Cinque anni in meno rispetto al primo grado. Venticinque invece di trenta. Probabilmente avranno giocato un ruolo le attenuanti generiche, che i giudici d’appello avranno considerato prevalenti rispetto alle aggravanti, mentre i colleghi del primo grado le considerato “equivalenti”.
Ma per capire meglio su questo “sconto” di pena bisognerà attendere le motivazioni della sentenza di secondo grado che ieri ha condannato a venticinque anni di carcere il manovale 41enne Roberto Cannistrà, fino a questo momento unico imputato per l’omicidio di Eufemia Biviano, la 62enne uccisa la sera del 24 dicembre 2011, nella propria abitazione, a Quattropani, a scopo di rapina.
Nella tarda mattinata di ieri s’è concluso infatti a Messina il processo davanti alla Corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Antonio Brigandì. La sentenza si discosta solo parzialmente dalle richieste dell’accusa, il sostituto Pg Enza Napoli, che nel febbraio scorso aveva invece richiesto la conferma dei trent’anni infitti in primo grado.
Adesso non rimane che il passaggio in Cassazione per chiudere la prima pagina giudiziaria di questa brutta storia. E proprio nel terzo grado di giudizio ripongono parecchie speranze i difensori di Cannistrà, gli avvocati Gaetano Orto e Luca Frontino, che all’udienza del 27 gennaio scorso posero una questione secondo loro decisiva per annullare tutto, ovvero una condanna irrogata per un fatto diverso da quello previsto nel capo d’imputazione iniziale, che era l’omicidio colposo. Ma il processo è andato poi regolarmente avanti fino alla sentenza di ieri. In questa vicenda è stato comunque fondamentale l’andamento del dibattimento in primo grado, che in pratica ha fatto scoprire una verità se non diversa almeno parallela a quanto è stato prospettato inizialmente, rispecchiata fedelmente nelle motivazioni stese dal presidente della Corte d’assise Nunzio Trovato. In sostanza Cannistrà non sarebbe stato solo quel giorno a Quattropani, e molto probabilmente non sarebbe stato lui ad agire per primo sulla povera vittima, i cui familiari si sono costituiti parte civile nel procedimento e sono rappresentati dall’avvocato Vincenzo Terenzio, di Palermo.