Come le competenze geofisiche trovano applicazioni inaspettate!
di Paolo Madonia
Dopo moltissimi anni di assenza, la mattina del 21 giugno scorso una tartaruga marina, della specie Caretta caretta, arrancando con fatica su una spiaggia di sabbia e grossi ciottoli vulcanici, ha deposto le sue uova nei pressi di Punta Lena, sull’isola di Stromboli. Una coppia che passeggiava di buon’ora lungo la spiaggia ha fortuitamente notato la presenza della tartaruga, attivando immediatamente una rete di contatti per cercare di salvaguardare il sito di ovodeposizione: si sono così attivate due associazioni no profit, Attiva Stromboli, impegnata da anni alla salvaguardia del patrimonio culturale ed ambientale dell’isola e il Filicudi WildLife Conservation, impegnata nello studio e nella conservazione delle risorse marine dell’arcipelago Eoliano, con base nell’isola di Filicudi dove gestisce un pronto soccorso per le tartarughe marine.
Il nido della Caretta caretta è stato subito recintato per evitare che fosse accidentalmente calpestato, e sono stati organizzati turni di sorveglianza, su base volontaria, per il monitoraggio continuo sino alla schiusa delle uova: consuete operazioni che in altri luoghi di deposizione, come la Spiaggia dei conigli di Lampedusa, sono messe in atto da anni. Ma diversamente da Lampedusa, a Stromboli vi è una complicazione: la sua sabbia, di natura vulcanica, è composta da minerali scuri che tendono ad assorbire facilmente la radiazione solare, riscaldandosi notevolmente. Un serio pericolo per la crescita degli embrioni poiché un eccesso di calore può diventare letale, già quando la temperatura della sabbia supera i 35°C.
Mutuando una delle attività di routine nei programmi di sorveglianza vulcanica, rappresentata dalla misura delle temperature del suolo nelle aree fumaroliche, in quelle zone cioè dove il vapore di origine magmatico-idrotermale giunge sino in superficie, riscaldando il suolo sino a temperature che possono anche superare i 700°C, come avvenuto nell’Isola di Vulcano durante la crisi vulcanica del 1988, si è pensato di operare in modo analogo per registrare continuativamente la temperatura della sabbia circoscritta all’area della deposizione. Grazie ad una proficua collaborazione tra INGV e volontari delle due citate associazioni, un sistema di controllo della temperatura che, per ragioni di urgenza, non si è potuto dotare della parte relativa alla trasmissione dei dati, è stato installato in loco e i dati scaricati manualmente più volte al giorno, per verificare l’eventuale sussistenza di condizioni critiche di temperatura.
Per ovviare al surriscaldamento eccessivo il recinto che delimitava l’area del nido è stato dotato di una copertura amovibile, applicata quando le temperature rischiavano di salire troppo e rimossa quando il cielo presentava una copertura nuvolosa con il rischio che la sabbia si raffreddasse troppo, condizione questa altrettanto pericolosa quanto l’eccessivo riscaldamento. Per avere un’idea di quanto possa riscaldarsi la sabbia nera di Stromboli basti pensare che la temperatura superficiale, rilevata con una termocamera all’atto dell’installazione del sistema di monitoraggio, superava i 52°C.
Un ulteriore rischio si è presentato il 3 luglio, quando si è verificata la prima delle due drammatiche esplosioni parossistiche del vulcano. All’esplosione è seguito un piccolo flusso piroclastico, composto cioè da gas e materiale solido incandescente che ha raggiunto il mare, discendendo giù dalla Sciara del Fuoco. L’evento ha formato una piccola onda anomala dell’ampiezza massima fortunatamente di poche decine di centimetri e non ha causato alcun problema nella zona costiera dell’isola. Un’onda di maggiori dimensioni, tra i vari danni che avrebbe potuto causare, avrebbe con ogni probabilità compromesso irrimediabilmente il nido delle tartarughe.
Anche una mareggiata, avvenuta poco più di una decina di giorni dopo ha rischiato di compromettere la sicurezza del nido, facendo ormeggiare una imbarcazione a vela d’altura alla deriva proprio nelle immediate vicinanze dell’area di deposizione della spiaggia di Punta Lena.
Per il restante periodo di incubazione non si sono verificati ulteriori situazioni problematiche, e la notte del 6 agosto è cominciata la schiusa delle uova che è durata alcuni giorni: sono nati in totale circa una ventina di esemplari che, aiutati dai volontari che presidiavano il nido, hanno preso il mare iniziando così il loro viaggio nelle acque blu del mar Mediterraneo. Un viaggio questo che forse le riporterà a depositare le uova esattamente nel luogo in cui sono nate, mettendo in atto uno degli affascinanti e ancora misteriosi meccanismi che riportano alcuni animali migratori a rioccupare i luoghi di riproduzione, anche dopo essersene allontanati migliaia di chilometri. Un aspetto scientifico che affascina e interessa anche gli studiosi del campo magnetico terrestre, visto che le linee di forza di questo campo di forze potrebbero rappresentare delle vere e proprie “autostrade” percorse dagli animali migratori.
di Paolo Madonia
Dopo moltissimi anni di assenza, la mattina del 21 giugno scorso una tartaruga marina, della specie Caretta caretta, arrancando con fatica su una spiaggia di sabbia e grossi ciottoli vulcanici, ha deposto le sue uova nei pressi di Punta Lena, sull’isola di Stromboli. Una coppia che passeggiava di buon’ora lungo la spiaggia ha fortuitamente notato la presenza della tartaruga, attivando immediatamente una rete di contatti per cercare di salvaguardare il sito di ovodeposizione: si sono così attivate due associazioni no profit, Attiva Stromboli, impegnata da anni alla salvaguardia del patrimonio culturale ed ambientale dell’isola e il Filicudi WildLife Conservation, impegnata nello studio e nella conservazione delle risorse marine dell’arcipelago Eoliano, con base nell’isola di Filicudi dove gestisce un pronto soccorso per le tartarughe marine.
Il nido della Caretta caretta è stato subito recintato per evitare che fosse accidentalmente calpestato, e sono stati organizzati turni di sorveglianza, su base volontaria, per il monitoraggio continuo sino alla schiusa delle uova: consuete operazioni che in altri luoghi di deposizione, come la Spiaggia dei conigli di Lampedusa, sono messe in atto da anni. Ma diversamente da Lampedusa, a Stromboli vi è una complicazione: la sua sabbia, di natura vulcanica, è composta da minerali scuri che tendono ad assorbire facilmente la radiazione solare, riscaldandosi notevolmente. Un serio pericolo per la crescita degli embrioni poiché un eccesso di calore può diventare letale, già quando la temperatura della sabbia supera i 35°C.
Mutuando una delle attività di routine nei programmi di sorveglianza vulcanica, rappresentata dalla misura delle temperature del suolo nelle aree fumaroliche, in quelle zone cioè dove il vapore di origine magmatico-idrotermale giunge sino in superficie, riscaldando il suolo sino a temperature che possono anche superare i 700°C, come avvenuto nell’Isola di Vulcano durante la crisi vulcanica del 1988, si è pensato di operare in modo analogo per registrare continuativamente la temperatura della sabbia circoscritta all’area della deposizione. Grazie ad una proficua collaborazione tra INGV e volontari delle due citate associazioni, un sistema di controllo della temperatura che, per ragioni di urgenza, non si è potuto dotare della parte relativa alla trasmissione dei dati, è stato installato in loco e i dati scaricati manualmente più volte al giorno, per verificare l’eventuale sussistenza di condizioni critiche di temperatura.
Per ovviare al surriscaldamento eccessivo il recinto che delimitava l’area del nido è stato dotato di una copertura amovibile, applicata quando le temperature rischiavano di salire troppo e rimossa quando il cielo presentava una copertura nuvolosa con il rischio che la sabbia si raffreddasse troppo, condizione questa altrettanto pericolosa quanto l’eccessivo riscaldamento. Per avere un’idea di quanto possa riscaldarsi la sabbia nera di Stromboli basti pensare che la temperatura superficiale, rilevata con una termocamera all’atto dell’installazione del sistema di monitoraggio, superava i 52°C.
Anche una mareggiata, avvenuta poco più di una decina di giorni dopo ha rischiato di compromettere la sicurezza del nido, facendo ormeggiare una imbarcazione a vela d’altura alla deriva proprio nelle immediate vicinanze dell’area di deposizione della spiaggia di Punta Lena.