Pasqua è “La Festa” per la religione cattolica, un evento che raggiunge e raccoglie i fedeli in ogni angolo della Terra, un momento che ci ricorda l’essenza del credo più diffuso al mondo: la vittoria della vita sulla morte. Un concetto, quest’ultimo, che dovrebbe animare lo spirito di carità, di gioia e di condivisione del valore della vita e che invece puntualmente si trasforma in un bagno di sangue, in nome della tradizione: che ci piaccia o no quello degli agnelli pasquali è infatti un vero e proprio olocausto rituale, da evitare anzitutto ma anche e sopratutto da combattere. Perché chi non lo combatte ne diventa comunque complice.
2.000.000 di agnelli nel mondo vengono uccisi ogni anno per la festa del Cristo Redentore. Due milioni, un numero impressionante, un esercito di infanti passati per la lama del coltello con un solo scopo: onorare una macabra tradizione che non trova spazio in alcuna pagina dei libri sacri. Si, perché se è vero che nell’antico testamento si racconta di Mosè che prescrisse al suo popolo il sacrificio di un agnello maschio, da mangiare con pane azzimo ed erbe amare, nel nuovo testamento (sul quale il cattolicesimo si fonda) non si fa menzione alcuna di pratiche similari perché è Cristo che con la sua morte e il suo sacrificio salva il suo popolo. Insomma non ci sono scuse che tengano: l’uccisione di un cucciolo di pecora o capra non è altro che una delle tante pratiche barbare, difficili da scardinare semplicemente perché ammantate di tradizione (che diventa facilmente in certi casi ritualità e superstizione, se ci pensiamo) e sopratutto di soldi, tanti.
Intanto, che ci crediate o no, il numero di agnelli citato è addirittura in calo, complici il crescente numero di vegetariani e vegani, ma anche la semplice coscienza di chi, sebbene onnivoro, non può che ripudiare l’idea che un cucciolo sia strappato alla sua mamma per morire atrocemente e senza dignità, per una festa, nientemeno religiosa. Il vero esercizio di umanità che richiede questa e ogni Pasqua deve essere scegliere: che una moltitudine di pecore non siano ingravidate a forza per dare alla luce un cucciolo in tempo perché sia sgozzato, che delle madri non debbano svegliarsi di soprassalto da mani che le frugano attorno e afferrano il loro cucciolo trascinato via mentre piange spaventato e infine che i carri della morte non si trasformino in asili nido destinati al mattatoio.
Tutto questo è crudeltà, non festa, e se neanche questo conta allora la pietà non ha alcun valore: ma le proprie scelte non si appaltano, vale allora la pena comprare un agnello vivo e avere il coraggio di sgozzarlo con le proprie mani. Non rendiamoci complici di questa mattanza, facciamo una scelta di vita: allora si, che potrà essere una vera festa.
Federico LombardiProject Manager
Professionista della Comunicazione Digitale
2.000.000 di agnelli nel mondo vengono uccisi ogni anno per la festa del Cristo Redentore. Due milioni, un numero impressionante, un esercito di infanti passati per la lama del coltello con un solo scopo: onorare una macabra tradizione che non trova spazio in alcuna pagina dei libri sacri. Si, perché se è vero che nell’antico testamento si racconta di Mosè che prescrisse al suo popolo il sacrificio di un agnello maschio, da mangiare con pane azzimo ed erbe amare, nel nuovo testamento (sul quale il cattolicesimo si fonda) non si fa menzione alcuna di pratiche similari perché è Cristo che con la sua morte e il suo sacrificio salva il suo popolo. Insomma non ci sono scuse che tengano: l’uccisione di un cucciolo di pecora o capra non è altro che una delle tante pratiche barbare, difficili da scardinare semplicemente perché ammantate di tradizione (che diventa facilmente in certi casi ritualità e superstizione, se ci pensiamo) e sopratutto di soldi, tanti.
Intanto, che ci crediate o no, il numero di agnelli citato è addirittura in calo, complici il crescente numero di vegetariani e vegani, ma anche la semplice coscienza di chi, sebbene onnivoro, non può che ripudiare l’idea che un cucciolo sia strappato alla sua mamma per morire atrocemente e senza dignità, per una festa, nientemeno religiosa. Il vero esercizio di umanità che richiede questa e ogni Pasqua deve essere scegliere: che una moltitudine di pecore non siano ingravidate a forza per dare alla luce un cucciolo in tempo perché sia sgozzato, che delle madri non debbano svegliarsi di soprassalto da mani che le frugano attorno e afferrano il loro cucciolo trascinato via mentre piange spaventato e infine che i carri della morte non si trasformino in asili nido destinati al mattatoio.
Tutto questo è crudeltà, non festa, e se neanche questo conta allora la pietà non ha alcun valore: ma le proprie scelte non si appaltano, vale allora la pena comprare un agnello vivo e avere il coraggio di sgozzarlo con le proprie mani. Non rendiamoci complici di questa mattanza, facciamo una scelta di vita: allora si, che potrà essere una vera festa.
Federico LombardiProject Manager
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