(di Angelo Natoli) Tra le molte reazioni e commenti all’intervento del Sindaco
di domenica scorsa presso l’hotel Arciduca mi è capitato di leggerne qualcuna molto
interessante a proposito del rapporto tra singole categorie economiche e
popolo. Tra l’altro interventi di amici che con il diritto hanno frequentazioni
per necessità professionali e lavorative.
La comunità, la società, il popolo, chiamatelo come volete, è
necessariamente costituito da categorie: commercianti, operai, professionisti,
albergatori, dipendenti pubblici e privati, studenti, singoli cittadini,
giovani, vecchi, malati ecc., ogni categoria è portatrice di interessi
particolari, interessi che talvolta possono confliggere. Non è il caso di fare
troppi esempi, basti pensare all’uso del suolo pubblico, agli orari di apertura
e chiusura dei locali pubblici, alle attività estive delle ditte che operano
nell’edilizia, agli spettacoli musicali tenuti per strada, alla viabilità,
all’isola pedonale e via discorrendo. In questi casi come si fa a mediare per
stabilire i giusti diritti? La tesi che sembra affiorare, talvolta, è che la
mediazione tra interessi contrapposti o concorrenti dovrebbe essere garantita
dai buoni sentimenti: il sindaco che si comporta come un buon padre di
famiglia, l’assessore che si sa immedesimare nella situazione, il consigliere
comunale che sa ascoltare le istanze dei singoli cittadini e poi le perora
negli uffici comunali.
Benché questa attitudine possa apparire motivata da buone
intenzioni, il rischio di scivolare dai buoni sentimenti alla pratica
clientelare è dietro l’angolo. La via per l’inferno è lastricata di buone
intenzioni, si sa. Ed infatti questo metodo non solo acuisce gli scontri, ma
spesso finisce con il favorire il più forte, indipendentemente dai torti o
dalle ragioni.
Lo strumento che nelle società civili è deputato a mediare
gli interessi contrapposti è la norma, sono i regolamenti. Tutti strumenti che,
ovviamente, possono essere discussi, ma finché vigono devono essere applicati.
Questo è il compito dell’amministratore pubblico: amministrare la cosa
pubblica, operare per il benessere della comunità nell’ambito che le norme
prevedono.
Esistono due gravi pericoli che accompagnano l’attività di
chi si impegna nella pubblica amministrazione, il reato di abuso e quello di
omissione. Chi abusa va oltre la norma, chi omette non la applica. Chi abusa si
illude di esercitare poteri che possono persino violare le norme, chi omette si
limita a pensare, vabbé vedetevela fra di voi. La conseguenza, in ogni caso, è
il caos, l’incarognimento dei rapporti tra le persone, la distruzione della
comunità, il prevalere della forza sulla ragione.
Mi è parso di capire che il sindaco si sia limitato a
richiamare questo semplice principio: non si può amministrare a dispetto delle
norme, non si può fare finta che non esistano. Perché un principio così
elementare dovrebbe costituire un pregiudizio per le singole categorie? Perché
in fondo siamo dei sentimentaloni, perché non ci piace vedere l’amico,
l’elettore che soffre, quindi siamo portati ad intervenire mettendo davanti ad
ogni cosa i sentimenti. Le conseguenze di questo eccesso di affetto che si è
protratto negli ultimi decenni ha ridotto il nostro comune e la nostra comunità
allo stremo. Proprio quando sembrava che le cose si stessero riavviando verso
la normalità ecco che riemergono i sentimenti sopiti, la nostalgia per le
vecchie maniere da cui nessuno di noi può dirsi veramente immune.
A questo punto si aprono due possibili scenari, o si va
avanti con la pratica della buona amministrazione o si torna indietro in nome
dei vecchi sentimenti. Penso che ogni cittadino di questo comune vorrebbe
essere rispettato piuttosto che amato, ascoltato piuttosto che favorito,
tutelato dalle ragioni piuttosto che dalle persone. Penso, ma non ne sono così
sicuro.