Nella solennità dell’Epifania la Chiesa continua a contemplare e a celebrare il mistero della nascita di Gesù salvatore. In particolare questa solennità sottolinea la destinazione e il significato universali di questa nascita. In realtà, facendosi uomo nel grembo di Maria, il Figlio di Dio è venuto non solo per il popolo d’Israele rappresentato dai pastori di Betlemme, ma anche per l’intera umanità rappresentata dai Magi, provenienti da Oriente. Ed è proprio sui Magi e sul loro cammino alla ricerca del Messia (cfr. Matteo 2,1-12) che la Chiesa ci invita in questa solennità a meditare e a pregare. L’Epifania è stata definita da qualche commentatore del vangelo come “la festa dei cercatori di Dio”, di coloro che non temono di avventurarsi in un lungo e faticoso cammino per di giungere a Dio.
E’ vero: l’uomo – ogni uomo e forse a sua stessa insaputa – cerca Dio, è un cercatore di Dio. Lo fa, come i Magi, con gli occhi fissi nel cielo, ossia guardando in alto, oltre gli interessi più immediati e materiali, quelli della terra. Ma non è forse Dio il primo a cercare l’uomo? Sì, Dio dall’eternità ha pensato all’uomo, nel tempo poi l’ha creato e ogni giorno lo accompagna per condurlo a salvezza e riportarlo a sé per sempre.
Certo è l’uomo a intraprendere un cammino – talvolta tortuoso e senza apparente approdo – alla ricerca di Dio. Ma il cammino che più ci sorprende e più ci stupisce è quello di Dio che rincorre senza posa l’uomo, perché con amore immenso e insieme nel rispetto della sua libertà lo vuole portare a salvezza piena.
Ma quale è stato il percorso dei Magi nella loro ricerca del Signore? Letto con la luce che ci viene dal vangelo di Matteo, questo percorso si rivela paradigmatico anche per la nostra ricerca di Dio. Possiamo parlare di tre strade che ci conducono a cercare e a trovare il Signore per adorarlo. Sono: la strada illuminata dalla stella, la strada delle Sacre Scritture o dell’ascolto della Parola di Dio, la strada dell’incontro con Cristo donatoci da Maria, la madre.
Abbiamo visto sorgere la sua stella
Giunti da oriente a Gerusalemme, alcuni Magi domandarono: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo» (v. 2).
Notiamo che i Magi parlano non di una stella qualsiasi, tra le tantissime di cui è costellato il cielo, ma della “sua” stella, ossia di una stella che si fa segno e che indica “il re dei Giudei”. Il riferimento a questa stella ritorna più volte nel brano evangelico: quando Erode «si fece dire con esattezza da loro (i Magi) il tempo in cui era apparsa la stella» (v. 7); quando, lasciato Erode, i Magi «partirono» e rividero la stella che «li precedeva, finchè giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino» (v. 9), con l’importante annotazione dell’evangelista: «Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia» (v.10).
Come a dire che per i Magi, nella loro ricerca del re dei Giudei, la stella con i suoi movimenti di luce era la segnalazione per il cammino più preziosa, essenziale, del tutto necessaria, insostituibile. Senza di essa, la strada non si apriva e non portava alla meta. Quella stella, quindi, era per i Magi come la “manifestazione” di Dio e dei suoi disegni. Infatti, i Magi, secondo una certa tradizione, erano uomini sapienti, studiosi di astrologia, scrutatori del cielo, inseriti in un clima culturale e di credenze che attribuivano alle stelle, sia per le loro caratteristiche naturali che per il loro influsso sulle vicende umane, un significato religioso, quasi una manifestazione della presenza e dell’opera di Dio circa il destino degli uomini, come se le stelle fossero dei messaggi di Dio a somiglianza degli angeli.
E così i Magi cercano di decifrare il senso nascosto e velato di questa stella ricorrendo alla loro ragione, alla loro scienza: la luce della stella è, dunque, il simbolo della luce della ragione, grazie alla quale l’uomo raggiunge la realtà, la conosce, la indaga, va alla ricerca dei suoi significati più profondi, passando dalle realtà visibili a quelle invisibili e salendo sino a qualcosa o a qualcuno che si pone come origine da cui tutto proviene e come meta verso cui tutto è orientato.
La ragione umana, con la sua luce, diventa la prima strada che l’uomo può e deve percorrere nella sua ricerca di Dio: passando dal mondo – in particolare dall’ordine con cui è governato e dalla bellezza di cui è ricco – a Dio, all’essere cioè che è “fonte e fine” dell’universo. E’ la nostra stessa esperienza umana a dirci che la ragione ha in sé l’anelito e la forza di andare oltre il sensibile e lo sperimentabile, di scendere nelle profondità più segrete della realtà, di penetrare nel cuore stesso dell’uomo e nella sua coscienza, di osare di spingersi sino sulla soglia del mistero di Dio. La Chiesa poi, di fronte ad una cultura – come l’attuale - che ama sposare il relativismo ed arrendersi al nichilismo, non si stanca di rivendicare il valore conoscitivo della ragione umana in rapporto alla verità e in particolare alla verità religiosa, quella che legge le opere di Dio creatore come testimonianza della sua esistenza. E questo fin dalle sue origini, come appare nell’apostolo Paolo che, riprendendo l’insegnamento del libro della Sapienza (cfr.13,1-9), così afferma riguardo ai pagani, a quanti non hanno la luce della rivelazione divina: «Ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità» (Romani 1,19-20; cfr. Atti 14,15.17).
Da parte sua il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume la posizione della Chiesa d’ogni tempo: «La Chiesa insegna che il Dio unico e vero, nostro Creatore e Signore, può essere conosciuto con certezza attraverso le sue opere, grazie alla luce naturale della ragione umana. Partendo dalle molteplici perfezioni delle creature, similitudini del Dio infinitamente perfetto, possiamo realmente parlare di Dio, anche se il nostro linguaggio limitato non ne esaurisce il Mistero» (nn.47-48).
Così è scritto per mezzo del profeta
Ma eccoci ad una seconda strada nella ricerca di Dio. Infatti, la manifestazione di Dio, che avviene già attraverso la luce della ragione umana, si fa più ampia e profonda, si fa nuova e inedita attraverso le Sacre Scritture: qui è Dio stesso che si rivela facendo conoscere all’uomo il proprio volto, il proprio “mistero”, ossia il segreto umanamente inaccessibile del proprio essere e della propria vita intima.
Il racconto dei Magi è esplicito nel rilevare come la ricerca del luogo dove è nato il re dei Giudei non è affidata solo alla stella ma anche al ricorso alle Sacre Scritture. Che cosa fa il re Erode quando i Magi gli rivolgono la domanda: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo» (v. 2)? Rimane bloccato da un profondo turbamento, ma poi si riprende e passa all’azione, come scrive l’evangelista: «Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giuda, perché così è scritto per mezzo del profeta: ‘E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele’”» (vv. 4-6).
Come si vede, è lo stesso Erode che domanda ai sacerdoti e agli scribi di “scrutare” per conto suo le Scritture, per poter così venire a conoscere il luogo della nascita del Messia. E quegli studiosi, con una loro interpretazione piuttosto sottile e forse anche avventurosa, trovano l’indicazione di un piccolo paese, Betlemme.
In tal modo siamo messi di fronte alla singolare forza illuminante del testo sacro, della parola di Dio. La nostra ricerca di Dio, del suo volto e del suo mistero deve ricorrere alla lettura, alla meditazione, allo studio delle Sacre Scritture; deve avvalersi dell’ascolto attento e amorevole della parola che Dio rivolge al nostro cuore e alla nostra vita. Si tratta di una parola segnata da una straordinaria fecondità, che genera e alimenta un rapporto interpersonale di conoscenza e di amore tra l’uomo e Dio, come ha ben messo in luce il Concilio vaticano II: «Nei libri sacri il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della loro vita spirituale. Perciò si applicano in modo eccellente alla Sacra Scrittura le affermazioni: “Vivente ed efficace è la parola di Dio” (Ebr. 4,12)…» (Dei Verbum, n. 21).
Riascoltiamo anche la voce di un grande appassionato delle Sacre Scritture quale è stato sant’Ambrogio di Milano, che così si rivolge orante al Signore: «Parla, Signore Gesù: la tua parola è una medicina; la tua parola è un sole; la tua parola è un lavacro per la nostra impurità; la tua parola è una vena d’acqua. Tu la annunzi e la colpa è lavata».
Videro il bambino con Maria sua madre
E siamo alla terza strada nella ricerca di Dio. L’uomo viene sì illuminato dalla stella della ragione e ancor più dalla luce delle Scritture Sacre che indicano il luogo della nascita di Gesù, ma è solo nell’incontro vivo con colui che è nato che diviene in un certo senso definitiva la tappa della ricerca del volto e del mistero di Dio: Dio ha il volto di un bambino e il suo è il mistero di un amore che totalmente si dona all’uomo per salvarlo e per renderlo partecipe della sua vita divina e della sua felicità.
La conoscenza di Dio si risolve nella concretezza viva di un incontro personale con Cristo, che viene offerto da Maria ad ogni uomo: ai pastori nella notte di Betlemme, a Simeone e Anna nel tempio, ai Magi in una casa, a ciascuno di noi là si trova a vivere e ad operare. Il vero traguardo del conoscere Dio coincide con l’amare Dio, ossia con l’entrare in comunione personale con il Signore, o meglio con l’accogliere in piena libertà che lui entri in comunione personale con ciascuno di noi.
Il bambino ci è offerto da Maria, la madre: in tal modo ella prolunga, con questa maternità spirituale o di grazia, la sua maternità fisica. Così dei Magi, icona vivente dei cercatori di Dio, l’evangelista scrive: «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono» (v.11). Questo ci dice che nel disegno di Dio l’incontro con Cristo avviene attraverso Maria. E’ lei, la madre, che offre il Figlio a ogni uomo, chiamato a diventare in lui figlio di Dio. E Maria lo offre per l’adorazione, ossia per essere riconosciuto nella sua divinità fattasi carne umana per una morte redentrice. Tutto questo è indicato in modo semplice e stupendo ad un tempo dall’evangelista, che concretizza il prostrarsi dei Magi in adorazione con l’espressione: «Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (v.11). In realtà, l’adorazione dei Magi è consistita nell’aprire i loro scrigni, ossia il loro stesso cuore, e quindi nella consegna di se stessi al bambino in braccio a sua madre. E questo mediante la fede, cioè il riconoscimento libero e amoroso del vero volto, del mistero nascosto e presente in quel bambino: è il volto e il mistero riconosciuto mediante il linguaggio eloquente dei doni, come la tradizione costante della Chiesa ci testimonia. Così san Cromazio, vescovo di Aquilea, scrive: «Nell’offerta dei doni stessi essi (i Magi) confessano che Cristo è Dio, è re, è vero uomo. Tale il senso dei doni: l’oro indica il potere del regno; l’incenso l’onore dovuto a Dio; nella mirra si deve vedere l’attestazione della sepoltura di Cristo» (Commento al Vangelo di Matteo, 5,1).
In questo modo l’evangelista ci mostra il termine della ricerca del Messia da parte dei Magi: la loro fede adorante. In realtà, questa è anche il principio di una vita rinnovata, segnata per sempre dall’esperienza dell’incontro con Cristo. Ormai non sono più pagani, sono membri in senso pieno del vero popolo di Dio. L’esperienza dell’incontro con Cristo non è più solo una loro ricchezza, ma diviene un bene per tutti: i Magi da questa stessa esperienza sono sollecitati a comunicare anche agli altri la gioia del loro cammino spirituale. A guidarli nella vita non sono più i loro disegni ma è la volontà del Signore, alla quale hanno consegnato se stessi mediante i doni offerti.
L’evangelista sembra accennare a tutto questo nel versetto finale del suo racconto: «Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (v. 12).
Concludiamo la nostra meditazione riprendendo il pensiero iniziale: da quando ci ha creati e salvati, Dio si è fatto appassionato cercatore dell’uomo e l’uomo con ciò stesso ha ricevuto la sua vocazione di essere cercatore di Dio: questa è il suo statuto ontologico e il suo dinamismo vitale, la sua dignità e la sfida data alla sua libertà.
Dobbiamo essere cercatori di Dio sempre, senza stancarci di fronte alle difficoltà, anzi appassionandoci sempre più in questa ricerca, trafficando il talento della ragione umana che il Signore ci ha dato, scrutando con amore le Scritture e quindi rimanendo in attento ascolto della parola di Dio, e soprattutto vivendo con crescente intensità l’incontro personale d’amore con Cristo, il Logos del Padre e il Figlio suo prediletto.
Dall’Epifania ci giunge un preciso messaggio: il senso della nostra vita sta nella ricerca di Dio. Ma dall’Epifania ci giunge soprattutto una grazia, un’energia divina salvatrice e rinnovatrice: la luce della stella, che è la stessa persona viva di Cristo, nuovamente ci è donata ed è proposta a ciascuno di noi come nostra via, vita della nostra vita e nostro traguardo beatificante.
Sì, ancora una volta confessiamo la nostra fede adorante in Gesù, lui “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Giovanni 1,9), lui “pienezza di grazia e di verità” (Giovanni 1,14.17), lui la vita nuova che ci fa figli di Dio (cfr. Giovanni 1,4.13). E sia, la nostra, una fede che cambia la vita, trasformandola in un’adorazione permanente dell’amore di Dio per noi e in un inno gioioso alla sua gloria.