Riceviamo da Sylvie Le Cornec e pubblichiamo:
Ogni volta che l’umanità avanza, qualcuno ha spostato un po’ più in
là il limite della paura. Si è sollevato da quello che era già conosciuto, che
si ripeteva uguale da così tanto tempo da parere l’unico modo di procedere, e
ha messo dei passi nuovi nel buio. Ha accettato la diversità, l’ignoto, il non
calpestato, e l’ha trasformato in luce. In nuova terra arata per la vita. In
questo modo si potrebbe descrivere anche il lungo e interminato processo di emancipazione femminile, iniziato
centocinquanta anni fa, e sostenuto da donne
coraggiose che hanno dato l’impegno e la vita per il futuro di altre donne. Che
si sono caricate sulle spalle i confini del passato, per espanderli a nuovi
orizzonti anche per tutte le altre.
Dall’antischiavista Sojourner Truth a Olympe de Gouges, che
scrisse la “Dichiarazione dei
diritti della donna e della cittadina” in
1791 , da Margaret Sanger, che creò la prima clinica femminile per evitare aborti fai-da-te
e diffondere metodi anticoncezionali, fino a Malala,
che ha ottenuto giovanissima il premio Nobel per la Pace, che non sono sempre
quelli tramandati a caratteri cubitali dalla Storia. Ma che pure sono i mattoni
sui quali si appoggia quello che oggi siamo e quello che oggi possiamo. Un
lavoro, la libertà di espressione e di dare il proprio voto e la propria
testimonianza in tribunale, la possibilità di studiare, di scegliere se avere
una famiglia o una vita diversa. Tutto questo, solo un secolo e mezzo fa, non
era possibile per una donna. Il padre la consegnava a un marito, o a un
monastero, e la sua esistenza seguiva un copione di cui non era l’autrice.
Qualcosa iniziò a cambiare a metà dell’Ottocento,
nel 1848, quando in Inghilterra, in
occasione di un grande congresso contro la schiavitù, arrivarono delle
attiviste donne americane, con grande sorpresa di tutti. Non fu loro permesso
di parlare, solo di origliare in silenzio dietro una tenda. Tuttavia ormai
qualcosa si era rotto per sempre, e il processo fu inarrestabile. Donne e
schiavi fecero fronte comune in America, e focolai di libertà si accesero in
tutto l’Occidente. Le donne chiedevano il diritto allo studio, al lavoro, il
diritto di voto. L’Inghilterra era all’avanguardia nella lotta e fu una
casalinga, Emmeline Pankhurst, una donna come molte altre, tenuta tra le mura
domestiche senza ulteriori pretese, a fondare la nuova associazione chiamata
delle “suffragette”, proprio perché aveva come prima ragione di rimostranza il
suffragio universale. Il
voto fu concesso alle donne via via in molti Paesi lungo tutto il Novecento,
fino ai giorni nostri. In Inghilterra nel 1918, in Arabia Saudita solo nel 2015.
Quel che resta da fare
Ma se in Occidente la rivoluzione delle donne fu più visibile, la prima martire del movimento fu la poetessa iraniana Tahirih strozzata con il suo stesso velo nel 1852, per la smania di istruirsi e di studiare. Più avanti, tra i nomi di donne coraggiose che spesero la vita per la causa, troviamo Rosa Luxemburg, fucilata in Germania quando la lotta femminista si unì a quella operaia, nel 1919.
Venendo poi a tempi più vicini, gli anni ’70 inaugurarono la seconda grande ondata del femminismo: l’interruzione della gravidanza e il diritto a un amore più libero, la pari retribuzione, il diritto ad un uguale trattamento di istruzione sono stati i punti principali di rivendicazione. E intanto le donne salivano anche a cariche da capi di Stato e di governo in Argentina, in Inghilterra e in altri Paesi, dopo che, negli anni ’60, lo Sri Lanka con Sirimavo Bandaranaike, l’India con Indira Gandhi, Israele con Golda Meier avevano aperto la strada. E oggi? Negli anni ’90 è iniziata la terza ondata di lotta per la parità: la libertà individuale e il diritto a vivere apertamente l’omosessualità sono i nuovi obiettivi da centrare.
Dall’Ottocento, molto è stato fatto, ma ancora in vari angoli del globo le donne sono date in spose da bambine, in altri vengono mutilate, o non possono accedere a molte professioni oppure essere pagate quanto un uomo. E per loro la scelta è ancora, sempre, la stessa: piegarsi sotto quello che il tempo, la tradizione e il costume ha fatto legge, oppure affrontare la paura: prendere nelle proprie mani i confini tracciati non da loro e allargare lo spazio del respiro. Perché la storia si ripete, e ogni volta che il mondo si fa più libero, qualcuno ha acceso la luce dov’era buio.
Giulia Calligaro (Io Donna) a
proposito del graphic novel Donne senza paura (edizioni
TRE60) delle due autrici norvegesi Marta Breen e Jenny Jordhal, già note per i
loro libri sul femminismo.