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giovedì 3 giugno 2021

Eolie come Falun: la pietra di Lipari prenda a modello il rame di Svezia (di GIOVANNI PUGLISI, presidente emerito Unesco Italia)


Unesco Italia attraverso il presidente emerito Giovanni Puglisi, interviene dopo Federculture e Museimpresa, sull’articolo di Gian Antonio Stella sul «Corriere»


(corriere.it ) Le Eolie, Lipari, come Falun. È stata immediatamente l’idea che mi ha attraversato la mente leggendo prima la narrazione geo-letteraria di Gian Antonio Stella e poi le lucide proposte di Antonio Calabrò e Andrea Cancellato, di restituire a Lipari, al suo vulcano e alla sua tradizione di culla della pomice e dell’ossidiana, la dignità di luogo della memoria, ma soprattutto di luogo della dignità del lavoro.

In un momento della nostra vita quotidiana nel quale siamo assaliti da comunicazioni «usa e getta» che bruciano sull’altare della banalità del turismo culturale di massa — oggi forse in nome di un auspicato recupero di vitalità economica — non ci accorgiamo di quanto sarebbe facile e redditivo trasformare luoghi e ricchezze naturali, ma soprattutto tradizioni artigianali e manuali, in parte scomparse, in parte dimenticate, in realtà solide, vive e redditive. Sarebbe proprio il caso della tradizione estrattiva dei «tesori di pietra», le cave di pomice di Lipari.


L’Unesco sarebbe di sicuro attenta e pronta a riconoscere — in aggiunta al patrimonio naturale della montagna bianca, già nelle sue liste — e dare senso e valore alla tradizione estrattiva, che per secoli ha segnato l’economia di quelle isole e la storia di molti tesori monumentali italiani e non solo. L’Unesco ha già fatto qualcosa di simile nel 2001, in Svezia, a Falun, nella centrale Contea di Dalama, iscrivendo, tra i suoi patrimoni, la dismessa miniera di rame, dalla quale, fin dall’XI secolo, si estraevano più dei due terzi del rame che serviva al mondo allora conosciuto, inglese in particolare, per forgiare preziosi oggetti, con un’anima di rame e una lamina esteriore d’argento, i quali, ancor oggi, rappresentano un segmento pregiato della bigiotteria internazionale, conosciuti con il nome della città inglese dove venivano confezionati, Sheffield.

Chiusa la miniera, lo Stato e la Contea svedese di riferimento hanno trasformato la vecchia miniera in un Museo dove la storia, la memoria e la concretezza dell’attualizzazione dei processi produttivi, dalle modalità di estrazione all’arte del trasporto in superfice, a quella della lavorazione della pietra grezza, prima della vendita, sono diventate un’eccezionale scuola della memoria, non solo della manualità dei processi lavorativi, ma anche della dignità della persona e della nobiltà del lavoro soprattutto se usurante. Una vera arte: esattamente quello che richiedono, insieme all’unicità del materiale estratto, le condizioni dell’Unesco per riconoscere il luogo, ma soprattutto l’arte di estrazione e lavorazione della pomice, come patrimonio immateriale dell’Umanità.

Falun, centro di meno di 40 mila abitanti nella sterminata Svezia, oggi è diventato polo di attrazione culturale e turistica: quel turismo culturale dove la cultura è il soggetto e il turismo è il complemento oggetto. Ma dove entrambi costituiscono un binomio indissolubile, in Italia, direi, un assioma.

Le Eolie sono già patrimonio materiale dell’Unesco per la loro ricchezza geologica e l’impareggiabile bellezza naturale, la gente che li abita da secoli e la loro arte dell’estrazione della pomice sono l’altra ricchezza, che insieme, foscolianamente, fanno «bella e santa la terra che li ricetta» e meritano pertanto l’altra faccia del riconoscimento Unesco, quello immateriale. Non occorre molto, occorrono certamente visione politica, memoria storica, coscienza culturale: per la mia ventennale esperienza all’Unesco non sarà facile, ma neppure impossibile. Spetta alla Regione Sicilia il primo passo, son sicuro che altri seguiranno, Fondazioni, imprenditori, università, società civile. Forse riusciremmo a stupire anche Curzio Malaparte.

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