La vicenda di Ippolito, creatura plasmata ad arte dal tragediografo EURIPIDE ben 2400 anni or sono, ha dell'osceno, del truculento....del paradossale e, nell'intenso coacervo di dolore e morte che porta in sé, appare un'opera di nicchia da ascrivere al passato. È una fabula noire in cui Afrodite, indispettita dall'indifferenza del casto principe di Atene, lo "butta" tra le braccia della matrigna Fedra, arsa d'amore per lui, muovendo così una serie di rovinose pedine declinate infine nel suicidio di lei e nello schianto di lui.
Immaginarne una trasposizione teatrale libera dai crismi della classicità è arduo.
Proporne una sinossi innovativa in cui ira ed eros respirino un'aria contemporanea ha dell'intentato. Eppure il geniale e versatile regista Nicola Alberto Orofino ha centrato tale mission con mirabile esito, animando un Ippolito vicino al nostro sentire, restituito a quell'universalità delle umane emozioni che è, in fondo, la quintessenza della mimesi scenica.
Quattro attori del Teatro Stabile di Catania - a fronte degli otto personaggi da copione più l'immancabile coro - appartenenti all'Associazione Madè, ieri sera, hanno occupato la quinta tappa della Rassegna teatrale LE MASCHERE DI DIONISO.
A loro il merito di aver stregato il pubblico con un riadattamento tra il serio e il faceto in cui l'Atene arcaica veste le pose di un' America dalle sonorità boogie boogie, Afrodite si muta in una ridanciana maitresse e Ippolito è un timido ragazzo occhialuto tutto castità e preghiera.
Superbo lo studio della fotografia, cioè del sottile rapporto visivo tra luci, colori, forme e corpi: filtri rossi hanno scandito con violenta incidenza i tratti della morbosa passione, fissandola nello sguardo dello spettatore, come una serie di "bagni freddi di blu" hanno portato in scena la glacialità notturna dell'impiccagione di Fedra o dell'agonia silente di Ippolito.
Un'altissima pagina di recitazione e pathos, dove l'estrema destrezza dell'interprete si misura nella ricerca del dettaglio.
Dopo VIRGINEDDA ADURATA, rappresentata al Palacongressi questo inverno, la regista eoliana Tindara Falanga e il presidente del Piccolo Borgo Antico Angelo Biviano hanno, con insistenza, riaperto le porte al teatro dei professionisti, confidando su nomi come quello di Egle Doria, simbolo di un'energia espressiva che sa farsi luce e merita spazio anche tra noi.
Sin dal pomeriggio, per richiesta della dottta.ssa Martinelli e del Direttore del Museo Luigi Bernabò Brea, il dott. Rosario Vilardo, la presenza di Ippolito si aggirava tra le mura della Civita. Ho, infatti, io stesso - con umiltà e malcelata emozione - animato un monologo, intorno alle ore 18:00, nella Sala che custodisce il cratere raffigurante il mito del figlio di Teseo, indossando la tunica del triste personaggio tragico e narrandone il vissuto. Un modo nuovo e sperimentale per rilanciare e fondere parola e reperto, racconto e materia.
Viva Dea Cultura, osannata nell'entità meno stucchevole di ciò che suscita emozioni!
Viva quel teatro che sa essere studio e impegno, ricerca e scavo.... liaison tra passato e presente....altalena librata su un futuro incerto che merita erudizione e memoria!
GIANLUCA VENEROSO