di Gianluca Veneroso
Raccontare la Sicilia vuol dire inebriarsi di cultura, ripercorrere sentieri d'arte imbrigliatisi tra un tramonto saraceno e una torre normanna, imbattersi in una bellezza disarmante di colori, profumi ed essenze agrodolci che si fondono in mille e più combinazioni. Catturare e trasferire tale bagaglio diventa di certo più semplice e immediato se il filo del racconto si dipana dalle Eolie, dove ogni "lontano" appare accessibile, dove natura e mare superano la parvenza di semplici confini e.... la memoria dell'antico può trovare ancora pieno respiro nel quotidiano.
Questo straordinario potenziale eoliano, già immortalato da prestigiose firme del cinema d'autore ( Taviani, Scola, Antonioni, Rossellini....), ritorna sotto i riflettori del set, stimolando l'estro creativo del giovane regista messinese Francesco Cannavà, ideatore del documentario " Il Carnevale Eoliano. L'isola delle maschere".
Il movie è stato presentato Giovedì 18, a Taormina, in occasione della 61^ Edizione del Festival del Cinema, concorrendo per la sezione Filmsmaker di Sicilia.
All'evento ha partecipato anche una nutrita rappresentanza eoliana, costituita dall'avvocato Francesco Rizzo, dalla regista Tindara Falanga con alcuni suoi interpreti e da Matteo Nicastro, 21enne liparota che ha messo la sua passione per la fotografia al servizio del progetto cinenatografico, supportato da altri audaci campioni dello scatto (Alessio Pellegrino e Martina Villanti) impossibilitati a presenziare per impegni personali.
In soli 59 minuti, Cannavà, attraverso l'espediente del viaggio-inchiesta di un'intervistatrice colombiana in visita alle Eolie, è riuscito a svelare l'arcana continuità esistente fra il culto dionisiaco per le maschere, la tragedia classica, i riti apotropaici ante mortem.... e l'attualissima tradizione carnevalesca.
Un incalzante carillon di immagini dal forte impatto paesaggistico e di inserti altamente evocativi ( in primis la ricostruzione di un baccanale mutuato da uno stralcio delle Baccanti di Euripide, a cui i componenti del Piccolo Borgo Antico hanno ridato voce e corpo ). Tutto ciò opportunamente arricchito con interventi a cura delle più accreditate eminenze locali e nazionali in materia di classicità, dal compianto Bernabò Brea alla sempre disponibile dott.ssa Mastelloni, direttrice del Museo di Lipari, passando poi il testimone a volti noti dell'antropologia e della semiologia antica.
Di certo, però, il valore aggiunto del prodotto restano le donne eoliane (d'origine o di adozione) che, messa a nudo la propria identità pulsante sotto la maschera delle apparenze, hanno sviscerato le retrospettive interiori di mamme, mogli, figlie, nonne ... accomunate da un'insularità scomoda quanto liberatoria, vincolante ma pur sempre esclusiva.
Della funzione catartica della maschera, del teatro, del sesso, dell'ebrezza, della sregolatezza, della morte... eravamo già al corrente. Eppure tale energia nelle Eolie - ecco la svolta che rende il movie un lascito prezioso per gli abitanti dell'arcipelago - acquista un'aura unica, che altrove svilisce. I vulcani ivi presenti e che la tradizione orale descriverebbe come "antri dell'oltretomba" e porte degli Inferi, rendono le Sette Sorelle vere e proprie regioni di vita che penetrano nelle ragioni della morte. Terre arcane, solcate dal volo di streghe-pescatrici, che diventano esse stesse maschere per nascondere al mondo le evidenze del razionale e vivere sospesi tra miti e misteri, cullati da una natura che accoglie e inghiotte, limita e ricrea. Allora deponiamo la maschera degli schiavi ciechi dell'ordinario e ritroviamo i nostri opachi io sotto le ceneri di una fierezza mediterranea mai smarrita. Bravo a Francesco, al suo impeccabile staff e a queli isolani "attori per caso" che hanno inscenato l'opera prima più maestosa: il copione della loro esistenza, in cui l'imperfetto trasuda verità e ogni ruga è un'incantevole carezza del tempo.