Dopo dieci lunghi anni di silenzio – partiti, sindacati, gruppi parlamentari, giornali, radio, televisione, siti on line – hanno scoperto che l’Assemblea regionale siciliana spreca un mucchio di quattrini. Il call center, icona dello spreco, arroganza, faccia tosta al sommo livello – promosso e sopportato trasversalmente da partiti e burocrazia interna – è diventato la pietra dello scandalo.
In occasione del rinnovo dell’appalto, stavolta una gara con evidenza pubblica al contrario del passato, si è aperto un contenzioso procedurale, che ha fatto traballare il congegno di assegnazione dell’appalto. E si sono accorti che, al di là della regolarità delle procedure, il call center era una puttanata grande quanto una casa. Era stato giustificato, pensate un po’, dalla necessità di reperire velocemente le autorità ed i deputati in caso di bisogno, attraverso la celebre “batteria”, fruibile giorno e notte.
Naturalmente si usano parole felpate, come si conviene nei luoghi in cui si cammina sui tappeti rossi, per riferire questo ripensamento sull’opportunità di mantenere il servizio esterno di call center. “Si sta valutando l’ipotesi di ritornare al vecchio centralino interno”, composto da personale assunto allo scopo, quindi in housing, senza costi.
Il giocattolo è costato una carrettata di milioni. Perché ci hanno messo tanto tempo per ripensarci? La memoria viaggia alla passata legislatura, “quella dei risparmi” nelle esternazioni della Presidenza dell’Assemblea pro tempore. Gli annunci sulla stretta dei costi erano accolti come le lettere di san Paolo dall’informazione regionale. Ruffianate in grande stile. Non ci fossero stati i bilanci in rosso, sempre più in rosso con il passare degli anni, ci saremmo caduti anche noi nella spirale del consenso a buon mercato.
Ma prendersela con le menti raffinate che hanno messo in piedi il call center è perfino ingiusto. I vertici politici dell’Assemblea tre anni or sono mandarono in pensione anticipatamente una pattuglia di alti burocrati per risparmiare risorse. Una bugia, perché il trattamento di quiescenza sarebbe stato pagato dal fondo pensione dell’Assemblea, creando quindi una partita di giro e, forse, un aggravio dei costi perché i pre-pensionati sarebbero stati sostituiti. Bisognava fare largo e redistribuire incarichi più convenienti al nuovo assetto politico. Punto e basta.
Poi c’è la storia recente dei libri sfrattati, il fondo antico. Hanno scoperto che erano accatastati uno sull’altro e costituivano un pericolo. Dopo 60 anni, nel giro di pochi mesi, volumi preziosi divennero una bomba ad orologeria: sono intervenuti i vigili del fuoco, prontamente “allertati”, come se il Palazzo avesse preso fuoco, oltre che sovrintendenza, tecnici di vario calibro, per fare sloggiare i libri e trasferirli altrove. Hanno fatto tutto così in fretta che non ne ha saputo niente nemmeno un componente della Commissione Vigilanza della biblioteca, l’ex deputato regionale Pino Apporendi, che se n’è lamentato con una lettera furibonda.
Dove sono finiti i volumi del fondo antico? A Bagheria presso un’azienda che si occupa, generalmente, di informatica e che, a quanto pare, gode di buone conoscenze nel Palazzo. La qualcosa non significa niente, fino a prova contraria, ma aiuta.
Il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, che è uomo di mondo, ha capito che bisognava darsi da fare per riportare i libri almeno nei paraggi e togliere quella voce di spesa in tempi brevi, così ha dato la voce, se per caso quei libri sfrattati, non più facilmente consultabili, potessero essere nelle vicinanze del Palazzo dei Normanni, magari senza spendere quattrini. Siccome è un uomo fortunato, ha trovato senza dannarsi l’anima una soluzione: l’albergo delle Povere, ubicato in Corso Calatafimi. Resta da studiare il contratto con i bagheresi, che prevede una “uscita” dispendiosa. Un problema.
E qui bisogna aprire una parentesi. Le controparti dell’Assemblea sono tutte trinariciute e furbissime. Mettono il ferro dietro la porta a doppia mandata. Le sanzioni sono salatissime, stile Ponte sullo Stretto per intenderci. Se l’Assemblea vuole retrocedere è costretta a tirare fuori molti soldi e quindi ripensarci, in considerazione dei costi.
Possibile che il senso degli affari ce l’abbiano sempre gli altri? La stagione delle esternalizzazioni iniziò dieci anni or sono con un plauso corale degli addetti ai lavori. Fu una pensata in housing. Allo start up cancellarono il servizio che funzionava come un orologio svizzero, il centralino telefonico. Mandarono a casa, in prensionamento una non vedente, spendendo una barca di soldi, tanto nessuno tira fuori i soldi di tasca propria.
Ci fu un sindacato, la Cgil, che cercò di contrastare il nuovo corso dell’Assemblea. In perfetta solitudine. E c’è stata una sola testata, quella che leggete, a “raccontare” Palazzo dei Normanni, a cominciare dal call center, l’icona dello spreco di risorse pubbliche.
Call center, emigrazione di libri ad alto prezzo, affitti di immobili inutilizzati, progetti pagati a peso d’oro rimasti sulla carta (Palazzo Ministero). E ancora: servizi di pulizia, manutenzione, telefonia, servizi informatici ecc. Sarebbe di grande interesse rifare la storia di questa stagione di esternalizzazioni, appalti e subappalti.
Una Commissione d’indagine, perché no?