Su queste stesse pagine, Michele
Giacomantonio propone i suoi - e non solo suoi - sofferti interrogativi
riguardo la natura divina di Gesù. Questioni, egli scrive, che spesso si
infrangono sull’imbarazzato silenzio di sacerdoti e teologi che rifiutano di
affrontare l’argomento rifugiandosi dentro le proprie certezze dottrinali.
Giacomantonio
lamenta che tale atteggiamento avrebbe origine da una teologia troppo dipendente
dalla filosofia e troppo distante dalle Scritture.
La storia del pensiero
occidentale offre un panorama evidente
dell’uso strumentale che la teologia ha fatto della filosofia, sin dai primi
secoli in cui il cristianesimo si è sviluppato e ha dovuto mettere ordine alla
dottrina. La filosofia ha costituito lo strumento privilegiato affinché la
religione fosse disciplinata in termini razionali o ragionevolmente ammissibili.
Dando origine, tra l’altro, a capolavori dell’ingegno umano, oltre che della
sensibilità religiosa.
La filosofia però, sottratta alle
necessità della teologia, rimane uno strumento formidabile di comprensione che
può persino costringere i teologi più refrattari ad aprirsi al dialogo ed
all’analisi delle questioni che più affondano nell’animo umano, sia di credenti
che di non credenti.
Una delle lezioni fondamentali
che la filosofia ci propone è la chiara distinzione di ciò che è creduto da ciò
che è saputo. Ciò che è creduto rimane di pertinenza delle questioni di fede,
mentre ciò che è saputo riguarda la scienza, costantemente soggetta a rigorose
verifiche di ordine epistemologico. Non si può fare confusione tra creduto e
saputo, ed ormai disponiamo della maturità culturale e religiosa sufficiente
per evitare commistioni così ingenue. Ovviamente, la tentazione di confondere
il creduto con il saputo può contaminare certa teologia, con la conseguenza di
trascinare la religione verso forme di superstizione ormai inaccettabili, così
come certe inclinazioni scientiste
pretendono di separare i due campi affidando alla incontrovertibilità
dell’osservazione razionale il compito ultimo di distinguere il vero dal falso,
il creduto dal saputo.
Proprio in questo ambito,
nell’angusto spazio tra creduto e saputo viene in soccorso la filosofia, laddove
chiede alla fede di fare i conti con la ragione e alla ragione di non
arrestarsi alla esclusività della esperienza del dato di fatto, pena la fine
stessa del progresso scientifico.
Tornando quindi agli
interrogativi che si pone Giacomantonio, penso che si debba preliminarmente
fare una distinzione tra fede e religione. Se per fede si può dire: “Dio
esiste”, ciò non implica che per fede si debba accettare tutto l’apparato
dottrinale, rituale e di tradizione che le varie religioni propongono. Dunque,
ragionare sulla natura divina di Gesù non implica un venir meno della fede, ma
un desiderio di credere senza negare tutti quei dubbi di cui la fede
consapevole si alimenta alla luce della ragione ragionante.
Ciò significa anche, e questo
vale per me, che le religioni non sono altro che strumenti che possono, ma non
necessariamente, accompagnare e sostenere la fede del credente, pur non
svolgendo una funzione determinante. La conseguenza è che non esiste una sola
religione attraverso la quale, e solo per la quale, è possibile l’incontro con
Dio, ma tutte devono essere considerate strade legittime da percorrere secondo
le proprie inclinazioni, culture e tradizioni. Ed ho la pretesa di ritenere che
se nessuna considerasse se stessa unica depositaria della verità vivremmo in un
mondo più tollerante e rispettoso delle libertà reciproche.
Il Cristo dubitante che dalla
croce chiede conto al Padre del suo abbandono, al di là della questione
trinitaria, pone ciascuno di fronte le proprie responsabilità nei riguardi
della verità, credere e basta non basta. Così come non credere non esime
dall’angoscia della ricerca di senso. Consegnare lo spirito nelle mani del Padre
non è l’ultimo rassegnato gesto di fronte l’ineluttabilità della morte, ma la fiducia
che anima il credente, ogni credente, comunque credente
che la morte non costituisce l’ultimo, inesorabile limite alla ricerca della
verità.
Lino Natoli