Cerca nel blog

domenica 4 ottobre 2015

Perché l'Australia è l'ottava isola delle Eolie (di Elisa De Salvatore) (pubblicato su huffingtonpost.it )

Nelle Eolie riferirsi all'Australia come ottava isola dell'Arcipelago è cultura comune fra gli isolani. Ad ignorarlo e rimanerne sorpresi sono i visitatori, me compresa, che non sanno che il flusso di migranti Eoliani verso l'Australia è stato così massiccio da farne, secondo la ricerca "L'Arcipelago Migrante: Eoliani D'Australia di Martina Giuffrè, (CISU Edizioni 2010) fra il 1880 e il 1945 la comunità più numerosa di Italiani naturalizzati in Australia e il secondo gruppo fra gli emigrati italiani per poi arrivare, negli anni '50 con la grande ondata del dopoguerra, a 30 mila fra prima e seconda generazione. Un fenomeno che non ha risparmiato nessuna famiglia o gruppo parentale delle sette isole e che dai racconti di quanti ho incrociato per indagarne le ragioni e le origini fa emergere una immagine molto lontana da quella patinata e coolche oggi alimenta il nostro immaginario delle Eolie.
Questo arcipelago straordinario, regno di Eolo e Vulcano per gli antichi Greci, in cui terra acqua fuoco e aria si sono composti in scenari paradisiaci di acqua cristallina, natura forte e aspra, luce accecante, in passato ha reso molto dura la vita dei suoi abitanti perché più di altri hanno patito lo strappo dell'emigrazione di massa. Il benessere assicurato da una marineria mercantile con fin 64 velieri che commerciava su larga scala vino, capperi e malvasia venne a cessare bruscamente alla fine dell'800 ad opera della filossera che distrusse i vigneti e per l'avvento del vapore che spiaggiò le barche a vela. Fu un declino repentino che, aggravato dalla rovinosa eruzione dello Stromboli nel 1919, avviò il primo flusso migratorio verso gli Usa, il Sud America, la Francia e l'Australia svuotando via via le isole, con ultima Stromboli dopo la devastante eruzione del 1930. La popolazione passò in brevissimo tempo da 20 mila a 10 mila lasciando priva di braccia i terreni prima coltivati a viti, ulivi e fichi fin su al cratere. Poi la guerra fece il resto.
Spesso è accaduto che gli avvenimenti di questo Arcipelago sperduto nel Basso Tirreno si siano ammantati dell'aura del mito e della leggenda. Così nel 1949 quando Stromboli divenne "location" per il film di Rossellini "Stromboli -Terra di Dio" che ebbe protagonista la diva allora più famosa di Hollywood, Ingrid Bergman. La "scandalosa" relazione fra i due (entrambi sposati) fece scalpore nell'Italia e negli USA puritane di allora alimentando per mesi un gossip internazionale che accese i riflettori su Stromboli ma anche sull'isola di Vulcano dove in contemporanea Anna Magnani, la "abbandonata" altra donna di Rossellini girava il film "Vulcano". Il duello a distanza fra le due dive del cinema si meritò l'appellativo de "La Guerra dei Vulcani".
Fu una opportunità che diede da lavorare a gran parte degli isolani fra questi Giovanni Pavone, il fascinoso marinaio-assistente della Magnani che andava a piedi scalzi e che mal tollerò la costrizione delle scarpe cui fu costretto a Roma al seguito della Diva italiana e che lo riportò a Lipari per poi prendere la nave per l'Australia come molti altri eoliani dando l'avvio alla emigrazione di massa degli anni '50 e '60 verso l'agognato Nuovo Continente
Spente le luci dei riflettori, nelle orecchie di chi è rimasto risuona solo il fischio doloroso del vaporetto che lasciava l'isola - ricorda Mario Cincotta del Ritrovo Ingrid a Stromboli - "e portava lontano per non più rivederli i miei compagni di classe che dei 23 iniziali ne lasciarono solo tre agli esami di quinta elementare". A Stromboli da 3500 arrivarono ad essere poco meno di 180 persone. Cominciò la "emigrazione a catena" degli Eoliani chiamati in Australia da chi si era già insediato e costruendo una rete solidale per supportare l'inserimento dei nuovi migranti in una terra sconosciuta, dura, difficile, con lingua e abitudini diverse, non molto benevola e spesso razzista specialmente verso coloro che giungevano dal Sud Italia.
Una solidarietà che si manifestava già prima dell'arrivo quando i soldi del biglietto del viaggio venivano anticipati da chi aveva fatto fortuna, come Salvatore Tesoriero, proprietario di una prospera frutteria, sicuramente uno dei "patriarchi" di Melbourne che con generosità permise a molti - ricorda fiera la moglie, oggi 90enne, Caterina Di Mattina del Villaggio Stromboli - di approdare in Australia per costruirsi una vita migliore.
Altri per emigrare furono costretti a vendere la casa al prezzo del costo del biglietto per l'intera famiglia, ad altri invece i soldi vennero anticipati da mio padre Girolamo -rammenta Mario Cincotta - che a garanzia del prestito riceveva le chiavi che attaccava al una lunga stecca. Ne ricorda una ventina, case che il padre già avanti negli anni controllava e ne curava la manutenzione e che restituiva ai proprietari che tornavano o agli eredi.
Non furono tutti così fortunati - ricorda Tano del Bar di Canneto a Lipari- "in quel periodo ci fu un gran caos: alcuni confidarono nel rimborso del viaggio dal Governo Australiano che spesso non arrivava, altri furono raggirati da"scafisti dell'epoca" che li facevano approdare in spiagge del Tirreno anziché dell'Australia, altri non ritrovarono più le loro case perché occupate o usucapite da chi era rimasto".
In Australia, secondo la ricerca di Martina Giuffrè, gli Eoliani hanno costituito, prevalentemente a Melbourne e Sydney, un gruppo ampio e solidale con una intensa vita associativa di supporto alle mille beghe che il nuovo insediamento comportava.
Una emigrazione in gran parte riuscita che ha reso gli Eoliani portatori di identità plurime e a cui ispirarsi oggi per costruire quelle società plurali che la globalizzazione sta imponendo.

Intervista con Caterina Conti. Oggi alle 12 su Rai3

Oggi alle ore 12:00 su Rai 3 andrà in onda un'intervista con la signora Caterina Conti.

Santo del giorno: S. Francesco d'Assisi (Patrono d'Italia)

Nome: San Francesco d'Assisi
Patrono d'Italia
Protettore di:animali, coccinelle, commercianti, ecologisti, italia, lupetti


S. Francesco nacque ad Assisi l'anno 1182 da Pietro Bernardone e da madonna Pica, ricchi commercianti. La sua nascita fu circondata da avvenimenti misteriosi: un mendicante, presentatosi a madonna Giovanna Pica, pochi giorni prima della nascita di Francesco, le disse: « Fra queste mura spunterà presto un sole... »; il giorno stesso della nascita, essendo la madre oltremodo accasciata per i dolori del parto, un altro pellegrino le disse: « Tutto andrà bene, purchè la madre sia condotta nella stalla », e così avvenne. Un altro giorno fu udito pér le vie di Assisi un romito che gridava: « Pace e bene, pace e bene! » il futuro motto di Francesco. La dolce madonna Pica taceva e pregava, pensando: cosa mai sarà di questo fanciullo così prediletto da Dio? 
  Intanto Francesco cresceva vivace, allegro, amante delle spensierate brigate, delle laute cene, dei suoni e dei canti. Siccome gli affari andavano bene, il padre lo avviò alla mercatura. Di ingegno vivace, riusciva a meraviglia; combattè anche contro Perugia e sostenne lunga prigionia. 
  La grazia di Dio intanto lavorava. Un giorno gli amici, vedendolo assorto, gli domandarono: « Pensi a prendere moglie? ». « Sì, rispose Francesco, e sposerò la donna più bella e più amabile del mondo ». Si riferiva a « madonna povertà »! Una mattina, è colpito, in una chiesetta di campagna, da un brano del Vangelo, che dice: "Non tenere né oro né argento né altra moneta; non borse, non sacchi, non due vesti, non scarpe, non bastone". Si spogliò di tutto, diede quanto aveva in elemosina, e a suo padre che l'aveva citato davanti al Vescovo, diceva rendendogli anche i vestiti: « Finora ho chiamato Pietro di Bernardone mio padre, d'ora in poi a maggior ragione dirò: Padre mio che sei nei cieli ». Esce all'aperto e, immediatamente. mette in pratica il consiglio evangelico. Si scalza, s'infila una tunica contadinesca, getta la cintura di cuoio e al suo posto s'annoda sui fianchi una corda. (La cintura di cuoio era nel medioevo la parte più importante dell'abito, tanto importante che Dante. quando vorrà lodare la rude semplicità dei vecchi fiorentini, li dirà "cinti di cuoio e d'osso")
  Da quel giorno l'eroismo di Francesco non ebbe più limiti: i poveri, i lebbrosi, gli ammalati di ogni specie furono la sua parte életta. Fu trattato da pazzo, percosso, vilipeso, maledetto, ed egli ricambiava tutto con preghiere, carità, amore. Ai suoi seguaci che volle chiamare « Frati Minori » insegnava il lavoro, l'elemosina, la preghiera e la povertà più assoluta. 
  Dove passò portò la benedizione di Dio: la pace fra le fazioni e l'amore fra i nemici: convertì peccatori, salvò miserabili, protesse oppressi. 
 tre voti francescani, obbedienza, povertà e castità, non erano pesi che il figlio di Pietro Bernardone prendeva sulle sue grame spalle e che imponeva ai compagni d'avventura. Al contrario, quei voti rendevano lui e i suoi seguaci più presti e leggeri. L'obbedienza scioglieva da ogni dubbio; la povertà liberava da ogni cupidigia; la castità sollevava da ogni impegno carnale. I vizi contrari a quei voti, cioè la superbia, l'avarizia e la lussuria, erano tre mostruose fibbie, che imbrigliavano l'uomo mondano. 
  Benedetto dal papa, estese ovunque ed a tutti la sua opera; istituì le Clarisse; fondò e diffuse il Terz'Ordine. Andò fra i Turchi: mandò apostoli dappertutto a portare «pace e bene ». Alla Verna, Dio impresse sul suo servo fedele il segno del suo amore: le sacre stimmate. 
  Compose laudi in onore del suo Dio perchè esclamava: « L'amore non è amato, l'amore non è amato! ». Morì, benedicendo i suoi figliuoli e la sua cara città di Assisi, il 4 ottobre 1226. 
  Fu chiamato il più santo degli Italiani, e il più Italiano dei santi; assieme a S. Caterina da Siena è il grande protettore della nostra amata patria. 

PRATICA. Ad onore di S. Francesco facciamo oggi una mortificazione ed una elemosina. 

PREGHIERA. O Dio, che per i meriti di S. Francesco accrescesti la tua Chiesa di una nuova famiglia, concedici di disprezzare a suo esempio le cose terrene, e di poter partecipare alla gioia dei doni celesti.

San Francesco e il Natale
  La natura fantastica del "giullare di Dio" e insieme la sua intuizione didattica si manifestarono specialmente nella più poetica rappresentazione ideata in un bosco, cioè nel Presepio di Greccio. 
  Per Francesco il Natale era la festa delle feste, appunto perché Dio stesso, con la sua adorabile incarnazione, scendeva in terra, e si faceva fratello degli uomini. Frate, non monaco. L'eterno entrava nel tempo; l'immobile diventava viandante. Dal Natale in poi, tutte le strade sarebbero state come quella d'Emmaus. 
  Il santo dell'umiltà si commuoveva all'idea dell'infinita umiliazione di Dio che si fa uomo. Il santo della povertà piangeva al pensiero dell'estrema indigenza di Gesù, nato in una stalla. E finalmente, il santo della perfetta letizia si rallegrava al ricordo dell'Alleluia celeste. 
  Il Natale era dunque la festa più francescana dell'anno liturgico. Vi si celebrava l'umiltà, la povertà e l'innocenza. I tre voti francescani brillavano, con meraviglioso fulgore, nel cielo natalizio. 
  "Se io potessi parlare all'imperatore," diceva Francesco "vorrei pregarlo di emanare un comando generale, perché tutti coloro che lo possono, spargano per le vie frumento e granaglie nel giorno di Natale, sicché in quel giorno di tanta solennità gli uccelli abbiano cibo in abbondanza". Anche questo sarebbe stato un modo di rendere evidente la gioia natalizia, comunicandola, attraverso il cibo, anche agli abitanti dell'aria. 
  Un anno, il Natale cadeva di venerdì e fra' Monco, il cuciniere, fu in dubbio se fare, in quel giorno, di grasso o di magro. "Faresti peccato, o fratello" gli gridò Francesco "chiamando venerdì il giorno in cui è nato Gesù. Vorrei che in un giorno come questo mangiassero carne anche le pareti e, non potendo, ne fossero almeno unte di fuori!" 
  Soltanto la fantasia d'un uomo sobrio e continente come lui poteva immaginare qualcosa di simile. 
  Nell'inverno del 1223 ebbe finalmente l'idea della prima sacra rappresentazione. Mandò a chiamare il signore di Greccio, Giovanni Velita, e gli disse: "È mio pensiero rievocare al vivo la memoria di quel Bambino celeste che è nato laggiù in Betlem, e suscitare davanti al suo sguardo e al mio cuore gl'incomodi delle sue infantili necessità: vederlo proprio giacere su poca paglia, reclinato in un presepio, riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello". 
  Così, la notte di Natale del 1223, nel bosco di Greccio, avvenne la prima rappresentazione natalizia inventata da San Francesco: il Presepio. 
  Un sacerdote celebrò la Messa di mezzanotte sopra una mangiatoia. San Francesco, non essendo sacerdote, ma soltanto diacono, cantò il Vangelo della Nascita, e lo spiegò al popolo, accorso nel bosco di Greccio con fiaccole accese. 
  Chiamava Gesù " il bambino di Betlem ", e nel pronunziare queste parole — narra il suo primo biografo — sembrava una pecora che belasse "talmente la sua bocca era ripiena, non tanto di voce, quanto di dolce affetto". "E nominando il Bambino di Betlem, oppure dicendo Gesù, lambivasi con la lingua le labbra, quasi a gustare e deglutire la dolcezza di quel nome." 
San Francesco e gli animaliSan Francesco e gli animali
San Francesco chiamava gli animali «i nostri fratelli più piccoli». Per loro aveva le attenzioni più delicate. Voleva scrivere a Federico II perché con un editto stabilisse che a Natale le strade fossero cosparse di granaglie e di grano per gli uccelli: anch'essi dovevano gioire per la nascita del Redentore. Perché non fossero calpestati, scansava dai sentieri i vermi. A Sant'Angelo in Pantanelli, presso Orvieto, viene mostrato tuttora uno scoglio sul Tevere, dal quale avrebbe gettato nel fiume dei pesci che gli erano stati regalati.
Un giorno S.Francesco andò alla elemosina assieme a frate Massèo e i due si imbatterono in un uomo che portava al mercato due agnelli da vendere, legati, belanti e penzolanti dalla spalle.
Udendo quei belati, il servo di Dio, vivamente commosso, si accostò, accarezzandoli, come suol fare una madre con i figlioletti che piangono, con tanta compassione e disse al padrone: “Perché tormenti i miei fratelli agnelli, tenendoli così legati e penzolanti?”. Rispose: “Li porto al mercato e li vendo: ho bisogno di denaro”.
E Francesco: “Che ne avverrà?”. E quello: “I compratori li uccideranno e li mangeranno».
Udendo questo il santo esclamò: «Non sia mai! Prendi come compenso il mio mantello e dammi gli agnelli». Quell'’uomo fu ben felice di un simile baratto, perché il mantello, che Francesco aveva ricevuto a prestito da un uomo proprio quel giorno per ripararsi dal freddo, valeva molto di più delle bestiole.
Infatti ogni creatura dice: Dio mi ha creato per te, o uomo! Noi che siamo vissuti con lui, lo vedevamo rallegrarsi interiormente ed esteriormente di quasi tutte le creature, così che, toccandole o mirandole, il suo spirito sembrava essere in cielo, non in terra. E per le grandi gioie che aveva ricevuto e riceveva dalle creature, egli compose, poco prima della sua morte, alcune Lodi del Signore per le sue creature, per incitare alla lode di Dio i cuori di coloro che le udissero, e così il Signore fosse lodato dagli uomini nelle sue creature»

   Dai "Fioretti" di San Francesco 
  Come Santo Francesco convertì tre ladroni micidiali, e fecionsi frati; e della nobilissima visione che vide l'uno di loro,il quale fu santissimo frate.

  Santo Francesco andò una volta per lo distretto del Borgo a Santo Sipolcro, e passando per uno castello che si chiama Monte Casale, venne a lui uno giovane nobile e molto dilicato, e dissegli: "Padre, io vorrei molto volentieri essere de' vostri frati". Rispuose Santo Francesco: "Figliuolo, tu se' giovane, dilicato e nobile: forse che tu non potresti sostenere la povertà e l'asprezza nostra". Ed egli: "Padre, non sete voi uomini come io? dunque, come la sostenete voi, così potrò io colla grazia di Cristo". Piacque molto a Santo Francesco quella risposta; di che benedicendolo, immantanente Io ricevette all'ordine e puosegli nome frate Agnolo. E portassi questo giovane sì graziosamente che ivi a poco tempo santo Francesco il fece guardiano nel luogo detto di Monte Casale.
In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, i quali faceano molti mali nella contrada; i quali vennono un dì al detto luogo de' frati e pregavano il detto frate Agnolo guardiano che desse loro mangiare. Il guardiano ríspuose loro in questo modo, riprendendogli aspramente: "Voi, ladroni e crudeli omicidi, non vi vergognate di rubare le fatiche altrui, ma eziandio, come presuntuosi e sfacciati, volete divorare le limosíne che sono mandate alli servi di Dio; che non siete pur degni che la terra vi sostenga; però che voi non avete nessuna reverenzia né a uomini né a Dio che vi creò: andate dunque per li fatti vostri e qui non apparite più". Di che coloro turbati si partirono con grande sdegno. Ed ecco Santo Francesco tornare di fuori colla tasca del pane e con uno vasello di vino ch'egli e 'l compagno avea accattato: e recitandogli il guardiano come egli avea cacciato coloro, Santo Francesco forte lo riprese dicendogli: "Tu ti se' portato crudelmente; imperò che li peccatori meglio si riducono a Dio con dolcezza che con crudeli riprensioni: onde il nostro maestro Gesù Cristo, il cui evangelio noi abbiamo promesso d'osservare, dice che non è bisogno a' sani il medico, ma agli infermi; e che non era venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a penitenzia; e però egli ispesse volte mangiava con loro. Con ciò sia cosa adunque che tu abbi fatto contra alla carità e contra al santo evangelio di Cristo, io ti comando per santa obbedienza che immantanente tu prenda questa tasca del pane ch'io ho accattato e questo vasello del vino, e va loro dietro sollecitamente per monti e per valli tanto che tu li truovi e presenta loro tutto questo pane e questo vino da mia parte; e poi t'inginocchia loro dinanzi e di' loro umilmente tua colpa della tua crudeltà; e poi li priega da mia parte che non facciano più male. ma temano Iddio, e non offendano il prossimo: e s'egli faranno questo, io prometto loro di provvederli nelli loro bisogni e di dar loro continuamente da mangiare e da bere. E quando tu arai detto loro questo umilmente, ritórnati qua".
  Mentre che il detto guardiano andò a fare il comandamento di Santo Francesco. egli si puose in orazione e pregava Iddio che ammorbidasse i cuori di quei ladroni e convertisseli a penitenzia. Giunse a loro l'ubbidiente guardiano e presentò loro il pane e 'l vino; e fa e dice ciò che Santo Francesco gli ha imposto. E come piacque a Dio. mangiando questi ladroni la limosina di Santo Francesco, cominciarono a dire insieme: "Guai a noi, miseri isventurati! come dure pene dello inferno ci aspettano, i quali andiamo non solamente rubando i prossimi e battendo e ferendo, ma eziandio uccidendo! e niente di meno di tanti mali e di così scellerate cose, come noi facciamo, noi non abbiamo niuno rimordimento di coscienza né timore di Dio. Ed ecco questo frate santo che è venuto a noi, e per parecchie parole ch'egli ci disse giustamente per la nostra malizia, ci ha detto umilmente sua colpa; e oltre a ciò ci ha recato il pane e lo vino e così liberale promessa del Santo Padre. Veramente questi frati sono santi di Dio, i quali meritano paradiso, e noi siamo figliuoli della eternale dannazione, li quali meritiamo le pene dello inferno e ogni dì accresciamo la nostra perdizione, e non sappiamo se de' peccati che noi abbiamo fatti insino a qui noi potremo trovare misericordia da Dio". Queste e simiglianti parole dicendo l'uno di loro. dissono gli altri due: "Per certo tu di' il vero: ma, ecco, che dobbiamo noi fare?" "Andiamo" disse costui "a Santo Francesco; e s'egli ci dà speranza che noi possiamo trovare misericordia da Dio de' nostri peccati, facciamo ciò che egli ci comanda, e possiamo liberare le nostre anime dalle pene dello inferno." Piacque questo consiglio agli altri: e così tutti e tre accordati se ne vennono in fretta a Santo Francesco e dissongli così: «Padre, noi per molti scellerati peccati che noi abbiamo fatti non crediamo potere trovare misericordia da Dio: ma se tu hai niuna isperanza che Iddio ci riceva a misericordia, ecco, noi siamo apparecchiati a fare ciò che tu ci dirai e fare penitenzia con teco". Allora Santo Francesco, ricevendogli caritativamente e con benignità, sì gli confortò con molti esempli; e rendendoli certi della misericordia di Dio. promise loro di certo d'accattarla loro da Dio, mostrando loro come la misericordia di Dio è infinita: "e se noi avessimo infiniti peccati, ancora la divina misericordia è maggiore, ché, secondo il vangelio e lo apostolo Santo Paulo, Cristo benedetto venne in questo mondo per ricomperare i peccatori". Per le quali parole e simiglianti ammaestramenti li detti tre ladroni renunziarono al demonio e alle sue operazioni, e Santo Francesco li ricevette all'ordine, e cominciarono a fare grande penitenzia; e due di loro poco vissono dopo la loro conversione e andaronsi a paradiso.
Ma il terzo, sopravvivendo e ripensando i suoi peccati, si diede a fare tale penitenzia che per quindici anni continui, eccetto le quaresime comuni le quali egli facea con gli altri frati, d'altro tempo sempre tre dì della settimana digiunava in pane e in acqua. e andando sempre iscalzo e con una sola tonica indosso, mai non dormia dopo mattutino. Infra questo tempo Santo Francesco passò di questa misera vita. Avendo dunque costui per molti anni continuata questa penitenzia, eccoti che una notte, dopo mattutino, gli venne tanta tentazione di sonno che per niuno modo poteva resistere al sonno e vegghiare come solea. Finalmente, non potendo egli resistere al sonno né orare, andossene in sul letto per dormire: e subito come egli ebbe posto giù il capo, e' fu ratto e menato in ispirito in su uno monte altissimo al quale era una ripa profondissima, e di qua e di là sassi spezzati e ischeggiosi e iscogli disuguali che uscivano fuori de' sassi: dì che infra questa ripa era pauroso aspetto a riguardare. E l'agnolo che menava questo frate sì lo sospinse e gittollo giù per quella ripa: il quale trabalzando e percotendosi di scoglio in iscoglio e di sasso in sasso, alla perfine giunse al fondo di questa ripa tutto smembrato e minuzzato, secondo che a lui pareva: e giacendosi così male acconcio in terra, disse colui che 'l menava: "Leva su, ché ti conviene fare ancora maggiore viaggio". Risponde il frate: "Tu mi pari molto indiscreto e crudele uomo, che mi vedi per morire della caduta che m'ha così spezzato, e dimmi 'leva su'". E l'agnolo s'accosta a lui, e toccandolo gli salda perfettamente tutti li membri, e sanalo. E poi gli mostra una grande pianura piena di pietre aguzzate e taglienti e di spine e di triboli, e dicegli che per tutto questo piano gli conviene passare a piedi ignudi insino che giunga al fine; nel quale e' vedea una fornace ardente nella quale gli convenia entrare. Ed aviendo il frate passata tutta quella pianura con grande angoscia e pena, l'agnolo gli dice: "Entra in questa fornace, però che così ti conviene fare". Risponde costui: "Oimè, quanto mi se' crudele guidatore, che mi vedi esser presso che morto per questa angosciosa pianura, e ora per riposo mi di' che io entri in questa fornace ardente!" E ragguardando costui, e' vide intorno alla fornace molti demoni colle forche di ferro in mano, colle quali costui, perché indugiava d'entrare, sì lo sospinsono dentro subitamente. Entrato che egli fu nella fornace, ragguarda e videvi uno ch'era istato suo compagno, il quale ardeva tutto quanto. E costui il domanda: "O compare isventurato, come venisti tu qua?" Ed egli risponde: "Va un poco più innanzi e troverai la moglie mia, tua comare, la quale ti dirà la cagione della nostra dannazione". Andando il frate più oltre, eccoti apparire la detta comare tutta affocata, rinchiusa in una misura dì grano tutta di fuoco; ed egli la domanda: "O comare isventurata e misera, perché venisti tu in così crudele tormento?" Ed ella rispuose: "Imperò che al tempo della grande fame. la quale Santo Francesco predisse dinanzi, il marito mio ed io falsavamo il grano e la biada che noi vendevamo nella misura. e però io ardo istretta in questa misura. E dette queste parole, l'agnolo che menava questo frate silo sospinse fuori della fornace e poi gli disse: Apparecchiati a fare uno orribile viaggio. il quale tu hai a passare. E costui rammaricandosi diceva: "O durissimo conducitore, il quale non m'hai nessuna compassione; tu vedi ch'io sono quasi tutto arso in questa fornace e anche mi vuoi menare in viaggio pericoloso e orribile". Allora l'agnolo il toccò e fecelo sano e forte: e poi il menò a uno ponte il quale non si potea passare senza grande pericolo; imperò ch'egli era molto sottile e stretto e molto isdrucciolente e senza sponde d'allato, e di sotto passava un fiume terribile, pieno di serpenti e di dragoni e scarpioni, e Ottava uno grandissimo puzzo. E l'agnolo gli disse: "Passa questo ponte, ché al tutto te lo conviene passare". Risponde costui: "E come lo potrò io passare, ch'io non caggia in quello pericoloso fiume?" Dice l'agnolo: "Vieni dopo me e poni il tuo pie' dove tu vedrai ch'io porrò il mio, e così passerai bene". Passa questo frate dietro all'agnolo, come gli aveva insegnato, tanto che giunse a mezzo il ponte; e essendo così sul mezzo, l'agnolo si volò via e, partendosi da lui, se ne andò in su uno monte altissimo di là assai dal ponte. E costui considera bene il luogo dove era volato l'agnolo; ma rimanendo egli sanza guidatore e riguardando giù, vedea quegli animali tanto terribili stare con li capi fuori dall'acqua e colle bocche aperte. apparecchiati a divorarlo s'egli cadesse: ed era in tanto tremore che per niuno modo non sapea che si fare né che si dire; però che non potea tornare addietro né andare innanzi. Onde veggendosi in tanta tribolazione e che non avea altro rifugio che solo Iddio, sì s'inchinò e abbracciò il ponte con tutto il cuore e con lagrime si raccomandava a Dio che per la sua santissima misericordia il dovesse soccorrere. E fatta l'orazione, gli parve cominciare a mettere ale: di che egli con grande allegrezza aspettava ch'elle crescessono per potere volare di là dal ponte, dov'era volato l'agnolo. Ma dopo alcuno tempo, per la grande voglia ch'egli avea di passare questo ponte, si mise a volare; e perché l'ale non gli erano tanto cresciute, egli cadde in sul ponte e le penne gli caddono : di che costui da capo abbraccia il ponte. come in prima, e raccomandasi a Dio. E fatta l'orazione, anche gli parve mettere aie; ma come prima non aspettò ch'elle crescessono perfettamente: onde, mettendosi a volare anzi tempo, ricadde da capo in sul ponte e le penne gli caddono. Per la qual cosa veggendo che per la fretta ch'egli avea di volare anzi tempo cadea, così incominciò a dire fra se medesimo: "Per certo, se io metto aie la terza volta, io aspetterò tanto ch'elle saranno sì grandi che io potrò volare senza ricadere".
E stando in questo pensiere. egli si vide la terza volta mettere le ale: aspetta grande tempo, tanto che li erano bene grandi, e parevagli. per lo primo e secondo e terzo mettere d'ale, avere aspettato bene cento cinquanta anni o più. Alla perfine si lieva questa terza volta con tutto il suo sforzo a vòlito, e volò in alto insino al luogo ov'era volato l'agnolo; e. bussando alla porta del palagio nel quale egli era, il portinaio il domandò: "Chi se' tu che se' venuto qua?" Risponde quello: "Io sono frate minore. Dice il portinaio: "Aspettami, ch'io ci voglio menare Santo Francesco a vedere se ti cognosce". Andando colui per Santo Francesco, questi comincia a sguardare le mura maravigliose di questo palagio; ed eccoti queste mura pareano tralucenti di tanta chiarità • vedea chiaramente i cori de' santi e ciò che dentro vi si faceva. E stando costui stupefatto in questo ragguardare, ecco venire Santo Francesco e frate Bernardo e frate Egidio, e dopo Santo Francesco tanta moltitudine di santi e di sante, che aveano seguita la vita sua, che quasi pareano innumerabili.Giugnendo Santo Francesco, disse al portinaia: " Lascialo entrare, imperò ch'egli è de' miei frati". Sì tosto com'e' fu entrato, e' sentì tanta consolazione e tanta dolcezza, che egli dimenticò tutte le tribolazioni che egli avea avute, come se mai non fussono state. E allora Santo Francesco menandolo per dentro sì gli mostrò molte cose maravigliose e poi gli disse: "Figliuolo, e' ti conviene ritornare al mondo staravi sette dì ne' quali tu t'apparecchia diligentemente con ogni divozione; imperò che dopo i sette dì io verrò per te e allora tu ne verrai meco a questo luogo de' beati".
  Ed era ammantato Santo Francesco d'uno mantello maraviglioso adornato di stelle bellissime, e le sue cinque stimmate erano come cinque stelle bellissime e di tanto splendore che tutto il palagio alluminavano con li loro raggi. E frate Bernardo avea in capo una corona di stelle bellissime, e frate Egidio era adornato di maraviglioso lume; e molti altri santi frati tra loro cognobbe, li quali nel mondo non avea mai veduti. Licenziato dunque da Santo Francesco si ritornò, benché mal volentieri, al mondo. Destandosi e ritornando in sé e risentendosi, i frati suonavano a prima: sicché non era stato in quella visione se non da mattutino a prima, benché a lui fosse paruto istare molti anni. E recitando al suo guardiano tutta questa visione per ordine, infra i sette dì si incominciò a febbricare, e l'ottavo dì venne per lui Santo Francesco, secondo la 'mpromessa, con grandissima moltitudine di gloriosi santi, e menonne l'anima sua al regno de' beati di vita eterna. A laude di Cristo. Amen.


Cantico delle creature

San Francesco Giotto

Altissimu; onnipotente bon Signore,
  tue so' le laude, la gloria e l'onore et orme benediczione.
  Ad te solo, Altissimo, se confano et nullu omu ène dignu te mentovare.

Laudato si, mi Signore, curo tucte le tue creature,
  spezialmente messor lo frate sole,
  lo quale jorna, et allumini per lui;
  et ellu è bellu e radiante rum grande splendore;
  de te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si, mi Signore, per sora luna e le stelle;
  in celo l'hai formate clarite et preziose et belle.

Laudato si, mi Signore, per frate vento
  et per aere et nubilo et sereno et orme tempo,
  per le quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si, mi Signore, per sor'acqua,
  la quale è multo utile, et umele, et preziosa et casta.

Laudato si, mi Signore, per frate focu,
  per lo quale ennallumini la nocte,
  et elio è bellu, et jucundo. et robustoso et forte.

Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre terra,
  la quale ne sustenta e governa,
  e produce diversi fructi, con coloriti fiori et erba.

Laudato si, mi Signore, per quilli che perdonano per lo tuo amore
  e sostengo infirmitate et tribulazione.
  Beati quilli che sosterranno in pace,
  ca de te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si, mi Signore, per sona nostra morte corporale,
  da la quale nullu orno vivente pò scappare.
  Guai a quilli che morrano ne le peccata mortali.
  Beati quilli che se trovarà ne le tue sanctissime voluntati;
  ca la morte secunda no '1 farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore, e rengraziate.
  e serviteli cum grande umilitate.


TESTAMENTO DI SAN FRANCESCO (1226)


Il Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza cosi: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo. E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.
Poi il Signore mi dette e mi da una cosi grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue che essi ricevono ad essi soli amministrano agli altri.
E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.
E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso.
E dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che amministrano le santissime parole divine, cosi come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita.
E dopo che il Signore mi diede dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelo che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.
E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevano avere di più.
Noi chierici dicevano l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.
Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onesta. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio.
Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l'elemosina di porta in porta.
Il Signore mi rivelo che dicessimo questo saluto:"Il Signore ti dia la pace! ".
Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini.
Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna (di privilegio) nella curia romana, ne personalmente ne per interposta persona, ne per una chiesa ne per altro luogo, ne per motivo della predicazione, ne per la persecuzione dei loro corpi; ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.
E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E cosi voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l'obbedienza e la sua volontà, perché egli e mio signore.
E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l'ufficio, così come e prescritto nella Regola.
E non dicano i frati: Questa e un'altra Regola, perché questa e un ricordo, un'ammonizione, un'esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei fratelli benedetti, perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.
E il ministro generale e tutti gli altri ministri custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.
E sempre tengano con se questo scritto assieme alla Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.
E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola e in queste parole dicendo: "Cosi si devono intendere" ma, come il Signore mi ha dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così cercate di comprenderle con semplicità e senza commento e di osservarle con sante opere sino alla fine.
E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell'altissimo Padre, e in terra sia ricolmato della benedizione del suo Figlio diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i Santi. Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. (Amen).


Preghiera semplice

Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch'io porti amore,
dove è offesa, ch'io porti il perdono,
dove è discordia, ch'io porti la fede,
dove è l'errore, ch'io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch'io porti la speranza.
Dove è tristezza, ch'io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch'io porti la luce.
Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Poichè:
Sì è: Dando, che si riceve:
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.
Amen.

sabato 3 ottobre 2015

Calcio a 5 - Serie C2: Battuta d'arresto casalinga per il Salina

Battuta d'arresto casalinga per il Salina del presidente Santino Ruggera superato per 5 a 3 dal "Citta di Oliveri". 
Le reti della formazione di casa sono state messe a segno da Gianluca Re (2) e Mariolino Puglisi.
Una sconfitta che infrange un lunghissimo periodo di imbattibilità casalinga ma che deve essere considerato solo un incidente di percorso.
Capitan Osvaldo e i suoi hanno tutto il tempo e la qualità per cancellare questa battuta d'arresto

Art.1. "Amministrazione Giorgianni piuttosto che "tagliare" sul controllo del territorio avrebbe dovuto ridursi i compensi"

Noi siamo assolutamente convinti che per ridurre i costi di gestione della casa comunale vadano tagliati gli sprechi, razionalizzata la spesa e ottimizzati i servizi. 
Questa amministrazione,come primo intervento,purtroppo ha ridotto un servizio peraltro quasi essenziale se si considera che il territorio è decisamente privo di controllo e la presenza di vigili urbani per strada certamente rappresenta un deterrente nei confronti di chi crede che le isole siano prive di regole e ritiene di poter agire nella totale libertà. 
Sinceramente ci saremmo aspettati che questo sindaco avesse adottato,come primo provvedimento,la riduzione dei compensi del 20% agli amministratori. Tale provvedimento,anche se previsto per legge dal prossimo mandato,avrebbe rappresentato un segnale chiaro di affezione nei confronti del popolo che lo ha eletto. Evidentemente l'attaccamento non è nei confronti della gente chiamata a fare sacrifici ma ad altro. 
Art.1

Banchi tradizionali addio, la classe diventa “liquida”. L'articolo de "La Stampa" con riportate dichiarazioni di Samuele Amendola sull'argomento

FLAVIA AMABILE
ROMA
In Finlandia i banchi sono componibili in modo da creare le disposizioni più varie in base al tipo di lezione. Negli Stati Uniti c’è chi fa sedere i ragazzi sul pavimento e pare che le lezioni funzionino meravigliosamente. In Italia si passa dalle classi dove i genitori si considerano già miracolati se i banchi corrispondono al numero degli studenti ad altre dove sono già arrivati i banchi componibili e la lezione è capovolta, sono gli alunni a spiegare e far apprendere agli altri quello che hanno capito come accade in Toscana. Non esistono regole né prescrizioni di alcun tipo. Sono i dirigenti, o anche soltanto i professori nella loro autonomia a decidere quale sia la disposizione più efficace per insegnare. Soprattutto nella scuola primaria dove i colleghi da mettere d’accordo non sono molti.
«Si cerca di andare incontro a nuove modalità per far fronte ai nuovi bisogni dei ragazzi». spiega Samuele Amendola, educatore, consulente educativo e socio dell’Associazione Pedagogisti e Educatori Italiani.
La disposizione dei banchi, nelle aule insomma, non è casuale ma legata al tipo di insegnamento scelto dai professori. Le più numerose sono ancora le classi con i banchi disposti in modo tradizionale, due o tre file orientate verso la cattedra e la lavagna. D’altra parte se la metà degli edifici è stata costruita prima del 1971 e in questi casi è piuttosto difficile adottare soluzioni innovative.
Ma il 32% delle scuole è nato dopo il 1976, sono più flessibili. «Una sistemazione frequente dei banchi è a ferro di cavallo», sostiene Giorgio Bollani, optometrista e responsabile del Progetto Peav nelle scuole. «Se con le file tradizionali gli alunni fanno molta fatica a vedere quello che viene scritto alla lavagna, anche con la disposizione a ferro di cavallo si ha il vantaggio di creare lezioni ideali per materie orali ma si creano numerosi problemi di vista per chi è vicino alla porta o alla finestra». Dal suo punto di vista la formula migliore è quella ad anfiteatro. «Molti insegnanti si convincono a ascoltare il mio consiglio quando vado nelle scuole a parlarne», spiega.
Ma la situazione delle scuole italiane è più varia di quello che si possa immaginare. Ci sono le scuole primarie che aderiscono al progetto «Senza zaino». Sono 97 in tutt’Italia, le aule hanno lo spazio è diviso in aree di lavoro e i bambini secondo la filosofia montessoriana si organizzano da soli, spesso studiando materie diverse su tavoli diversi e alla fine hanno un’area dedicata alla correzione dove verificano da soli se il compito svolto è giusto oppure no. Ci sono le scuole montessoriane vere e proprie dove tutti gli spazi non hanno nulla di tradizionale e sono studiati a misura di bambino, non c’è cattedra e i banchi sono disposti ad isola per dare ai bambini la possibilità di i lavorare per gruppi.
Aule rivoluzionate anche alle superiori dove ci sono progetti come quello della «Scuola 3.0» dell’Its «Luca Pacioli» di Crema dove in classe gli studenti non hanno né cattedra né banchi e nemmeno la lavagna nera con i gessetti. Ci sono tavoli colorati di forma circolare, scomponibili, adatti a essere utilizzati per il lavoro di gruppo. Sulle pareti, al posto delle cartine geografiche, sono appesi grandi pannelli orizzontali opachi, su cui si può scrivere o attaccare dei magneti. Le lavagne sono enormi, interattive e presenti in ogni unità di lavoro.
«Sono molto favorevole all’uso dei tavoli di lavoro invece delle classiche file di banchi - spiega Amendola - i bambini si abituano a fare attività in gruppo e gli insegnanti possono passare più facilmente da un gruppo all’altro e capire meglio le personalità di ciascuno e le dinamiche nei rapporti». E le verifiche? I voti? «Durante le attività di laboratorio gli insegnanti faranno emergere le conoscenze acquisite senza interrogazioni o verifiche ufficiali. E, da quello che vedo girando per le classi, sono sempre più numerosi gli insegnanti aperti alle nuove forme di didattica e quindi anche a rivoluzionare le loro aule».

Spento da giorni il faro di Strombolicchio

Il faro di Strombolicchio è spento da alcuni giorni. Il presidente della Circoscrizione Carlo Lanza ha informato il sindaco e il Circomare Lipari affinchè si predisponga un intervento urgente.

Ospedale. Giorgianni soddisfatto per modifica atto aziendale Asp ma...

COMUNICATO STAMPA
L’Amministrazione esprime la propria soddisfazione per le modifiche apportate nell’ultima bozza dell’atto aziendale pubblicato nella giornata di ieri nell’albo pretorio dell’Azienda Sanitaria Provinciale Messina 5.
Pur continuando a non condividere il nuovo atto aziendale, per il quale ha già espresso un voto sfavorevole durante la conferenza dei sindaci del 28 settembre 2015, che ha visto partecipe anche il consigliere comunale Dott. Giacomo Biviano, prende atto che sono state recepite buona parte delle richieste formulate durante la stessa conferenza e che consentono di mantenere le attuali professionalità all’interno del presidio ospedaliero di Lipari.
Il nuovo documento, infatti, rispetto alla precedente bozza, prevede due nuovi medici: un ginecologo ed un ortopedico.
Nella nuova e ultima bozza, pertanto, i ginecologi ritornano ad essere 3 e viene ripristinata la figura dell’ortopedico precedentemente soppressa.
Un primo ma significativo passo rispetto ad un atto aziendale che continua, comunque, a non identificare il presidio ospedaliero di Lipari quale presidio di località insulare ad eccezionale difficoltà di accesso e, quindi, scorporato dagli Ospedali Riuniti e a non tenere conto dell’accordo Stato Regioni del 30/07/2015, relativamente ai punti nascita nelle zone marginali e di difficile accesso.
Lipari, 03/10/2015
Il Sindaco
Marco Giorgianni

Lettera aperta della signora Conti e famiglia Zitelli alla famiglia Virgona

Carissimo Marcello,
Carissimo Maurizio,
Carissimi nipoti con la famiglia tutta
A volte la vita è così tragica ed imprevedibile che non vi sono parole per dimostrarvi la nostra partecipazione in questo tragico ed imprevedibile avvenimento. Io sono certa che la nostra comunità Vi abbia fatto e vi faccia sentire la sua presenza e il suo affetto. Vostro padre e vostra madre erano due splendide persone ed è evidente che il loro era un legame indissolubile per cui non è stato accettato la vita dell’una senza l’altro. Sono cose che nella mentalità corrente sfuggono e sono addirittura incomprensibili. Vostra madre nell’espletamento del suo lavoro presso il nostro ospedale è sempre stata professionale, utilissima ed affettuosa con i suoi pazienti. L’età, il tempo, le malattie fanno ovattare e dimenticare tutto. Vi vogliamo bene e Vi abbracciamo forte forte.
Caterina Conti e fam. Zitelli

Stasera il Piccolo Borgo Antico porta ‘L’Onda di Maometto’ a Favignana

Dopo il successo riscontrato a Salina e Lipari, il Piccolo Borgo Antico alle prese con ‘L’Onda di Maometto’ , testo di scottante attualità nato dall’intuizione di tre giganti dell’informazione, Alberto La Volpe (ex direttore del Tg2), Stefania Porrino e Livio Zanotti (corrispondente de La Stampa), il 03 ottobre va in scena a Favignana. Stabilimento Florio della Tonnara, ore 21:00.
Il testo racconta il difficile dialogo tra occidente e la realtà islamica. Grazie alla collaborazione di tre Comuni e sindaci Riccardo Gullo (Salina - Leni), Marco Giorgianni (Lipari) e Giuseppe Pagotto (Favignana), L’Onda sarà messa in scena per la quarta volta dalla sua creazione. Ricordiamo, infatti, che è stata la compagnia eoliana a farla rivivere dopo l’anteprima al teatro Argentina di Roma.
La messa in scena dello spettacolo da parte del Piccolo Borgo Antico è stata fortemente sostenuta e voluta dai tre autori, che hanno presenziato a Salina. Grande plauso per la velocità dei ritmi, soluzioni di regia, interpretazione dei personaggi, scenografia.

Milazzo, violenta lite tra due nuclei familiari: intervengono i Carabinieri ed arrestano tre persone e ne deferiscono in stato di libertà altre sei per lesioni aggravate in concorso.

Prosegue la campagna di prevenzione e contrasto dei reati ad opera dei Carabinieri della Compagnia di Milazzo ed in particolare dei militari del Nucleo Radiomobile agli ordini del nuovo Comandante Maresciallo Aiutante Rocco Fleres i quali, nella serata di giovedì, con l’ausilio di una pattuglia della Stazione di Fondachello Valdina agli ordini del Maresciallo Aiutante Carmelo Carbone, hanno tratto in arresto tre persone, a Olivarella di Milazzo, a seguito di una violenta colluttazione scoppiata per futili motivi.
A fare scattare l’intervento dei Carabinieri, intorno alle 19.45 di giovedì sera, è stata una telefonata pervenuta all’utenza di Pronto Intervento 112 con cui veniva segnalato che nella via Palmiro Togliatti di questo centro si era scatenata una violenta lite in cui erano coinvolte diverse persone.
Giunti nella località segnalata, i Carabinieri sorprendevano i tre individui che, con fare minaccioso ed in evidente stato di alterazione, si scagliavano contro la vittima della loro furia poi identificato in un 37enne di Messina.
A quel punto, i Carabinieri riuscivano a bloccare, prima uno degli aggressori armato di bastone e successivamente altri due che a loro volta, a mani nude,  si erano scagliati sulla vittima, procurandogli lesioni giudicate guaribili in 7 gg. I tre soggetti bloccati venivano successivamente identificati in un 56enne macellaio, un 20enne ed un 42enne  tutti di Milazzo, quest’ultimo a sua volta riportava delle lesioni guaribili in 25gg.
La vicenda, sviluppatasi nel corso di un intero pomeriggio e tassellata da diversi episodi di aggressioni verbali e fisiche ha raggiunto l’apice proprio poco prima che i Carabinieri intervenissero. Dalle indagini dei Carabinieri, si è riuscito a ricostruire che, alla base della diatriba c’erano antichi dissapori tra due distinti nuclei familiari allargati che abitano a distanza di pochi metri. Alcuni dei protagonisti della vicenda sono già noti infatti ai Carabinieri per passate richieste di intervento sempre a seguito di screzi e litigi.
A far scattare la scintilla ieri un apprezzamento di “poco gusto” all’indirizzo di una minorenne appartenente a una delle due famiglie. Quella “battuta” mal digerita sarebbe stata alla base di un’escalation di insulti, minacce e alla fine di aggressioni fisiche durate più di qualche ora e terminata solo grazie al pronto intervento dei Carabinieri.
Nel corso della contestuale perquisizione i militari sequestravano inoltre un bastone di legno, originariamente un piede di sedia, utilizzato nel corso dell’aggressione. 
Sul posto intervenivano anche diverse ambulanze del 118 che provvedevano a trasportare i feriti presso il locale nosocomio milazzese ove il personale sanitario riscontrava agli interessati delle lesioni giudicate guaribili in un periodo di tempo compreso tra 2gg e 25 gg.

Al termine della ricostruzione dei fatti, i tre un 56enne macellaio, un 20enne ed un 42enne disoccupati tutti di Milazzo venivano tratti in arresto in  flagranza del reato di lesioni aggravate in concorso, e su disposizione della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto che ha coordinato l’attività, venivano sottoposti al regime degli arresti domiciliari. Ricostruito il quadro complessivo venivano inoltre deferite in stato di libertà altre sei persone, un 37enne ed una 36enne di Messina, un 23enne una 16enne ed un 54enne di Milazzo, ed un 33enne di Barcellona Pozzo di Gotto, legate da rapporti di parentela ed amicizia con i protagonisti della colluttazione sedata dai militari, che a vario titolo avevano partecipato alle colluttazioni.

Il commiato di monsignor La Piana in Cattedrale «Mi devo fermare. Vi chiedo perdono»

Uno, due, ripetuti applausi. E lacrime di commozione. Ancora smarrita, per essersi ritrovata così all’improvviso “orfana” del suo pastore, la comunità dei fedeli si è stretta giovedì attorno a Mons. Calogero La Piana.
In tanti hanno preso parte alla messa di commiato, in Cattedrale. Una liturgia sobria ma che ha emozionato tutti i presenti. «Mi trovo ancora una volta – ha detto l’arcivescovo emerito – a disobbedire ai miei propositi, ovvero lasciare la città nel silenzio, e obbedire invece all’affetto che mi ha obbligato a essere qui stasera. Come diceva Don Bosco, mi era rimasto solo questo povero cuore e voi me lo avete rubato». Nel corso dell’omelia, mons. La Piana ha ripercorso i quasi nove anni trascorsi alla guida della Chiesa messinese: «Con voi ho condiviso gioie e dolori, eventi felici e drammatici». L’arcivescovo ha ricordato quindi la drammatica alluvione (proprio ieri l’anniversario) del 2009: «Quanta sofferenza, dolore, fatica e coraggio nell’accompagnare questi fratelli. Desidero affidare con voi al Signore le vittime di questo tragico evento. Quando si cammina, si cresce – ha aggiunto, riprendendo il tema, quello del cammino appunto, al centro della lettera per l’anno pastorale 2015-2016 – e io sono cresciuto insieme a voi, tra dolore e gioie, fatiche e speranze, desideri, progetti, a volte delusioni e sconfitte. Dopo questa esperienza di 9 anni, mi sento molto più maturo, come cristiano, sacerdote, vescovo. Quando si cammina, tuttavia, ci si stanca e a volte bisogna fermarsi». Un lungo applauso, l’ennesimo, ha interrotto a questo punto le parole di La Piana, che ha proseguito con la voce rotta dall’emozione: «Le forze fisiche non mi permettono di proseguire. Mi sono dovuto fermare. Vi chiedo perdono. Ma sono sereno e chi ha condiviso con me questi giorni lo sa. Esprimo tutta la mia fierezza di essere stato chiamato dal Signore a guidare questa Chiesa». L’arcivescovo ha quindi concluso il suo intervento con un messaggio rivolto a tutta la comunità dei fedeli: «Considerate questa esortazione come la mia eredità: fidatevi sempre di Dio e dei pastori che sceglie per guidarvi nella sua via». Oltre a tanti cittadini, alla liturgia hanno preso parte anche rappresentanti istituzionali e tutta l’Arcidiocesi di Messina, Lipari e S. Lucia del Mela (il clero, religiosi, parrocchie, movimenti e associazioni) che ha espresso il proprio affetto e la propria gratitudine all’arcivescovo emerito attraverso le parole del vicario generale, mons. Gaetano Tripodo: «Grazie – ha detto rivolgendosi a La Piana – per averci spronato a incentrare la nostra vita sulla parola di Dio. Anche se sentiamo la sofferenza per il distacco rimaniamo sereni. Preghi sempre per questa Chiesa di Messina».

Incidente con maxi-tamponamento a Mendolita. Coinvolte tre auto e un motociclo

Un rocambolesco incidente ha causato un maxi-tamponamento ieri sera , intorno alle 23, sulla strada di Mendolita a Lipari. 
I danni per i mezzi coinvolti, tre auto e un motociclo Honda, sono nel complesso abbastanza consistenti. 
A generare la "carambola"(gli altri mezzi erano posteggiati) è stata una  Opel Corsa alla cui guida vi era  un giovane liparese. 
Sul posto sono intervenuti la squadra dei vigili del fuoco (caposquadra Salvatore Pannuccio), i carabinieri che hanno avviato i necessari accertamenti per individuare le cause che hanno generato il sinistro. 
Presente anche l'assessore Giovanni Sardella 

Santo del giorno: San Gerardo di Brogne

Nome: San Gerardo di Brogne
Titolo: Abate
Ricorrenza: 03 ottobre

Gerardo nacque intorno all'898 a Stapsoul, vicino a Lomme, nella regione di Namur. Era figlio di Sancio, proprietario di territori tra la Sambre e la Mosa, e da parte di madre era forse nipote del vescovo Stefano di Liegi. Il suo biografo dice che, a partire dalla sua giovinezza, fece mostra di rare qualità morali e fisiche e che si dedicò a una brillante carriera come cavaliere al servizio del conte Berengario di Namur. Un giorno che stava rientrando da una battuta di caccia, Gerardo, passando da una delle sue proprietà, entrò nella chiesa di Brogne. Volendo assistere alla messa chiese un sacerdote e, mentre lo aspettava, si raccolse e si addormentò. In sogno vide san Pietro passeggiare attorno a una piccola chiesa e invitarlo a costruire un oratorio e a farvi arrivare le reliquie di Eugenio, martire di Toledo. Gerardo domandò come fare, e san Pietro gli rispose che non esiste niente di impossibile per Dio" e che bisognava distruggere la chiesa esistente per rimpiazzarla con un edificio più grande di cui dava le dimensioni. Al suo risveglio, Gerardo decise di obbedire all'apostolo. 
Senza dubbio Gerardo non sapeva niente sull'esistenza di S. Eugenio. La storia della 'traslazione di S. Eugenio a Brogne" ci dice che questo vescovo era stato compagno di S. Dionigi e che, mentre il secondo stava evangelizzando la regione parigina, egli giunse a Toledo dove operò numerose conversioni e fondò la cattedrale. Tuttavia, desideroso di rivedere l'amico Dionigi, Eugenio partì alla volta della Gallia; arrivato a Deuil (oggi DeuillaBarre, nella Val d'Oise), venne a conoscenza del martirio di Dionigi e dei suoi amici e compose un inno in loro onore. Fatto presto prigioniero dai pagani, venne a sua volta martirizzato. I suoi assassini ne gettarono il corpo nello stagno del Marchais, vicino a Deuil. In seguito, un proprietario del luogo sognò un vecchio che gli disse che avrebbe trovato il corpo di Eugenio e che avrebbe dovuto seppellirlo onorevolmente. 
In compagnia di un rappresentante del vescovo Stefano di Liegi, Gerardo si recò inizialmente presso il priorato di Deuil, ove ricevette le reliquie di S. Eugenio, poi a SaintDenis, ove poté soggiornare per qualche tempo. La traslazione di S. Dionigi a Brogne venne compiuta nel mese di agosto del 919. Gerardo ricevette anche diversi oggetti, qualche manoscritto, un altare portatile, e pare che sia tornato con alcuni monaci di SaintDenis, che decisero di popolare il nuovo monastero. Con un atto che reca la data 2 giugno 919, Gerardo aveva stabilito d'impiegare parte delle rendite delle sue proprietà per questa fondazione. Il 27 agosto 921 ottenne un attestato d'immunità da Carlo il Calvo. E difficile sapere se Gerardo in quel momento fosse abate, oppure se abbia ottenuto la direzione dell'abbazia solo in un secondo tempo. Alcuni storici hanno supposto che egli avesse ricevuto l'ordinazione a sacerdote soltanto nel 927, e che prima di insediarsi definitivamente a Brogne avesse compiuto alcuni soggiorni d'istruzione a SaintDenis. 
È noto che egli si recò a Tours per ottenere alcune reliquie di S. Martino e che là incontrò l'abate laico di S. Martino di Tours, Ugo il Grande, che era anche abate di SaintDenis. In una data che è difficile precisare, sotto l'episcopato del vescovo di Liegi Ricario, successore di Stefano (921945), l'oratorio fu benedetto, le reliquie messe in una cassa e il monastero posto sotto la protezione di S. Eugenio. Tali reliquie erano destinate a rimanere in quello stesso luogo eccetto che nel 954 quando, minacciate da un'invasione degli Ungheresi, i monaci si ritirarono momentaneamente a Namur. C. era stato tentato dalla vita eremitica. Le grandi foreste delle Ardenne che circondavano il monastero gli apparivano come un rifugio per prega solitudine: questo almeno è quanto riferis seconda Vita di Gerardo I monaci desideravano averlo come abate. Tuttavia, a causa della sua tà già conosciuta, Gerardo non era destinato a rimi a lungo a Brogne. 
Le prime riforme di san Ghislano 
Il duca Gisleberto di Lorena (m. 939) in essendo venuto a conoscenza della fama di Gerardo lo chiamò per riformare l'abbazia di S. Ghislano. Questa, fondata nel VII secolo, a partir dalla cella di un santo era stata distrutta durante le invasioni normanne, quindi era caduta in mano ai laici. Nel 930 furono ritrovate le reliquie di S. Ghislano. Si verificarono alcuni miracoli e il vescovo di Cambrai dette il via alla traslazione di queste reliquie nella chiesa di santi Pietro e Paolo, le pose in alto perché tutti potessero vederle e, forse, per metterle in salvo dai furti. Le reliquie, infatti, divennero oggetto di disputa tra il popolo di Mons e quello di Maubeuge. Fu istituito un collegio di canonici, che però non dette esempio di vita regolata. I canonici, in realtà, portavano in processione le reliquie per il vicinato solo al fine di incrementare le proprie rendite. Ora Gisleberto, che era già abate laico di Stavelot, di S. Massimino a '14reviri e di Echternach, voleva entrare in possesso di S. Ghislano, che si trovava nell'Hainaut. Come egli aveva introdotto la riforma per Stavelot, volle fado anche per S. Ghislano. Dopo aver avuto urta visione del santo fondatore che gli chiedeva di restaurare la regola benedettina, si rivolse a Gerardo intorno al 93 i, e lo nominò abate. Quest'ultimo riuscì a recuperare le terre che erano state date ai laici, a ricostruire l'abbazia e a restaurare le funzioni liturgiche. Permise dunque che a S. Ghislano si conducesse quella vita regolare che aveva conosciuto poco tempo prima delle invasioni normanne. Il suo successo arrivò sino in Fiandra, e fu allora che intervenne il conte Arnolfo. 
Le riforme in Fiandra
In Fiandra, come dappertutto, le invasioni dei popoli scandinavi avevano fatto scomparire la vita regolare nelle abbazie, e i laici ne avevano approfittato. Molti monasteri erano stati trasformati in collegiate, vale a dire che i canonici vi conducevano una vita più o meno religiosa. Dopo il 918 la contea di Fiandra era amministrata da Arnolfo, detto Arnolfo il Grande (918965). Suo padre, Baldovino II, era riuscito a conquistarsi una contea che si estendeva al di là dei golfi dell'Yscr e dell'Aa, arrivava sino a Tournesais e oltrepassava, a sud, le colline dell'Artois. Arnolfo continuò la politica paterna e seppe approfittare in maniera stupefacente dei conflitti che vedevano opposti re carolingi contro principi robertingi e normanni. Era un valente cavaliere, spesso violento ma molto pio, e come molti dei suoi contemporanei amava collezionare reliquie. Desiderava che entro i confini della sua contea fosse restaurata la consuetudine religiosa nei numerosi monasteri. La Vita di Gerardo ci dice che Arnolfo, sofferente di calcoli renali, avendo sentito parlare dell'abate di Brogne chiese a quest'ultimo di venire. C. andò, persuase il conte che i suoi peccati erano all'origine della sua malattia e gli disse di riparare ai propri errori distribuendo i suoi beni; lo fece digiunare per tre giorni, celebrò la messa e infine operò la guarigione. Il conte offrì allora a Gerardo tutto ciò che volle. Questi rifiutò l'oro e l'argento, accettando infine solo qualche dono che distribuì ai poveri, ai monaci e al suo giovane monastero di Brogne. D'altra parte, Arnolfo fece stilare un atto in cui decise di donare un possedimento terriero al monastero di S. Pietro di Gand, in cui si trovavano sepolti i suoi genitori, c affidò la riforma di tale monastero all'abate Gerardo 
S. Pietro di Gand (detta anche SaintPierreauMontBlandin) era stata fondata da S. Amando, con l'aiuto di Dagoberto, nel VII secolo. Un compagno di S. Amando, S. Bavone, aveva fondato un altro monastero che aveva ricevuto il suo nome e che era divenuto la cattedrale di Gand. Tra questi due monasteri esisteva, di conseguenza, una forte rivalità. Il conte Arnolfo decise di riformare anche il monastero di S. Bavone, di cui era abate laico. Gerardo fu nominato abate di S. Pietro, ma rifiutò questo titolo per S. Bavone. Fece porre, nel 946, le reliquie del santo all'interno del monastero restaurato e riuscì a raccogliere tutti i beni usurpati dai laici intorno al complesso. Nel 953 Gerardo ottenne la nomina ad abate di suo nipote Guido. 
Le riforme degli abati di Gand ebbero conseguenze sulla vita monastica in Inghilterra, dove tutto era ancora da rivedere. Là moltissimi monasteri erano ancora affidati ai laici o popolati da canonici. A Glastonbury, S. Dunstano osservava la regola benedettina dal 940. Essendo stato esiliato nel 955 dal re Edwy, Dunstano si recò presso il conte di Fiandra Arnolfo il Grande e conobbe la riforma che Gerardo aveva messo in ano nei monasteri di Gand. Allorché fece ritorno in Inghilterra nel 957, Dunstano, dopo essere stato nominato vescovo quindi arcivescovo di Canterbury, applicò questa riforma nei monasteri dell'Inghilterra. Al sinodo di Winchester, nel 972, re Edgardo invitò a partecipare i monaci di Gand, nonché i monaci di FleurysurLoire, il re d'Inghilterra non poteva che accogliere bene lo spirito riformista di Gerardo che dava grande spazio al potere laico nella restaurazione delle abbazie. 
Riforma di SaintBertin, SaintRiquier e SaintAMand
Il provvisorio insediamento di Dunstano a Gand non era fortuito, in quanto allora esistevano stretti vincoli tra la Fiandra e l'Inghilterra. All'epoca di Alfredo il Grande, alcuni monaci di SaintBerti n avevano già svolto un ruolo importante nella restaurazione dei monasteri inglesi. Nel 944, il conte Arnolfo recuperò l'abbazia di SaintBertin ed espresse la volontà di far riformare i monaci. Essi però si rifiutarono e la popolazione prese le loro parti. Alla fine qualche monaco rimase nell'abbazia mentre gli altri partirono alla volta dell'Inghilterra. Con l'aiuto di un monaco di SaintEvre di Toul e di Womar del Mon tBlandi n, Gerardo riformò SaintI3ertin di cui, nel 950, fu nominato abate un nipote di Arnolfo il Grande. Due anni prima Arnolfo aveva già approfittato della conquista di MontreuilsurMer per annettere SaintRiquier. Questa illustre abbazia, che aveva avuto i suoi momenti di gloria in epoca carolingia, aveva anch'essa sofferto le incursioni dei popoli scandinavi. Gerardo e Arnolfo vi posero un abate di nome Fulcherico. Nel 951, poiché Ugo il Grande aveva minacciato l'abbazia, le reliquie di SaintRiquier furono trasferite a SaintBertin. 
Per inciso, l'abbazia di SaintRiquier doveva in seguito essere annessa definitivamente da Ugo Capeto. TI monastero di San Vedasto, al contrario, rimase in mano al conte di Fiandra e venne pure restaurato. Infine, Gerardo di Brogne influenzò in maniera considerevole la riforma della chiesa di SaintAmand. Il monastero, fondato a Elnone dal santo vescovo Amando, dall'inizio del X secolo era nelle mani della famiglia aristocratica degli Edward. 11 conte di Fiandra volle recuperare questo monastero, e nel 952 nominò il monaco Iieodrico abate di Elnone, in presenza dei vescovi di Cambrai, di Noyon, di lburnai e dell'abate Gerardo ra certo che Gerardo di Brogne svolse un ruolo determinante nel restauro del monastero di SaintAmand e che fu in grado, anche là, di recuperare i beni confiscati dagli aristocratici laici. 
Riforma a Reims e tentativo di rifirma in Normandia 
La contea di Fiandra e l'arcivescovato di Reims erano in relazione perché Arnolfo era il genero di Lrberto di Vermandois, che aveva posto il proprio figlio Ugo sul trono episcopale di Reims. Ugo, che era al tempo stesso abate di San Remigio a Reims, chiese a Gerardo di recarsi a restaurare quell'abbazia e lo nominò preposto. Ciò accadeva intorno al 940. Questa riforma venne in seguito completata da un monaco di 
duca Riccardo era, come il suo collega Arnolfo, desideroso di trasformare i monasteri e di farne delle case di preghiera. Le abbazie di Jumièges e di Fontenelle erano state abbandonate al momento delle invasioni normanne e i monaci si erano ritirati all'interno dei territori. Quelli di Fontenelle (attualmente Saio tWandrille) avevano riparato nel nord e avevano portato le reliquie del loro kmdatore a Roulogne. 

Il conte Arnolfo, appassionato di reliquie, era riuscito in compagnia di Gerardo a raccogliere questi tesori portandoli da Boulogne a Gand. Gerardo entrò così in relazione con la comunità di SaintWandrille. Nella stessa epoca, si dice, un certo Torf il Ricco era solito cacciare in una foresta in cui si trovava anche l'abbazia di SaintWandrille. Un cervo che egli stava inseguendo si rifugiò presso un altare della basilica in rovina. 'l'od, commosso da questo prodigio, decise di restaurare l'abbazia e di richiamare i monaci. 

Secondo alcuni testi, Gerardo si sarebbe recato a Rouen presso Riccardo di Normandia intorno al 955, all'epoca in cui Arnolfo di Fiandra guidava una spedizione verso il sud. Ma non riuscì a convincere il duca di Normandia, e fu il suo discepolo Menardo, proveniente da un'importante famiglia della Lorena, a restaurare SaintWandrille nel 960. Vi riuscì così bene che il duca Riccardo Ti gli chiese di restaurare anche MontSaintMichel. Quanto a Gerardo, egli ritornò a Brogne portando un'insigne reliquia, poiché si trattava del cranio di S. Vandregisilo, attualmente conservato nell'abbazia di Marcdsous, presso Dinant. 
La riforma di Gerardo
Non è possibile confrontare la riforma di Gerardo con quella di Cluny, sua contemporanea. Certamente, Gerardo é desideroso di osservare la regola benedettina e sacrifica le proprie ricchezze alla povertà monastica. Quando rifiuta l'oro e l'argento che gli promette il conte Arnolfo, egli risponde: "Abbiamo lasciato i beni che ci apparienevano, come potremmo accettare i beni degli altri? I monaci che su questa terra cercano a proprietà provano, con ciò, di non essere veri monaci. Se essi si attaccano al denaro sono solo lei lebbrosi. Accatastare ricchezze, cos'altro mesto per dei monaci se non una lebbra dell'Anima?". Ma Gerardo non sa immaginare un monastero senza beni fondiari, e tutti i suoi sforzi di restaurazione hanno per obiettivo il recupero delle terre abbandonate ai laici. Più restauratore che riformatore, vuole tornare alla situazione antecedente e ottenere delle restituzioni. Fa innalzare alcune costruzioni, vi pone reliquie, chiede ai monaci di aprire officine per gli amanuensi e di edificare delle biblioteche. Gerardo è un monaco di stampo carolingio: non riesce a immaginare un'abbazia indipendente dal potere temporale. 
L'esenzione, che Cluny cercherà di ottenere, gli è totalmente estranea. Quando i principi, in particolare il conte di Fiandra, sono ben disposti alla riforma, occorre evidentemente collaborare con loro. Gerardo, per la sua origine sociale, si sente molto vicino al potere laicoaristocratico. D'altra parte, come restauratore vuole il ritorno alla regola di S. Benedetto; non ama i monasteri che alcuni canonici occupano non obbedendo a nient'altro che alla propria fantasia. La regola, nella sua perfezione e nella sua precisione, dev'essere seguita da tutti, dall'abate e dai monaci. Chiamato a dirigere numerose abbazie, Gerardo avrebbe potuto avere l'idea di costituire una sorta di famiglia di cui Brogne fosse il capo, ma anche qui si distingue dai Cluniacensi. A suo avviso ogni abbazia, sotto la protezione di un conte o di un duca, deve avere una certa autonomia.
Quanto alla spiritualità di Gerardo, è difficile farsene un'idea. I suoi biografi lo presentano come un devoto dell'eucaristia: nel corso della messa, che officia ogni giorno — fatto che all'epoca doveva essere eccezionale — si verificano alcuni miracoli, come la guarigione del conte Arnolfo o quella d'un vecchio cieco che si è lavato il volto con l'acqua che Gerardo si era fatto versare sulle mani durante le abluzioni liturgiche. Infine, come non ricordare la sua devozione per le reliquie? Al pari dei suoi contemporanei, Gerardo è alla ricerca di reliquie, siano esse quelle di S. Eugenio, di S. Vandregisilo o dei santi Innocenti che trasportò dalla chiesa di SalleslèsChimay. Egli ha bisogno di proteggersi, ma anche di avere un contatto diretto con i fondatori delle chiese. Se Eugenio è il santo patrono di Brogne, è per il fatto che è stato amico di Dionigi, secondo la tradizione discepolo di S. Paolo e inoltre martire.
La morte di Gerardo e il suo culto
Al termine della sua vita, Gerardo si sarebbe recato a Roma. Beneficiato da san Pietro di una visione in giovane età, avrebbe voluto così ringraziare il successore di Pietro e avrebbe inoltre ottenuto un privilegio da papa Stefano VIII. Alcune recenti ricerche hanno comprovato che tale atto è un falso fabbricato a Brogne a metà dell'XI secolo; d'altra parte Gerardo avrebbe potuto fare comunque un pellegrinaggio a Roma. Durante il viaggio si verificò un miracolo, poiché egli protesse il carro che stava per rotolare in un precipizio fra le Alpi con le pietre in porfido destinate ad abbellire la chiesa di Brogne. Gerardo mori il 3 ottobre 959. Filiberto, cappellano di Ottone I, gli successe in qualità di abate. Più d'un secolo dopo, un monaco di S. Ghislano scrisse una prima Vita su richiesta dell'abate di Brogne. Occorre attendere il marzo del 1131 perché papa Innocenzo II, che si trovava a Liegi, canonizzi Gerardo; cosa che venne ratificata dal concilio di Reims nell'ottobre del 1131. Le reliquie dell'abate furono trasportate in una cassa e vi rimasero sino al XVII secolo. 
Nel 1617 fu adibita una nuova cassa e creata una confraternita in ordine di San Pietro e San Gerardo. L'abate di Brogne è venerato nelle abbazie da lui riformate, in particolare a S. Bavone di Gand, ma anche a Waulsort, che è stata riformata da vescovi lotaringi.

PRATICA. Per Dio nulla è impossibile, impariamo ad ammirare il Signore e a credere in lui in ogni momento della nostra vita

PREGHIERA. Oh Signore aiutaci nella preghiera e fa che il nostro Santo Gerardo interceda per noi.

venerdì 2 ottobre 2015

La Piana prima di lasciare nomina Don Lillo Maiorana, parroco della Basilica di Canneto

Prima di lasciare la guida dell'Arcidiocesi di Messina, Lipari e S. Lucia del Mela, Mons. Calogero La Piana ha provveduto a nominare parroco della Basilica minore di San Cristoforo a Canneto, Don Lillo Maiorana.
Il sacerdote, sino ad oggi, aveva ricoperto il ruolo di amministratore

Copertura assicurativa, al via i controlli elettronici sulle auto. Dal prossimo 18 ottobre addio all’esposizione del tagliando delle polizze sul cruscotto dei veicoli

Il conto alla rovescia si sta concludendo: dal prossimo 18 ottobre addio all’esposizione obbligatoria sul cruscotto delle automobili del tagliando dell’assicurazione. Il controllo della regolare copertura verrà effettuato dalle forze dell’ordine attraverso la verifica della targa dei veicoli nel corso dei posti di blocco o utilizzando i dispositivi di controllo a distanza, quali tutor, autovelox e telecamere posizionate in prossimità dei varchi Ztl, che abbineranno automaticamente la targa con il registro delle polizze assicurative Rc Auto. L’obiettivo è una più efficace azione nel contrastare l’evasione assicurativa. Infatti, secondo quanto sottolineato dalle Associazioni nazionali fra le imprese assicuratrici (Ania), in Italia la compravendita di contrassegni falsi è assai diffusa; nel 2014 ben 3.900.000 veicoli hanno viaggiato senza assicurazione. Tra qualche giorno, quindi, spazio a controlli elettronici per fermare i “furbetti” in continua crescita. Le forze dell’ordine verificheranno immediatamente se il numero della targa dell’automobile è presente nella banca dati dei veicoli assicurati istituita presso la Motorizzazione civile. Infatti, ogni volta che verrà stipulata una nuova polizza Rc Auto o che verrà effettuato un rinnovo, la compagnia di assicurazione dovrà inviare le informazioni alla banca dati delle coperture assicurative creata dalla stessa Ania e chiamata Sita. Da quest’ultimo sistema le informazioni confluiranno nel database della Motorizzazione civile che contiene i dati sui veicoli immatricolati. L’incrocio delle informazioni contenute nelle due banche dati consentirà così alle forze dell’ordine di sapere in pochi secondi chi è regolarmente assicurato e chi è invece sprovvisto di copertura. Nella prima fase di attuazione della nuova disciplina, in via sperimentale, le compagnie continueranno a fornire agli assicurati il tradizionale tagliando di carta che, tuttavia, non dovrà essere esposto sul parabrezza e avrà soltanto finalità informative. Terminata questa fase, il tagliando non verrà più consegnato. Per chi circola senza aver stipulato una polizza Rc Auto è prevista una sanzione che va da un minimo di 841 euro a un massimo di 3.366. Le forze dell’ordine, quando attestano questa mancanza, dispongono il sequestro del veicolo che viene poi prelevato, trasportato e depositato in un luogo non soggetto a pubblico passaggio. Chi è invece vittima di un incidente con un mezzo non assicurato, può rivolgersi al Fondo di garanzia per le vittime della strada per il risarcimento. Ma i cambiamenti non si fermano qui. Il certificato di proprietà dell’auto diventerà digitale: si trasformerà in un codice, una password che – connettendosi online – darà accesso alle informazioni finora presenti nel libretto. La novità anticipa il decreto legge del governo di attuazione della riforma Madia, che porterà in un documento unico con i dati sia di proprietà che di circolazione, in linea con un processo di dematerializzazione e digitalizzazione ormai avanzato.

Ancora chiusa la passeggiata lato mare del Parco Archeologico del Castello di Lipari. Interrogazione di Lo Cascio

Al Sig. Sindaco del Comune di Lipari
e p.c. all'Assessore al Turismo, Spettacolo e Sport, All'Assessore ai Beni Culturali e Ambientali
agli organi di stampa locali

Oggetto: interrogazione consiliare sulla perdurante chiusura di parte del Parco Archeologico del Castello.
Gentili Sindaco e Assessori che leggono per conoscenza, durante i primi giorni di agosto, il crollo di un albero ha causato la temporanea interdizione all'accesso nella passeggiata lato mare del Parco Archeologico del Castello di Lipari.
Siamo arrivati ai primi di ottobre, e la stessa area rimane ancora interdetta all'accesso dei visitatori: come è possibile che due mesi non siano un lasso di tempo sufficiente per rimuovere un albero caduto?
Anche se la questione non investe le dirette competenze del Comune di Lipari, purtroppo si riflette negativamente sulla percezione complessiva dei luoghi da parte dei visitatori, e dunque ritengo che la stessa debba necessariamente coinvolgere l'Ente.
Il Comune ha provveduto, o intende provvedere, a sollecitare gli uffici competenti della Regione Siciliana – generalmente assai solerti quando puntualizzano le proprie prerogative in materia di aree demaniali all'interno del Castello – pretendendo una rapida soluzione del problema, così da consentire nuovamente ai visitatori il pieno accesso a tutto il parco, compresa la porzione interessata che ha grande valenza panoramica?
In attesa di Vostra gradita risposta, e di ancor più gradito intervento verso gli uffici responsabili che evidentemente non sono stati ancora in grado di disporre una soluzione, porgo distinti saluti
Pietro Lo Cascio (Consigliere comunale de La Sinistra)

Unesco e pomice. La riflessione e gli input di Matteo Salin

Il 30/9/15, nel pomeriggio, dopo il bel “racconto” che i diversi interventi hanno fatto del e sul prof. Cabianca si è tenuto, in presenza del Sindaco, un interessantissimo ragionamento, a più voci, su quanto può definirsi  il prossimo futuro di Lipari e dell’arcipelago Eoliano.
Siamo di fronte alla necessità di valutare cosa si farà, all’interno della complessità delle normative esistenti, ben precisate dal Prof. Gangemi, in particolare per quanto riguarda le questioni che si sono recentemente aperte: quella  relativa alle aree pomicifere dopo il fallimento della Pumex e quella che riguarda la presenza delle  Eolie all’interno dell’Unesco Heritage List in particolare ora che, finalmente, i Comuni delle Eolie si sono accordati per iniziare a ragionare sulla questione.
Prima di definire cosa fare, secondo me, è necessario definire i contorni entro cui va fatto e in questo senso si è mosso il mio intervento.
Ho parlato da imprenditore, un piccolo imprenditore che alle Eolie si occupa di turismo (che è la miniera insieme ai giacimenti relativi ai beni culturali da cui si estrarrà la ricchezza duratura per il nostro paese), ma che ha buone relazioni ed esperienza  come proprietario di una azienda assai più grande, nella preparazione di progetti  europei e nella responsabilità  ai vari livelli nella sezione dei servizi innovativi e tecnologici di  CONFINDUSTRIA.
So quindi che cosa vuol dire fare impresa e che cosa desidera chi può pensare di investire, parte della propria ricchezza, in un certo territorio.
Vengo da una città, Vicenza, che oltre ad essere all’interno dell’Unesco Heritage List è anche la terza realtà produttiva italiana e quindi, fosse solo per essere stato sempre a contattori sia di cultura che di impresa, mi sento legittimato  nel fare questi ragionamenti.
L’imprenditore impegna i propri denari allo scopo di produrre ricchezza. Sono passati certamente i tempi dei “padroni della ferriera” ora chi fa impresa vuole certamente recuperare i soldi investiti ed anzi guadagnarne ulteriori ma non lo fa più, come purtroppo è stato, depredando un territorio, sfruttandone le ricchezze e poi lasciandolo a sé stesso. Ora la ricchezza si fa sia vendendo  prodotti o servizi che salvaguardando valori territoriali culturali e ambientali. Reinvestire poi parte di quanto si guadagna nel luogo in cui si è prodotta la ricchezza è importante per rendere sostenibile e virtuoso l’intero percorso.
Un’impresa è una macchina nel complesso semplice,ci sono regole fisse.
Definito un obiettivo si valuta quali sono le condizioni in cui ci si trova e se poi si pensa che le cose possano funzionare si investono risorse sotto forma di uomini e denari per raggiungere quanto si è prefissato.
 La verifica deve essere continua ma dopo un certo periodo, 2-3 -5 anni, bisogna vedere qual è la tendenza, se l’investimento è stato vantaggioso e porta ricchezza e fare le conseguenti scelte.
L’idea imprenditoriale deve essere forte ma nel processo è fondamentale avere chiare le condizioni in cui ci si trova.
Nel caso di Lipari è necessario, per chiunque voglia investire, avere chiare quali sono le regole locali del gioco.
Quindi per quanto riguarda la zona pomicifera è necessario sapere:
1)      Di chi è la proprietà e quali sono i vincoli presenti.
2)      Quali sono le regole urbanistiche/paesaggistiche ed in generale regolatorie che sussistono nell’area o se esse devono essere definite
3)      In quanto tempo possono essere stabilite con chiarezza e definitivamente  le regole del punto 2 e per quali aree
4)      Fermo restando che poi  dovranno essere immessi soldi “veri” va valutato se ci siano contributi  pubblici disponibili e quali siano le procedure per la loro aggiudicazione.
In generale è quindi importantissimo il rapporto tra pubblico e impresa. Ci deve essere la massima trasparenza reciproca e la massima disponibilità a collaborare.
Le scelte di un imprenditore dipendono da tanti fattori, a volte di incertezza (si pensi in particolare al mercato), proprio per questo preferisce che le cose siano, anche difficili, ma chiare e deve avere fiducia delle realtà pubbliche con cui sta collaborando.
E’ meglio sapere, fin da subito,  che una cosa non si può fare in un certo modo e quindi  trovare, eventualmente, una strategia diversa  piuttosto che imboccare una strada che poi impone di tornare indietro con la perdita di credibilità, tempo e denaro.
Ho apprezzato quanto hanno detto il Sindaco e il Presidente del Consiglio Comunale di Lipari.
Giorgianni e Sabbatini, che al momento dell’approvazione  del Piano Territoriale Paesistico redatto da Cabianca, con  Michele Giacomantonio Sindaco, dall’opposizione erano molto critici nei confronti delle limitazioni che erano imposte, ora hanno ammesso che senza quel piano Lipari e le isole Eolie avrebbero rischiato di essere totalmente snaturate e di perdere le qualità che ora le fanno mete turistiche di migliaia di visitatori che ne sono poi la loro ricchezza.
Questo fatto è importante in quanto definisce decisamente il fatto che a volte le restrizioni se non vengono viste solo in modo frustrato possono diventare la spinta per nuove strade e portare al TURISMO DI QUALITA’  (sia come visitatori che come offerta recettiva e di servizi ) di cui queste isole hanno assolutamente bisogno per crescere.
Proprio in base a queste ragioni risulta comprensibile ma “limitata”, “regressiva” e assolutamente da superare la paura che accompagna la creazione di aree marine protette, parchi e la stessa appartenenza all’Unesco Heritage List .
Ormai è stato sperimentato in decine di posti, ed in particolare in realtà che hanno un modello di business   simile a quello delle Isole Eolie, basato su Cultura, Beni paesaggistici - naturali e Turismo, che la creazione di realtà  protette di specifico interesse, porta a ricchezza e ad una crescita che permette lo sviluppo del turismo e dell’industria (ricettiva, ristorativa, trasporti, ittica, prodotti tipici ecc..)  garantendo una loro diversificazione e favorendone la positiva integrazione.
Non c’è quindi nulla di nuovo o da scoprire. Tenuto assolutamente conto di tutte le unicità e peculiarità delle Eolie va però ricordato che è da anni che modelli di questa natura in una importante e solida integrazione tra le diverse esigenze sono stati studiati e vengono quotidianamente applicati con grande soddisfazione sia in Italia che all’estero.
Realtà come Monviso, Monferrato, Valle del Douro in Portogallo, Alessandria, isole Mauritius  e tanti altri, tutti siti Unesco, sono cresciuti e stanno crescendo basandoci su studi ormai ben strutturati.
Proprio per questo  in questa situazione Eoliana, non deve essere nuovamente scoperto ciò che gli esperti e le università,che si occupano di questi modelli di sviluppo, già conoscono.
Va fatta una scelta che esce dal provincialismo e che assicuri nel modo migliore lo sviluppo in un’ottica mondiale che è quella che deve interessare affidandosi a professionisti che, proprio perché vedono le cose “da sopra”, sono in grado di sentire ed integrare le esigenze di tutte le parti in causa siano esse  pubbliche o private.
 Matteo Salin

Reperti storici recuperati in mare a Lipari

La Soprintendenza del mare, diretta da Sebastiano Tusa, nella baia di Capistello, a Lipari, ha recuperato un ceppo in piombo di età ellenistico-romana completo di contromarra; una brocchetta pertinente probabilmente il corredo di bordo di una delle navi inabissatesi e un altare votivo, completo di base e colonna modanata. La colonna costituisce una scoperta eccezionale per la sua rarità e per la difficoltà del recupero. Questo reperto si trovava a 114 metri di profondità.