Quarta puntata
RITORNO
A LIPARI E NASCITA DELL’ISTITUTO
1. Di nuovo a Lipari
Florenzia giunge a Lipari sul
finire del febbraio del 1905. Nove anni sono passati dalla sua partenza, ma
quando il vapore si ferma di fronte a Marina Corta, le sembra fosse stato solo
il giorno prima. È a bordo con il fratello Giuseppe e la sorella Angelina che
erano andati a incontrarla fino a Napoli e, in attesa che il rollo li trasbordi, si affaccia per
cercare di scorgere la mamma e le altre sorelle che devono essere ad attenderla
e per vedere se qualcosa è cambiata su quel pezzo di isola che aveva salutato
partendo, pensando di non poterla più rivedere.
Ecco lì la spiaggia di Marina
Corta accerchiata da eleganti case a due piani, di cui una fila si spinge fin
sotto le rupi del castello. Ecco le imbarcazioni tirate a secco, le più grosse
a destra e le più piccole a sinistra. Ecco le numerose barche di pescatori.
Ecco, al centro della spiaggia, la statua in marmo di san Bartolomeo con, tutto
attorno, la cancellata. Ecco a sinistra all’imbocco del vallone e dinanzi a un
muricciolo basso, sulla spiaggia ciottolosa, altre barche tirate a secco e
dopo, la salita di San Giuseppe, che porta alla chiesa sormontata da una
guglia, e a sinistra della chiesa la torre ortogonale a tre piani con una
finestra tonda sopra e una sotto. Sì, almeno Marina Corta è sempre la stessa, e
sembra che il tempo si sia fermato.
Giunge il momento di salire sulla
barca. Il mare è un po’ mosso, ma braccia robuste l’aiutano a calarsi, come
fanno con gli altri passeggeri. E, insieme alle persone, i barcaioli prendono
in consegna il bagaglio e lo depositano a prua. Quando l’operazione è finita,
la barca, a remi, si dirige al piccolo molo della penisoletta – legata alla
spiaggia da un ponticello – dove campeggia la chiesetta delle Anime del
Purgatorio con a fianco l’ufficio del Porto. Ed eccola lì, sulla piccola
banchina, la mamma con Nunziatina, Maria e Caterina e uno stuolo di parenti e
amici che non tutti riconosce.
È il momento dei saluti, come un
antico rituale, perché nell’isola l’arrivo e la partenza assumono una
visibilità e un significato tutto particolare. Ma, mentre alla partenza erano
la mestizia e il pianto che dominavano la scena, ora invece ci sono sorrisi ed
esclamazioni di gioia e di bentornato. Poi, finito il momento delle effusioni,
tutti insieme, come in processione, con Florenzia davanti, nel suo vestito di
suora francescana, sottobraccio alla mamma, si dirigono verso la casa di
Lipari, ‘ntu Strittu a Sena, dove
Florenzia ha abitato quando, bambina, frequentava le scuole di Lipari e dove
tutta la famiglia ha soggiornato prima della partenza. E nella casa di Lipari
si stabiliscono sia per meglio seguire le vicende, sia perché, in questa
stagione, la casa di Pirrera è troppo umida e fredda.
La cittadina è cambiata? Al
confronto di New York a Florenzia sembra ancora più piccola, vecchia e grigia
di quando l’aveva lasciata, anche se, a guardarla bene, diverse case sono state
ristrutturate almeno nei prospetti, c’è la novità dell’illuminazione pubblica
con i lampioni a gas, e al centro ci sono un maggior numero di botteghe di artigiani
di quanto ricordasse. Ma di fronte al ritmo frenetico della metropoli americana
Lipari le sembra statica e immobile come un presepio.
Il giorno dell’arrivo viene tutto
dedicato ai saluti e al piacere di ritrovarsi di nuovo insieme e in buona salute.
Anche la mamma, che a New York, specie negli ultimi tempi, era sempre così
sofferente, sembra ringiovanita.
Ma fin dal giorno successivo il
problema sul tavolo è quello dell’istituto che doveva sorgere. Florenzia nota
subito una reticenza e un imbarazzo in mamma Nunziata ogni volta che ne fa
cenno. Questa sembra paga di aver riportato la figlia a casa e dimentica,
invece, della sua prospettiva religiosa. Così, la sera, sempre nelle rituali
riunioni dopo la cena e dopo il rosario, decide di fare chiarezza.
– Nei prossimi giorni, e se non è
domani sarà sicuramente dopodomani, dovrò presentarmi al vescovo come ho
promesso a Washington al Delegato apostolico. Come sta la situazione? A che
punto è questo nuovo istituto, di cui mi ha scritto Antonino e di cui pare
tutti parlino?
– Forse c’è qualche problema – è
l’incipit di Nunziata –. Te ne
parlerà di sicuro il vescovo, ma è bene che ci vai preparata. A Lipari sono
diversi i preti, a cominciare da don Giovanni Paino, il segretario del vescovo,
che vogliono un nuovo istituto di suore, un istituto liparese che affronti i
problemi di Lipari. Non tutti vedono di buon occhio le Suore di Carità che sono
a Lipari ormai da vent’anni. E non solo perché non si occupano dei due problemi
più gravi che affliggono il paese, e cioè quello delle ragazze madri scacciate
dalle famiglie e quello dei bambini abbandonati, ma soprattutto perché sembrano
troppo attaccate ai soldi… Per la questione di un lascito, sono andate in lite
persino col vescovo. Il vescovo, però, tentenna. Quando sono andata a trovarlo per
parlargli di te, mi è parso molto incerto.
– Ma è stato lui a scrivere la
lettera a mons. Falconio chiedendo il mio rientro – incalza Florenzia.
– È vero. Ma temo che l’abbia
fatto, più che per convinzione, cedendo alle insistenze del canonico Paino e
forse per un segno di attenzione nei miei confronti che gli ero apparsa tanto
preoccupata per il tuo destino, sola, in un paese così lontano.
– Mamma, mamma… io non ero sola,
avevo il mio istituto, le mie consorelle…
– Scusate, ma è inutile
recriminare se è stato un bene oppure no farti tornare a Lipari – intervenne
don Antonino che era venuto in permesso proprio per rivedere la sorella –. Non
credo, Florenzia, che tu possa pensare di tornare a New York. Ormai il tuo
futuro è qui
e vediamo che cosa si può fare. Quello che dice la mamma è vero: il vescovo è
molto perplesso. È solo da un anno che è giunto a Lipari. Lui, che è un
carmelitano, uomo di meditazione e di studi, che ha passato la sua vita finora
fra il monastero e gli studi, l’insegnamento di teologia e filosofia e si è
trovato catapultato in una realtà dove esistono forti tensioni con
l’amministrazione comunale, la borghesia locale e dove lo stesso mondo
ecclesiastico è attraversato da intrighi e pettegolezzi. Il vescovo conosce le
ragioni dello scontro delle Suore di Carità col suo predecessore, il
trasferimento di questi, l’esistenza di forti antipatie nel clero per queste
suore che vogliono farla da padrone, le idee che circolano sull’apertura di un
nuovo istituto che potrebbe riaccendere lo scontro con le suore con possibili
strascichi giuridici e burocratici. È chiaro che, quando la mamma è andata a
sollecitarlo di prendere una decisione che in qualche modo andava verso la
creazione di questo nuovo istituto, lui abbia cercato di gettare acqua sul
fuoco. E ha fatto capire che si trattava di un’ipotesi impraticabile…
– Mi ha congedato bruscamente,
sottolinea Nunziata.
– È naturale. Si sarà detto come
era possibile, in questo clima, affidare un tale incarico a una suora che
veniva dall’America e mancava da Lipari da nove anni… Forse, avrà pensato,
sarebbe stato più semplice chiamare un altro istituto da fuori… ci sono tanti
istituti di suore anche in Sicilia… Questa è stata la sua reazione di fronte
alle insistenze di mamma. Poi però, nelle settimane successive, ha avuto modo
di ragionare col suo segretario, ma anche con altri preti giovani e attenti ai
problemi sociali come don Scolarici e don Palmisano. E mi sembra che sia
divenuto più possibilista. Non gli sono spariti tutti i dubbi, ma non è più
sulla difensiva. Vai a trovarlo, suor Florenzia, e può darsi che, conoscendoti,
superi anche le ultime perplessità.
2. I primi passi di
Florenzia per aprire l’Istituto
Così il giorno dopo Florenzia
andò in episcopio. L’accolse il canonico Paino che aveva già conosciuto a
Pirrera prima di partire perché veniva, di tanto in tanto, a dare una mano a
don Lombardo, allora cappellano della chiesa del santissimo Nome di Maria. Don
Giovanni sapeva già del suo arrivo, le disse che il vescovo l’aspettava e l’introdusse nel suo studio.
Mons. Francesco Maria Raiti
dovette provare subito simpatia per questa ragazza dall’italiano incerto perchè
lesse in lei un carattere forte e anche una forte passione e una forte fede.
Uomo di meditazione e di confessionale, il monaco carmelitano comprese subito
di avere di fronte una grande anima.
– Qual è il vostro desiderio,
suor Florenzia – le chiese il vescovo un po’ a bruciapelo.
– Farmi santa, Eccellenza –
questo è sempre stato il mio desiderio.
Sullo scrittoio mons. Raiti aveva
il libro di una suora francese, carmelitana come lui, Histoire d’une âme, “Storia di un’anima”, di cui si parlava come di
una santa. Glielo avevano mandato i suoi confratelli.
– Sono convinto che quello che
abbiamo dinanzi sarà il secolo delle donne. Anche nella Chiesa. Questo è il
libro di una suora francese, Teresa di Lisieux, morta giovanissima, ma nata nel
suo stesso anno il 1873. Ora lo stanno traducendo anche in italiano. Vi leggo
alcune righe: “Ho capito che c’erano molti gradi di perfezione e che ogni anima
era libera di rispondere alle proposte di Nostro Signore, di fare per Lui poco
o molto; in una parola di scegliere tra i sacrifici che egli chiede. Allora,
…ho esclamato: Dio mio, io scelgo tutto. Non voglio essere una santa a metà,
non ho paura di soffrire per voi, temo solo una cosa: di conservare la mia
volontà; prendetela, poiché “Io scelgo tutto” ciò che volete voi!...”. E voi,
suor Florenzia, che cosa scegliete? Anche voi scegliete tutto? Anche voi siete
disposta a soffrire per Lui fino a sacrificare la vostra volontà?
L’entrata del Viale Vescovile nei disegni dell’Arciduca.
– Sono stata educata
all’obbedienza. So che non è facile, ma è uno dei tre voti che ho fatto e che
sono pronta a ripetere, questa volta, per sempre.
– Già, voi ora siete senza voti,
come scrive il Delegato apostolico e, se ho capito bene, volete rimanere
francescana. È un’ottima cosa, perché della spiritualità francescana e della
dedizione ai poveri e agli emarginati in queste isole c’è fortemente bisogno.
Scriverò al Padre generale dei Frati Minori per chiedere come fare, come
aggregare all’Ordine l’istituto che si vuole fondare. Dovete avere pazienza,
suor Florenzia, ma l’istituto si farà, ve lo prometto. A Lipari sono diversi a
crederci e volerlo.
Anche il canonico Paino, che
l’attendeva fuori dallo studio del vescovo, la rassicurò e la tranquillizzò.
Avrebbe seguito personalmente la vicenda. Sarebbe stato dietro lui al vescovo,
che con tutti i suoi pensieri…
Ma le settimane e i mesi
passavano senza novità. Florenzia – che dedicava gran parte della sua giornata
alla preghiera per lo più silenziosa in un raccoglimento contemplativo – pensò
di affrettare i tempi e decise di rivolgersi direttamente ai Frati Minori, così
come aveva fatto a New York al convento di Sant’Antonio. A Lipari c’erano solo
i Cappuccini, anch’essi francescani, ma di un altro ramo e, poi, questi avevano
la cura spirituale delle Suore di Carità e temeva che avrebbero potuto nutrire
delle prevenzioni sulla nascita di una nuova casa di suore. Così decise di
rivolgersi al convento dei Frati Minori di Milazzo, la cittadina sulla costa tirrenica
dirimpettaia di Lipari e collegata ormai giornalmente all’isola con un servizio
di navi. La sorella Angelina conosceva il padre guardiano del convento, e lei
si preoccupò di prendere un appuntamento e di accompagnarla.
Questo monaco era, però, di tutt’altra
pasta di mons. Raiti. Più sensibile alle apparenze, venne subito colpito
dall’italiano approssimativo di questa suora. E mentre Florenzia parlava della
sua vocazione e del suo progetto, l’atteggiamento di cordialità che aveva
mostrato nell’accogliere le due donne si raffreddò. Quando Florenzia terminò la
sua esposizione, nella stanza era calato il gelo.
– Una congregazione di suore è un
impegno difficile e gravoso – fece osservare il Padre – e voi siete troppo
piccola per questa impresa, non ne avete assolutamente i requisiti.
E, detto questo, chiuse la
conversazione e bruscamente le congedò. Angelina fra le due era la più
mortificata e addolorata. Era stata lei a suggerire questo incontro e sperava
molto in questo frate, che altre volte si era mostrato con lei comprensivo e
attento. Ora temeva che il colpo fosse troppo duro per la sorella e che questa
potesse abbattersi. Perciò, appena fuori dal convento, fu Angelina a parlare
cercando di consolarla. Florenzia taceva, le camminava a fianco lungo le strade
di Milazzo senza dire una parola fino alla locanda proprio di fronte al porto,
dove passarono la notte perché il vapore per Lipari c’era solo all’indomani
mattino presto. E il mattino, una volta a bordo, fu Florenzia a prendere la
parola: – Quella di ieri è stata una prova che mi ha mandato il Signore per
punire la mia presunzione e la mia vanità. L’istituto a Lipari non è il mio
progetto, ha ragione il padre Guardiano, io non ne sarei capace, sono troppo
piccola. Questo è il Suo progetto. È Lui che lo desidera, e quindi si farà. Lo
so perché su questa strada mi ha guidato una voce che non può non venire da
Lui. Ti ricordi quando eravamo ancora bambine, il giorno della mia prima
comunione? Ti ricordi quanto ti dissi che avevo sentito Gesù che mi parlava
realmente con la sua voce? Ti ricordi che tu mi consigliasti di non dirlo in
giro perché la gente mi avrebbe preso per pazza? Bene, io quella voce ho
continuato a sentirla nei momenti più importanti della mia vita, come a New York
quando decisi di scappare di casa per farmi suora. Questa voce mi ha suggerito
e mi suggerisce qual è la volontà di Dio. Io, come gli altri, devo piegarmi
alla Sua volontà. Dell’istituto che nascerà non sarò io la superiora, la
Superiora sarà l’Immacolata Concezione a cui verrà dedicato.
Angelina ascoltava con
attenzione. Era ammirata di tanta forza e di tanta fede che mostrava sua
sorella. Per parte sua, aveva già deciso, d’ora in poi sarebbe stata al suo
fianco sino in fondo, e già quella sera stessa ne avrebbe parlato alla madre
con passione e decisione. Basta più reticenze e imbarazzi: la famiglia con
convinzione doveva essere al fianco di Florenzia mostrandole affetto, sostegno
morale, solidarietà concreta e quindi anche economica. E questo perché Florenzia
lo meritava e aveva tanto coraggio e tanta fede quanto tutti loro messi
insieme, e forse molto di più. E poi, perché Florenzia era sicura che questa
fosse la volontà del Signore; e se Florenzia ci credeva, ora ci credeva anche
lei.
Mamma Nunziata non obiettò, sia
perché commossa dalle parole della figlia, ma anche perché, da donna concreta,
sapeva che in paese già si cominciava a mormorare e spettegolare su questa
famiglia che aveva fatto tornare la figlia suora dall’America per fare chissà
che cosa, e poi le faceva fare la “monaca di casa” come tante altre ragazze che
lo facevano senza tanto clamore. E Nunziata temeva che questo sparlare potesse
danneggiare anche il figlio chierico, che fra qualche anno sarebbe tornato a
Lipari prete e laureato e per il quale si poteva pensare a una promettente
carriera ecclesiastica.
Così una sera, con tutta la
famiglia riunita – c’era anche don Antonino, che era a Lipari perché aveva
completato il seminario ad Acireale e aspettava a settembre di partire per Roma
–, come al solito dopo il rosario e dopo la cena, intorno al tavolo da pranzo,
alla fioca luce del lume, Florenzia chiese di parlare.
– Sono stata stamattina dal
canonico Paino, che mi ha detto che un gruppo di preti si è riunito più volte
per discutere del futuro istituto, sul suo compito e dove potrebbe nascere.
Pare che sia difficile trovare un accordo fra chi vuole un istituto che faccia
concorrenza alle Suore di Carità sul loro stesso terreno a cominciare dalle
scuole e, quindi, punti decisamente a sostituirle, e chi invece pensa di
riempire un vuoto orientandosi verso la gente più povera ed emarginata a
cominciare dai bambini abbandonati, di cui a Lipari nessuno si interessa. Anche
sulla sede non c’è accordo. C’è chi parla dell’edificio vicino alla chiesa di
Portosalvo, dove c’era l’ospizio che è stato chiuso, ma per ottenere quel posto
ci sono troppi intralci burocratici da superare; c’è chi parla dell’ex convento
dei Frati Minori sulla Civita, ma qui il discorso è ancora più complicato
perché l’edificio non è più nella disponibilità della diocesi e sembra che il
Comune voglia farne la nuova sede municipale. Il fatto è che la diocesi non ha
oggi né mezzi né locali da dedicare al nuovo istituto e quindi dobbiamo contare
sulle nostre forze. Voi, mamma, mi avete promesso aiuto e sostegno ed è giunto
il momento di prendere delle decisioni.
Dopo queste parole nella stanza
calò il silenzio. Tutti attendevano la risposta di mamma Nunziata e questa non
si fece attendere: – Si, figlia mia, è
giunto il momento di provvedere. Abbiamo un po’ di risparmi da parte e li
investiremo in questa impresa. Dove vuoi che compriamo la terra?
– Il canonico Paino – riprese
Florenzia – dice che ci sono alcune casupole vecchie a Diana, proprio a un
centinaio di metri da qui e confinanti con il terreno del Vescovado. Sono di
proprietà del canonico Luigi Lombardo, il padrino di Antonino, che potrebbe
essere disposto a cederle.
– E sta bene, domani stesso vado
a trovare il canonico Lombardo e gliene parlo – fu la risposta conclusiva di
mamma Nunziata, e, augurando a tutti una buona nottata, sciolse la riunione di
famiglia.
La casa madre dell’Istituto a
Diana.
Il canonico fu ben contento di
dare il suo consenso e così Florenzia poteva tornare da mons. Raiti e
comunicargli quello che la famiglia aveva deciso. Il vescovo era raggiante, e
approvava la decisione di realizzare l’istituto a Diana. Chiamò il canonico
Paino, affidandogli l’incarico di scrivere a Roma al Ministro generale dei
Frati Minori per chiedere l’aggregazione all’Ordine dell’istituto che si
intendeva costituire.
“ Finalmente – pensò Florenzia – si esce dall’immobilismo
e la macchina comincia a muoversi”.
Così, nell’attesa di registrare
gli atti di acquisto, ci si rivolse a un ingegnere di Messina per il progetto e
la direzione dei lavori di demolizione e ricostruzione.
Ma fu subito chiaro che, fra un
problema e l’altro, sarebbero passati molti mesi e Florenzia non poteva pensare
di continuare a vivere con i suoi. Così in una nuova riunione di famiglia si
decise di affittare la casa di proprietà del canonico Costa, che era proprio a
fianco dove si doveva costruire l’istituto. Florenzia vi andò ad abitare subito
con la sorella Maria con l’impegno che le avrebbe fatto compagnia fino a che
non sarebbero giunte le prime vocazioni.
La casa era bella e grande, ma
spoglia di ogni masserizia. Infatti, i primi sforzi furono nell’arredamento
della cappella che doveva essere il centro di tutto l’istituto. Per questa
Florenzia scelse la stanza migliore, la adattò, la fece ripulire e vi collocò
l’altare e, sull’altare, una statuetta della Madonna Immacolata. Il mobilio
sarebbe arrivato in seguito. Letti, armadi, comodini, sedie... li acquisterà a
Messina il canonico Paino sempre con i soldi della famiglia.
Ora, in attesa della conclusione
delle pratiche, Florenzia poteva iniziare a svolgere apostolato di carità
istruendo i fanciulli nella dottrina cristiana, esortando le ragazze alla
frequenza dei sacramenti, visitando poveri e ammalati.
Il 2 agosto arrivò a Lipari la
lettera di risposta della Procura generale dei Frati Minori. Ma si trattava
ancora di una risposta interlocutoria. Il procuratore generale, per concedere
l’aggregazione, chiedeva che si rispondesse a un vero e proprio questionario.
Voleva sapere se la suora era già professa di qualche altro istituto e, in caso
positivo, se ne era uscita con la debita licenza, o del vescovo diocesano se
l’istituto era diocesano, o della Santa Sede se l’istituto era pontificio; se
l’istituto che si intendeva costituire era nuovo, bisognava che fosse approvato
dal vescovo della diocesi con le sue Costituzioni, che avesse un nome da
aggiungersi al titolo di Terziarie Francescane, nome non portato da altri
istituti già riconosciuti, e che indicasse lo scopo specifico della nuova
fondazione; che l’istituto adottasse l’abito dei Frati Minori, o almeno la
corda e la corona soliti nell’Ordine; e comunque, per l’aggregazione, si
sarebbe dovuto attendere che l’istituto prendesse consistenza, e operasse la
chiesa od oratorio pubblico che, con l’aggregazione, avrebbero partecipato alle
indulgenze dell’Ordine.
Il canonico Paino si preoccupò di
dare la risposta a stretto giro di posta perché si sperava di poter avere
l’autorizzazione entro il 4 ottobre all’inizio dell’anno scolastico, per aprire
le scuole e permettere all’istituto finalmente di vivere. Ma erano passate poco
più di due settimane, quando al vescovo di Lipari arrivò un’altra lettera,
questa volta del Ministro generale dei Frati Minori, fra Dionisio Schuler, che,
mostrando di essere all’oscuro di quella della Procura generale, praticamente
riproponeva gli stessi interrogativi. Evidentemente anche a Roma c’era qualche
difetto di comunicazione interna. Comunque, il vescovo fece rispondere anche al
Ministro generale.
3. Nasce la nuova
Congregazione
Visto che le cose rischiavano di
andare per le lunghe, a settembre, quando don Antonino partì per Roma per
andare a studiare teologia, Florenzia lo accompagnò perché voleva parlare con
qualcuno che sapesse orientarla. Col fratello incontra il professor don Gennaro
Bucceroni, docente di morale dell’Università Gregoriana, che, dopo aver letto
la copia della lettera del 2 agosto inviata al vescovo dal Procuratore
generale, tranquillizza Florenzia.
“Cara suor Florenzia,
non deve preoccuparsi. Di fatto l’autorizzazione già esiste perché il suo,
essendo un istituto nuovo, spetta al vescovo approvarlo con le relative
Costituzioni. Per le Costituzioni utilizzi pure – aggiunse dopo aver dato una
scorsa alle carte che la suora gli aveva portato – lo Statuto delle Terziarie
Francescane di Allegany facendolo tradurre e, rivolgendosi a don Antonino, in
serata ti darò il recapito di un assistente dell’università che potrà aiutarvi
nella traduzione, conoscendo l’inglese ed essendo esperto della materia.
Quindi, indirizzandosi nuovamente a Florenzia, concluse: – Anche l’abito delle
suore di Allegany va bene. Quanto al nome, faccia lei, l’unico consiglio è che si dica che si
tratti di suore francescane e ci accerti che non ci siano altre congregazioni
con lo stesso nome.”
Florenzia tornò a Lipari più
serena. Ora tutto era pronto: lo Statuto, l’abito e anche il nome su cui da
qualche tempo andava riflettendo. L’istituto si sarebbe chiamato delle Suore
del Terz’Ordine Francescano dell’Immacolata Concezione di Lipari. Immacolata
Concezione era il nome della Custodia degli Stati Uniti, dove era stata accolta
come suora, e l’Immacolata Concezione voleva che fosse la protettrice
dell’istituto, anzi la sua vera Superiora. Inoltre, si aggiungeva “Lipari” –
come d’altronde le Franciscan sisters
statunitensi avevano aggiunto “Allegany” – perché si fosse sicuri che non ci
fossero altri istituti già riconosciuti con la stessa denominazione.
A Lipari, Florenzia andò in Vescovado
a parlare con mons. Raiti e il canonico Paino. Raccontò dell’incontro con il
professore, consegnò le copie dello Statuto già tradotte e li rese partecipi
della scelta dell’abito e del nome. Con il vescovo si scelse anche la data
dell’inaugurazione dell’istituto: la festa di Tutti i Santi.
E arrivò il giorno tanto atteso.
Non era una giornata di sole; anzi il cielo minacciava piuttosto la pioggia, se
non fosse stato per un vento di tramontana che rendeva mobili le nuvole e
decisamente autunnale il clima. Ma per Florenzia era, comunque, una giornata
radiosa. Non aveva dormito tutta la notte ed era ancora buio quando disse le
preghiere del mattino e, come ogni giorno, si dedicò alla recita del rosario.
Si trattava di un momento dove la recita dei paternostri, delle avemaria e dei
gloria si intrecciava con una meditazione che era a metà strada fra la
contemplazione e il discernimento spirituale. Alla fine di ogni “posta”,
ringraziava il Signore per il cammino che aveva compiuto e gli chiedeva di
illuminarla e accompagnarla nella strada che le si apriva dinanzi. Ricapitolava
le vicende degli ultimi mesi e cercava di scorgere in esse un significato più
profondo, oltre all’avvicendarsi degli eventi.
Ricordava le parole del Vangelo:
“Quando vedete una nuvola che sale da ponente, voi dite subito: “Presto
pioverà”, e così avviene. Quando invece sentite lo scirocco, dite: “Farà
caldo”, e così accade. Ipocriti! Siete capaci di capire l’aspetto della terra e
del cielo, come mai non sapete capire quel che accade in questo tempo?”. Ma per
capire occorre meditare sulle cose che accadono e sapere che nulla avviene per
caso. Certo, non era stato per caso che lei era andata in America e non era
nemmeno per caso che fosse tornata a Lipari e che ora era impegnata nella realizzazione
di questa opera.
Pregando e meditando, era
spuntato il giorno e Florenzia si aggirava per le stanze di via Diana per
controllare che tutto fosse decisamente in ordine. Poco dopo, la raggiunsero la
mamma, le sorelle e il fratello Giuseppe che volevano farle sentire tutta la
loro partecipazione e solidarietà. C’era anche don Antonino, che era arrivato
appositamente da Roma e per nulla al mondo si sarebbe perso questa cerimonia
che, nella vita della sorella, rappresentava un grosso punto fermo.
Il Vescovo mons. Raiti. A destra il cancello del Viale vescovile con in
fondo l’Episcopio.
L’inaugurazione della nuova casa
religiosa avvenne con una cerimonia solenne alla quale intervennero mons.
Raiti, il Capitolo della cattedrale, il clero, le autorità civili e una
moltitudine di popolo come segno di attenzione e anche per la curiosità di
vedere la suora venuta dall’America. Il discorso di occasione lo fece mons.
Angelo Paino, che era originario di Salina e aveva già una grande fama di
sacerdote colto con dinanzi a sé un grande avvenire. Ma forse più euforico di
tutti era il canonico Giovanni Paino, il segretario del vescovo, che era stato
fra i più tenaci propugnatori dell’iniziativa e i maligni dicevano anche per
ripicca con le Suore della Carità che avevano avuto l’ardire di fare causa al
vescovo. E sarà lui a scrivere sul registro ancora immacolato del nuovo
istituto quello che era l’auspicio della diocesi: “Una casa religiosa ove tante giovanette, dedite alla pietà e alla
vita ritirata, potessero vivere disciplinate sotto una regola e appagare così i
santi desideri del loro cuore”.
In attesa, però, dell’arrivo
delle “tante giovinette”, Florenzia viveva sola nella nuova casa con la
compagnia della sorella Maria adattandosi, per alcuni giorni, a dormire per
terra perché mancavano le cose più necessarie. Ma non erano questi i problemi
più sentiti.
La partenza dell’istituto si
mostrava laboriosa sotto vari punti di vista. Quando infatti, due settimane
dopo, arriva la risposta al vescovo del Ministro generale, è un po’ come una
doccia fredda. Padre Schuler autorizza i voti semplici per un altro triennio,
ma giudica non prudente l’emissione dei voti perpetui e non conveniente
l’aggregazione all’Ordine. Consiglia, infatti, di vedere prima come cammina l’istituto
e come si sviluppa.
I voti semplici Florenzia li
rinnova il 3 dicembre ed è felice ma anche angustiata e perplessa. Della nuova
casa religiosa – essendo l’unico membro – svolge il ruolo di istruttrice e
superiora. Ma come poteva svolgere il ruolo di superiora quando gli Statuti
prevedevano che per ricoprirlo occorresse avere emesso i voti perpetui?
Ed è questa la domanda che gira
al vescovo, proprio in quel giorno di festa, e mons. Raiti le consiglia di
scrivere una petizione al Ministro generale che lui stesso avrebbe
sottoscritta, sottolineando che ormai ella aveva 33 anni ed era e si sentiva
suora a tutti gli effetti.
“Emetta i voti perpetui –
risponde padre Schuler – ma con una professione semplice non solenne perché
quella solenne è riservata, e non sempre, a istituti approvati dalla Santa
Sede, mentre quello di Lipari è, per ora, di approvazione diocesana.
L’approvazione della Santa Sede arriva dopo molti anni di esperimento, previa
sempre l’aggregazione al primo Ordine Regolare”.
Qui il Ministro generale elenca
nuovamente le condizioni e le richieste per concedere questa aggregazione e
autorizza il vescovo ad approvare istituto e Costituzioni, ignorando o
dimenticando che mons. Raiti l’aveva già fatto col decreto del1° novembre 1905.
Finalmente, però, il 2 agosto Florenzia può emettere i voti perpetui e sentirsi
pienamente in regola con la sua missione.
Ora, pensa, arriveranno
finalmente le vocazioni. Le “tante giovinette”, di cui aveva parlato il
canonico il giorno dell’inaugurazione, e di cui parlavano diversi sacerdoti di
Lipari quando era in America. Ma dopo diverse settimane, alla porta del nuovo
istituto bussa solo una ragazza, Pina la Greca. Florenzia l’accoglie a braccia
aperte e scopre subito che ha un carattere umile e paziente, capace di
accettare i sacrifici che in questa fase non mancano. Prenderà il nome di suor
Veronica.
Ancora qualche tempo e arriva
Francesca Natoli che diverrà suor Dolores. Ma se rispetto a Pina Florenzia non
ha alcun dubbio, le perplessità invece non mancano per Francesca. Non era solo
il fatto che appariva malaticcia e sofferente. Non la convince la sua
vocazione, le sembra che la sua decisione sia un po’ un ripiego non trovando
nella vita una strada migliore. Ma non si poteva essere troppo esigenti perché
non c’era scelta, mentre bisognava dare vita a delle iniziative e gestire la
realtà quotidiana della casa.
Così aveva inizio la vita
comunitaria con Florenzia che faceva da superiora e da maestra delle novizie
alle due postulanti. E, ricordandosi di Pittsbourgh, era una superiora e una
maestra rigorosa, anche se non voleva apparire per niente fredda e scostante.
4. I primi passi
Ora che un primo nucleo di
comunità era costituito, l’istituto doveva cominciare a operare per
giustificare la sua esistenza. La prima iniziativa che si decise di promuovere
fu un laboratorio di ricamo e cucito. A dirigerlo venne chiamata una giovane
diplomata di Catania, tutto a spese della famiglia Profilio, perché il
laboratorio funzionava gratuitamente proprio per venire incontro alle famiglie
povere. E mentre le ragazze imparavano il ricamo e cucito, Florenzia si
occupava della loro formazione religiosa che prevedeva anche lo studio di canti
per le funzioni religiose.
La prima esigenza che si
manifestò, a questo proposito, fu quello di un pianoforte e così, nell’estate
del 1906, mamma Nunziata, che ora era tutta dedita alla missione di Florenzia,
mandò Angelina e Maria a Napoli a comperarne uno e… obbligò Caterina, che in
America aveva imparato a suonarlo, ad accompagnare, forzando
un po’ la mano, con la musica le canzoni. E a
fianco del laboratorio presto nacque anche un asilo nido, a cui si dedicava direttamente
Florenzia e, quindi, fra le ragazze della scuola di taglio e cucito e le
bambine dell’asilo, si organizzò la pia unione delle
Immacolatine.
Finalmente, una domenica mattina,
uno stuolo di giovinette e fanciulle, vestite di bianco, cinte di un nastro
celeste e con un lungo velo bianco, fecero corteggio all’Immacolata intorno
all’altare della stanza che fungeva da cappella dell’istituto, pronunciando
l’atto di consacrazione alla Madonna.
A un anno di distanza
dall’inaugurazione dell’istituto, se le vocazioni stentavano ad arrivare e
Lipari si mostrava, a questo proposito, più avara di quanto i preti avessero
ritenuto, non mancavano, però, le attività e la partecipazione e la gente di
Lipari cominciava a conoscere queste suore che si dedicavano soprattutto agli
ambienti più poveri e bisognosi.
Nella cittadina e nell’isola
cresceva la fama della suora che era venuta dall’America, ma cresceva anche
l’invidia, in particolare fra quelle Suore di Carità, che non accettavano di
essere indicate come le suore dei signori in contrapposizione alle Francescane.
Florenzia, però, non avvertiva o
non si curava di queste nubi che venivano addensandosi sul suo giovane
istituto, pensava invece a ingrandire i locali che erano veramente troppo
angusti per accogliere le iniziative, che si venivano sviluppando a cominciare
dalla realizzazione di una vera cappella che potesse ospitare in permanenza il
Santissimo e dove si celebrasse la messa possibilmente tutti i giorni.
Se ne parlò in famiglia e si
decise di comprare due casette attigue, di proprietà dei sacerdoti fratelli
Costa, e un pezzetto di terreno poco più grande di una stanza, dal canonico
Lombardo che, tempo prima, l’aveva ottenuto, in enfiteusi, dalla mensa
vescovile. Intanto lo stesso canonico Costa, che abitava proprio a fianco
dell’istituto, accettò, ottenuta l’autorizzazione dalla Santa Sede, di
celebrare messa nella piccola cappella tutte le mattine.
Florenzia vive tutta concentrata
sulla sua opera, gli unici problemi che si prospetta sono quelli delle iniziative
da organizzare e dei lavori di costruzione che devono essere progettati e
realizzati. Ma una mattina, mentre è in Vescovado e attende di essere ricevuta
dal vescovo, coglie dei discorsi o, meglio, il chiacchiericcio di alcuni preti.
– Non so quanto tempo rimarrà
ancora a Lipari mons. Raiti – commenta uno di questi –. Lui è un uomo
tranquillo che non ama le grane e qui le grane si stanno moltiplicando. Sembra
che da un momento all’altro si riproporrà il problema dei terreni pomiciferi
che il Comune ormai considera proprietà sua infischiandosene dei diritti della
diocesi…
– Già, e poi c’è quel problema
della scalinata che dovrebbe portare alla cattedrale –commenta un altro –. Al
tempo di mons. Audino sono iniziati i lavori, si è tagliata la cinta muraria,
ma poi tutto si è bloccato. È dall’agosto del 1903 che c’è questo grande
squarcio nelle mura, ma la scalinata non c’è. La gente protesta e il Comune
sembra volere avviare un’azione penale contro il Vescovado, che ha iniziato i
lavori e non li ha portati a compimento.
– Ma che c’entra mons. Raiti?
caso mai il Comune se la deve prendere con mons. Audino, che ora è vescovo di
Mazara del Vallo.
– È vero, ma il vescovo Raiti,
solidale con mons. Audino, ha chiesto alla Santa Sede di potere adoperare parte
del lascito di mons. Ideo per completare questi lavori, e questa è un’altra
grana perché quel lascito le Suore di Carità lo ritengono ormai di loro
competenza, da quando il vescovo Natoli affidò loro in custodia i titoli del
lascito perché beneficiassero della rendita...
– …e quando mons. Audino li
richiese indietro, la superiora ubbidì, ma ricorse alla Congregazione dei
vescovi e dei regolari.
– Sì – constatò il primo prete –
e la situazione si sta ripetendo anche con monsignor Raiti. Poi, abbassando la
voce come per non farsi sentire da Florenzia, aggiunse: ora, però, lo scontro
rischia di essere più generale e più duro perché le Suore di Carità
rimproverano a mons. Raiti di favorire la suora americana e non hanno visto di
buon occhio l’accoglienza riservata alla Profilio, il riconoscimento della
nuova casa, l’impegno perché ottenesse l’autorizzazione ai voti perpetui, la
costruzione della sede della nuova congregazione, l’istituzione
dell’associazione delle Immacolatine.
– Ma qui, più che a un’azione di
autodifesa, siamo di fronte a una forte manifestazione di gelosia. Come può la
Santa Sede accogliere un ricorso di questo genere. Certamente mons. Raiti avrà
partita vinta.
– Sicuramente, ma intanto lui aspetta
l’occasione buona per togliersi da questo nido di vipere che sembra diventato
Lipari. E si parla di una proposta per la sede di Trapani…
Florenzia coglie praticamente
tutta la conversazione, compresa la parte che i due preti volevano nasconderle
e immediatamente una grave tensione la invade tanto che accampa una scusa
qualsiasi col canonico Paino e scappa via. Non era in condizione di discutere
serenamente con monsignore. Doveva prima calmarsi e lasciar sedimentare le
informazioni che l’avevano investita. E non tanto quelle che la riguardavano
direttamente. Che le altre suore non avessero colto con favore la costituzione
del suo istituto, l’aveva capito dal loro atteggiamento a iniziare dal fatto
che cercavano di evitarla in ogni occasione. Certo, non sapeva che questo
sentimento si fosse tradotto in un ricorso vero e proprio alla Santa Sede. Ne
avrebbe scritto a don Antonio per sapere che cosa era meglio fare.
Ma la notizia che più l’aveva
colpita e preoccupata era la possibilità che mons. Raiti lasciasse la diocesi.
Questa diocesi era sempre così instabile, i vescovi erano come di passaggio.
Mons. Raiti era il vescovo che l’aveva chiamata dall’America e l’aveva seguita
con partecipazione e affetto nella costruzione della sua opera. Chi sarebbe
venuto al suo posto? Come l’avrebbe accolta un nuovo vescovo? Erano tanti i
problemi aperti per il suo istituto, così strettamente legato a questa diocesi
travagliata, e sarebbe bastato poco perché tutto naufragasse.
Su questi interrogativi e queste
preoccupazioni Florenzia ci pregò come era abituata a fare. Tornò alla casa ed
entrò nella cappella. Si sedette di fronte alla statua dell’Immacolata e, nel
silenzio che tanto amava, cominciò a ragionare con lei come se fosse lì
presente e le rispondesse.
– Ci sono cose su cui io non
posso intervenire, rispetto alle quali sono impotente e le affido a te, Madre
santissima. Ma se qualcosa io posso fare devo farla. Io non posso trattenere il
vescovo se vuole andare via, ma posso scrivere a Roma ai miei superiori, a quel
padre Dionisio Schuler chiedendogli di prendere il nostro istituto direttamente
sotto la sua autorità e di toglierla da quella del vescovo di Lipari, che oggi
è il vescovo Raiti che mi protegge e mi vuol bene, ma domani potrebbe essere un
altro che decide di chiudere l’istituto. Certo, padre Dionisio, rispondendo e
informando il vescovo, non dovrebbe dire che si tratta di una mia richiesta. Il
vescovo potrebbe adombrarsi, potrebbe pensare a una mia mancanza di fiducia.
Sì, nella lettera di risposta dovrebbe dire che si tratta di un’iniziativa sua.
Ecco, domani scriverò una lettera in questo senso e speriamo che abbia effetto.
Più di questo non posso fare. Per il resto, Madre santissima, mi affido a te e
affido a te l’istituto.
Le chiacchiere dei preti in Vescovado
si dimostrarono fondate. Il 6 dicembre 1906 mons. Raiti verrà trasferito alla
diocesi di Trapani e continuerà a occuparsi ancora per qualche mese di Lipari
come amministratore apostolico. La causa che le Suore di Carità intentano
contro di lui e il nuovo istituto si risolverà in una bolla di sapone perché la
Santa Sede non accoglieva le loro ragioni e il successore di mons. Raiti
metterà definitivamente una pietra sopra alle loro pretese. La Congregazione
vaticana stabilisce che le Suore di Carità sarebbero potute rimanere a Lipari,
se il vescovo lo desiderava, e avrebbero potuto continuare a occupare i locali
del seminario, finché questo non fosse stato ricostituito, ma non avrebbero più
goduto della rendita sul legato Ideo né avrebbero più potuto reclamare alcun
diritto.
Don Lavitrano che diventerà cardinale.
In questa vicenda, fra le tante
sofferenze e preoccupazioni, la suora francescana fa anche una conoscenza che
si rivelerà importante in futuro, quella di don Luigi Lavitrano, un giovane
professore della Gregoriana dove studiava don Antonino, che era anche avvocato
della Sacra Rota e aveva assunto la difesa di mons. Raiti. Don Lavitrano tenne
costantemente informato il suo studente e, quindi, la sorella degli sviluppi
della causa.
Ma se un problema si chiudeva, un
altro se ne apriva. I costi per sostenere l’istituto e quelli per fare studiare
Antonino a Roma finirono per prosciugare i risparmi che la famiglia aveva
accumulato a New York. Tirare i remi in barca, però, non si poteva. Florenzia e
don Antonino rappresentavano due impegni importanti per mamma Nunziata e tutta
la famiglia. E così in un’altra delle riunioni lei espose ai figli la
risoluzione che aveva maturato. Giuseppe, Angelina, Nunziatina e Caterina
torneranno a New York a lavorare e sostenere così gli impegni familiari. Lei –
visto che non sopporta l’aria dell’America – sarebbe rimasta a Lipari con Maria
e sarebbe stata vicino a Florenzia che ogni giorno aveva una battaglia da
affrontare.
Il vescovo, che aveva sostituito
mons. Raiti, era mons. D’Arrigo, arcivescovo di Messina, che veniva a svolgere
a Lipari la funzione di amministratore apostolico. Un vescovo non residente,
quindi, che visitava la diocesi di tanto in tanto giacché il peso di Messina
era preponderante.
Comunque il primo incontro con
Florenzia, sul finire del marzo 1908, si mostra subito promettente. Il prelato
non solo l’accoglie benevolmente, ma promette di aiutare e proteggere il nuovo
istituto. Florenzia si sente confortata e prende il coraggio a due mani.
– Eccellenza,sussurra, ci sono due novizie, le prime due, che
ormai vivono nella casa da due anni. La prego di ammetterle alla professione.
– Suor Florenzia, è stata Lei la maestra del noviziato?
– Sì, Eccellenza.
– Ma non avete ancora un
noviziato autorizzato. E quindi bene che mi accerti personalmente della
formazione religiosa delle due candidate. Se supereranno la prova – aggiunge
sorridente – a settembre faremo la cerimonia di vestizione. Anzi fissiamo
subito la data del 2 settembre.
L’incontro è andato bene, quanto
meglio poteva sperare, ma quel riferimento alla mancanza di un noviziato
autorizzato la lascia turbata. Come al solito, ci pensa su pregando e
discutendone nel silenzio con la Madonna e decide che è arrivato il momento di
andare a Roma a trovare il Ministro generale dell’Ordine. Non aveva mai
ricevuto risposta alla lettera che gli aveva scritto due anni prima e, insieme
a una risposta, gli avrebbe chiesto l’autorizzazione per il noviziato. Informa
di questa sua decisione don Antonino e chiede a lui di concordare la data della
visita.
Ma l’incontro non poteva avere
successo, almeno nel senso che auspicava Florenzia. Quando la suora fu ammessa
alla presenza di padre Dionisio Schuler, questi aveva in bella mostra sul
tavolo la sua lettera. Lasciò, però, che ella esponesse il suo pensiero e poi
prese la parola.
– Non le ho risposto, reverenda
sorella, perché il caso suo e del suo istituto non è di mia competenza.
Distaccandosi dalle suore di New York, lei si è posta fuori dalla normativa
dell’Ordine ed è rientrata, a mio avviso, sotto il diritto comune soggetta
all’ordinario, come tutti gli istituti di diritto diocesano. Quindi non a me
deve rivolgersi, ma al suo vescovo.
Mons. D’Arrigo
Quando il 2 settembre mons. D’Arrigo verrà a Lipari per
presiedere le professioni di suor Veronica e suor Dolores nella cappella del
nuovo Istituto in via Diana, Florenzia presenta al vescovo, per iscritto, la
richiesta di erezione canonica del noviziato. Mons. D’Arrigo appone il suo
visto sotto la lettera di Florenzia e la invia al Ministro generale
dell’Ordine. E fu a questa lettera che padre Schuler rispose ribadendo quello
che aveva detto a Florenzia qualche mese prima quando era andata a trovarlo.
Sulla base di questa risposta, il vescovo autorizzò l’apertura canonica del
noviziato sanando una situazione irregolare e permettendo che le nuove
arrivate, Teresa La Spina di Acireale e Geltrude
Spinella di Canneto di Lipari, potessero cominciare regolarmente l’anno di
preparazione alla professione dei voti.
(Quarta puntata. Continua)
Per chi volesse leggere le puntate precedenti:
1) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da.htm
2) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_14.html
1) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da.htm
2) https://eolienews.blogspot.com/2018/06/quella-di-florenzia-una-storia-da_14.html
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