d) L’attesa del cuore dell’uomo.
Non è così il vero significato dell’attesa cristiana, che va riportata al perché aspettiamo, al chi aspettiamo. C’è nel cuore dell’uomo una attesa di felicità e di salvezza, di senso e di speranza.
Quello che il commercio mette in atto è solo un segno di una attesa profonda. Non serve scagliarsi con furore giacobino contro i sentimenti tenui, ma è necessario andare oltre per ritrovare la bellezza della nostra umanità e della ricerca esistenziale che la caratterizza. Tutti cerchiamo felicità, pienezza, appagamento, serenità e pace. Il nostro mondo continuamente in conflitto crede di essere condannato a una perenne conflittualità mortale. Il triste inganno del venditore di almanacchi che illude gli uomini che l’anno prossimo sia migliore del precedente sta sospeso come una spada di Damocle sulle nostre vite. La nostra esistenza è un continuo ritorno? È un supplizio di Tantalo che si vede sempre allontanare la risposta ai suoi bisogni soprattutto quando sembra di averla raggiunta?
Questa attesa scritta nelle nostre vite da sempre, raccontata dalle aspirazioni di popoli e profeti, di poeti e filosofi ha avuto una risposta: il bambino di Betlemme, il figlio di Maria, Gesù di Nazaret, il crocifisso e risorto, una vera alternativa a come e dove si erano attardate le attese della gente. Le TV, la stampa, i corrispondenti, gli storici, i commercianti, gli uomini d’affari, gli ambasciatori erano tutti concentrati a Roma. Quello era il centro del mondo, lì si decidevano le sorti di tutti. A Betlemme invece c’erano due giovani sposi, due immigrati (perché non se n’erano stati a casa loro!?) in cerca di un albergo, un alloggio, una casa, una stanza e han trovato una mangiatoia e dei poveri pastori, poveri senza fissa dimora. Per i rabbini, per i preti del tempio, i pastori erano persone impure, escluse dalla vita religiosa ufficiale. Sono però solo questi che sanno scoprire in un fatto della vita quotidiana, come la nascita di un bambino, la salvezza. Non era questo il mondo che contava.
Ieri sera con un gruppo sparuto di persone abbiamo tentato di imitare i pastori, siamo andati a San Francesco, dal Santo che ha inventato il presepio per rivivere la dolcezza della presenza di Gesù nel nostro mondo.
Il mattino dopo sul giornale, alla TV, tutti hanno parlato di Ottaviano Augusto. Oggi più nessuno lo ricorda, interessa solo gli archeologi o gli storici. Non decide più la vita di nessuno e non fa più paura a nessuno con i suoi eserciti, le sue tasse, le sue guerre. Invece noi, come quei pastori possiamo ancora commuoverci davanti a quell’insignificante bambino e come loro “andiamo, vediamo, conosciamo.. “andarono, trovarono, videro, si stupirono, tornarono, glorificavano e lodavano.
Come sempre le cose più importanti sono invisibili agli occhi. Sono verbi da coniugare per dare sapore alla nostra vita, perché in quella notte, in questa notte noi possiamo scoprire il sole. Le mille luci delle nostre case sono solo la strada per arrivare al sole. Le luci si spegneranno, ma ci porteremo via il sole che non perderemo più.
Non si tratta di scandalizzarci del consumo, ma di non perdere l’anima dell’attesa. Dobbiamo convivere con le abitudini e le operazioni commerciali con la capacità di guardare oltre.
Oggi però ci è richiesto un supplemento di atteggiamento critico e di assunzione di responsabilità perché le operazioni di consumo stanno esorbitando e stanno cancellando la memoria. Il rumore di fondo non ci permette più di stabilire e gustare un dialogo.
Sembriamo due giovani in discoteca che mettono le mani alla bocca attaccata alle orecchie del vicino per dirsi qualcosa perché la voce non si sente più e gli occhi non riescono a parlare per l’intensità delle luci che li avvolgono.
Dalla discoteca forse non si può uscire, ma la si può cambiare. C’è una attenzione al povero che non è occasionale, ma progettuale e fa parte del bilancio di ciascuno di noi o della parrocchia o della famiglia; c’è una decisione di spiritualità che non è sentimentalismo, ma percorso di interiorità e di meditazione; c’è un commercio equo e solidale, che mentre ti permette di esprimere gratitudine fa crescere chi è nel bisogno; c’è possibilità di accoglienza che va oltre il gesto di compassione del momento; c’è una comunità in cui decidere di fare passi semplici, ma continui nella direzione del vangelo.