucineremo e rimarremo fedeli alla regola: la messa tutte le mattine nella chiesa parrocchiale e le preghiere negli orari stabiliti. Abbia fiducia in noi.
– Io ho fiducia – ribatte Florenzia –, ma siete così giovani e non conoscete Acireale, che è una cittadina con problemi del tutto nuovi per voi. Intanto, però, partiamo. Naturalmente vi accompagnerò, perché voglio vedere come vi sistemate. Poi cercherò di mandarvi un aiuto.
E così suor Immacolata, Maddalena e Cristina vanno ad Acireale accompagnate da Florenzia. La stanza che la famiglia di suor Pacifica mette a loro disposizione è grande, ma con diversi inconvenienti. Il pavimento lascia passare il fumo della cucina sottostante e, siccome giungono in un giorno di pioggia, constatano subito che dal soffitto piove come a cielo aperto e bisogna mettere in terra delle bacinelle o dei secchi per evitare che la pioggia allaghi la stanza. Ancora, il mobilio è un ammasso di fradiciume vecchio di chissà quanti anni. Ma le tre giovani sembrano non farci caso. Prendono tutto con gioia e allegria. Appena in possesso della stanza, già studiano la loro sistemazione e come organizzarsi lungo la giornata.
Florenzia, però, non è tranquilla e, tornata a Lipari, riconsidera gli impegni e i compiti delle diverse suore e decide di inviare ad Acireale una suora di esperienza e iniziativa, come suor Margherita, che tenga le fila della piccola comunità, anche quando le ragazze sono impegnate negli studi.

Cattedrale di Acireale, primi del '900 
Ed è proprio suor Margherita che si rende conto che quella sistemazione non può che essere molto provvisoria. Alla lunga rischia di smorzare l’entusiasmo delle giovani e di pregiudicare il progetto di dare vita a una vera comunità religiosa. Bisogna mettersi subito, fin dall’indomani, alla ricerca di un’altra soluzione Ma mentre sta riflettendo come riferire questo proposito alla famiglia di suor Pacifica senza offenderla, giunge un avvenimento che fa precipitare la situazione. Una notte, mentre tutti dormivano, si udì un gran fracasso. Il letto grande dove erano coricate le due aspiranti, tenuto insieme con una corda, si schiantò perché la corda si era logorata. Le ragazze si trovarono aggrovigliate sotto quel peso. Lo spavento fu grande, ma per fortuna nessuno si fece male e si passò la notte a riparare il letto in allegria fra grandi risate.
Ma la mattina dopo, rotto ogni indugio, suor Margherita comunicò alla famiglia ospitante che sarebbe andata in cerca di una sistemazione migliore e, con l’aiuto del direttore del seminario, trovò un appartamento da affittare: tre stanze, una cucina e accessori, compreso un atrio. E non era nemmeno male che la casa fosse interna, lontano dalla strada.
Gli anni che vanno dal 1915 al 1918 sono anche gli anni della “grande guerra”, quella che l’Italia combatté contro l’Impero austro-ungarico. Certo, la Sicilia e, soprattutto le Eolie, erano lontane dal fronte, e lontane sono quindi anche le nostre suore. Eppure non si può dire che ne siano rimaste estranee e indifferenti. Già abbiamo detto come a Gangi si trovarono ad avere a che fare con i soldati siciliani, reduci e ricoverati in ospedale. Altri effetti furono più indiretti e meno collegabili, come le difficoltà economiche e la crescita del mercato nero. E col mercato nero si sviluppò anche la criminalità organizzata in Sicilia, in particolare, prese sempre più piede la mafia. Ma le suore vissero questi anni soprattutto a Lipari dove, pur fra tanti problemi, per grazia di Dio la mafia sembrava non attecchire.   Continua
Per chi volesse leggere le puntate precedenti:
1) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da.htm
2) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_14.html
3) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_15.html
4) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_16.html

Italia Campione d'Europa: La festa a Lipari (video di Luciano Vivacqua)

Buon Compleanno a Rosetta Fonti, Stefano Sarpi, Angela Foti, Andrea Zaia, Maria Stella Locantro, Daniela Abbondanza, Gabriele Profilio, Andreano Manfrè, Valentina Mazzeo, Maria Pia Lo Presti, Marco Saltalamacchia