di Piergiorgio Scarlato
Sapete quale è il mio primo ricordo di quella esperienza incancellabile di venti anni fa? Cuba.
Si, Cuba. Nel 2002 era lì che mi trovavo a trascorrere il capodanno con mia moglie. Ricordo la telefonata di mio padre il 28 dicembre in cui mi annunciava l’inizio dell’eruzione a Stromboli. Una bocca effusiva si era aperta sulla Sciara del Fuoco (figura 1).
A seguire una seconda telefonata due giorni dopo, il 30 dicembre, nella quale sempre mio padre mi riferiva che un settore del vulcano era franato in mare (figure 2 e 3) e aveva generato un maremoto che aveva raggiunto le altre isole Eolie e la costa tirrenica dell’Italia meridionale. 25-30 milioni di metri cubi di roccia avevano generato un’onda che in 30 secondi aveva raggiunto le spiagge e le abitazioni sulla costa di Stromboli con un’altezza di oltre 12 metri e, nei minuti successivi, le altre isole. Secondo i testimoni il mare si ritirò di 30-40 metri. Ci furono danni al porto di Panarea.
Non volevo crederci… Il luogo dove ero andato in vacanza un’estate decidendo che avrei studiato Geologia e dove poi avrei fatto la mia tesi di laurea, ora era al centro di una crisi da gestire dal neonato Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Sbarcai a Stromboli immediatamente dopo la Befana dove trovai la nave della Marina Militare San Giorgio e un reparto di corpi speciali che facevano prove di evacuazione con i mezzi anfibi e i gommoni. Una scena surreale… sembrava un set cinematografico. A parte brevi pause per recuperare uno stato psicofisico normale e rivedere mia moglie, rimasi fino a metà luglio a coordinare le attività del mio istituto sull’isola. Oltre sei mesi incredibili, 130 unità di personale alternatesi in turni massacranti sull’isola praticamente evacuata, almeno durante i primi tre mesi. Era come vivere in un reality, dove regnava l’isolamento e il silenzio rotto solo dai brontolii del vulcano.
Reti di monitoraggio da costruire, una sala di controllo da realizzare da zero, dati da raccogliere e interpretare in tempo reale, una organizzazione del lavoro da coordinare con colleghi che solo in parte si conoscevano (figure 4 e 5). Ricercatori e tecnici provenienti dalle sedi INGV di Catania, Palermo, Roma, Napoli, Pisa, Milano, Bologna si diedero il cambio con turni settimanali lavorando spesso in condizioni ambientali proibitive. Conservo ancora quei quaderni con gli appunti e i tabelloni con i turni. Ogni tanto li sfoglio e ricordo con commozione quei momenti e gli amici con cui ho avuto la fortuna di condividere una esperienza professionale ed umana straordinaria.
Si dormiva pochissimo, l’adrenalina era sempre al massimo. Il rosso delle colate illuminava il cielo nelle buie notti dell’isola deserta. Ci accudivano gli amici Andrea e Neva della locanda del Barbablù e Carlo e Sarino del Bed and Breakfast La Lampara, dove le nostre squadre erano alloggiate. Per farci sentire un pò a casa ci davano conforto creando un ambiente familiare che ci consentisse di sopravvivere alla pressione e allo stress che andava crescendo con il passare del tempo.
Ricordo il gruppo di sismologi dell’allora CNT (oggi ONT) che per primi in pochi giorni installarono una rete sismica andando su e giù per il vulcano, lavorando in condizioni climatiche pessime. E quando i tecnici del gruppo di Geodesia di Catania andavano tutti i giorni sul vulcano a fare misure per verificare se ci fossero deformazioni del vulcano in atto (figura 6). Quante volte sono rimasti bloccati in mezzo alle nuvole in attesa che il cielo schiarisse e potessero fare le loro rilevazioni. Nella mia valigia dei ricordi li rivedo ancora oggi quando tornavano alla base con la pelle del viso bruciata dal freddo e distrutti dalla fatica, ma orgogliosi del lavoro fatto.
Visto che una delle domande più importanti che ci ponevamo era se fosse possibile che altri settori di quel versante potevano franare in mare, a febbraio i colleghi di Catania provarono a installare sulla Sciara delle stazioni GPS realizzate ad hoc con strutture di cemento per provare a monitorare i movimenti del versante in tempo reale. Fu un’operazione incredibile. Per installarli arrivò quello che tutti chiamavamo “Cicalone”, un elicottero Erickson della Protezione Civile capace di trasportare e sganciare pesi importanti in situazioni ambientali avverse. Ricordo ancora la rabbia, quando dopo tutta quella fatica, pochi giorni dopo due delle tre stazioni furono distrutte da nuove colate di lava che si attivarono proprio dove le avevamo installate.
I primi di marzo venne in visita il Presidente della Repubblica Ciampi. Fu bello apprendere che il Paese ci seguiva. Noi sull’isola non ce ne rendevamo molto conto. Non avevamo tempo per guardare la TV o leggere i giornali. Sapevamo a malapena che c’era una nuova guerra in Iraq.
Le settimane passavano, le colate di lava continuavano a scendere sulla Sciara, l’attività esplosiva tipica dello Stromboli era scomparsa da mesi (figura 7). Aveva un significato questo cambiamento nello stile eruttivo del vulcano?
E così arrivammo ad aprile… nei primi giorni del mese cominciammo a registrare piccoli segnali di cambiamento in atto nello stato del vulcano. Tra questi, Luigi Lodato della sezione di Catania si accorse che il fondo dei crateri cominciava a scaldarsi, e piccole esplosioni avvennero il 3 aprile 2003. Quel giorno c’erano in vetta due dei nostri che furono richiamati di corsa alla base. Quella sera stessa decidemmo che per i giorni successivi per precauzione era meglio evitare di coinvolgere personale nelle attività sul vulcano. Fummo fortunati o bravi nella scelta compiuta? Non saprei dirlo… fatto sta che due giorni dopo, il 5 aprile, poco dopo le 9 del mattino lo Stromboli ci mostrò la prima grande esplosione dopo quelle avvenute nel secolo precedente. Anche se avevamo messo in conto che potesse accadere, nessuno di noi l’aveva mai vista prima, tanto meno nessuno aveva idea dei segnali che l’avrebbero preceduta.
Quando accadde ero sulla porta del Centro Operativo Avanzato – Osservatorio San Vincenzo. L’evento fu anticipato da un segnale sismico ben visibile della durata di alcuni minuti. Era il magma ricco in gas che inviava il suo segnale che stava risalendo velocemente dall’interno della Terra verso la superficie terrestre. Ma noi non lo sapevamo, lo avremmo scoperto poco dopo. Marcello Martini, responsabile del settore sismologico, mi venne incontro dalla sala controllo verso l’ingresso e mi chiese di guardare verso l’alto, perché vedeva qualcosa di anomalo sul tracciato sismico. Mi girai e guardai la vetta del vulcano. Passarono pochi secondi quando una colonna rosso fuoco si innalzò sul vulcano per diversi chilometri di altezza. Seguì un boato e tutto tremò. Rimanemmo paralizzati per qualche secondo davanti a quella visione infernale di bombe e pomici che volavano verso l’alto e ricadendo al suolo generavano piccoli incendi. Nubi alla base della colonna magmatica indicavano la formazione di flussi piroclastici (figura 8).
Dopo esserci ripresi dallo shock il nostro primo pensiero fu per l’elicottero che era in volo con la nostra collega Sonia Calvari a bordo per il consueto monitoraggio del mattino. I colleghi del DPC risposero immediatamente alle nostre grida confermandoci che era tutto a posto. Fortunatamente il pilota era riuscito ad allontanarsi per tempo e non si registrarono incidenti (figura 9).
I giorni successivi trascorsero discutendo sul da farsi. Dovevamo ripristinare le strumentazioni distrutte dall’esplosione, c’era da andare a rilevare i depositi del parossismo, c’erano valutazioni da fare su cosa sarebbe potuto accadere nei giorni seguenti. I nostri briefing serali, già lunghi, diventarono dei veri congressi di vulcanologia. Dopo lunghe discussioni su cosa fare, verso metà aprile decidemmo di salire a vedere cosa era successo e a rilevare i prodotti del parossismo (figure 10 e 11).
Le settimane passarono e osservammo una progressiva riduzione della portata della colata di lava sulla Sciara (figura 12). A giugno le prime timide esplosioni stromboliane annunciarono che forse ci stavamo avviando verso il ritorno alla normalità. E in effetti fu così. Nel corso dei primi giorni di luglio la colata di lava si esaurì e quello fu il segnale che saremmo potuti tornare gradualmente alla nostra vita.
In questi 20 anni abbiamo visto altri parossismi e abbiamo imparato molto sul comportamento di questo vulcano. Abbiamo sviluppato nuove tecnologie per lo studio del vulcanismo esplosivo e abbiamo formato nuove professionalità, trasferendo anche all’estero le nostre conoscenze e le nostre metodologie per lo studio del vulcanismo esplosivo basaltico. Credo che quella del 2002-2003 sia stata una crisi che ci ha segnato profondamente ed ancora oggi l’organizzazione dell’INGV per la gestione delle crisi vulcaniche è fondata su quella esperienza vissuta insieme.
Ad maiora…
link al video (italiano)
https://www.youtube.com/watch?v=qMJUn8c9Y6M
link al video (english)