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sabato 3 ottobre 2015

Banchi tradizionali addio, la classe diventa “liquida”. L'articolo de "La Stampa" con riportate dichiarazioni di Samuele Amendola sull'argomento

FLAVIA AMABILE
ROMA
In Finlandia i banchi sono componibili in modo da creare le disposizioni più varie in base al tipo di lezione. Negli Stati Uniti c’è chi fa sedere i ragazzi sul pavimento e pare che le lezioni funzionino meravigliosamente. In Italia si passa dalle classi dove i genitori si considerano già miracolati se i banchi corrispondono al numero degli studenti ad altre dove sono già arrivati i banchi componibili e la lezione è capovolta, sono gli alunni a spiegare e far apprendere agli altri quello che hanno capito come accade in Toscana. Non esistono regole né prescrizioni di alcun tipo. Sono i dirigenti, o anche soltanto i professori nella loro autonomia a decidere quale sia la disposizione più efficace per insegnare. Soprattutto nella scuola primaria dove i colleghi da mettere d’accordo non sono molti.
«Si cerca di andare incontro a nuove modalità per far fronte ai nuovi bisogni dei ragazzi». spiega Samuele Amendola, educatore, consulente educativo e socio dell’Associazione Pedagogisti e Educatori Italiani.
La disposizione dei banchi, nelle aule insomma, non è casuale ma legata al tipo di insegnamento scelto dai professori. Le più numerose sono ancora le classi con i banchi disposti in modo tradizionale, due o tre file orientate verso la cattedra e la lavagna. D’altra parte se la metà degli edifici è stata costruita prima del 1971 e in questi casi è piuttosto difficile adottare soluzioni innovative.
Ma il 32% delle scuole è nato dopo il 1976, sono più flessibili. «Una sistemazione frequente dei banchi è a ferro di cavallo», sostiene Giorgio Bollani, optometrista e responsabile del Progetto Peav nelle scuole. «Se con le file tradizionali gli alunni fanno molta fatica a vedere quello che viene scritto alla lavagna, anche con la disposizione a ferro di cavallo si ha il vantaggio di creare lezioni ideali per materie orali ma si creano numerosi problemi di vista per chi è vicino alla porta o alla finestra». Dal suo punto di vista la formula migliore è quella ad anfiteatro. «Molti insegnanti si convincono a ascoltare il mio consiglio quando vado nelle scuole a parlarne», spiega.
Ma la situazione delle scuole italiane è più varia di quello che si possa immaginare. Ci sono le scuole primarie che aderiscono al progetto «Senza zaino». Sono 97 in tutt’Italia, le aule hanno lo spazio è diviso in aree di lavoro e i bambini secondo la filosofia montessoriana si organizzano da soli, spesso studiando materie diverse su tavoli diversi e alla fine hanno un’area dedicata alla correzione dove verificano da soli se il compito svolto è giusto oppure no. Ci sono le scuole montessoriane vere e proprie dove tutti gli spazi non hanno nulla di tradizionale e sono studiati a misura di bambino, non c’è cattedra e i banchi sono disposti ad isola per dare ai bambini la possibilità di i lavorare per gruppi.
Aule rivoluzionate anche alle superiori dove ci sono progetti come quello della «Scuola 3.0» dell’Its «Luca Pacioli» di Crema dove in classe gli studenti non hanno né cattedra né banchi e nemmeno la lavagna nera con i gessetti. Ci sono tavoli colorati di forma circolare, scomponibili, adatti a essere utilizzati per il lavoro di gruppo. Sulle pareti, al posto delle cartine geografiche, sono appesi grandi pannelli orizzontali opachi, su cui si può scrivere o attaccare dei magneti. Le lavagne sono enormi, interattive e presenti in ogni unità di lavoro.
«Sono molto favorevole all’uso dei tavoli di lavoro invece delle classiche file di banchi - spiega Amendola - i bambini si abituano a fare attività in gruppo e gli insegnanti possono passare più facilmente da un gruppo all’altro e capire meglio le personalità di ciascuno e le dinamiche nei rapporti». E le verifiche? I voti? «Durante le attività di laboratorio gli insegnanti faranno emergere le conoscenze acquisite senza interrogazioni o verifiche ufficiali. E, da quello che vedo girando per le classi, sono sempre più numerosi gli insegnanti aperti alle nuove forme di didattica e quindi anche a rivoluzionare le loro aule».

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