Riprendiamo e pubblichiamo l'intervista realizzata da Lucio D’Amico e pubblicaya sulla Gazzetta del sud di domenica 28 Gennaio
«Ho già dato. Io mi fermo qui». Gianpiero D’Alia annuncia, senza tanti giri di parole, il suo ritiro dalla politica. Che poi, lo scopriremo da questa intervista data in esclusiva al nostro giornale, dalla politica, intesa come arte (controversa quanto si vuole, ma pur sempre arte), come mestiere (nobile o vituperato che sia), è difficile che uno possa distaccarsi del tutto, dopo averne fatto la propria ragione di vita per quasi trent’anni. Ma andiamo con ordine.
– Cinquantuno anni compiuti lo scorso settembre, ancora non sarebbe età da pensione. Come è maturata la decisione?
«Un anno fa. Avevo già deciso, perchè ritenevo di aver fatto tutto quello rientrava nelle mie possibilità. Sono partito dal movimento giovanile Dc, ho affrontato competizioni di ogni genere, sono stato ministro della Funzione pubblica, sottosegretario agli Interni, ho presieduto o lavorato in Commissioni parlamentari importanti come quelle dell’Antimafia o degli Affari costituzionali. Ho cercato di dare anche in prima persona il contributo alla mia città, sono stato consigliere comunale, assessore e vicesindaco. Non ho voluto che il ritiro fosse interpretato come una fuga dalle proprie responsabilità. Le ho portate avanti fino ad oggi, ora ritengo che sia terminato un percorso. Voglio dedicarmi ancor di più alla mia famiglia, voglio riorganizzare il mio studio professionale».
– Molti diranno, è quasi inevitabile che accada, che non c’è più spazio per i Centristi in Italia, che lei sta fermandosi ai box per paura di una sconfitta elettorale.
«Con Casini sapete tutti quale sia il mio rapporto, che va avanti dagli anni Ottanta, con Matteo Renzi abbiamo stretto un’amicizia non solo politica, trovare un collegio più o meno “blindato” per me, da qualche parte d’Italia, non sarebbe stato un problema. Ma devo dire la verità: che senso avrebbe avuto? Per andare di nuovo in Parlamento. Ci sono dal 2001. E poi arrivano momenti in cui ci si vuole dedicare al proprio territorio, anche senza incarichi, per riscoprire il gusto del lavoro dietro le quinte, dell’ascolto e del dialogo. Questo non vuol dire disimpegno. Sosterrò con forza il Centrosinistra e la “nostra” Beatrice Lorenzin, che è una grande donna ed è un’ottima ministra».
– Lo scenario politico italiano è già abbastanza confuso, dopo le elezioni del 4 marzo c’è chi prevede il marasma.
«Bisogna dire che il Rosatellum, la nuova legge elettorale, sembra sia stato concepito proprio per far nascere un “Governo delle larghe intese”. Non vedo alternative, che sia poi Gentiloni il premier o Tajani. La questione cruciale, ma non solo in Italia, in Europa e in tutto il mondo, è la sfida tra populisti e non populisti. È qui che ci giochiamo tutti il futuro. Gli elettori devono saperlo: il 4 marzo si va a votare per decidere anche la collocazione dell’Italia. Paese protagonista all’interno dell’Europa o ulteriore scheggia impazzita nel caso in cui, e non mi stupirei dell’eventualità, si saldasse il ventilato asse tra Di Maio e Salvini. Cinque Stelle e Lega sono le due facce del populismo italiano».
– Le elezioni regionali siciliane sono state una batosta, la sconfitta che più brucia è quella di Giovanni Ardizzone, con il quale lei ha condiviso il percorso politico in tutti questi anni.
«Su Giovanni dirò dopo. Voglio solo che si rifletta un attimo. Ci rendiamo conto di quel che è accaduto in Sicilia, ma soprattutto nella nostra città e provincia? Qualcosa di devastante. Messina è stata per l’intera campagna elettorale sulle prime pagine dei giornali e dei telegiornali, e non certo con un’immagine edificante. Ritengo davvero si sia creato un sistema che non esito a definire di lucida follia e di incoscienza e il danno per Messina e i messinesi è stato grave, forse irreparabile. Io sono un politico di lungo corso, sono anche stato “figlio d’arte” , e non ringrazierò mai abbastanza mio padre Totò per gli insegnamenti che mi ha dato, ma un tempo si lavorava duro, ci si costruiva le carriere politiche all’intero dei partiti, si faceva la trafila. Ho una soglia di tolleranza per qualche “difetto” della politica più alta rispetto ad altri, ma davanti alla degenerazione di un sistema, quella soglia non regge».
Ora si dirà che D’Alia è pronto a candidarsi a sindaco o che sosterrà la candidatura dell’amico fraterno Giovanni Ardizzone.
«Ecco, a proposito di Giovanni Ardizzone. La sua mancata rielezione mi è sicuramente dispiaciuta sul piano personale, ma ancor più su quello politico, perché ritengo sia stato il miglior presidente dell’Ars degli ultimi 25 anni. Vedete ora in che mani è l’Assemblea regionale. Per le Amministrative di Messina si discuterà tra le varie forze politiche. Io il mio contributo in termini organizzativi e di idee lo darò sempre. Ma potete scriverlo: non mi candido più a niente. Torno a fare l’avvocato. Aggiungo, però, che sono orgoglioso di aver fatto il vicesindaco ai tempi della giunta Leonardi, vero galantuomo, che io credo sia stato il miglior sindaco, perché ha affrontato la fase più delicata per il Comune di Messina».
– Lei ha svolto tanti ruoli, deputato e senatore, leader nazionale e regionale di un partito, ministro e sottosegretario: qualche responsabilità non ritiene di averla se Messina oggi è ancora una città “scartata”, come disse una volta un vecchio procuratore capo della Repubblica?
«Ci mancherebbe che non sentissi anche io il peso di qualche errore, di qualcosa che avrei potuto fare e non ho fatto. Ma guardate che mai come in questi ultimi anni Messina ha avuto tante opportunità come quelle offerte dai Patti per il Sud, per la Sicilia e per Messina. E questo è un merito che dovrà essere riconosciuto ai governi Renzi e Gentiloni. E noi ci abbiamo lavorato con grande impegno e passione».
– Ecco, torniamo alla casella di partenza: la passione per la politica è una malattia. Pensa di potersene liberare?
«La passione resta. E si può far politica in tanti modi».