Cerca nel blog
sabato 22 aprile 2023
Marevivo insieme a Caronte&Tourist in Sicilia per preservare il patrimonio naturale delle isole minori
22/04/2023 – Si sono concluse con successo e grande entusiasmo da parte di organizzatori, enti, giovani partecipanti, le attività di beach clean-up promosse da Marevivo, in collaborazione con Caronte&Tourist in Sicilia. L’iniziativa nasce per supportare i Comuni delle isole siciliane prima dell’inizio della stagione estiva e sensibilizzare cittadini e turisti sull’immenso valore naturalistico ed
Decine di volontari e studenti delle scuole, guidati da operatori e professionisti Marevivo, si sono riuniti per ripulire le spiagge di Linosa, Ustica, Pantelleria, Favignana e Marettimo dove sono stati raccolti, in totale, circa 200 kg di rifiuti, per lo più rappresentati da confezioni in plastica monouso, come bottigliette di plastica, cannucce, tappi di bottiglie e ancora frammenti in plastica, polistirolo, confezioni di latte in carta, pezzi di tubi PVC e materiale ferroso. L’attività ha coinvolto anche i Comuni isolani e le Aree Marine Protette delle Isole Egadi, Pelagie e dell’Isola di Ustica.
Il progetto, partito nel mese di marzo, ha visto interessate anche le spiagge di Vulcano, Panarea, Salina, Lipari e, grazie al prezioso supporto delle amministrazioni locali, ha permesso di rimuovere dalle spiagge interessate rifiuti, secondo il campionamento effettuato, costituiti da plastica e microplastiche, i cui frammenti, spesso difficili da rimuovere, rappresentano un serio problema per l’ambiente e per l’uomo.
Protagonisti gli studenti e le studentesse dell'IC Lipari Santa Lucia e dell'IC Isole Eolie, che già partecipano al progetto di educazione ambientale di Marevivo "Delfini Guardiani"
“Le isole minori sono laboratori ideali per lo sviluppo di politiche sostenibili che affrontino il problema della gestione del mare e delle attività ad esso connesse. – ha dichiarato Fabio Galluzzo, Vicepresidente Marevivo – Quando pensiamo alla spiaggia spesso non ci rendiamo conto che si tratta di un complesso ecosistema ricco di biodiversità che ospita centinaia di specie animali e vegetali. Per questo abbiamo particolarmente a cuore queste attività, che coinvolgono attivamente volontari, cittadini e studenti, educandoli a guardare la spiaggia non come qualcosa da sfruttare nei mesi estivi, ma come un ambiente prezioso da preservare tutto l’anno.»
A sostegno dell’iniziativa, il Gruppo Caronte& Tourist, società di trasporto marittimo siciliana che opera nei collegamenti da e verso le isole minori e impegnata attivamente nella battaglia ambientale.
“È ormai un dato di fatto che la riduzione dell’impatto delle attività dell’uomo sul pianeta debba avvenire adesso. Proprio per questo il nostro Gruppo affianca da anni Marevivo e supporta le sue attività, che uniscono la teoria all’azione e, quindi, ai risultati. "La pulizia delle spiagge è un gesto di impatto per il senso di responsabilità e consapevolezza che induce nei confronti del nostro mare, ancor di più se i primi attori coinvolti sono i più giovani" – così ha affermato Lorenzo Matacena, Amministratore Delegato di C&T che prosegue – Sentiamo una forte responsabilità nei confronti dei territori in cui operiamo e siamo impegnati su più fronti per fare la nostra parte. Se da un lato, ad esempio, studiamo soluzioni per ridurre al minimo le emissioni delle nostre navi, dall’altro crediamo altrettanto importante stimolare cambiamenti anche tra i nostri dipendenti e tra i nostri stakeholder. I nostri uffici nelle prossime settimane diventeranno completamente plastic-free e successivamente inizieremo a fare lo stesso sulle nostre navi. È una sfida difficile, che passa in primis dall’educazione e
dalla sensibilità di ogni individuo.”
Ricordando...Angelino Speziale
Nella rubrica "Ricordando" sarà pubblicata, in modo casuale, giornalmente, una foto degli Eoliani o amici delle Eolie che non ci sono più. Ovviamente tra quelle presenti nel nostro archivio.
La pubblicazione di foto a vostra richiesta, anche per commemorazioni, ricorrenze ecc., potrà, invece, avvenire previo contributo da erogare ad Eolienews.
Per tale tipo di pubblicazioni contattare il 3395798235 (preferibilmente whatsapp)
Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto di limitazione all'afflusso di veicoli a motore nelle Eolie per l'anno 2023
Limitazione all'afflusso di veicoli a motore per l'anno 2023 sulle isole Eolie. (23A02303) (GU n.94 del 21-4-2023)
IL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Auguri di...
Errare è umano... ma se subentra la professionalità... (di Francesco Subba)
Riceviamo e pubblichiamo:
Direttore buongiorno,
nella giornata di giovedì scorso ero di rientro a Lipari con aliscafo delle ore 14.30 da Milazzo, ho richiesto il mio biglietto e sono stato raggiunto dal solito sms in qualità di titolare di residenti card. Arrivati al porto di Vulcano il personale di bordo si è evidentemente accorto che non erano scesi tutti i passeggeri che dovevano raggiungere quella destinazione e, dopo qualche minuto di attesa, probabilmente dovuto alla consultazione di un terminale, sono tornati chiamando il mio nome per evidenziare che avevo acquistato un biglietto per Vulcano e non per Lipari. Dopo aver insieme verificato il biglietto ho spiegato che io sono di Lipari, che avevo richiesto il biglietto per Lipari e che dovevo scendere a Lipari e non a Vulcano. Con gentilezza mi hanno concesso di viaggiare fino a Lipari dove, in biglietteria, avrei pagato la relativa integrazione. Quanto sopra a titolo di premessa solo per evidenziare quello che è successo subito dopo, quando ho pensato di inviare un msg di WhatsApp alla biglietteria di Milazzo che, in tempo reale, mi ha risposto credo tramite l'operatrice alla quale mi ero rivolto per l'acquisto del biglietto che si è scusata, mi ha inviato sul telefono un nuovo biglietto per la tratta Vulcano - Lipari (a sue spese) e ha informato di tale emissione il personale di bordo che è venuto a comunicarmelo. A volte può succedere di essere soggetti passivi di errori che è umano commettere, e leggo spesso di chi inveisce contro gli stessi, quindi credo sia giusto, per una volta, raccontare questa storia di scioccante professionalità, efficienza ed efficacia in tempo reale dell'operatrice della biglietteria di Milazzo e complimentarmi, oltre che con lei, con chi ha la fortuna di averla come collaboratrice.
Saluti
Francesco Subba
Oggi è il 22 aprile. Buongiorno con questa cartolina dalle Eolie e con il Santo del giorno
Questo nome venne già portato e illustrato dal valoroso re di Sparta, caduto alle Termopili, alla testa dei suoi eroici soldati.
Anche il Leonida cristiano fu un valorosissimo combattente che suggellò con il martirio la propria vita e la propria fede. Per di più ebbe la ventura di essere padre di uno degli scrittori cristiani più fervorosi e più arditi. Perciò San Leonida è comunemente designato come « padre di Origene ».
Oriundo anch'egli della Grecia. Leonida era maestro di retorica ad Alessandria e padre di sette figli. Al maggiore, Origene ebbe cura di dare un'educazione filosofica e letteraria vastissima, insieme con la conoscenza profonda della Sacra Scrittura. che il giovane imparò addirittura a memoria.
Presto, il padre-maestro dovette però frenare l'accesa curiosità del giovane, che voleva sapere tutto di tutto, con una precocità impressionante. Si disse poi che il padre, ammirato da quel fervore spirituale, baciasse, quando dormiva, il petto del figlio, dove s'era acceso il fuoco della sapienza divina.
Ma venne il tempo della prova. Sotto l'Impero di Settimio Severo, nel 204, ripresero in Egitto le persecuzioni contro i cristiani. lì Governatore Leto rastrellò il deserto della Tebaide, dove vivevano gli anacoreti rinsecchiti dal digiuno e riarsi dal sole.
Il giovane Origene desiderò di morire Martire. Soltanto la madre, nascondendogli i vestiti, poté impedirgli di presentarsi al Governatore per proclamarsi arditamente cristiano. Non c'era bisogno di simili ostentazioni. Bisognava attendere docilmente e fermamente la persecuzione, senza provocarla, come faceva il padre Leonida, il quale, infine, chiamato dinanzi al Governatore, confessò senza arroganza e senza titubanza di essere cristiano. Fu incarcerato, e durante la prigionia gli pervenne una lettera del figlio, che lo incitava a mantenersi fedele a Dio. « State attento, caro padre - diceva la lettera - di non mutare risoluzione a causa di noi, vostri figli ».
Leonida, non potendo ormai baciare il petto del figlio, baciò la lettera di esortazione. Non ne aveva bisogno, ma lo riempì ugualmente di letizia. Il pensiero della famiglia non turbò così le ultime ore del Martire. Porse sorridendo la testa alla spada, acquistandosi la corona di gloria.
Dopo la sua morte, vennero confiscati i beni della vedova. I sette orfani furono gettati in mezzo a una strada, e si sarebbero ridotti randagi e mendici se una signora di Alessandria non li avesse raccolti e mantenuti.
Il giovane Origene, orgoglioso di essere figlio di un Martire, divenne poi scrittore talmente importante, fecondo e celebre, da legare il nome del padre al proprio. Infatti, il Santo viene distinto comunemente con il nome di Leonida e con l'attributo di « padre di Origene ».
MARTIROLOGIO ROMANO. Ad Alessandria il natale di san Leonida Martire, che patì sotto Sevèro.
venerdì 21 aprile 2023
"Per le nostre isole una nuova visione e cultura turistica". La relazione dell'assessore al turismo, Saverio Merlino
L’ incarico affidato alla Fondazione Santagata per l’Economia della Cultura di Torino per la redazione di un Piano Strategico di sviluppo per il turismo sostenibile va proprio in questa direzione e il lavoro che la Fondazione sta portando avanti va sostenuto affinché si possa arrivare al più presto alla sua definizione.
Dopo un primo incontro di presentazione con i consiglieri comunali, gli operatori economici e i cittadini di Lipari, avvenuto nel mese di marzo c.a., il gruppo di lavoro della Fondazione Santagata è ritornato a Lipari dall’11 al 14 aprile (ritornerà a giugno prossimo) e si è recato nelle nostre isole per incontrare i cittadini di Vulcano, Alicudi, Filicudi, Stromboli e Panarea per continuare l’ascolto per definire un Piano Turistico condiviso che abbia una nuova visone del turismo diverso dall’attuale.
Non vi è dubbio che serve uno strumento che individui una strategia di sviluppo turistico di medio/lungo termine, in modo da avere idee e stimoli per andare in una direzione nuova, ridando valore alle grandi potenzialità di un territorio come quello delle Eolie, che non deve più essere sfruttato. Uno strumento, quindi, che guidi tutti coloro che compongono la filiera turistica e la sua governance verso uno sviluppo coerente e sostenibile.
La prospettiva futura per il turismo nel nostro Arcipelago necessita di basi scientifiche con l’obiettivo di capire quanto e quale turismo vogliamo, e quali impegni ci si debba assumere per gestirlo al meglio con il sostegno indispensabile della maggioranza della popolazione e degli operatori economici.
Il turismo ha permesso alle Eolie di crescere, ma non guidato da una visione strategica di medio e lungo periodo che invece è fondamentale per rispondere in modo coerente ed efficace ai grandi cambiamenti
Negli anni, il turismo ha sì permesso alle Eolie di crescere, portando occupazione e risorse, ma si è trattato di uno sviluppo non guidato da una visione strategica di medio e lungo periodo e che oggi, in un contesto di profondissimo cambiamento sia della domanda turistica, sia dello scenario competitivo, sia infine delle mutate condizioni ambientali e climatiche, mostra tutti i suoi limiti nella sua reale capacità di generare ricchezza e di garantire uno sviluppo sostenibile per l’Arcipelago. Le Eolie non possono più sopportare questo sovraffollamento turistico e chi resta insensibile a ciò, alla qualità di quanto viene offerto, con la convinzione che l’importante è che arrivino persone a consumare, non vuole certamente il bene di questo territorio e delle future generazioni.
Questo consumo porta, giorno dopo giorno, ad “auto-consumarsi”, a un depauperamento delle risorse su cui viviamo.
Non dobbiamo più auto sfruttarci consumando senza criterio l’enorme ricchezza offerta dalla nostra terra.
I flussi turistici rappresentano un potenziale enorme per l’economia delle nostre isole che si devono mettere sulla strada di una nuova cultura turistica.
Bisogna ripensare ai servizi che offriamo ai nostri visitatori e cercare ogni forma di sostegno per coloro che stanno ripensando ad un nuovo concetto del viaggio e di vacanza.
Bisogna contemporaneamente che il settore del turismo, fondamentale per l’economia, rispetti la nostra cultura e la conservazione degli ecosistemi, della biodiversità e delle risorse storiche, architettoniche e
naturali.
D’altra parte questo è ciò che i turisti cercano oggi: destinazioni che garantiscano esperienze di qualità in contesti non compromessi.
Le Eolie sono un universo di grande rilievo culturale e naturalistico, per questo serve un progetto che possa fare di questo meraviglioso territorio uno dei punti di eccellenza sullo scacchiere turistico internazionale e, partendo da tale visione, vanno delineate e guidate le strategie e le azioni che devono essere implementate nel prossimo quinquennio.
La nuova qualità del turismo che questo Arcipelago può offrire alla nostra comunità deve essere competitiva sul mercato turistico, favorendo uno sviluppo sostenibile che promuova l’inclusione sociale in modo che il benessere economico sia condiviso e possa creare nuovi posti di lavoro e mezzi di sussistenza adeguati alla nostra popolazione.
È necessario un cambio di paradigma con il supporto di tutti e, principalmente, dei nostri imprenditori turistici che sono i primi che si stanno accorgendo che le cose devono cambiare.
Siamo fiduciosi che - in piena autonomia e senza interferenze alcune, come ha precisato il sindaco Gullo durante gli incontri nelle isole dell’Arcipelago e richiesto al Presidente della Fondazione Santagata per l’Economia della Cultura di Torino Paola Borrione - dopo le analisi di contesto che mettano a nudo l’attuale realtà turistica/economica, sarà presentato un Piano Strategico per il Turismo Sostenibile delle Isole Eolie che possa:
ridefinire e consolidare la posizione nel mercato nazionale e internazionale che queste isole meritano;
uniformare il sistema di offerta sugli standard necessari (qualità dell’offerta in termini di servizi/prodotti/informazioni) e coerenti per raggiungere e mantenere il posizionamento desiderato;
definire le strategie e le regole per garantire uno sviluppo e un uso sostenibile della destinazione e del territorio delle Eolie;
individuare soluzioni per risolvere le problematiche relative all’accessibilità e mobilità verso e a destinazione;
valorizzare gli attrattori e le vocazioni presenti sul territorio e non ancora pienamente sviluppati.
Saverio Merlino
Tragedia a Milazzo, 40enne muore al "Fogliani", aveva partorito a Palermo
All’ospedale “Fogliani” era giunta d’urgenza il 31 marzo, proveniente dal pronto soccorso dell’ospedale di Sant’Agata, dove si era presentata alle prime ore del mattino, lamentando forti dolori al ventre. Aveva partorito con taglio cesareo, quattro giorni prima a Palermo, all’ospedale “Buccheri La Ferla” e dopo altri due giorni di degenza era stata dimessa tornando nella sua abitazione di Galati Mamertino. Poiché i dolori non accennavano a diminuire, la decisione di rivolgersi ai sanitari di Sant’Agata che a loro volta hanno ritenuto opportuno trasferirla a Milazzo. Giunta al pronto soccorso del “Fogliani” è stata sottoposta a visita presso il reparto di ostetricia e poi a consulenza chirurgica, al termine del quale si è deciso di portarla in sala operatoria. Al termine dell’intervento la donna è stata portata in rianimazione dove è deceduta mercoledì alle 6 del mattino per uno “shock settico” (infezione). Un’autentica tragedia per i congiunti che si sono rivolti ai carabinieri della compagnia di Milazzo che hanno proceduto al sequestro della cartella clinica informando la Procura che ha già disposto l’autopsia.
Lipari, verso il 25 aprile : Domenica, omaggio a Giovanni Battista Canepa
Lipari 23 aprile 2023 ore 18,00
Sala Convegni Hotel Aktea
Via Falcone e Borsellino - LIPARI
“Omaggio a Giovanni
Battista Canepa”
Introduce:
Interverranno:
Seguirà la proiezione del docu-film
“Marzo cronache di
una vita”
Di Diego Venezia
Aperitivo
offerto dalla Direzione
dell’Hotel Aktea
Giovanni Battista
Canepa al confino di Lipari
di Giuseppe La Greca
L’arrivo a Lipari
(12.1926) - Appartengo
al gruppo di antifascisti che nel dicembre del 1926 furono assegnati a
domicilio coatto dalla Prefettura di Genova, e dunque per primi giunsero in
questa isola. Eravamo i primi confinati politici, e lungo il percorso della ferrovia
che collega Napoli con la Sicilia, nelle stazioni dove il convoglio sostava, le
autorità del luogo avevano organizzato dei facinorosi che si avvicinavano al
vagone dove stavamo in catene lanciandoci improperi, chiamandoci figli di
cagne, rinnegati, traditori della Patria. A Paola poi, dove il treno sostava a
lungo, un individuo che s’era spacciato per capitano dei carabinieri (e forse
lo sarà stato), ottenne di penetrare nel vagone; e subito si mise a inveire,
urlando ch’eravamo tutti figli di puttana, dei maledetti traditori della
patria, e che sarebbe stato meglio se ci avessero impiccati; e quando il
comandante della scorta finalmente lo costrinse ad andarsene, fece in tempo a
sputarci addosso. Si può dunque immaginare qual’era il nostro stato d’animo
quando apprendemmo ch’eravamo diretti a Milazzo dove, in attesa d’imbarcarci
per l’isola di Lipari, avremmo sostato nel carcere di quella città. (….) La
nostra permanenza nel carcere a Milazzo essendosi prolungata oltre il previsto,
protestammo col caposquadra, e questi disse che saremmo partiti non appena
fossero ripristinati i cameroni della “colonia” che gli abitanti di Lipari,
alla notizia che nella loro isola veniva ripristinato il “domicilio coatto”,
avevano devastato; e ciò ci fece supporre che la nostra presenza non fosse
affatto gradita.
Invece, fin da quando c’imbarcammo
su l’”Adele”, una vecchia bagnarola che due volte alla settimana espletava il
servizio passeggeri con le Eolie, il suo Comandante si mostrò molto umano, e,
col pretesto del mare ch’era agitato, impose alla scorta di toglierci le
manette; e allora, mentre i carabinieri, abbacchiati dal mal di mare, non erano
più in grado di controllarci, prima i marinai e poi anche i passeggeri, ne
approfittarono per intrattenersi cordialmente con noi per tutta la durata del
viaggio. (…) E dunque la situazione a Lipari non era quella di un paese ostile
alla nostra permanenza nell’isola, fattaci intravedere da quel babbeo di
capoguardia. E che così fosse ce ne rendemmo conto non appena il vaporetto
gettò l’ancora e le imbarcazioni, ch’erano venute a prelevarci, approdarono a
Marina corta: la gente che stazionava sul piazzale, vedendoci in difficoltà (i
carabinieri, forse per eccesso di zelo, o anche per ripicca al Comandante,
prima di scendere, ci avevano nuovamente ammanettati) si precipitò ad aiutarci;
e Binotti tra loro riconobbe subito i due confinati che ci avevano preceduti e
che gli corsero incontro: erano il professor Basso, un deputato che dopo il
delitto Matteotti era stato incaricato di dirigere la segreteria del Partito
Socialista, e un repubblicano, l’avvocato Angeloni. Quando ci incolonnammo
sulla strada che porta al Castello, ci fu persino chi osò avvicinarsi per
porgerci dei dolci e della frutta. Giunti poi al comando della Colonia, il
Direttore ci venne incontro dandoci il benvenuto e ci fece subito togliere le
manette dicendo che dovevamo ritenerci dei “cittadini in libertà vigilata”, e
cioè tenuti soltanto ad osservare le norme che prescrivevano l’ora in cui
dovevamo ritirarci, eppoi l’obbligo di rispondere ad un appello giornaliero e
di non oltrepassare, senza la sua autorizzazione, i limiti fissati dal
perimetro della città.
Canneto e la famiglia Ferlazzo
(...) M’ero sistemato magnificamente a Canneto, a più di un’ora di cammino dalla colonia; ed era un agglomerato dove, in un paio di stabilimenti, si lavorava la pomice estratta dalle vicine cave di Acquacalda, e le ditte esportatrici poi, con dei barconi trasportavano sulle navi, per lo più straniere, che stazionavano al largo per il tempo occorrente all’imbarco, due o tre giorni al massimo. Ad assumermi era stato appunto un esportatore, Don Ninì Ferlazzo, che aveva chiesto al Direttore di poter impiegare un confinato in grado di espletare la corrispondenza e la contabilità della sua azienda: io ero stato prescelto per la conoscenza che avevo della lingua francese. Così ero stato anche autorizzato ad alloggiare a Canneto, negli uffici attigui a casa sua; una sistemazione ottima dunque che mi faceva sperare che avrei trascorso la mia pena senza troppe preoccupazioni, tanto più che, sia Don Ninì, che sua moglie, Donna Luisa, mi trattavano come se ormai facessi parte della famiglia, colmandomi di attenzioni e premure. Godevo anche della massima libertà, perché non solo non dovevo rispondere all’appello quotidiano, ma i carabinieri che avrebbero dovuto controllare se mi ritiravo all’ora prescritta, si facevano vedere di rado. Tale situazione di privilegio debbo dire che invece di provocare invidie mi aveva conferito un certo prestigio tra i confinati, tanto che perfino i maggiorenti del Partito Comunista, che difficilmente si lasciavano avvicinare, il Berti, Massini, (...) il Molinari, cercavano di intrattenermi quando alla domenica mi toccava scendere a Lipari per fare atto di presenza in Direzione; e ciò debbo confessarlo, sollecitava moltissimo il mio orgoglio.
1927 – gli scontri con la milizia
(...) intanto da Ustica, eppoi da
Pantelleria, e specialmente da Lampedusa, dove il servizio d’ordine era
affidato esclusivamente alla milizia fascista, giungevano notizie di continui
soprusi e angherie cui venivano sottoposti coloro che erano confinati in quelle
isole.
[con l’arrivo della milizia nella primavera del
1927] “improvvisamente vennero adottate delle misure restrittive che
cambiarono in modo radicale le condizioni di vita, non solo dei confinati, ma
anche della popolazione. Per prima cosa il vecchio Direttore, ritenuto forse
troppo arrendevole e non disposto a instaurare un nuovo corso, venne sostituito
da un commissario di Pubblica Sicurezza che subito emise un’ordinanza con la
quale, tranne che nelle ore riservate ai pasti, era severamente proibito
intrattenersi nelle mense; eppoi fece chiudere la scuola e la biblioteca. Come
se non bastasse, a sostituire la polizia e i carabinieri nel servizio d’ordine,
giunse un’intera centuria della milizia fascista che costituì dei posti di
blocco e restrinse i limiti del confino”. (…) nacquero così i primi incidenti
[con la milizia], il più clamoroso dei quali ebbe per protagonista un anarchico
carrarese – mi pare che si chiamasse Dal Moro.
Nella
notte del 7 dicembre 1927, imprevista si ferma alla fonda, al largo di Marina
Corta, una grande nave cisterna. Viene da Messina. È carica di carabinieri.
Piove. La tramontana è pungente. Le fioche lampadine all’imbocco dei vicoli sono
agitate da raffiche impetuose. Alle 4 del mattino di giovedì 8, ancora al buio,
i carabinieri sbarcano. È caccia grossa. Un confinato – spia, il sardo Antonino
Cocco, ha segnalato che trattorie cooperative, scuole, biblioteca e palestra
sono in realtà luoghi e occasioni per cospirare, ricostituire i partiti
disciolti, istigare alla lotta armata contro il fascismo, e che in casa del
tornitore meccanico milanese Luigi Repossi, ex deputato comunista, si
complotta. In pari tempo, a Milano, in un magazzino di via Ruggero Lauria, la
polizia ha scoperto una tipografia clandestina. C’erano carte sovversive: tra
esse, due criptogrammi. Sono riusciti a decifrarli. Si trattava di rapporti dal
confino di Lipari alla centrale del Partito comunista d’Italia, relatore Pompilio
Molinari. La direzione della colonia avrebbe già dovuto avere sentore di un
tentativo di ricostituzione del partito comunista al confino, avendo ricevuto
alcune segnalazioni, provenienti sia dal segretario del fascio di Lipari sia da
Alessandrina Tonti, moglie del dissidente fascista Vincenzo Tonti. In una
lettera indirizzata a Mussolini, la donna lamentava una scarsa sorveglianza nei
confronti degli elementi della colonia – che avrebbero dovuto destare più
sospetti – e un eccessivo riguardo nei confronti dei confinati più in vista.
Mentre le segnalazioni del segretario del fascio di Lipari sortirono un effetto
immediato, provocando la chiusura dei locali adibiti a scuole per confinati,
l’astiosa lettera della moglie di Tonti non fu presa sul serio, ritenuta
dettata da “bassa rappresaglia” –
come la definì l’ispettore generale di PS Valenti – perché costretta a lasciare
l’isola. I duecento carabinieri venuti da Messina con il procuratore del Re
hanno lunghe liste di indiziati. Si fanno guidare dai militi fascisti. Operano
una serie di irruzioni, perquisizioni; alle nove del mattino, dopo cinque ore
di violenze e minacce, gli arrestati sono 146 alcuni dei quali, destinati in
consegna temporanea in locali adiacenti al cimitero, pensano ad una prossima fucilazione.
Sciolto l’equivoco e liberati la maggior parte degli arrestati dopo due giorni
di interrogatori, in 41, in prevalenza comunisti e socialisti, sono trasferiti
nel carcere di Siracusa e, dopo otto mesi di detenzione, vengono tutti assolti
dallo stesso Tribunale speciale nell’agosto del 1928. La mattina grigia e
gelida di sabato 10 dicembre 1927 viene stabilita la partenza.
(…) Ferlazzo intanto aveva
stabilito di iniziare un servizio di trasporto via mare degli operai che da
Lipari, per andare a lavorare nelle cave di Acquacalda, erano costretti a
compiere un paio d’ore di cammino a piedi. Quando però si presentarono delle
grosse difficoltà per installare il motore dell’imbarcazione e già stava per
rinunciare al suo progetto, gli suggerii di assumere un confinato che mi
risultava d’essere stato alle dipendenze del generale Nobile nel mettere a
punto i motori del suo dirigibile. Lui accettò subito e ottenne che Pompilio
Molinari si trasferisse a casa mia, a Canneto. Doveva così iniziare la mia
collaborazione coi comunisti: infatti quando quegli mi propose di fare imbucare
in continente, o meglio ancora all’estero le lettere che m’avrebbe consegnato,
evitando così di sottoporle alla censura, accettai di buon grado, senza troppo
preoccuparmi dei pericoli cui mi stavo esponendo. Stavo dunque diventando
comunista? Niente affatto. Solo che così facendo ritenevo di contribuire a una
lotta contro il fascismo che ormai, al confino, soltanto i comunisti pareva che
fossero disposti a continuare. Poi, quando il Molinari, terminati i lavori
sull’imbarcazione, gli toccò rientrare in colonia, io stesso mi recavo a Lipari
da Giuseppe Berti o da Cesare Massini, ch’erano i maggiorenti del partito, per
ritirare il materiale da inoltrare senza che passasse la censura. (…) La notte
in cui, da una nave cisterna, sbarcò una quantità di carabinieri che, guidati
da agenti locali, invasero il paese, irruppero nelle case dove alleggiavano dei
confinati e, senza alcun mandato, li prelevarono per portarli al Comando della
milizia ch’era su al castello, proprio di fronte al carcere. Qui s’era
installato una specie di tribunale, presieduto da un magistrato giunto appositamente
da fuori che, affiancato dal Direttore della colonia e dal seniore della
milizia, dopo aver consultato un elenco, li smistava: al carcere oppure al
cimitero. Si può immaginare quel che passò per la testa a quei poveretti
ch’erano destinati al cimitero: nessuno di loro sapeva che proprio in quei
pressi era stato requisito un magazzeno per ospitare coloro che il magistrato
si riprometteva di interrogare l’indomani come testi. E allora qualcuno
protestava con alte grida, mentre altri ormai rassegnati si limitavano a
chiedere di rivedere ancora una volta i loro cari o di potergli mandare un
ultimo saluto; ma il magistrato, spazientito urlava che glieli levassero dai
piedi, che non gli facessero perdere tempo.
Quella fu una notte di tregenda,
non solo per i confinati ma anche per gli isolani che, svegliati da quel pò po’
di trambusto, da dietro le persiane avevano assistito terrorizzati al via vai
dei carabinieri che prelevavano tutti quei poveretti per portarli su al
castello, alla caserma dei militi eppoi udivano le proteste di coloro che
venivano avviati al cimitero.
A Canneto le notizie di quegli avvenimenti si ebbero all’alba, ed erano notizie confuse ed allarmanti: si parlava di confinati portati al cimitero per essere fucilati e c’era persino chi assicurava di aver udito delle sparatorie (e forse era soltanto il rumore delle vedette della polizia che s’erano messe a scorazzare lungo il litorale per impedire un’eventuale evasione). Ferlazzo era corso subito a Lipari, dal Podestà ch’era suo amico; ma prima di partire s’era preoccupato di accompagnarmi a casa del dottor Di Perri, il medico condotto del Paese: era una persona coraggiosa che si prestò volentieri a mettermi al sicuro nel caso che i carabinieri fossero venuti a prelevarmi. Al pomeriggio poi, quando fu di ritorno il Ferlazzo ci rassicurò: il suo amico gli aveva detto che s’era trattato soltanto dell’arresto di una cinquantina di comunisti che nella mattinata erano stati trasferiti nel continente a disposizione dei giudici del Tribunale Speciale, mentre coloro che avevano rinchiuso nel magazzino nei pressi del cimitero, dopo un sommario interrogatorio, se n’erano tornati alle loro case. E dunque io che non ero comunista non avevo più nulla da temere. Da quel giorno però la polizia cominciò ad esercitare una stretta sorveglianza sull’equipaggio di una nave che stazionava in rada per l’imbarco della pomice; ma quando m’accorsi che questa sorveglianza, sia pur con discretezza, veniva esercitata anche su di me, subito sospettai che l’arresto dell’intero apparato dei comunisti era certamente dovuto alla scoperta del traffico della posta clandestina, e che non ero stato arrestato per poter scoprire eventuali complicità. Così, una quindicina di giorni dopo, quando i carabinieri vennero a prelevarmi e mi portarono a Milazzo, avevo ormai concordato col Ferlazzo tutti gli argomenti che avrei adottato per difendermi senza comprometterlo. Tuttavia, debbo dire che il giudice del Tribunale Speciale, giunto espressamente da Roma, quando procedette al mio interrogatorio, assunse un tono tutt’altro che inquisitorio, così il mio compito venne facilitato. Difatti, dopo avermi comunicato il capo d’accusa e cioè di aver collaborato con i comunisti nel ricostituire anche al confino il loro partito, reato che comportava pesanti sanzioni, assunse un tono paterno assicurando anzitutto ch’era dispiacente di dover contestare una tale accusa e un valoroso ex ufficiale dell’esercito; aggiunse poi che collaborando validamente con la Giustizia, avrei potuto ottenere non solo la comprensione dei giudici, ma la loro benevolenza. Quindi, dopo avermi offerto una sigaretta, chiese se fossi soddisfatto dell’impiego nell’azienda del Ferlazzo e io m’affrettai a dirgli che si: tanto che avevo progettato di stabilirmi definitivamente a Canneto non appena avessi scontata la condanna inflittami dalla Commissione di Genova. E allora, finalmente, lui venne al sodo osservando che avevo ospitato un confinato che, secondo l’accusa, era responsabile del collegamento dei comunisti col loro centro estero, eppoi insinuò che forse per compiacere quel mio ospite oppure per semplice ingenuità, avrei agevolato il suo compito. Mi fu facile sostenere che, date le profonde divergenze che opponevano i comunisti ai socialisti, anche se avessi voluto, non avrei potuto collaborare con loro, e che pertanto escludevo che il Molinari, durante la sua permanenza a casa mia, avesse potuto stabilire dei contatti con chicchessia. Tutto l’interrogatorio poi verté sull’accusa di una mia complicità coi comunisti, ma io ormai mi stavo rendendo conto che in possesso dell’inquirente non esistevano prove. Infatti il giudice m’aveva ascoltato senza poter contestare alcuna delle mie dichiarazioni; anzi dal modo come le stava riassumendo per il cancelliere, pareva proprio che le ritenesse valide. Quando ebbi firmato ogni pagina del verbale, ordinò al secondino di riaccompagnarmi in cella perché l’interrogatorio era terminato: così quando, qualche giorno dopo, mi imbarcarono sul vaporetto che mi riconduceva a Lipari, mi illusi d’aver sostenuto la mia innocenza senza compromettere nessuno, e che ben presto avrei potuto riprendere il mio posto nell’azienda di Ferlazzo. Solo che, non appena sbarcai a Marina corta, i carabinieri della scorta, invece di togliermi le manette, mi portarono direttamente in carcere.
La fuga dei quattro
La notte del 20 luglio 1928 in quattro tentano la fuga
dal carcere di Lipari. Tre dei quattro protagonisti dell’evasione hanno avuto
modo di raccontarla. Le loro descrizioni, pur discostandosi a tratti per alcuni
particolari, disegnano nel complesso un quadro unitario. Ideata da Domaschi, la
fuga è preparata da tempo. Domaschi la propone a Canepa e i due, giunto nel
carcere Magri, a quest’ultimo; al trio si aggiunge, infine, Michelagnoli.
Il carcere di Lipari è situato al termine di un lungo
corridoio, scavato nella roccia, che conduce al Castello. In mancanza di
secondini il suo portone veniva sorvegliato dal milite di guardia alla caserma
ch’era proprio di fronte. Era un carcere molto piccolo, circondato da alte mura:
c’erano soltanto un paio di celle d’isolamento e tre grandi cameroni, uno dei
quali separato da un muretto era riservato alle detenute; infine, in fondo ad
un ampio cortile c’era lo sgabuzzino per il guardiano. Questi era un buonuomo,
invalido di guerra, che abitava giù in paese, e sua moglie era incaricata di
preparare i pasti per i detenuti: lui arrivava nella tarda mattinata per aprire
le porte dei cameroni che poi rinchiudeva all’imbrunire, in modo che i detenuti
potessero restare l’intera giornata a passeggiare nel cortile. Non solo, ma
lasciava che s’intrattenessero liberamente con chi gli portava il cambio della
biancheria e dei generi di conforto: era dunque un carcere per modo di dire, di
una inusitata permissività; e io ne profittai subito. Dopo essermi sistemato in
una di quelle celle di isolamento, accusai subito una grave forma di
claustrofobia che m’avrebbe impedito di prender sonno e così ottenni facilmente
che la porta della mia cella rimanesse aperta anche di notte.
(…) Quando il Magri fu messo in carcere per aver
contravvenuto alle norme della carta di permanenza: fu lui che, insieme al
Domaschi, mi indusse, sebbene riluttante, a prendere parte ad una fuga; ed
eravamo in quattro, perché all’ultimo momento anche il Michelagnoli s’era unito
a noi. Anni dopo, nel ’50, tornai a Lipari per rivedere quei posti e
ringraziare le persone – il Ninì Ferlazzo, con Edoardo Bongiorno e il dottor Di
Perri - che avevano reso quasi piacevole la mia permanenza al confino. In
quell’occasione venni presentato anche al Pretore che di buon grado
accondiscese ad accompagnarmi al Castello; e, giunti che fummo dinanzi alla
caserma mi chiese s’era proprio vero che la sentinella di guardia stesse
dormendo o se piuttosto non fosse stata nostra complice; e allora gli raccontai
com’erano andate le cose e cioè che il Magri aveva fornito quella versione solo
per il gusto di inguaiare un fascista e il suo comandante. Arrivati poi sullo
spiazzo di fronte ai cameroni, quando gli indicai le numerose crepe e i cespi
di capperi delle vecchie mura che cingono la cittadella e gli dissi che
appigliandoci a quei cespi eravamo scesi nel vicolo sottostante, si rifiutò di
credermi, tanto gli parve impossibile che di notte avessimo potuto compiere una
simile impresa. E invece era la pura verità.
(…) Poi il Magri e Domaschi camuffati si diressero
verso il posto di blocco della strada che porta a Canneto, nella speranza che a
quell’ora i militi di guardia dormissero; in questo caso noi che ci tenevamo a
debita distanza li avremmo seguiti se no saremmo tornati indietro fino alla
casa di Parri, situata al limite opposto del confino. Era una perdita di tempo
ma di lì si poteva facilmente uscire in aperta campagna e loro ci avrebbero
aspettati sul viottolo che porta ad Acquacalda. La sentinella al posto di
blocco purtroppo dette il “chi va là” e Domaschi prontamente rispose
“liparuoti”: così passarono. Noi invece
tornammo indietro dirigendoci a casa di Parri: era ancora sveglio, stava
leggendo, e quando ci presentammo ci guardò allibito. Poi, come parlando a se
stesso disse soltanto: “Perché?”, quindi, senza attendere la risposta, ci
accompagnò in cucina e aperse la porta che dava sulla campagna. Secondo il
piano che avevamo progettato, si sarebbe dovuto raggiungere Acquacalda molto
prima dell’alba, per poterci impadronire di una di quelle imbarcazioni che i
pescatori tirano a secco ai piedi del villaggio, nello spazio formato dai
detriti di pomice. La lontananza dalla colonia li dispensava dall’obbligo fatto
ai loro colleghi di Lipari di ritirare i remi e portarli a casa, e così avremmo
avuto la possibilità di prendere il largo e forse di raggiungere il litorale
siciliano ancora prima che la nostra fuga venisse scoperta.
Arrivammo
così sul versante a picco dell’isola ch’era troppo tardi per poter raggiungere
gli altri sul sentiero che porta ad Acquacalda. Allora decidemmo di nasconderci
in un anfratto tra i dirupi, e rimanervi in attesa che calasse la sera per
poter proseguire fino alle cave di pomice dove speravamo che si fossero
rifugiati i nostri compagni. Quando fece buio dunque ci rimettemmo in cammino,
e avevamo appena imboccato il sentiero che porta ad Acquacalda quando c’imbattemmo
in un contadino che stava rientrando dal lavoro. Senz’altro lo abbordammo
spacciandoci per poliziotti che, nella ricerca dei quattro evasi, ci s’era
sperduti tra quelle balze e ora soltanto stavamo rientrando a Lipari; ma lui subito
osservò ch’eravamo diretti nella direzione opposta; eppoi, accortosi del nostro
imbarazzo, con un’aria d’intesa, ci chiese se non fossimo noi quelli che la
polizia stava ricercando, preferii dirgli la verità, e aggiunsi che se ci
avesse aiutati, lo avrei ricompensato largamente: avevo con me due biglietti da
mille che Rosselli m’aveva fatto pervenire in carcere, frutto di una colletta tra
confinati benestanti, e glieli porsi. Era una somma per quei tempi
ragguardevole. E gliela avevo offerta, e lui non solo rifiutò di accettarla, ma
ci invitò a seguirlo a casa sua dove avremmo potuto ristorarci. Cammin facendo
poi ci disse che in quel pomeriggio i carabinieri avevano accalappiato il Magri
e il Domaschi e quella notizia ci convinse dell’impossibilità che ormai avevamo
di attuare da soli il nostro piano; cosicché, quando avanzò la proposta di
accompagnarci in una proprietà del suocero, dov’era difficile che ci
scovassero, senza esitare accettammo. Era un vigneto abbastanza esteso, forse
più d’un ettaro, con un piccolo capanno per gli attrezzi: in quella vigna, al
riparo dei pampini, dovevamo rimanere nascosti durante tutto il giorno; scesa poi
la notte era possibile raggiungere il capanno dove lui, o sua moglie, avrebbero
provveduto a farci trovare del pane, delle uova sode e del formaggio; quindi,
dopo averci raccomandato che per nessun motivo, durante l’intera giornata
dovevamo muoverci, ci salutò per tornarsene a casa. Rimasti soli ci piazzammo a
una certa distanza un dall’altro, in modo che se uno di noi fosse stato scoperto,
dichiarando di essersi separato fin dall’inizio della fuga dal suo compagno,
avrebbe reso possibile all’altro di scampare.
Di quel che
accadde nel tardo pomeriggio di tre giorni dopo, quando il Michelagnoli, stufo
di starsene tutto il santo giorno acquattato nella vigna, decise di rifugiarsi
nel capanno, mi resi conto soltanto quando un gruppo di isolani, ingaggiati
dalla Direzione della colonia per prendere parte alle ricerche, lo avvistarono
e, dopo aver circondato il capanno con alte grida richiamarono i poliziotti
perché l’ammanettassero e lo riportassero in carcere. Io mi guardai bene dal
fare il più piccolo movimento, ma attesi pazientemente che si facesse buio per
allontanarmi il più possibile. E dunque, verso l’alba potei raggiungere una
piccola radura letteralmente invasa da enormi felci alte forse più d’un metro:
era un ottimo rifugio, nel versante opposto alle cave di pomice. Non esitai
dunque a farmi largo al riparo di quelle felci e, vincendo la ripugnanza che
m’incutevano gli scorpioni e i giganteschi ragni che infestavano quel
sottobosco decisi di rimanerci fin tanto che le ricerche in quella zona non
fossero affievolite. L’indomani però, quando udii il suolo dei campanacci di un
gregge che pascolava nelle vicinanze, spinto dai morsi della fame e più ancora
della sete, mi aprii un varco fino al limite della radura e di là richiamai
l’attenzione del pastore. Questi accorse prontamente e mi disse di rimanere
acquattato tra le felci perché nelle vicinanze stavano pattugliando dei militi
fascisti che avrebbero potuto avvistarmi e che sarebbe tornato per portarmi un
po’ di latte. Difatti ritornò di lì a poco con una gavetta in mano, e io, non
sospettando nulla feci capolino di tra le felci, ma quando giunse accanto mi
sbatté quella gavetta in faccia e, afferratomi per il collo mi riversò a terra
urlando come un dannato di correre in suo aiuto. Arrivò un carabiniere che dopo
avermi ammanettato mi aiutò ad alzarmi; nel frattempo però erano capitati anche
dei fascisti della milizia che presero a colpirmi col calcio del moschetto e
tutti quelli che poi incontrammo per strada, si accanivano su di me con pugni e
calci, nonostante il carabiniere cercasse di opporsi protestando ch’ero suo
prigioniero e che la smettessero di picchiarmi; anche lui però finì col
prendersi la sua parte di botte, poveretto. Giungemmo a Lipari che stava
calando la sera, ed io mi reggevo a malapena; ero talmente malridotto, tutto
pesto e sanguinante, che quando giungemmo alla Direzione della Colonia, si
rinunciò ad interrogarmi. Anzi, un ufficiale, forse preoccupato dello stato di
prostrazione in cui mi trovavo, ordinò che invece di portarmi in carcere fossi
condotto nella caserma affinché mi venissero apprestate le cure necessarie e mi
ristorassero convenientemente. Venni a sapere dopo ch’era nientemeno che il
comandante della legione dei carabinieri di Messina, parente stretto
dell’avvocato che, qualche tempo dopo volle assumersi la mia difesa quando fui
processato per l’evasione.
I miei
compagni di fuga, subito dopo l’arresto avevano dichiarato ch’ero stato io a
ideare e ad indurli a compiere quella fuga che, in mancanza di complici e di
mezzi adeguati, era da ritenersi insensata; e dunque non già per fuggire
dall’isola, ma soltanto per realizzare una clamorosa protesta per una detenzione
che si stava protraendo troppo a lungo. Così,
quando a mio volta venni interrogato, confermai quella versione anche perché mi
attribuiva un ruolo che non mi dispiaceva affatto: il ruolo di protagonista
dell’impresa. Anzi, per ribadirlo, aggiunsi parole oltraggiose all’indirizzo
del duce e del regime, responsabili di una detenzione che definivo illegale e
arbitraria.
*
Con la cattura finisce la permanenza di Canepa a
Lipari. Ritornerà qualche giorno prima del 17 maggio 1957 come giornalista
dell’Unità. Quello che segue è il suo articolo:
Ritorno a Lipari (…) Il battello di Lipari si prende a Milazzo, di buon
mattino. La giornata è grigia e, fuori del porto, le acque si prevedono mosse.
Davanti alla biglietteria, come la volta scorsa quando feci quel viaggio, un
frate dall'aspetto trasandato tende la cassetta delle elemosine per 1'obolo
propiziatorio: a uno a uno, individua i viaggiatori abituali, e li interpella
famigliarmente; mentre agli altri s'avvicina umile e discreto, il collo torto.
Il viaggio dura un paio di ore o poco di più: e appena fuori del capo, già
s'intravvede il profilo dell'isola dello Stromboli; ma i passeggeri son
rintanati nelle salette o, giù in basso, nelle corsie di seconda classe, dove
si soffre meno. Sul ponte e rimasto solo un signore, e a lui mi rivolgo per
scambiar quattro chiacchiere: e il professor Bernabò Brea che soprintende agli
scavi archeologici nel Mezzogiorno.
Allora, quando feci il viaggio di Lipari, era assente,
il museo non era ancor aperto al pubblico e la sua aiutante, Madame Cavalier si
diceva fosse alquanto scorbutica coi giornalisti, e certo non invogliava a
chiedere una deroga alle disposizioni: e dunque ora si sarebbe potuto visitare
questo museo? Si, naturalmente, e se lo avessi voluto, lui stesso cortesemente
si offriva per accompagnarmi. Fu cosi che, all'arrivo, potei far la conoscenza
della sua famosa aiutante, madame Cavalier: e a me parve tutt'altro che d'umor
difficile, che anzi, percorrendo assieme quei cameroni che una volta servivano
per l'alloggio dei confinati, e che ora hanno mirabilmente trasformati in
museo, e avendole chiesto se i metodi in uso in certe altre zone, a Cerveteri,
ad esempio, con sonde elettriche e assaggi acustici e fotografici, più che a
esplorare quella data zona archeologica non servissero a saccheggiare le tombe,
per tutta risposta e come non avesse rilevato l'indiscrezione della domanda,
veniva descrivendomi le ansie e al tempo stesso, le gioie dell'esplorazione del
sottosuolo con scavi sistematici o giacimento, senza peraltro ricorrere a
strumenti scientifici moderni, ma semplicemente operando con estrema pazienza e
con metodi che essi stessi andavano perfezionando di giorno in giorno. Cosi
operando erano riusciti a ricostruire la successione delle culture umane dal
periodo neolitico a quello del bronzo, del ferro, fino al periodo greco, tanto
che ora, in quel loro museo si poteva abbracciare, in maniera unica, cinque
millenni di storia della civiltà. Il professore intanto s'era messo a parlarci
dei periodi di prosperità e di decadenza delle isole, e ci andava sottoponendo
frammenti di vasi in ceramica impressa oppure dipinta a bande rosse e nere, o
ancora d'impasto bruno; eppoi lucerne, tazze, orci, maschere di personaggi
della commedia attica e ateniese; e infine gioielli di diversa fattura,
statuette, scarabei: oggetti che cosi come eran disposti nelle varie sale,
rappresentavano la documentazione precisa della successione stratigrafica di
quell’area archeologica che comprende il milazzese e le isole Eolie: Filicudi,
Panarea, Basiluzzo e, principalmente Lipari. In tal modo dunque, questi
scienziati che avevan dedicato la loro vita a frugare sottoterra alla ricerca
di mondi scomparsi, indirettamente rispondevano a un laico che con poca
discrezione li aveva richiesto d'un giudizio su metodi di ricerca che forse non
li convincevano o che per lo meno non avevano voluto essi stessi adottare: e
ciò mi richiamava alla mente un racconto che lessi anni fa, d'un astronomo e di
un tale suo conoscente che avendogli chiesto la conferma di non so qual cosa
spiacevole che gli era occorsa, per tutta risposta gli s'era messo a parlare
dei milioni d'anni che la luce d'un dato astro impiegava per raggiungere la
terra.
Cassa del Mezzogiorno - L’isola di Vulcano dista poche
miglia da Lipari, ma è poco conosciuta ai turisti per le difficoltà di
comunicazione: il vaporetto non fa un servizio giornaliero e, nella stagione
cattiva, può anche capitare di rimanervi segregali per qualche tempo. L’altra
volta che ci venni, tre anni fa, m'era parso il posto ideale per trascorrere
qualche giorno in pace e in libertà, senza dover sentire gracchiar le radio e
nemmeno poter leggere i giornali; e cosi, lasciata Lipari la compagnia del
vecchio Bongiorno, il papa di noi tutti quand’eravamo confinati, e gli altri
amici che m'avevano accolto festosamente, m'imbarcai su un fuoribordo per
godermi colà quei pochi giorni che mi rimanevano di vacanza, e magari far
qualche bagno d'acqua solforosa che m'avevan detto esser miracolosa per i primi
acciacchi della vecchiaia. Subito nei pressi dello sbarcatoio, c'e una dozzina
di casupole malmesse: il paesino e in alto, a poco più di un'ora di cammino,
nella estrema punta dell'isola; mentre di fronte all'insenatura fatta dalla
sottile striscia di sabbia che unisce Vulcano a Vulcanello, sapevo che si
poteva trovar alloggio in due pensioncine, dove si mangia del buon pesce fresco
e il vino che servono e della Perrera, un vino d'un bel rosso corallino,
generosissimo. E difatti trovata ancor chiusa la prima pensione, bussai alla
seconda, quella di Giuffrè, dove subito mi accolsero cordialmente; e, deposti i
bagagli, prima ancora di pranzo, corsi indietro, sulla penisoletta, a godermi
lo spettacolo di Vulcanello, coi colori strani e violenti delle sue roccie, e,
di lassù, alle ultime luci del tramonto, la vista incomparabile
dell'arcipelago. Ora, mentre m'incamminavo per quel luoghi un tempo deserti,
avevo notato con meraviglia un gran fervore di opere; già s'era costruito un
albergo e un altro se ne stava costruendo e come non bastasse, una squadra di
operai s'indaffarava a trasportar dei massi che poi venivano accatastati un
sull’altro, costruendo in tal modo un muretto basso sulla sabbia, esattamente
come fanno i ragazzi quando giocano sulle nostre spiaggie. E chiesto cosa
significasse quel loro gioco, mi venne risposto che si trattava d'una vera
strada carrozzabile; e che gli stecchi che vedevo affiorare ogni tanto dalla
sabbia, erano un rimboschimento che avevan fatto e che naturalmente non aveva
attecchito: «E cosi — borbottava un di loro — ci sarà ancora lavoro per
quest'altro anno ... ».
Infine, prima d'andarmene, avevo chiesto chi finanziasse con tanti milioni quel lavoro di Sisifo, e m'ero sentito dire, in tono compiaciuto, che si trattava della Cassa del Mezzogiorno.
Bibliografia
G. B. Canepa, le cronache di una vita, Genova, A.G.I.F. 1983.
Giovanni Domaschi, Le mie prigioni e le mie evasioni - Memorie di un anarchico veronese dal carcere e dal confino fascista a cura di Andrea Dilemmi
Giuseppe La Greca, Voci dal Confino Antifascisti a Lipari, Anno 1926, L’arrivo, edizioni del Centro Studi Eoliano, Lipari 2014;
Giuseppe La Greca, Voci dal Confino
Antifascisti a Lipari, Anno 1927, il Primo Anno, edizioni del Centro Studi
Eoliano, Lipari 2014;
Ricordando... Tina Lucchese
Nella rubrica "Ricordando" sarà pubblicata, in modo casuale, giornalmente, una foto degli Eoliani o amici delle Eolie che non ci sono più. Ovviamente tra quelle presenti nel nostro archivio.
Per tale tipo di pubblicazioni contattare il 3395798235 (preferibilmente whatsapp)