Prime luci del giorno (foto scattata da Filicudi da Donatella Taranto) - Santo del giorno: San Romano -
Il monachesimo fu uno dei pii: larghi e fecondi movimenti religiosi, che producessero effetti di spirituale perfezione e insieme di civile progresso.
Per questo la schiera dei Santi monaci è quasi sterminata. Riempie di luce i secoli più bui del Medioevo; lievita la vita di quella società che sembrava oppressa dalla più torva barbarie.
San Romano fa parte della grande famiglia dei monaci francesi, perché la Francia, subito dopo l'Italia, fu la terra propizia al monachesimo.
E ciò si spiega col fatto che il monachesimo, per quanto movimento squisitamente cristiano, s'innestava sulla parte migliore della romanità, accogliendo quegli elementi di civiltà latina, che i barbari distruggevano ovunque, ma che non riuscivano a cancellare nell'ambito di quella grande casa romana costituita dal monastero.
Ecco perché il monachesimo si propagò e attecchì facilmente nei paesi più fedeli alla tradizione romana.
Il Santo di oggi, per quanto francese, fu Romano di nome e di spirito.
Entrò giovane nell'abbazia d'Ainay, presso Lione, ma poco dopo ne uscì, con l'autorizzazione dell'Abate.
Non che gettasse, come si suol dire, il saio all'ortiche. Uscì dal monastero per desiderio di maggiore perfezione spirituale. Infatti si ritirò solitario sui monti del Giura, dove sperò di passare i suoi giorni nella penitenza e nella preghiera.
Ma la luce fa lume, e la fama del monaco Romano condusse a lui altre anime aspiranti alla perfezione.
Il primo fu suo fratello Lupicino, che lo raggiunse sui monti. A lui si unirono altri fuggiaschi dal monda, ma non dalla vita spirituale.
Nacque così la celebre abbazia di Condat, che presto s'empì di monaci.
San Romano fu costretto a fondare un altro monastero, a Leucone, poi un terzo, che prese il nome di Saint Romain de la Roche.
In questi monasteri si ebbe la novità di una specie di diarchia, perché San Romano volle dividere il governo dell'Abbazia col fratello Lupicino.
Egli era troppo dolce, per reggere con fermezza il pastorale dell'Abate. Aveva bisogno del soccorso del fratello Lupicino, più severo e rigoroso.
La devozione dei due Santi fratelli, oltre che nell'istruzione e formazione dei discepoli e nella fondazione di nuovi monasteri, si manifestava nei loro frequenti pellegrinaggi verso i santuari dei Martiri.
Una volta, recandosi insieme ad Agaunio, per pregare sulla tomba di San Maurizio e dei suoi militi dell'eroica Legione Tebea, giunti nel territorio di Ginevra, si fermarono, per trascorrere la notte, in una capanna abbandonata.
Dopo poco però, giunsero due poveri lebbrosi, che erano stati a raccogliere la legna. La capanna era il rifugio di quegli infelici, reietti dal mondo e schivati da tutti.
Passata la prima, reciproca sorpresa, si vide il monaco Romano abbracciare con affettuoso trasporto i due sofferenti, fratelli in Cristo. E accanto a loro, Romano e Lupicino trascorsero la notte.
Solo quando si furono allontanati, la mattina dopo, i due lebbrosi si accorsero con gioia di essere stati mondati dal loro male, e tutta la città di Ginevra, quando il fatto venne risaputo, tributò commossi onori ai due pellegrini.
La diarchia, cioè la collaborazione tra i due fratelli nel governo dei monasteri da loro fondati, si sciolse soltanto con la morte di San Romano, avvenuta alla fine del V secolo, quando egli aveva settant'anni, e quando ormai le montagne del Giura erano letteralmente cosparse di Abbazie nelle quali, insieme con la fede, si salvava la civiltà occidentale.