Un simile successo durato quindici secoli si spiega con i meriti letterari e spirituali di quella storia di un'anima che è la Penitenza di Pelagia Ispirato da un diverso fatto edificante, uno scrittore sconosciuto, ma alimentato dalla spiritualità del deserto, ha saputo mostrare l'onnipotenza della grazia e della penitenza in una riflessione morale tanto viva quanto un romanzo e tanto piena di significati quanto le massime degli antichi solitari: grazie al servo di Dio, Nonno, questo vescovo che prova per lei una specie di colpo di fulmine e al quale lei risponde con la stessa passione, la serva di Satana P sfugge per mezzo del battesimo all'influenza del suo primo maestro e cambia nome, condotta, luogo, abbigliamento e quasi sesso per meglio unirsi a Gesù Cristo.
Da Gerusalemme a Parigi
Il turista che visita ai giorni nostri il monte degli Olivi, se arriva a farsi aprire quella che le guide chiamano la "Grotta di P" (occorreva già molta diplomazia nel XV secolo), corre il rischio di rimanere deluso dalle sue due polverose sale, e gli occorrerà un certo sforzo per porsi nella disposi
zione d'animo dei pellegrini cristiani, ebrei e musulmani che nel corso dei secoli sono giunti fino a qui per adorare la tomba di Rabia elAdawiyah (una omonima della celebre mistica di Basra), quella della profetessa I lulda, evocata nei Libri dei Re, e infine la cella in cui Pelagia ha condotto un'austera vita da reclusa. I loro racconti pullulano di particolari pittoreschi, ad esempio per quanto riguarda i riti di penitenza; qui ricorderemo solamente che essi sono i primi ad attestare il culto e l'esistenza stessa di Pelagia (Antonino di Piacenza visita la sua cella già negli anni intorno al 560), e che essi associano strettamente la nostra santa alle vestigia evangeliche. Sola tra tutti gli asceti che hanno popolato la santa montagna, Pelagia è sopravvissuta ai secoli, all'ombra del suo Signore.
Quel medesimo viaggiatore, recandosi a Parigi nel quartiere di S. Vittore:, avrà ancora maggior difficoltà a immaginare la prigione di S. Pelagia, rasa al suolo nel 1898. Tutta la letteratura francese del XIX secolo parla di questa prigione che ha ospitato successivamente controrivoluzionari, debitori insolventi e oppositori del Secondo Impero. L'edificio era stato costruito nel XVII secolo, su istigazione di quella "madre della Chiesa" che fu Madame de Miramion. Questo purgatorio dei costumi, come si diceva, accoglieva sia fanciulle e donne che vi erano condotte a forza, in virtù di lettere reali munite di sigillo, sia libere pensionanti venute a chiedere asilo, chiamate "fànciulla di buona volontà". Gli uffici e le letture durante i pasti del giorno dovevano insegnar loro tutto sulla vita e i meriti della patrona, per contro troppo poco conosciuta dal gran pubblico se dobbiamo credere a questi versi zoppicanti con i quali il cittadino Lafisse, medico, alleviava i suoi ozi fiutati sotto il Terrore: "Voi chiedete perché questa casa/ Di tale santa ha ricevuto il nome;/ Ma su questo caso né leggenda o Vulgata/ Dicono niente. Si crede che la Beata,/ Secondo il senso del greco e del latino,/ Ebbe dei rapporti, seguì le stesse tracce/ con Cipri, che, un bel mattino,/ Dal seno del mare nacque con le Grazie".
Curiosamente, questa intuizione faceta di un uomo che doveva aver fatto buoni studi umanistici sarà più tardi ripresa dalla biologia tedesca, con grande abbondanza di erudizione. Ma prima di discutere l'origine di Pelagia, rileggiamo dopo tante altre cose la sua Leggenda, cioè, in senso proprio, il testo che veniva letto il giorno della sua Festa, l'8 ottobre.
Il vescovo e la peccatrice
La Penitenza di Pelagia, così come la possiamo ricostruire dai manoscritti greci e dalle traduzioni, è un racconto edificante ma assai ben condotto, una specie di resto teatrale (niente di sorprendente trattandosi di un'attrice) la cui azione si svolge dapprima ad Antiochia, terza città dell'Impero romano celebre per la sua ricchezza, i suoi divertimenti e i suoi studenti, per spostarsi in seguito nella città santa di Gerusalemme, sul monte degli Olivi.
Una strana relazione si stabilisce tra i due protagonisti, una donna di cattivi costumi e un asceta. Pelagia è un'attrice di mimo, giovane, ricca e bella, che sembra avere rutto ciò che si può desiderare: oro, gioielli, perle (da cui il suo nome d'arte: Margherita, cioè "la Perla"), schiavi, ancelle, amanti in gran numero. Nata da una famiglia cristiana, e dunque teoricamente catecumeni, non mette mai piede in chiesa. Il vescovo Nonno è una figura completamente diversa: dapprima monaco nell'ordine di Tabennesi, la comunità fondata da Pacomio, occupa ora il seggio di Eliopoli (Baalbek), una roccaforte del paganesimo che egli ha appena convertito alla religione di Cristo.
Lacrime e penitenze
Il racconto avviene per bocca d'un personaggio secondario, il diacono Giacomo, che parla in prima persona da testimone oculare. Questo spontaneo confidente, rivelatore inconsapevole del mistero, è introdotto allo scopo di conferire vivacità e autenticità alla storia.
Alcuni vescovi, riuniti ad Antiochia per un concilio, sono seduti davanti alla cappella dedicata al martire S. Giuliano; ascoltano Nonno predicare, quand'ecco passare Pelagia, superba, impudica, circondata dal corteo dei suoi "fans". Tutti, sconvolti, distolgono gli occhi, tranne Nonno che la segue con lo sguardo e scoppia in lacrime. Ha avuto un colpo di fulmine per Pelagia, sedotto non dalla sua bellezza carnale, ma dallo zelo che essa impiega nel servire Satana: zelo che umilia la lentezza con la quale egli progredisce nella via del Signore. Scosso nel profondo del suo essere, si ritira nella sua cella e trascorre una notte di mortificazione e di penitenza. Il Signore, che è il vero conduttore dell'azione, gli invia allora un sogno, una premonizione accurata di ciò che sta per accadere. Nonno si confida, enigmaticamente, col diacono Giacomo.
Quello stesso giorno, era domenica, la provvidenza fa sì che il vescovo di Antiochia scelga Nonno per commentare il Vangelo nella Grande Chiesa, e che Pelagia vi entri proprio in quel momento. A sua volta è come colpita dal fulmine, e "versa un torrente di lacrime che non c'era modo alcuno di raffrenare". I ia conclusione logica di questa conversione improvvisa e totale è il battesimo che Pelagia finalmente riceverà, ma dopo diverse prove. Avviene così che Nonno non voglia ammetterla al sacramento a meno che essa non presenti un garante (la disciplina della. Chiesa antica lo richiedeva nel caso di una prostituta). La frustrazione di Pelagia è tale che essa non esita a incolpare Nonno di tutto ciò che potrebbe accaderle se dovesse ricadere nel mondo del peccato. L'intervento del vescovo di Antiochia consente di dirimere la questione: una diaconessa, Donna Romana, sarà madre spirituale per l'attrice di un tempo die, grazie al battesimo, può ora ritrovare la propria innocenza e il suo vero nome.
La fuga dal mondo
Comincia allora un periodo di tre anni che conduce Pelagia dal servizio integrale di Satana a una devozione non meno totale a Dio. Prima tappa: una triplice offensiva del diavolo, manifestamente ispirata al racconto evangelico della Tentazione. Pelagia mette in fuga l'antico padrone e, distribuendo i suoi hun i ai poveri e affrancando gli schiavi, abbandona tutte le ricchezze e tutti i lussi che aveva potuto ottenere tramite il peccato. Al posto di vesti lussuose, indossa ora la tunica e il cilicio che Nonno le dona, e scompare nella notte, con grande disperazione di Donna Romana, che teme il peggio.
Stessa ingenua incomprensione da parte di Giacomo quando va in pellegrinaggio a Gerusalemme e, su consiglio di Nonno, si reca a visitare il santo eremita Pelagio, murato in una cella sul monte degli Olivi. Non riconosce in questo eremita emaciato colei che fu la perla di Antiochia, e occorrono la morte di P e la vestizione funebre perché la verità possa farsi strada: sudo il mondo è stupefatto, non si può nascondere questo esempio di virtù femminile, e un pietoso corteo di asceti di entrambi i sessi conduce P all'ultima dimora.
Questo breve racconto, redatto dapprima in greco, conosce una diffusione straordinaria testimoniata ancora oggi dalle centinaia di copie manoscritte in quasi tutte le lingue dell'Oriente cristiano e dell'Occidente medievale, delle quali la più antica, una raccolta di Vite di sante donne in Siria co, risale proprio all'inizio dell'VIII secolo. La Penitenza è stata tradotta in arabo, georgiano, armeno e anche in slavo; solo l'Egitto e l'Etiopia sembrano essere sfuggiti à suo fascino.
In Occidente ne sono state fatte, senza dubbio in Italia, due traduzioni latine letterali. Una non ha mai lasciato la città di Lucca, dove è stata copiata tre volte nel corso del XII secolo, ma l'altra ha goduto di un successo fuori dal comune. Anche quest'ultima ha finito con lo scomparire quasi completamente, e non sopravvive che in un manoscritto piuttosto tardo; ma a partire dall'epoca carolingia, essa era stata per due volte oggetto di una riscrittura destinata a renderla più accessibile al pubblico del tempo. Questi due racconti, attestati uno da 29 testimoni e l'altro da 1 23, si sono a loro volta mescolati, dando origine a 29 manoscritti misti, e costituiscono la fonte delle traduzioni integrali del racconto in tedesco, olandese, italiano e portoghese.
In altri ambienti culturali hanno prevalso i compendi. Il primo di tutti, la versione in antico inglese dell' Ofri English Martyrology (IX secolo), è contemporaneo del vigoroso affermarsi di una letteratura nazionale nei regni anglosassoni. I due più celebri e diffusi sono forse la Metafrase (cioè la riscrittura) composta alla fine del X secolo da
Simeone il Logoteta, che trasforma la narrazione originale in un elogio retorico, e la Legni& aurea del Domenicano Jacopo da Varagine, terminata verso il 1263, e diffusa in tutte le lingue nell'intera Europa, sorta di miniera inesauribile di esempio a uso dei predicatori: P è qui diventata "tema da predicare" la penitenza.
Si comprende allora come il racconto abbia subito, nel corso degli anni, importanti modifiche. Molti particolari archeologici e liturgici sono scomparsi; i personaggi originari, con i quali il lettore o l'ascoltatore hanno tendenza a identificarsi, vengono ricacciati nell'ombra: il diacono Giacomo, per esempio, da autore e narratore che era, diventa un semplice attore che qualche volta non appare altro che nella scena finale. ll rapporto che unisce il servo di l )io alla serva di Satana non sempre viene compreso: si cerca di edulcorare o di giustificare piattamente la reazione di Nonno al passaggio di Pelagia ll dramma spirituale cede il posto al banale resoconto della conversione di una peccatrice come tante altre, e l'economia del racconto ne risulta talvolta sensibilmente modificata: un compendio in antico francese sopprime tutta la seconda parte della storia; una volta che la conversione sia compiuta e sia stata sanzionata dal battesimo, il resto non ha più la minima importanza.
Una Santa in perdita di quota
Pelagia non ha avuto la fortuna, al pari di Maria Egiziaca, d'ispirare un Rutebeuf o un Valori, ma alcune opere, come la traduzione italiana dovuta al Domenicano pisano Domenico Cavalca (inizio del XIV secolo) o anche il ricercato poema del canonico di Reims Flodoardo (X secolo) nel suo De triumphis Christi Antiociiae gestif, avevano una notevole consistenza letteraria.
In epoca moderna, anche se l'attività di traduzione e di adattamento si mantengono fino all'Illuminismo, la quantità e soprattutto la qualità diminuiscono pericolosamente. Segnaleremo appena quella "vulgata" francese che è la traduzione di Robert A rnaold d'Andilly, fratello del Grande Arnatild, nelle sue Vite dei santi padri del deserto e di alcune sante (Parigi 1647). È a seguito di essa che Madame de Miramion dà il nome di santa l). alla sua casa per donne pentite, ed è sempre lei a ispirare Philippe de Champagne che con stile troppo ricercato scrive, per il convento di Val de Grace, alcuni episodi della vita di quattro eremite, Maria Penitente, litide, Maria Egiziaca e Pelagia.
Di regola, si trova comunque maggiore originalità e spontaneità negli artisti piuttosto che nei letterati, e la presenza di reliquie stimola per esempio la fantasia degli scultori a Jonarre (reliquiario di Pelagia, in cui la commediante viene contrapposta all'eremita), a Mont SaintJean in Borgogna (statua dell'attrice còlta dalla compunzione) e nelle Fiandre, dove immagini di Pelagia in lacrime adornano i confessionali a significare il pentimento del peccatore. Nel XIX secolo infine, la figura della nostra santa, quasi caduta nell'oblio, conosce un mutamento che l'elegante q uad ro di Hippolyte Hand ri n simboleggia: la cortigiana è diventata un'attrice quasi rispettabile ed è a questa patrona dei commedianti che, sul finire della vita, nel 1956, Gaby Morlay consacra una biografia, l'ultima apparsa fino a oggi, in cui l'autore non nasconde la simpatia e il favore per "colei che ha dato lustro alla nostra professione".
Poesia e verità
Di fronte a questo rigoglio di una leggenda tanto fluida e per così dire viva, è giusto chiedersi se essa poggi su fatti reali. Non è difficile trovarle un precedente, proprio ad Antiochia, ed è possibile che 'agiografo se ne sia servito, proprio come deve aver derivato il nome di Pelagia da una martire della stessa città, una giovane che alla fine del IV secolo aveva posto fine ai suoi giorni per sfuggire alle soldatesche. Si tratta di un personaggio storico, celebrato da Eusebio di Fnesa e da S. Ambrogio. S. Giovanni Crisostomo ha pronunciato su di lei un'omelia che si ritrova talvolta nei manoscritti agiografici, nei quali sostituisce la Vita. Un'altra P, martire a l'arso, si rivela facilmente una finzione letteraria: esiste solo attraverso la sua Leggenda, molto romanzata, che d'altronde non ha goduto di grande diffusione. In fatto di popolarità, nessuna delle omonime può rivaleggiare con l'attrice convertita.
La storia di quest'anima peccatrice non è per nulla atemporale; al contrario, essa si radica in un contesto culturale ben determinato. Alcuni paralleli con la Vita di S. Simeone Stilita, il grande santo di Antiochia la cui festa apre l'arino liturgie() bizantino, permettono di datare la Vita al V secolo e di collocarne l'autore in ambiente siropalestinese. Certe risonanze erano là particolarmente avvertibili: la popolarità dei mimi nella metropoli orientale, la resistenza del paganesimo a Uopoli convertita a viva forza da Nonno. Quest'ultimo poi può esser stato ispirato da Nonno, vescovo di Qinneirir (Calcide) tra il 475 e il 485.
La Leggenda lascia quasi nell'anonimato questo vigoroso personaggio: una tentazione troppo grande per gli storici come per gli agiografi. La Cronografia di Teofane lo identifica con un vescovo di &lessa che aveva sostituito Ibas nel 450451 prima di succedergli nel 457. Nel X secolo, a Roma, il rovesciamento è completo: la Leggenda di P è diventata la Vita di IppolitoNonno, vescovo di Porto! Entrambe le identificazioni sono di pura fantasia.
Sebbene la Leggenda non possieda niente del resoconto di uno storico, essa è non di meno percorsa da un significato che in tutte le epoche si è cercato di cogliere. Per Simeone Metafrasto (agiografo bizantino del X secolo), essa consacra il trionfo di una donna nella "gara" tra i sessi: "Una virtù femminile che non è da meno in nulla rispetto a quella degli uomini: il racconto è, per tutti, vantaggioso e profittevole".
Per uno storico delle religioni del secolo scorso come Hermann Usener, essa mirava, insieme ad altre Leggende imparentate, ad esempio quelle di Marina, Porfiria o Eufrosine, a cristianizzare il culto di Afrodite, dea del mare (pelagos) e dell'amore. Oggi non si crede più a questi antecedenti mitologici, ma l'idea di collocare P all'interno di una o più famiglie di sante si è imposta con grande naturalezza. Si scopre così che la sua penitenza ha ispirato altre Leggende come quella di Pansemnè, mima ad Antiochia, o quella di Eudocia, attrice di Eliopoli. Alcuni artifici romanzeschi, come l'invio di una lettera per chiedere un incontro o la fuga notturna, appaiono estremamente banali; per contro, il cambiamento di nome e saprai tutto il travestimento da monaco, attestato in una decina di casi, rispondono senza dubbio all'idea espressa nel Vangelo dl Tommaso, ma anche altrettanto bene da trattati ortodossi, che la donna deve finsi uomo per entrare nel Regno dei Cieli, dove l'unità dell'umanità sarà in tal modo ristabilita.
Pelagia è l'esempio tipico di una femminilità esasperata che l'ascesi riconduce all'estremo opposto. La reclusa si è liberata dalle insidie della carne, realizzando così l'ideale dei padri del deserto. Se essa non temesse di rivelare il proprio segreto, potrebbe proclamare con l'anacoreta Sarra: "Di natura, sì, sono donna, ma non di spirito".
"Abbà, di' soltanto una parola, perché io sia salvato"
Naturalmente la Leggenda non ci rimanda all'esperienza vissuta da Pelagia, ma all'universo mentale del suo agiografo, e questo universo è quello del deserto, o piuttosto dei deserti, come si diceva nel XVII secolo, vaste distese desolate che i monaci d'Egitto e del Sinai, di Palestina e di Siria popolavano per trasformarli in città di Dio. Questo mondo è perfettamente evocato dagli Apofiegmi dei Padri, dapprima parole di vita in risposta alla domanda angosciata di un discepolo, poi colloqui e semplici storie utili all'anima. Possiamo percepire dappertutto nella Penitenza di P l'eco di questi detti degli Antichi. La fuga di Pelagia dal mondo? à ciò che Dio ha comandato ad Arsenio: "Fuggi gli uomini, e sarai salvo". Perché la vita da reclusa? "Resta seduto nella tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa'. (Mosè di Scete). Nonno piange sulla bellezza di Pelagia? L'abba Pambo scende ad Alessandria del deserto, vede una scrittrice e scoppia in lacrime: "Due cose mi hanno turbato: la prima, la perdita di costei; la seconda, che io non metta tanto zelo nel piacere a Dio quanto ne impiega costei per piacere a uomini depravati". È inutile moltiplicare i paralleli: Aroma P e la sua Leggenda sono i frutti del deserto.