La Sicilia si allinea alla Penisola: il centrosinistra vince alla grande, il Pdl perde alla grande e il Movimento 5 Stelle realizza un tonfo di proporzioni impensabili. A Messina, Catania, Siracusa e Ragusa indicazioni di voto univoche.
Impressionante la caduta verticale del Movimento 5 Stelle: rispetto alle politiche dal 37 per cento va al 3 per cento a Siracusa, dal 31 a 3 per cento a Catania, dal 23 al 2 per cento a Messina. Il migliore risultato il M5 Stelle l’ha realizzato a Ragusa con Giovanni Piccitto (15 per cento), che consente di guadagnare il ballottaggio.
Il centrodestra perde in tutte le grandi città, autentiche roccaforti berlusconiane: Raffaele Stancanelli è stato l’unico candidato, a Catania, a “reggere” con il 36 per cento circa di voti. Per il resto, tonfi: a Messina, Siracusa e Ragusa. Non è mai andata così male negli ultimi venti anni.
A Catania Enzo Bianco evita il ballottaggio, seppure sul filo di lana (Messina invece resta un rebus fino alla fine), mentre a Siracusa e Ragusa bisognerà attendere ancora due settimane per sapere chi amministrerà la città. Il centrosinistra, tuttavia, parte con forti margini di vantaggio a Ragusa, e con buone possibilità di successo a Siracusa.
A Messina Accorinti, candidato indipendente, a capo di una lista civica, si è piazzato alle spalle di Felice Calabrò , conquistando il 30 per cento di suffragi. Si andrà quindi al ballottaggio. Quel 2 per cento del M5S nella città dello Stretto sembra segnalare una emigrazione di voti verso Accorinti. Altro episodio degno di nota, a Siracusa, dove il candidato del centrodestra, Edy Bandiera, leader Udc locale, non è entrato nemmeno in ballottaggio. Nei quattro capoluoghi in cui si è votato, l’Udc si è alleato con il centrosinistra in tre città (Messina, Catania e Ragusa), conseguendo buoni risultati; a Siracusa, alleato del centrodestra, ha condiviso la sconfitta bruciante del centrodestra (guidato da Stefania Prestigiacomo).
Sia Enrico Letta, a Roma (sedici sindaci, Roma compresa, en plein, al centrosinistra nei capoluoghi al ballottaggio), quanto Rosario Crocetta, in Sicilia, esprimono soddisfazione per il risultato elettorale. Letta afferma che rafforza il governo, Crocetta che premia il suo lavoro. Indubbiamente la sonora sconfitta del centrodestra suggerirà cautela ai berlusconiani, tentati del un ritorno alle urne per i sondaggi favorevoli. Perdono la deterrenza che questa condizione offriva loro fino a sabato scorso.
In Sicilia il presidente della Regione “predica” fratellanza e ritorno all’unità, dopo avere incassato il sorpasso del suo Megafono sul Pd nella città più popolosa, Catania, con una lista che ha superato il dieci per cento dei suffragi, ed è stata determinante ai fini del successo di Enzo Bianco. Se l’andamento del voto a favore del centrosinistra, omogeneo, non gli consente di rivendicare un risultato “personale” in Sicilia, l’appeal del Megafono, gli regala un bel vantaggio sul Pd, alla vigilia di una complessa verifica di governo, richiesta dall’Udc e dallo stesso Pd.
L’analisi a caldo sul trend elettorale sembra segnalare alcune ipotesi: le larghe intese non hanno danneggiato i democratici; le scelte compiute alle primarie, e quindi le primarie in sé, hanno trainato il successo elettorale, straripante, del centrosinistra ovunque (con l’eccezione di Enzo Bianco a Catania); i partiti personali non reggono alle Amministrative. Silvio Berlusconi è rimasto in seconda fila, Beppe Grillo si è speso, ma non ha fatto la differenza.
La legge elettorale per l’elezione del sindaco e dei consigli comunali, gli italiani l’hanno scoperto, funziona che è una meraviglia: conosciuti i risultati, si sa chi ha vinto e chi ha perso, con il Porcellum il conflitto fra regole di voto per la Camera e quelle del Senato imbrogliano le carte e lasciano tutti al palo.
L’assenteismo, infine. Appresi i risultati, i leader hanno detto all’unisono che intendono riflettere. Tutti, nessuno escluso: chi ha vinto, chi ha perso e chi è rimasto a bagnomaria. Perfino i grillini hanno promesso di riflettere, loro che hanno la ricetta giusta sempre e comunque. La botta deve essere stata forte.
Impressionante la caduta verticale del Movimento 5 Stelle: rispetto alle politiche dal 37 per cento va al 3 per cento a Siracusa, dal 31 a 3 per cento a Catania, dal 23 al 2 per cento a Messina. Il migliore risultato il M5 Stelle l’ha realizzato a Ragusa con Giovanni Piccitto (15 per cento), che consente di guadagnare il ballottaggio.
Il centrodestra perde in tutte le grandi città, autentiche roccaforti berlusconiane: Raffaele Stancanelli è stato l’unico candidato, a Catania, a “reggere” con il 36 per cento circa di voti. Per il resto, tonfi: a Messina, Siracusa e Ragusa. Non è mai andata così male negli ultimi venti anni.
A Catania Enzo Bianco evita il ballottaggio, seppure sul filo di lana (Messina invece resta un rebus fino alla fine), mentre a Siracusa e Ragusa bisognerà attendere ancora due settimane per sapere chi amministrerà la città. Il centrosinistra, tuttavia, parte con forti margini di vantaggio a Ragusa, e con buone possibilità di successo a Siracusa.
A Messina Accorinti, candidato indipendente, a capo di una lista civica, si è piazzato alle spalle di Felice Calabrò , conquistando il 30 per cento di suffragi. Si andrà quindi al ballottaggio. Quel 2 per cento del M5S nella città dello Stretto sembra segnalare una emigrazione di voti verso Accorinti. Altro episodio degno di nota, a Siracusa, dove il candidato del centrodestra, Edy Bandiera, leader Udc locale, non è entrato nemmeno in ballottaggio. Nei quattro capoluoghi in cui si è votato, l’Udc si è alleato con il centrosinistra in tre città (Messina, Catania e Ragusa), conseguendo buoni risultati; a Siracusa, alleato del centrodestra, ha condiviso la sconfitta bruciante del centrodestra (guidato da Stefania Prestigiacomo).
Sia Enrico Letta, a Roma (sedici sindaci, Roma compresa, en plein, al centrosinistra nei capoluoghi al ballottaggio), quanto Rosario Crocetta, in Sicilia, esprimono soddisfazione per il risultato elettorale. Letta afferma che rafforza il governo, Crocetta che premia il suo lavoro. Indubbiamente la sonora sconfitta del centrodestra suggerirà cautela ai berlusconiani, tentati del un ritorno alle urne per i sondaggi favorevoli. Perdono la deterrenza che questa condizione offriva loro fino a sabato scorso.
In Sicilia il presidente della Regione “predica” fratellanza e ritorno all’unità, dopo avere incassato il sorpasso del suo Megafono sul Pd nella città più popolosa, Catania, con una lista che ha superato il dieci per cento dei suffragi, ed è stata determinante ai fini del successo di Enzo Bianco. Se l’andamento del voto a favore del centrosinistra, omogeneo, non gli consente di rivendicare un risultato “personale” in Sicilia, l’appeal del Megafono, gli regala un bel vantaggio sul Pd, alla vigilia di una complessa verifica di governo, richiesta dall’Udc e dallo stesso Pd.
L’analisi a caldo sul trend elettorale sembra segnalare alcune ipotesi: le larghe intese non hanno danneggiato i democratici; le scelte compiute alle primarie, e quindi le primarie in sé, hanno trainato il successo elettorale, straripante, del centrosinistra ovunque (con l’eccezione di Enzo Bianco a Catania); i partiti personali non reggono alle Amministrative. Silvio Berlusconi è rimasto in seconda fila, Beppe Grillo si è speso, ma non ha fatto la differenza.
La legge elettorale per l’elezione del sindaco e dei consigli comunali, gli italiani l’hanno scoperto, funziona che è una meraviglia: conosciuti i risultati, si sa chi ha vinto e chi ha perso, con il Porcellum il conflitto fra regole di voto per la Camera e quelle del Senato imbrogliano le carte e lasciano tutti al palo.
L’assenteismo, infine. Appresi i risultati, i leader hanno detto all’unisono che intendono riflettere. Tutti, nessuno escluso: chi ha vinto, chi ha perso e chi è rimasto a bagnomaria. Perfino i grillini hanno promesso di riflettere, loro che hanno la ricetta giusta sempre e comunque. La botta deve essere stata forte.