Gentile Direttore,
Apprendo con piacere dal suo giornale
online l’intenzione dell’amico, già Sindaco di Lipari, Mariano Bruno di
scrivere un libro sulle vicende dell’emergenza Stromboli e del maremoto che
colpì l’isola il 30/12/2002. Di quelle vicende ne sono stato in parte
protagonista avendole vissute come abitante di Ginostra e come giornalista.
Una bellissima iniziativa per
raccogliere le testimonianze di tutti gli attori e protagonisti di quegli anni
e metterle insieme affinché si possa lasciare una storia alle future
generazioni di un periodo che cambiò radicalmente tante cose nelle nostre isole
e che portò alla svolta Ginostra, sotto la sindacatura Bruno, con il grande
Guido Bertolaso e Il compianto senatore Franco Servello.
Metto a disposizione del dott. Mariano
Bruno, se lo riterrà utile alla realizzazione del suo progetto, la mia
esperienza, il mio archivio e parte del mio tempo.
Vorrei chiudere con una prima sommaria
testimonianza di quei giorni, la mia:
“La mattinata del 30 dicembre fu molto tranquilla
e stando a quanto era stato diffuso, da un momento all’altro “Iddu” sarebbe
tornato alla sua normale attività.
Ero inquieto, qualcosa non mi quadrava. Intanto si era fatta l’ora del
pranzo e per l’occasione avevo acceso il gruppo a gasolio per seguire il
telegiornale, avrebbero parlato sicuramente di Stromboli e del vulcano.
Infatti, a un certo punto, comparve sullo schermo una nota vulcanologa che
minimizzava l’eruzione affermando che nel giro di qualche ora la parentesi
eruttiva sarebbe terminata definitivamente.
Proprio mentre l’esperta si riempiva la bocca di chiacchiere, sentii un
rumore fortissimo e diverso dagli altri. Un rumore che non avevo mai sentito
prima. Sembrava che qualcosa stesse friggendo all’ennesima potenza e che vi
fosse una cascata a pochi metri da me. Capii subito che si trattava di un
rumore che veniva dal mare.
Saltai
dalla sedia urlando: “Mamma, il maremoto...il maremoto." Avevo intuito che il pericolo arrivava dal mare e in un paio di secondi
ero già sul monumento ai caduti per guardare verso il molo. molo.
Restai di sale, davanti a me l’apocalisse: Il mare si era ritirato dal suo
letto naturale per oltre70/80 metri lasciando il fondale completamente
scoperto. Ci si poteva camminare. Le alghe sembravano cespugli al vento e i
pesci saltavano sul fondale senza più il loro prezioso liquido. Un muro
d’acqua, alto oltre 10 metri, si abbatté subito dopo sulla la costa del
villaggio spazzando via ogni cosa. Le barche scomparivano inghiottite come
fuscelli e gli scogli volavano da una parte all’altra. La scena si ripeté
uguale per almeno cinque volte prima che tutto si placasse. Dopo il silenzio;
un silenzio surreale e pauroso. Mille pensieri attraversarono la mia mente
scuotendo il mio corpo che tremava impaurito. Avevo assistito a qualche cosa di
unico, avevo visto in faccia la potenza distruttiva della natura e del mio
vulcano.
La
gente, nel frattempo accorsa sul monumento ai caduti, piangeva disperata.
Nessuno compreso me sapeva cosa sarebbe successo nelle ore a seguire ma se
quello era il segnale d’inizio, certo non c’era da stare tranquilli. In quei
momenti pensi soprattutto al peggio ma l’adrenalina ti fa andare avanti avanti.
La mia
barca era salva e mi aveva salvato fermandosi il giorno prima in mezzo al mare.
Quello era l’orario in cui sarei tornato da Stromboli con il giornale e il
maremoto mi avrebbe investito in pieno facendomi scomparire per sempre
inghiottito dalle onde. Ero stato risparmiato dal mio angelo custode.
Presi il telefonino
dalla tasca e avvisai il giornale del maremoto. Mario Di Paola, il redattore
della mia pagina, mi disse di fare attenzione e se era il caso di abbandonare
l’isola di corsa. Dopo, chiamai l’agenzia Ansa e una mia amica che lavorava al
TG5 per raccontare l’accaduto. Ero arrabbiato e sconvolto.
Il TG5 decise di
mandare in onda la mia telefonata e l’agenzia Ansa trasmise il mio racconto e
così nel giro di un’ora tutto il mondo parlava del maremoto di Stromboli.
Chiamai Stromboli e inizialmente nessuno rispondeva. Il villaggio di Stromboli,
essendo per buona parte appena sopra il livello del mare, era stato investito
in pieno. Solo Scari e la parte alta restarono illese ma dalla Centrale Enel a
Piscità il disastro. La centrale elettrica allagata, alberghi devastati, case
distrutte e anche tre feriti. Questo era il primo tragico bilancio.
Fortunatamente non c’erano stati morti. Due ore dopo il disastro buona parte
degli abitanti di Ginostra erano già stati evacuati con gli elicotteri, l’unico
mezzo che in quel frangente poteva giungere nella frazione, mentre a Stromboli
una nave della Siremar e poi un aliscafo imbarcarono parte della popolazione
che per precauzione stava abbandonando l’isola. Insieme con una decina di compaesani
decidemmo di restare nel nostro paesino.
Tornato a casa, il telefono non finì
più di squillare e tra le tante telefonate ricevute due, mi colpirono
particolarmente. La prima fu quella del Capo della Protezione Civile Nazionale,
Guido Bertolaso, che voleva rassicurarci e sapere com’era la situazione a
Ginostra. Disse: “Gianluca, se volete, veniamo a prendervi. Io sto sbarcando a
Stromboli, non vi lasciamo soli.”. Lo Stato era presente e questo era
rassicurante. Ancora non conoscevo quell’uomo, mi era sconosciuto, ma dalle sue
parole comprendevo la grandezza del suo animo. La seconda telefonata fu quella
dell’ex direttore del settimanale Panorama, Raffaele Leone, che a quel tempo
era caporedattore centrale del quotidiano “Il Giornale”. Raffaele era un amico,
lo avevo conosciuto anni prima quando faceva il corrispondente per il giornale
“La Sicilia”. Raffaele, non sapeva ancora che io avevo da poco cominciato a
scrivere, mi chiamò semplicemente per sapere come stavo. Da quella
conversazione, alla fine, venne fuori un articolo a mia firma pubblicato sulla
prima pagina del suo giornale. Per un giornalista alle prime armi finire sulla prima pagina di un
giornale a tiratura nazionale e il massimo che si possa desiderare.
Il resto del
pomeriggio lo passai scrivendo, dettando pezzi e rispondendo al telefono sotto
il rumore assordante degli elicotteri militari che sorvolavano l’isola.
Finito il mio lavoro accesi
la televisione e uno dei primi servizi di Raitre fu proprio dedicato al
maremoto di Stromboli. Restai basito e mi sentii un tantino tradito quando vidi
l’intervista che il giornalista stava facendo in diretta agli sfollati che
sbarcavano da un elicottero a Messina. Erano alcuni miei compaesani che fino a
un paio d’ore prima stavano sull’isola decisi a non partire e adesso li vedevo
in tv lontani e al sicuro. Mi sentivo solo e impotente ma non volevo partire. La notte
la passai insieme ai miei genitori nella loro camera. Eravamo vestiti di tutto
punto con le scarpe ai piedi e uno zainetto ciascuno con una torcia, i
documenti, le pile di ricambio e una bottiglia d’acqua e così ci addormentammo
alle prime luci dell’alba.
Gran
parte della nottata la passammo fuori in terrazzo a commentare l’accaduto e a
scrutare i movimenti del vulcano. Ognuno di noi aveva studiato un eventuale
piano di fuga e trovato un riparo in caso di lancio incontrollato di lapilli e
scorie incandescenti.
La mattina del trentuno, dopo aver bevuto un bel caffe ed esserci
aggiornati su quanto stava accadendo, prendemmo una decisione molto
dolorosa.
Eravamo rimasti veramente in pochi a Ginostra così come a Stromboli.
C’era stato un vero e proprio esodo di massa. Mio padre voleva che andassimo
via per qualche giorno; secondo lui non valeva la pena rischiare restando, era
troppo pericoloso.
La barca del
“Rollo” era fuori uso, il maremoto l’aveva danneggiata, non c’era un approdo
sicuro e l’unico modo per scappare in caso di necessità sarebbe stato
l’elicottero ma con la bufera che sarebbe dovuta arrivare nella serata, anche
l’elicottero non era tanto sicuro e poi in caso di cenere vulcanica nessun
mezzo avrebbe potuto sorvolare la zona. Sentii il mio giornale e anche i
redattori m’invitarono ad abbandonare il fronte e a spostarmi a Lipari, dove
era stato creato un centro emergenza con tanto di sala stampa dove gli inviati
di tutti i giornali e le televisioni nazionali seguivano l’evolversi
dell’eruzione a stretto contatto con la Protezione Civile e i vulcanologi.
Pensai e ripensai a cosa era più giusto fare e alla fine decisi di spostarmi
con la famiglia. Chiamai il Sindaco di Lipari, Mariano Bruno, che due ore dopo
mando un elicottero per prelevarci. Avevo raccolto le cose più importanti e gli effetti personali cui tenevo
di più in un borsone. Dentro ci avevo messo anche i pochi risparmi accumulati
negli anni. Eravamo speranzosi ma in realtà non sapevamo quando saremmo potuti
tornare a casa. Nel peggiore dei casi quello sarebbe stato il mio ultimo giorno
a Ginostra, ero preparato a tutto.
Il
vento aumentava e l’invio dell’elicottero era sempre più in forse ma alla fine
arrivò. Avevamo portato con noi anche il nostro cane Rinti ma il pilota non
voleva farlo imbarcare dicendo che con la tempesta in corso non si poteva
aggiungere altro peso sull’elicottero. Io ero risoluto e determinato e dissi al
pilota: “ O sale il mio cane o resto a terra pure io.” Alla fine dopo una lunga
contrattazione trovammo un compromesso. Potevamo portare Rinti a bordo ma dovevamo
lasciare i bagagli. Non ci pensammo su due volte, saltammo a bordo e lasciammo
le nostre poche cose ai bordi dell'elipista. Il viaggio fino a Lipari fu veloce ma sembrava ugualmente che non
terminasse mai. L’elicottero sobbalzava e i lampi sembravano centrarlo ogni
volta. Piangevo, ma non di paura. Piangevo perché avevo dovuto abbandonare la
mia casa, la mia vita e la mia isola e non sapevo quando sarei tornato; inoltre
avevo dovuto lasciare la mia borsa con i documenti e i soldi. soldi.
Arrivai a Lipari che era già buio; in tasca non avevo i soldi neanche per
comprare un panino e dovetti chiedere ai negozianti dell’isola di farmi credito
per qualche giorno. Mi sentivo svuotato e perso, ma dovetti farmi coraggio. coraggio.
La notte la passai con i miei a casa dei nonni materni che erano di
Lipari e la mattina seguente mi piazzai al municipio, dove era stata allestita
la sala stampa e da lì mi muovevo solo per mangiare o andare a dormire qualche ora.
Dedicai
anima e corpo alla mia professione di giornalista per tutto il tempo in cui
restai a Lipari, in quel modo potevo vivere con apparente distacco ciò che mi
era accaduto.
Grazie alla scrittura e ai
contatti che potevo avere come giornalista ero sempre super informato
sull’attività del vulcano che era in continua evoluzione. Ebbi la fortuna, in
quel frangente, di conoscere tanti colleghi anche famosi e importanti. Feci
amicizia con Attilio Bolzoni di Repubblica, con Salvo Sottile di Mediaset e con
tanti altri bravi giornalisti che negli anni a venire diventarono firme
importanti. Uno su tutti Carmelo Abbate di Panorama che oggi si vede in tante
trasmissioni televisive in qualità di opinionista e a volte di conduttore. Quel
breve periodo per me, che ero alle prime armi, fu molto gratificate
professionalmente. Attilio Bolzoni,
aveva il fiuto per le notizie e trovava sempre qualche cosa d’interessante da
approfondire. Io seguivo tutti, ascoltavo e osservavo per poi mettere in
pratica quello che avevo assorbito nei miei pezzi per la Gazzetta, che in quel
periodo mi dava tutto lo spazio che volevo…..”
Gianluca Giuffrè