di Salvatore Parlagreco -
Francesco Messineo non ha avuto mai vita facile a Palermo. Il capo della Procura ha collezionato successi sul fronte antimafia, ma è come se di essi si fosse persa la memoria. C’è stata una stagione “gloriosa” con capi e sottocapi di Cosa nostra assicurati alla giustizia, ma non è mai bastato al Procuratore per alzare la testa anche nelle giornate trionfali. Per quale ragione?
Il cognato, un imprenditore irrequieto, per fare un solo esempio, lo ha tenuto in cronaca dalla parte sbagliata. Nei titoli, infatti, invece che l’imputato, con nome e cognome, si trovata “il cognato del Procuratore”. Il cognato di Messineo fa notizia, l’imprenditore in odore di mafia, invece è solo un caso come tanti. Una piccola infamia che i giornali consumano senza averne coscienza. Ordinaria amministrazione tutto sommato, fino a che non è arrivato il count down per l’incarico di Procuratore generale e, di conseguenza, di Procuratore Capo. Al primo aspirava Francesco Messineo, al secondo il Procuratore Capo di Caltanissetta, Sergio Lari (cursus honorum nisseno , mitica la sua indagine che scagiona gli ergastolani, condannati per la strage di Borsellino e la scorta).
Due candidati titolari, dunque, che avrebbero potuto, almeno quanto gli altri, ottenere la nomina. Invece sono inciampati entrambi sul caso Maiolini, ex direttore generale di Banca Nuova e oggi presidente dell’Irfis, rinviato a giudizio per usura bancaria. Un pezzo da novanta, tenuto in gran conto dalla politica, invidiato, forse temuto e odiato, come tutti coloro che salgono i gradini del successo e non si guardano dietro durante l’ascesa.
Il caso Maiolini è rotolato sui piedi di Messineo alla vigilia della nomina, quando Antonio Ingroia, dopo sei mesi di riflessione prima di partire per il Guatemala, ha passato le carte alla Procura di Palermo e, da qui, alla Procura di Caltanissetta, cioè a Sergio Lari. Carte insidiose: una conversazione telefonica fra Messineo e Maiolini, durante la quale ci sarebbero cenni su una indagine a carico di Maiolini per usura.
Il fascicolo non avrebbe certo potuto essere esaminato da Messineo o qualcuno dei suoi per ovvie ragioni. Così, com’era facilmente prevedibile, è arrivato sul tavolo di Lari, in predicato per il ruolo di Procuratore capo a Palermo. Il fascicolo di Ingroia così è rotolato anche sui piedi di Lari. Una carambola.Se si fosse giocato a bocce, tiro da maestro: con un colpo solo due biglie, Messineo e Lari.
Il Procuratore di Palermo ha spiegato, laconicamente, le sue ragioni, ha respinto le accuse e confutato i sospetti mantenendo, come di consueto un profilo basso, e Lari ha fatto outing, facendo sapere che lui dell’indagine non avrebbe potuto occuparsi perché ha un rapporto di amicizia con Francesco Maiolini. Saranno le toghe catanesi a indagare.
Facciamo una parentesi, a questo punto. Due settimane fa uno dei settimanali più letti, Panorama, gruppo Mondadori-Fininvest, arriva in edicola con un reportage dedicato a Francesco Maiolini. Il reportage spiazza tutti, meno i “muffuti”, ruminanti di lungo corso che, per indole, vedono ovunque complotti, congiure, trappole e malacreanze coma causa o concausa di ogni evento, anche il più risibile.
L’ex manager di Banca Nuova si è guadagnato i buoni uffici di quasi tutte le parti politiche, ma è nel centrodestra che si muove più agevolmente, nonostante la recente promozione ricevuta da Raffaele Lombardo (presidenza dell’Irfis).
Il reportage disegna Maiolini come un generoso distributore di favori a destra e a manca, soprattutto fra le toghe dei Palazzo di Giustizia, elencando alcuni congiunti di magistrati assunti da Banca Nuova. Il suo volto è in copertina, una cosa inaudita. Maiolini è così costretto a correre ai ripari. Ed affida ad un quotidiano on line palermitano, a lui vicino, un’appassionata difesa della sua attività: i successi, le intenzioni, gli obiettivi. Tutto. “Ho assunto persone per bene, non mafiosi. Di che cosa mi accusate?”, dichiara.
Il mistero del fuoco amico, tuttavia, è fitto. Perché Mondadori, Fininvest, l’area berlusconiana, ha mirato al bersaglio Maiolini? E’stata vicina all’ex direttore generale di Banca Nuova. L’istituto di credito ha conosciuto un’ascesa inarrestabile grazie anche alla benevolenza, legittima, di alcuni big berlusconiani, come il presidente dell’Assemblea, Francesco Cascio. E’ durante la sua permanenza alla testa del Parlamento regionale che cade infatti il fortilizio più munito del Banco di Sicilia, oggi Unicredit, quando l’agenzia di Palazzo dei Normanni passa di mano, finendo a Banca Nuova.
Per spiegare quel che è accaduto i malpensanti sospettano che Panorama abbia parlato a nuora perché suocera ascolti. Nel mirino non ci sarebbe affatto Maiolini, “usato” senza ritegno, ma i due magistrati, Messineo e Lari.
La carambola, dunque, è stata confezionata “altrove”? Dove?
Troppo complicato. Nelle indagini classiche, ed è meglio non allontanarsi dalle consuetudini canoniche, si cerca il movente per arrivare all’autore dei misfatto. Messineo e Lari sono fuori gioco entrambi grazie alla carambola, ed al loro posto arriveranno altri magistrati in ruoli chiave dell’amministrazione giudiziaria siciliana.
Chi?
Si fanno pochi nomi, che non sarebbe giusto in questo contesto indicare, per evitare indebiti accostamenti.
Una ipotesi di qualche rilevanza può essere formulata, “a latere” di ciò che finora abbiamo scritto. Per azzardarla occorre tenere in conto le due anime della giustizia palermitana, rappresentate, semplificando banalmente, dall’ala ingroiana – quella che ha perorato la causa delle intercettazioni sula trattativa Mafia-Stato, chiamando in causa anche il presidente della Repubblica, e l’area moderata, garantista, che non tiene mai la spada nel fodero, per citare l’espressione di un alto magistrato in occasionedell’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Da una parte i magistrati che hanno una missione da svolgere, e tutte le strade sono buone per raggiungere il risultato, e gli altri, che si affidano alla verità processuale e preferiscono non uscire dal seminato. La politica da una parte, la magistratura dall’altra.
Non è che le cose stiano così nella realtà, ma le tendenze sono queste, non altre. E vanno capite per esplorare il contesto.
Messineo ha cercato di guadagnare la centralità fra le due anime senza riuscirci. Lari, a Caltanissetta, avrebbe voluto restare fuori dalle controversie palermitane. Anche per lui fatica sprecata. E’ stato sfiorato dal caso Maiolini. Il suo pregevole lavoro sulla strage Borsellino è una cedola assicurativa.
Il Palazzo di giustizia di Palermo, però, è tornato “palazzo dei veleni”, come negli anni Novanta, quando imperversavano i corvi e le lettere anonime e la guerra fra toghe seminava panico. La prima commissione del Consiglio superiore della magistratura, che si occupa dei trasferimenti per incompatibilita’ ambientale i giudici e Pm, ha aperto un fascicolo sul Procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, indagato a Caltanissetta per violazione di segreto istruttorio.
Le prossime “mosse” ci aiuteranno a capire. Sarà oltremodo istruttivo.