13 luglio 2006
Yacht killer
La storia. Sono le 16,30 del 13 luglio 2006. Tempo splendido,
visibilità perfetta. Un Yacht bianco, lunghezza fuori tutto 15 metri o più,
dalle linee moderne, avanza a velocità regolare lungo le stretto si dirige
verso Vulcanello, davanti alla costa del complesso «Baia Fenicia». A 80 metri
di distanza, sulla terrazza di un residence, l’ingegnere Sergio C., assieme
alla moglie, sta osservando il panorama. Compare il grande motoscafo, di nome
forse Nabila, Nabilia, Marbella o qualcosa di simile. «Erano appena iniziate le vacanze - racconta - e stavo osservando l’ambiente marino, quando compare all’orizzonte
quello scafo». L’ingegnere sente il rombo dei motori che, all’improvviso,
si avvitano in una brusca e marcata decellerazione; incuriosito, osserva la
scena concitata e misteriosa che segue. Un pugno di secondi. Tre persone, tre
uomini, si precipitano in poppa e si sporgono per vedere cosa è successo.
Passano uno, due minuti: «Non di più».
Poi il frastuono sordo dei turbodiesel torna di nuovo ad assordare la baia,
ancora più intenso. Il ribollire delle onde, i gorghi provocati da una manovra
convulsa. In apparenza incomprensibile. Lo yacht, così, riparte a tutta
velocità, verso il porto di Filicudi, lasciandosi alle spalle una scia
insanguinata.
Sergio C. ha capito che è successo qualcosa di grave, corre in casa e
afferra il suo binocolo. Controlla con attenzione, lentamente, quel tratto di
mare. E capisce tutto: intravede un corpo, di schiena, avvolto dalla tuta, la
boa bianca e rossa che segnala l’immersione di un sub. Semiaffondata, quasi
spezzata. Scatta l’allarme. Un gommone della Capitaneria di Porto di Lipari si
dirige verso Vulcanello. Dopo una mezz’ora di ricerche, guidate dal testimone,
la salma del medico anestesista Mauro
Falletta, 34 anni, sposato e padre di una bimba, viene recuperata e portata
nel porto di Lipari, per l’autopsia. Nei giorni successivi prosegue la caccia
al pirata e al suo yacht bianco lungo tra i 15 e i 18 metri che ha travolto e
ucciso atrocemente il sub torinese. Alle ricerche partecipano attivamente un
aereo della Guardia costiera proveniente da Catania e le motovedette della Cp e
dei Carabinieri che hanno setacciato rispettivamente dall’alto e in ogni porto
e in ogni anfratto il mare delle Eolie e della vicina costa tirrenica sicula.
Nel tratto di mare dell’incidente, nei pressi del canale tra Vulcano e Lipari,
è stato anche recuperato il fucile adoperato da Falletta per la caccia
subacquea e quel che resta del pallone di segnalazione.
Scrive Sarpi sulla
Gazzetta: “Il nome del natante killer, in
base alle dichiarazioni di uni dei due preziosi testimoni che ha fornito tre
importanti indicazioni sull’identità del mezzo, sarebbe in mano agli investigatori. Questioni di pochi
giorni, se non di ore, secondo i più ottimisti e il nome del responsabile del
criminoso evento verrà fuori. Dovrà rispondere dei reati di omissione di
soccorso ed omicidio colposo”.
Le previsioni
ottimistiche del giornalista eoliano non si concretizzano, il grande yacht
bianco sembra svanito nel nulla. Le ulteriori notizie vengono alla luce dopo
oltre un anno.

I carabinieri dei Ris di Roma stanno ancora esaminando le cellule
telefoniche della zona. Vogliono ricostruire il traffico di quei minuti
cruciali del 13 luglio 2006. Obiettivo, risalire ai titolari delle Sim. Non
sarà facile. «Ma non sarà tralasciato
nulla», promettono gli inquirenti. Che hanno iniziato un faticoso
censimento, su tutti i registri navali italiani, delle imbarcazioni con
caratteristiche e nomi simili alla barca assassina. Nessuno si nasconde le
difficoltà. negli anni successivi gli ufficiali della Capitaneria riuscirono a
individuare il laboratorio grafico dove venivano realizzate le scritte in
acciaio inox, incollate sulle fiancate alle imbarcazioni da diporto della zona.
Fu individuata la fattura relativa a un «Aicon» identico alla barca assassina.
I dipendenti , dopo molte reticenze, e anche bugie, finalmente confermano di
avere eseguito, a suo tempo, quell’ordine. Una serie di Aicon, destinati ad
essere noleggiati nei porti arabi, erano stati tutti battezzati con nomi arabi:
Tahira, Jamila, Kamila. Ma del Nabila, nessuna traccia.

I cellulari di due degli indagati, sarebbero stati «agganciati» dalla cella telefonica di
Vulcano.
Fuga verso
Milazzo
Secondo gli investigatori della Capitaneria di Lipari, il grosso
natante, dopo l’incidente, invece di fermarsi e di tentare di soccorrere la
vittima, dopo una sosta di pochi minuti, ripartì a tutta velocità e si diresse
verso il porto di Milazzo. Gli armatori l’avrebbero immediatamente riportata a
secco, il nome cancellato e sostituito e poi di nuovo noleggiata, con nuovi
documenti e identità. Sette anni di indagini, in un clima di omertà, tra
silenzi, documenti spariti, fatture contraffatte, amnesie parziali e totali.
Giustizia? Nessuna!
Il processo si è risolto con un clamoroso epilogo: prescritto.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.