Caro
Direttore,
La scorsa
settimana, nel sunto delle cause che portarono l’Europa al primo conflitto
mondiale, ho fatto cenno (nelle conclusioni), sulla posizione assunta dalla
nostra nazione all’indomani del 28 Luglio 1914 (scoppio della prima guerra mondiale).
L’Italia in un
primo momento, scelse per una serie di motivazione la neutralità, e la più
importante di queste era sicuramente costituita dall’inadeguatezza del nostro
apparato militare, rispetto alle nazioni della “Triplice Alleanza” al quale ci vincolava l’accordo siglato con la
Germania e l’Austria il 20 maggio 1882.
L’Esperienza
del conflitto Italo Turco del 1911, aveva messo a nudo i punti deboli del
nostro esercito e il forte divario in termini di mezzi ed uomini. Anche
tatticamente la strategia adottata dai nostri comandi, era al quanto arretrata
e si ispirava soprattutto alle precedenti esperienze delle battaglie
garibaldine e risorgimentali.
La paura, per
il Re e per il Primo Ministro Salandra, era soprattutto quella che l’Italia
venisse trattata nelle future spartizioni territoriali come uno stato minore e
perciò di dovere rinunziare definitivamente al riscatto delle terre irredente (
Trentino – Trieste – Gorizia – Istria –
Dalmazia).
Nei mesi che
precedettero il conflitto, la nazione si dividerà principalmente in due
schieramenti: Non Interventisti o neutralisti, ovvero coloro i
quali erano contrari ad un’entrata in guerra sia a favore di una o dell’altra
parte ed Interventisti, che
speravano fervidamente in un’entrata in guerra da parte dell’Italia a fianco
delle Nazioni Alleate.
Gran parte del
governo italiano a partire da Giovanni
Giolitti (ex presidente del Consiglio dei ministri ed artefice del
conflitto Italo-Turco), si era schierata sul fronte neutralista, teoria questa,
sposata anche in una prima ora da socialisti tra cui spiccavano i
nomi degli onorevoli Bonomi e Leonida Bissolati. Sempre in questa parte dello
schieramento si inserì Benito Mussolini (direttore dell’Avanti), che comunque prese
parte al conflitto, come bersagliere (rimanendo gravemente ferito sul Monte
Nero) e cambiando le sue idee da non interventiste ad interventiste.
Gli
interventisti, che rappresentarono inizialmente una minoranza della volontà
della nazione, seppero pero agire in modo più diretto sulle masse, con
un’attiva campagna di propaganda che traeva il suo spunto principale dal
diffuso sentimento anti-austriaco e sull'idea che la supremazia Tedesca nel
continente europeo, avrebbe fiaccato le aspirazioni della modesta Italia. Il
fronte interventista raccoglieva comunque le diverse forze politiche,
alimentando oltre modo lo spirito nazionalista e soprattutto la componente
neo-risorgimentale e irredentista, che trovò uno dei maggiori punti di
forza in Cesare Battisti (irredento trentino), il quale vedeva nel conflitto una quarta Guerra
d’indipendenza, necessaria per arrivare ad un completo riscatto nazionale. Tale
teoria fu sposata dai Antonio
Salandra e Sidney Sonnino, (anche se in modo più moderato). Ma sicuramente
la cassa di risonanza capace di ribaltare il giudizio delle masse, fu
rappresentata da Gabriele D’Annunzio, acceso e fervido propagandista pro
conflitto. Saranno proprio i suoi di scorsi (celebre quello di Quarto del
maggio 1915) che trascinarono la nazione
verso la fatidica data del 24 maggio 1915.
L’ITALIA ENTRA IN GUERRA
Dopo avere
trattato sia con la Triplice che con gli Alleati, il 26
aprile 1915, il governo Salandra si decise a firmare il Patto di
Londra che, in cambio di un'entrata in guerra entro un mese, accordava
all'Italia in caso di vittoria il Trentino, il Tirolo fino
al Brennero , la Venezia Giulia, l'intera Penisola istriana
(con l'esclusione di Fiume), una parte della Dalmazia, numerose isole
dell’Adriatico l'arcipelago del Dodecaneso, la base
di Valona in Albania e il bacino carbonifero
di Adalia in Turchia. L'opposizione insorse, chiedendo le
dimissioni del governo Salandra, ma fu di fatto sconfitta dal Vittorio Emanuele
III, che affidò nuovamente l'incarico di governo ad Antonio Salandra,
approvando così il Patto di Londra e l'intervento militare. Lo statista
Francesco Saverio Nitti, definì l’entrata in guerra come un vero e proprio colpo di stato, deciso solo
dal Re e da Salandra.
L'interventismo
così scelse la via della piazza, mentre il fronte neutralista si disgregava ed
il Parlamento si trovò di fronte ad una guerra già dichiarata nei fatti, a
favore di un intervento ratificato il 20 maggio e dichiarato il 24.
Le trattative ed il patto di
Londra rimasero così segreti, che secondo alcune indiscrezioni, il capo di stato
maggio gen. Luigi Cadorna (a cui venne affidato il comando supremo), ne fu
informato solo casualmente, da un ufficiale di collegamento italiano presso in
servizio presso la sede del consolato in Francia.
La mancanza di comunicazione tra
l’esercito e il governo, fece si che i preparativi partissero con forte
ritardo, tanto è che la completa mobilitazione, avvenne solo tra la fine del
1915 e l’inizio del 1916.
Gen. Luigi Cadorna
Confini Italiani
prima e dopo l’entrata in guerra
LA COMPOSIZIONE DELL’ESERCITO ITALIANO NEL 1914
Già all’indomani
del conflitto in Cirenaica e Tripolitania, l’allora capo di stato maggiore gen.
Carlo Caneva, aveva pensato e progettato una profonda ristrutturazione
dell’esercito, in vista di un possibile ed imminente conflitto, cosà peraltro
già fatta da altri stati. Il piano di Caneva, sposato anche dal suo successore
gen. Luigi Cadorna , prevedeva la formazione di un esercito formato da tre
componenti:
•
Esercito permanente o effettivo
composto da giovani chiamati ad una leva di 2 anni;
•
Milizia Mobile composta da uomini
in congedo ma ancora nel pieno vigore fisico;
•
Milizia Territoriale, composta da
uomini più anziani ma in pieno vigore fisico, con impiego in caso di guerra in
ruoli interni, scorta, rifornimenti, sorveglianza ecc.
Nel 1914
l’Esercito Contava 275.000 di cui 14.000 erano ufficiali
- In caso di guerra, la chiamata della milizia
mobile e milizia territoriale unitamente all’esercito permanente avrebbe
garantito un numero di uomini pari ad 1.335.000
“La Grande
Guerra”, chiamerà in tutto alle armi
5.903.000 italiani su una
popolazione maschile di 12.133.460,
compresa tra le classi 1874 e 1999.
APPROFONDIMENTO
La violazione da parte dell’Italia del patto della “Triplice Alleanza”, fu considerato dall’Austria e dalla Germania, come un vero e proprio tradimento, al punto che nel Giugno del 1916 l’Impero Austroungarico (che fino a quel momento aveva mantenuto un atteggiamento difensivo), organizzò contro la nostra nazione nei territori del Trentino, una massiccia operazione militare che passò alla storia come “Strafexpedition” (Spedizione Punitiva).
L’Italia da parte sua non vedeva la cosa allo stesso modo, considerando il trattato del 1882 un patto difensivo, e visto che era stata l’Austria a dichiarare guerra alla Serbia, si sentiva sciolta dagli impegni assunti.
In realtà, già da molti anni il patto della Triplice Alleanza era considerato dai due stati un semplice documento formale, tant’è che nel 1908 in occasione del “Terremoto di Messina” , essendo il grosso dell’Esercito Italiano, impegnato nel portare aiuti alle popolazioni colpite dal sisma, il generale Austriaco Franz Conrad von Hötzendorf, aveva consigliato al proprio Imperatore Francesco Giuseppe di trarre vantaggio da tale situazione, attaccando la nostra nazione sul confine Est, allo scopo di guadagnare i territori del Veneto e del Trentino in possesso dell’Italia.