20 luglio 1866 : La Battaglia di Lissa
Nel corso della Battaglia di Lissa,
durante la III guerra d’Indipendenza italiana, il nostro Comune
paga un pesante tributo di vite umane. Tredici corazzate italiane si
scontrarono con sole sette corazzate austriache: era il primo scontro
di grandi proporzioni fra tali nuovi mezzi navali. La flotta italiana
aveva preso il mare senza piani di battaglia e senza carte accurate
dell’Adriatico. Le attrezzature e il grado di specializzazione
della flotta austriaca numericamente inferiore, erano di gran lunga
maggiori di quelli della nostra flotta. Ma soprattutto furono
determinanti della sconfitta la sfiducia degli ufficiali italiani
nell’ammiraglio Persano, nonché la sua limitata capacità di
comando.
Lissa è una piccola isola situata di
fronte alla costa Dalmata Nel 1866, l'8 di aprile, a Berlino si
celebrava il Trattato della triplice alleanza fra l'allora Regno
d’Italia, la Prussia e la Francia, in base al quale "entro tre
mesi" si doveva dichiarare guerra all'Austria. Il 16 giugno
(seppure con otto giorni di ritardo…), con il proclama di Vittorio
Emanuele II, veniva dichiarata la guerra, e il giorno 24 successivo a
Custoza l'esercito Italiano veniva sconfitto da quello Austriaco.
L'esercito Italiano operava una "ritirata strategica" fino
oltre il Po, per difendere l'allora capitale: Firenze. Il 3 luglio le
armate Prussiane sconfiggevano l'esercito Austriaco a Sadowa. Due
giorni dopo la disfatta di Sadowa, Francesco Giuseppe chiedeva
l'armistizio e pur di concluderlo offrì di cedere il Veneto alla
Francia, la quale lo avrebbe dovuto "girare" agli Italiani.
Il governo del tempo era contrario a
questa proposta perché umiliava le loro forze armate e, vista la
penosa condizione dell'esercito dopo la dura batosta di Custoza,
puntarono sulla marina per poter riportare una vittoria sul nemico
che consentisse loro di finire onorevolmente la guerra.
Il primo Ministro, Bettino Ricasoli,
telegrafò all'ammiraglio Persano dicendo: «E' indispensabile che
fra una settimana la flotta austriaca sia distrutta".
Ma qual’era lo stato della nostra
marina? Leggiamolo dalle pagine del quotidiano Francese La Presse:
«pare che all'amministrazione della Marina Italiana stia per aprirsi
un baratro di miserie: furti sui contratti e sulle transazioni con i
costruttori, bronzo dei cannoni di cattiva qualità, polvere
avariata, blindaggi troppo sottili, ecc. Se si vorranno fare delle
inchieste serie, si scoprirà ben altro!». e così il quadro è
completo!
Dunque, giunge il fatidico 20 luglio, e
quanto segue lo leggiamo dalle Memorie del Regio Commissario
Italo-Piemontese, conte Genova Thaon di Revel, incaricato
dell'annessione forzata del Veneto all'Italia.
L'ammiraglio Persano non andava
d'accordo con il suo capo di stato maggiore. Nulla sapevano i
comandanti delle squadre del piano d'azione che aveva combinato
Persano. Uscita la flotta dal porto di Ancona, varie squadre furono
mandate a sparare inconsideratamente contro le batterie di terra
altolocate di Lissa ed altri diversi punti della costa Dalmata, senza
ottenere alcun risultato. E quando la flotta nemica giunse
improvvisamente, le nostre navi divise, in bordeggiare incerto,
ebbero pena a riunirsi. All'appressarsi del nemico, egli lasciò
inopinatamente la nave ammiraglia, dalla cui alta alberatura
attendevasi segnali, per andare a rinchiudersi nella torre
dell'Affondatore.
Il Re d'Italia colò a picco oppresso
dalle navi nemiche, mentre la Palestro saltò in aria. L’ammiraglio
austriaco Tegetthoff, le cui navi erano seriamente scosse, si rivolse
verso Pola ed allora solamente si vide un segnale di Persano:
«libertà di manovra!». Sull'ordine del giorno osò scrivere essere
rimasto «padrone delle acque». Al rovescio dei generali battuti a
Custoza, egli si proclamò vincitore, essendosi tenuto fuori del
pericolo. Salvò la vita, ma non il suo onore militare.
Le perdite sono state complessivamente
di 620 mori e 40 feriti fra gli equipaggi Italiani, e di 38 morti e
138 feriti fra quelli austro-veneti.
La corazzata Re d'Italia, speronata da
quella austriaca, fu affondata in pochi minuti con la tragica perdita
di 400 uomini, la corvetta Palestro fu colpita da un proiettile
incendiario ed esplose trascinandosi dietro oltre 200 uomini.
Ben 17 eoliani, andarono a picco con le
due corazzate su cui erano imbarcati. Eccone l’elenco, forse
incompleto.
Nell’affondamento della “Re
d’Italia” morirono:
Il marinaio Bartolomeo Rando, di
Salvatore e di Marianna Tesoriero, nato a Lipari il 13 aprile 1842;
Il marinaio fochista Domenico
Favorito, di Giuseppe e di Rosalia Alajmo, nato a Lipari il 10
novembre 1842;
Il carbonaro Giuseppe Di Losa, di
Onofrio e di Maria Giuseppa La Nassa, nato a Lipari il 2 gennaio
1842 (quest’ultimo probabilmente di Stromboli);
Il marinaio fochista Francesco Lo
Schiavo, di Vincenzo e di Francesca Pirera, nato a Lipari il 22
gennaio 1843;
Il marinaio Giovanni La Greca, di
Antonino e di Marianna Picone, nato a Lipari il 24 giugno 1843;
Il marinaio cannoniere di seconda
classe Giuseppe Famularo, di Giuseppe e di Rosa Basile, nato a
Lipari il 13 novembre 1844;
Il marinaio Giuseppe Russo, di
Giuseppe e di Marianna Galletta, nato a Lipari il 16 luglio 1843;
Il marinaio timoniere Gaetano
Sciarrone, di Giovanni e di Angela Muleta, nato a Lipari il 5 maggio
1843;
Il marinaio Antonio Mollica, di
Domenico e di Giovanna Natoli, nato a Lipari l’8 settembre 1843;
Il marinaio fochista Bartolomeo
Sale di ignoti, nato a Lipari il 3 aprile 1837.
Nell’affondamento della “Palestro”
persero la vita:
Il marinaio Pasquale Maria, di
Giuseppe e di Grazia Cafarella, nato a Lipari il 16 marzo 1844;
Il marinaio Giovanni Bongiorno, di
Antonio e di Giuseppa Picone, nato a Lipari il 4 novembre 1842;
Il marinaio Carmelo Conte, di
Felice e di Giuseppa Cusolito, nato a Lipari il 31 dicembre 1844;
Il marinaio Giuseppe Renda, di
Giovanni e di Concetta Mollica, nato a Lipari il 1° luglio 1842;
Il marinaio Andrea Renda, di
Gaetano e di Marianna Ristuccia, nato a Stromboli il 2 febbraio
1840;
Il marinaio Bartolomeo Russo, di
Bartolo e di Maria Famularo, nato a Stromboli il 6 febbraio 1845;
Il marinaio Gaetano Ricciardi, di
Gaetano e di Maria Quadara, nato a Lipari il 18 novembre 1843.
Abbiamo voluto ricordare questi giovani
perché sono stati i primi cittadini eoliani del nuovo stato unitario
a morire in un conflitto del cui significato, dei cui fini politici e
militari forse non si rendevano affatto conto. Molti di loro
certamente non avevano neanche una chiara cognizione dei cambiamenti
politici nei quali le loro stesse isole erano state coinvolte. Per i
giovani come loro il primo concreto contatto con la nuova entità
nazionale italiana era stato proprio il servizio di leva, che li
aveva tenuti lontani da casa per diversi anni; almeno venti di loro a
casa non ci tornarono più, iniziando quella lunga serie di feriti,
morti e dispersi che, in un secolo di guerre terribili, folli e
comunque quasi sempre incomprensibili per color ch’erano chiamati a
combatterle, punteggerà purtroppo anche la piccola storia
contemporanea del nostro arcipelago.