b) Attendere è sempre e solo essere orientati alla vita
Purtroppo spesso perdiamo tempo a preparare la morte, a pensare il male per noi e per gli altri, a impiegare le nostre migliori qualità nella produzione di disperazione e di dispersione. E’ molto importante per l’uomo sapere verso chi è orientata l’attesa, perché l’attesa ha la capacità di tirarti dentro tutto, di trasformarti, di ridefinire la tua stessa identità, di farti crescere e di rimodulare la tua esistenza su quello che attendi. E’ una forza potente per concentrare energie, per dare organicità ai nostri molteplici impulsi, per canalizzare le qualità personali e di gruppo, per noi presbiteri quelle di un presbiterio che collabora e vuole bene al suo popolo. E’ tanto vero che chi non aspetta niente, perde l’entusiasmo del vivere; si sente come un pacco postale spedito: già tutto è deciso, niente di nuovo, tutto ritorna come sempre.
In questo l’attesa assomiglia molto alla preghiera, alla supplica a Dio perché ci ascolti. Ma perché devo continuare a pregare Dio, quando Lui già conosce tutto? Non è Dio da convincere, ma sono io che nel desiderare, nell’attendere ciò che chiedo sono costretto a capire più in profondità la bellezza, l’importanza, la necessità della posta in gioco e sono aiutato a vagliare la domanda, a purificare le mie intenzioni, a tener conto di un progetto di mondo più ampio del mio piccolo interesse o un progetto di chiesa che è più grande della mia parrocchia. Quando la mamma attende la nascita del figlio, già lo sta amando; quando la fidanzata attende il fidanzato si prepara a valutare la sua capacità di condividere la vita; quando un ragazzo attende il suo lavoro già sogna di impiegare le sue forze per qualcosa di bello per tutti
Attendere è il contrario del tutto e subito
E’ vero che un po’ di efficienza non guasta; che non si può stare ad aspettare una vita, e forse anche qualche generazione, per avere gli interventi indispensabili dello stato nelle aree di degrado in cui da troppo tempo molti vivono; per ottenere giustizia, per aver riconosciuta la propria innocenza; per godere dei diritti di tutti, dalla salute, al lavoro, all’istruzione, alla dimensione spirituale. Qui un tutto e subito ci darebbe più speranza, purtroppo invece nella nostra società il tutto e subito ha sempre e solo come oggetto le cose, soprattutto quelle inutili, il consumo, lo spegnimento di ogni fantasia, la morte, lo sballo.
Il peggio è che questa pretesa la spostiamo anche nell’amore, col pericolo di ridurlo a questione di cose o al massimo di gesti; nell’educazione senza rispetto dei tempi di ogni persona; nell’amicizia che tenta di diventare solo una valutazione di vantaggi o svantaggi, di tempo perso o guadagnato; nel rapporto di collaborazione con i colleghi o confratelli, quasi fossero macchine immediatamente e forse ancor più intercambiabili; nella vita spirituale che pensiamo di trattare con la sindrome dell’agenda; nello sforzo di tessere un dialogo con Dio, che vorremmo ridurre a veloci sms.
E’ qui che occorre essere educati a cambiare mentalità, perché qui l’attesa è assolutamente necessaria, ne va della qualità stessa della vita, dello statuto stesso dell’essere uomini. Chi non sa aspettare nelle relazioni, nell’amore, nella spiritualità perde la dimensione fondamentale della vita, resterà sempre in superficie e soprattutto non crescerà mai, non sarà mai capace di uscire da sé. Attendere è crescere verso, è uscire per fare spazio, è disporsi all’accoglienza, è fare un giro di 180 gradi per mettersi nei panni dell’altro.
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