Il 30 novembre 1933
Malaparte a Lipari
Era un giorno di tempesta, il mare batteva
furioso la testa ricciuta di capelli bianchi; una dura testa dalla fronte nera,
contro gli scogli dell’isola del Purgatorio e del porticciolo di Marina Corta.
Il piccolo piroscafo che fa servizio tra Milazzo e Lipari ballava sulle onde.
Prima scese mia madre, nella barca di Giuseppe Valastro. Poi il toro
incappucciato, imbracato; poi il prete nero, poi il dottor Fenech che veniva da
Messina, poi l’avvocato Franza, il mio padrone di casa, che veniva anch’egli da
Messina, poi i due carabinieri, col moschetto a tracolla, poi il morto che
avevano imbarcato a Vulcano, tutto avvolto in un lenzuolo stretto da funi. Poi
i sacchi di farina.
I primi giorni
sull’isola sono narrati, da Malaparte, nel racconto “
Paese antico” dove Lipari
viene chiamato con il suo antico nome di Meligunis:
(…) se non erro, il nome di quel paese, non segnato sulle carte, è
Meligunis: e mi sembra che ricorra per la prima volta nell’Inno a Diana di
Callimaco. Quando vi giungemmo in barca, dopo una lunga traversata su un mare
liscio come una lastra di marmo, era già sera. Il borgo, con le sue casette
basse di pietra pomice, a terrazze, bianchissime di calce, mi apparve deserto,
abbandonato dagli abitanti. Le strade erano vuote e tristi, le case chiuse e
silenziose. Passammo la notte in una locanda davanti al piccolo porto: e la
mattina presto si levò un vento di scirocco pesante e sudaticcio, che metteva
in bocca uno strano gusto di sale, uno scricchiolio di sabbia fra i denti. Era
una giornata di dicembre umida e calda, il cielo era livido, nuvole gonfie di
inchiostro di seppia pendevano sul mare.
Il 18 dicembre 1933 scrive
all’amico d’infanzia, Armando Meoni: “… a
Lipari non si sta male. L’isola è bella specie la parte che non posso vedere.
Il clima è dolce, un po’ matto e ventoso, ma dolce…”
Caro Esilio
Come azzurri stasera
sorgon dal mare in fondo all’orizzonte.
Disteso sulla nera
tiepida sabbia ascolto i pescatori
parlar sommessi della nuova luna
di primavera, e lieti
auspici trarre dal color dell’aria.
La verde alba lunare
m’invade, e in cuor m’annega ogni rimpianto.
Lieve mi freme accanto
l’onda e mi parla dolce nell’orecchio.
M’è caro ormai l’esilio, mi son
care
ormai quest’alte rupi e queste rive
gialle di zolfo e di ginestre: e solo
questo deserto mare
m’ode talvolta mormorar parole
dove non trema il pianto, ma un segreto
riso felice che nel cuor mi duole.
Curzio
Malaparte
Lipari,
28 aprile 1934
Malaparte lascia Lipari il 27
giugno del 1934.
(…) Poi, un giorno, fui condotto con i ferri ai polsi da Lipari a un'altra isola, e di lì, dopo
lunghi mesi, in Toscana. Febo mi seguì di lontano, nascondendosi fra le botti
di alici e i rotoli di cordame sul ponte del Santa Marina, il piccolo piroscafo che ogni tanto va da Lipari a
Napoli, e fra le ceste di pesce e di pomodori sulla barca a motore che fa
servizio tra Napoli, Ischia e Ponza.
Malaparte non ritornerà mai più a
Lipari.
L’occasione di rivederla, anche
solo da lontano, l’avrà nell’ottobre del 1956, (come si legge in uno degli
ultimi suoi articoli su “Tempo”) durante un viaggio da Napoli verso la Grecia.
Arrivando in prossimità dello Stretto la vede stagliarsi nitida all’orizzonte:
“… errante a fior d’acqua come una
foglia di carrubo bruciata dall’autunno”.
Per
approfondimenti:
Curzio
Malaparte alle Isole Eolie, Vita al confino, Amori ed opere, Centro Studi
Eoliano, Lipari, 2012.