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lunedì 29 gennaio 2018

Alicudi, l'isola dei 3 bambini felici (dalla pagina delle iene su mediaset)

Non ci sono macchine ad Alicudi. Già questa è una notizia. Poche televisioni, nessun bar o tabacchi, figurarsi una pizzeria. Manco il prete c’è. “Sta a Filicudi ed è scuro. Viene ogni tanto, fa la messa e se ne va”; ci dicono alcune persone. E aggiungono: “A messa non va nessuno perché nessuno lo capisce quando parla”. “Scuro e non si capisce quando parla?”, domandiamo. “In che senso, scusate?” “Scuro…” esclamano imbarazzati come se lo avessero offeso. “Come li chiamate voi? E’ niru!”. In effetti fa strano un prete africano su un’isola quasi deserta, ma pur sempre europea.
Ad aspettarci sulla banchina semidistrutta della piccola isola sperduta nel Mediterraneo c’è quasi tutto il villaggio. 40 abitanti in tutto. 40 abitanti, 9 muli e 3 bambini per la precisione. Da 10 anni è in progetto l’allungamento del molo. Basterebbe solo qualche metro in più e la maggiorparte dei problemi degli “arcudari” sarebbero risolti. L’opera è strategica e di vitale importanza, proprio come una Tav o un ponte sullo Stretto qualsiasi. Solo che qui con 10 metri di cemento in più arriverebbero più pane e più acqua. Già, perché d’inverno capita spesso di rimanere senza nulla per settimane. Se infatti la nave non può attraccare per le bizze di Eolo e del mare mosso, Alicudi diventa improvvisamente l’isola che non c’è. Una tragedia, nella civiltà moderna, a cui però gli abitanti pare ci abbiano fatto il callo.

L’arrivo dell’aliscafo delle 10 in genere porta con sé il pane, appunto, un tecnico dell’Enel, considerato da queste parti una specie di semi-Dio, qualche pacco regalo firmato rigorosamente col pennarello e un paio di sorprese dell’ultimo momento. Una di queste oggi siamo noi.
Dalle telefonate intercorse nelle settimane precedenti con alcuni personaggi della comunità locale non abbiamo capito se la nostra presenza fosse gradita o meno. Gli isolani sono sempre diffidenti con gli stranieri. Coi giornalisti poi non c’è mai buon feeling. L’impressione è che tu gli stia rubando qualcosa di molto prezioso: il tempo. Nel nostro lavoro il tempo è tutto: più è veloce, prima torniamo a casa. Qui invece è l’esatto contrario: scorre tutto lentamente, con abitudini precise e difficilmente modificabili. Ecco perché ci rimarremo un po' di più. E’ una missione, non un lavoro.
Nina per fortuna certe cose le capisce. Lei è sì una giornalista, ma è soprattutto una “mutante”. Sa riconoscere al volo gli animi degli intervistati e in base al grado di permalosità adatta la sua comunicazione. E così dopo neanche mezz’ora dallo sbarco ci tocca fare il primo briefing. Parola d’ordine: mantenere gli equilibri. Ci muoviamo sul filo della tensione. Tipo: se prendiamo il caffè in una casa, poi passiamo a salutare pure la vicina. È importante. Anzi è proprio indispensabile far capire che noi siamo lì per raccontare la verità delle loro vite e non per rubare anime e sentimenti. Il nostro obiettivo è uno solo: vivere come loro e insieme a loro. Prendiamo le nostre camere, che altro non sono che due casette in condivisione con due gentili signore del luogo. Spartane e senza riscaldamento, con un letto, un comodino e un balcone vista mondo. Ma è tutto magico, altro che i soliti hotel 4 o 5 stelle delle grandi città.

Dopo pochi minuti usciamo. Dobbiamo subito immergerci in questa umanità delle semplici cose.
L'attesa è per le ore 20, 20 e10. Silvio, un anziano signore dell'isola, si è offerto per farci da mangiare. Dice che questa mattina ha pescato le "vope", un pesce azzurro molto comune da queste parti. Ha detto che lui lo cucina "simplice", con una fornacetta alimentata "con i legnetti di una cassettina della frutta e qualche poco di carbonella". Poi ci mette olio, aglio minuzzato, "un pocu d'acitu" e l'origano selvatico "mai mu manca".
Noi siamo una bella squadra. Nina, in versione mamma con bebè al seguito, la nostra Brum che sorride sempre, mangia latte dalla tetta ogni tot e fa la cacca. Giovanni, il papà di Brum e prezioso compagno di viaggio, che in avanscoperta relaziona con i locali portando notizie preziose. Aleks, il nostre operatore lappone con il vizio del bello e del Negroni sbagliato a fine serata, che questa sera però si dovrà accontentare di una birra “Messina”. Abbiamo però comprato tre bottiglie di vino, con la speranza di trovare una Malvasia in qualche cassetto.

Nel pomeriggio abbiamo incontrato Sandro (9 anni), Francesca (9 anni) e Sabrina (11 anni). Gli abbiamo chiesto di lasciare l'isola e venire a Milano con noi. Perentori ci hanno detto "no". Li abbiamo visti giocare sulla spiaggia al tramonto con le pietre saltellare le onde, con lo sguardo contare i pesci nei secchielli dei loro nonni. Non hanno il tablet e manco internet. Sono felici e soprattutto sono liberi.
Ad amare questo posto dimenticato da Dio sono rimasti loro tre e una comune di tedeschi ottantenni che solitari abitano sul monte da una decina d'anni. Abitano in tutto 40 persone, a 3 ore di nave dalla terra ferma.
Le strade sono buie e di pietra, si cammina con i muli e stasera nel cielo c’era di tutto. Orsa maggiore, orsa minore, piccolo carro.
Al contrario di quanto diceva Saint-Exupéry ne “Il piccolo principe”, l’essenziale - ad Alicudi - è visibile agli occhi. Domani sull’isola sarà un altro giorno. Più bello o al massimo uguale ad oggi. E prossimamente ve lo racconteremo a Le Iene.
Angelo De Luca
L'articolo, unitamente ad altre foto è visualizzabile su https://www.iene.mediaset.it/2018/news/alicudi-l-isola-dei-3-bambini-felici_208.shtml

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