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domenica 27 gennaio 2013

IL RIGORE DI CROCETTA PROVOCA PROTESTE E RAMMARICO. FORMAZIONE E TERRITORIO. TRASFERIMENTI, NON DEPORTAZIONI. MA…

Non sono deportazioni, sono trasferimenti da un assessorato all’altro, all’interno dell’amministrazione regionale e nella stessa città. Eppure sono apparse liste di proscrizione. Non deve meravigliarci se l’emigrazione di una novantina di dipendenti decisa dal  Presidente della Regione, Rosario Crocetta, abbia provocato uno sconquasso e si stata raccontata dai media come il diluvio universale. Mancavano i precedenti, è prevalsa l’eccezionalità. Non solo per via del provvedimento, massiccio, adottato nel’assessorato alla formazione professionale, e in misura minore, al’assessorato al territorio, quanto per il fatto che la decisione è stata assunta senza la concertazione con il sindacato.
In più, molti “trasferiti” si sono sentiti trattati a pesci in faccia, puniti senza colpa. Fare di tutta l’erba un fascio non è un a buona cosa ed il trasferimento, in considerazione della cattiva immagine che ha la formazione in Sicilia, è stata vissuta da chi ha fatto il suo dovere come una ingiustizia.
I provvedimenti, infine, hanno richiesto la rinuncia alle professionalità acquisite ed alle esperienze accumulate. Un know how prezioso. E’ stato pagato un costo, dunque, impossibile nasconderlo.
Quali alternative aveva, tuttavia, il governo per cambiare le cose radicalmente se non quella di adottare un provvedimento urbi et orbi? Nessuno, perché sarebbe stato impossibile “colpire” i singoli senza una istruttoria che ne avesse accertato carenze professionali, una inidoneità allo svolgimento delle funzioni affidate o,  addirittura, responsabilità amministrative.
Se sono comprensibili il rammarico di parte del personale e di alcuni dirigenti, e la protesta del sindacato, “scavalcato” dal governo, sono comprensibili in egual modo le ragioni dell’amministrazione che aveva bisogno di aprire balconi e finestre e fare entrare aria fresca senza condurre alcuno sul banco degli imputati.
Il mondo della formazione è troppo chiacchierato per una serie molteplice dei motivi, prima di  tutto per la modestia dei risultati raggiunti e l’alto costo degli investimenti, ma anche per la clientelizzazione del settore, divenuto una dependance degli apparati politici. Anche su questi punti, tuttavia, si dovrebbe evitare di sparare nel mucchio. Non tutto è da buttar via.
Al governo ora spetta il compito più severo, salvare e valorizzare le eccellenze e le buone pratiche. Il giudizio, alla fine, verrà dai risultati, non da altro quando l’onda emotiva del rigore si sarà adagiata sul bagnasciuga. In passato è capitato che, alla fine prevalesse il “levati tu che mi ci metto io”. Sospettarlo, oggi, sarebbe solo un espediente per mettersi di traverso per lasciare le cose come stanno.
Chi decide provvedimenti drastici se ne assume piena la responsabilità. L’audacia merita fiducia. Fino a prova contraria.

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