Due pagine
del Corriere della Sera in due giorni, siglate da due importanti firme del
giornalismo italiano, ripropongono l’attualità di un enigma che grava sulla
nostra comunità dal 2007, ovvero da quando la magistratura ha chiuso
definitivamente le cave di pomice: quale futuro per l’area che va dalle spiagge
bianche a Porticello, e ancora oltre fino ad Acquacalda?
Sono passati
quattordici anni. Qualche timido tentativo di fare ordine tra le carte,
un’iniziativa avviata in sinergia con il Politecnico di Milano ma rapidamente
lasciata a livello di esplorazione preliminare, poi il nulla. Anzi, no,
addirittura lo smantellamento degli impianti dell’ex-cava.
In un Paese
che sembra affetto da cronica indifferenza, c’è da chiedersi se a qualcuno
interessi ancora comprendere quale sarà il destino di una porzione importante
del nostro territorio, che rappresenta una significativa parte della sua
storia, ma soprattutto costituisce un potenziale straordinario, unico e
irripetibile per arricchire la nostra offerta turistica.
L’amministrazione
comunale tace, come se la questione non la riguardasse. Ma questo, per la
verità, non sorprende, ci abbiamo fatto l’abitudine.
Il consiglio
comunale, quello dei dibattiti infuocati sullo straniero che si era impadronito
delle cave di caolino, quello che ne reclamava l’esproprio, è afflitto da
improvviso mutismo; durante gli ultimi quattro anni, nemmeno un ordine del
giorno, se non per esprimere un’idea o una proposta, almeno per interrogarsi
sullo stato dell’arte.
La
Soprintendenza di Messina, cui compete la tutela i Beni Culturali e Ambientali
e il rispetto delle previsioni del Piano Paesistico, nonostante recenti
sollecitazioni non è pervenuta; sarà forse impegnata altrove, o non si è
accorta che edifici e strutture minerarie appartengono alla prima delle
summenzionate categorie delle quali dovrebbe occuparsi.
Il governo
regionale, e – va da sé – quello nazionale, probabilmente non sanno nemmeno che
esistano, le nostre cave di pomice. Del resto, chi gliene ha mai parlato, o ha
mai bussato alla porta di un ministero per proporre un possibile progetto?
Persino la
Fondazione Patrimonio UNESCO Sicilia tace. Eppure il suo promotore, riprendendo
una chiara indicazione fornita dall’UNESCO fin dall’ingresso delle Eolie nella
World Heritage List, ha previsto nel Piano di Gestione che l’area debba essere
riconvertita in un Parco Geo-minerario. Ma come lo faremo questo parco se nel
frattempo, complice il silenzio perdurante che avvolge questa triste storia,
stanno smantellando ciò che resta delle cave?
In questo
panorama dominato da un’afonia evidentemente contagiosa, per fortuna sono
rimasti i giornalisti. Almeno leggiamo qualcosa, fa bene alla memoria.
Pietro Lo
Cascio