Individuata dai ricercatori della sezione di Catania dell’Ingv
Tra Europa e Africa spunta
la micro-placca siculo-iblea
È la responsabile dei maggiori terremoti avvenuti nella Sicilia orientale
I confini della placca Siculo Iblea (Ingv Catania)
MILANO - Stretta in una morsa fra la grande placca
euroasiatica e quella africana, si è delineata una placca minore che i
geofisici hanno battezzato «blocco siculo-ibleo». Essa comprende gran
parte della Sicilia e dei mari circostanti, fa parte della placca
africana, ma ha una sua dinamica peculiare, ed è responsabile dei grandi
terremoti cui va soggetta la Sicilia. La descrizione di questa unità
geodinamica è merito di un numeroso gruppo di ricercatori dell’Istituto
nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e delle università di
Catania e Napoli, il cui lavoro sta per essere pubblicato sulla
prestigiosa rivista internazionale
Journal of Geophysical Research (
Gps velocity and strain fields in Sicily
and southern Calabria
, Italy
: updated geodetic constraints on tectonic block interaction in the central Mediterranean).
MICRO-PLACCA - Il geofisico
Mimmo Palano, della sezione di Catania dell’Ingv, primo firmatario del
lavoro, ci ha raccontato il lungo studio che ha portato a definire i
confini e i movimenti della micro-placca siculo-iblea. «Da diversi anni
sono installate sul territorio numerose stazioni Gps, che permettono di
ricostruire i lenti movimenti della crosta terrestre dovuti alla
dinamica delle placche», premette Palano. «Grazie ai dati raccolti negli
ultimi 18 anni dalle reti Gps della Sicilia, delle isole circostanti e
della Calabria, e all’analisi dei terremoti verificatisi nella medesima
area, abbiamo potuto meglio comprendere i cosiddetti domini deformativi e
i blocchi che caratterizzano questa cruciale zona di convergenza fra la
placca africana e quella euroasiatica».
I vettori di spostamento annuo misurati nelle varie stazioni Gps in Sicilia (Ingv Catania)
UNITÀ MINORI - Quando sui media
si legge della convergenza fra la placca africana e quella euroasiatica,
precisando che la prima avanza e s’immerge sotto la seconda, sembra che
i due grandi blocchi interagiscano in maniera compatta. Invece, nella
zona di collisione, si sono create una serie di unità minori, animate da
una dinamica più articolata rispetto alla semplificazione della
convergenza africana da sud. Lo studio di Palano e collaboratori si è
focalizzato nel teatro siciliano dello scontro geologico fra le due
grandi placche, in un’area cruciale per la geologia del Mediterraneo
centrale.
CONFINI - «Sotto il profilo
strettamente geografico, i confini del blocco siculo-ibleo si possono
così definire», prosegue Palano. «A nord c’è una linea che corre nel mar
Tirreno, più o meno parallelamente alla costa settentrionale siciliana,
passando sotto Ustica e intercettando le isole Eolie. Al di sopra di
questa linea c’è un altro dominio geodinamico, il blocco tirrenico, che
fa parte della placca europea. A est il confine del blocco siculo-ibleo
va dalle Eolie, passando per il messinese e per la costa ionica
siciliana, giù fino al Canale di Sicilia, all’altezza dell’isola di
Malta. Lungo questo confine orientale il blocco siculo-ibleo fronteggia
un altro dominio geodinamico, chiamato il blocco calabro-ionico,
appartenente alla placca africana. A sud, il confine del blocco
siculo-ibleo attraversa il Canale di Sicilia, parallelamente alla costa
meridionale siciliana, più o meno dall’isola di Malta fino al largo
delle isole Egadi. Semplificando, il blocco siculo-ibleo ha la forma di
un grande cuneo, con l’apice rivolto a ovest, che ricalca la forma
triangolare della Sicilia, includendo tuttavia una consistente fetta dei
mari circostanti».
SPOSTAMENTI - Dal punto di vista dinamico, i movimenti del blocco siculo-ibleo variano da zona a zona e sono studiati grazie ai
vettori di spostamento
annuale forniti dalle stazioni Gps. Considerando questi spostamenti
rispetto alla placca euroasiatica, si vede che in Sicilia occidentale la
crosta terrestre si sposta verso nord-nord-ovest di circa mezzo
centimetro l’anno; tra Palermo e Cefalù lo spostamento è verso nord di
circa un centimetro l’anno. Ma a Ustica, alla distanza di appena 60 km
dirimpetto a Palermo, il movimento verso nord quasi si annulla,
riducendosi ad appena un millimetro. Nella zona
Eolie-Peloritani-Messina, la crosta si muove verso nord-nord-est al
ritmo di un centimetro l’anno. Infine, tra l’Etna e i monti Iblei, e poi
più giù fino a Malta, si registrano spostamenti di circa un centimetro
l’anno in direzione nord-nord-ovest.
TENSIONI - Tutti questi
movimenti, così differenziati nei tassi annuali e negli orientamenti,
sono all’origine di quelle strutture tettoniche che si esprimono in
corrugamenti, faglie (o fratture) della crosta terrestre, oltre che in
accumuli di tensioni generatrici di terremoti. Lungo il confine usticese
del blocco siculo-ibleo c’è un prevalente regime compressivo, con la
formazione di faglie responsabili di frequenti terremoti che, in genere,
hanno magnitudo moderata. Sul versante messinese e ionico il quadro
peggiora nettamente. Qui gli studiosi avevano da tempo individuato una
grande faglia denominata Eolie-Tindari-Letojanni ritenuta come la linea
di «strappo» del blocco calabro-ionico, al di sotto del quale si consuma
la subduzione (sprofondamento) della placca africana sotto a quella
euroasiatica.
DINAMICA - Ora Palano e
collaboratori avanzano l’ipotesi che questa faglia non si fermi a
Letojanni (sulla costa ionica) ma prosegua in mare, raccordandosi a un
altro sistema di fratture sottomarine noto come la scarpata
ibleo-maltese. All’interazione fra i due blocchi siculo-ibleo e
calabro-ionico si possono attribuire sia la genesi dei vulcani eoliani
che i grandi terremoti storici della Sicilia orientale, come quelli
della val di Noto del 1693 e di Messina del 1908. «Mettendo tutto
insieme», riassumono Palano e Luigi Ferranti, «il blocco siculo-ibleo
appare intrappolato nella dinamica di collisione tra la placca africana e
quella euroasiatica e soggetto a un movimento complessivo laterale
verso nord-pvest, con il risultato che lungo tutti e tre i sui confini
si originano zone esposte al rischio sismico. Ma non c’è dubbio che i
terremoti più forti di tutta l'area siciliana avvengano lungo il bordo
orientale dell'area Iblea.
TERREMOTI E TSUNAMI - Ricordiamo
che il terremoto del 1693, e prima ancora un altro avvenuto nel 1169,
sono considerati tra i più violenti e distruttivi della storia sismica
italiana. In particolare le due scosse del 9 e 11 gennaio 1693 furono
talmente violente da devastare l’intera Sicilia sud-orientale, radendo
al suolo molti centri abitati. A posteriori si è valutato che la
magnitudo massima raggiunse i 7,5 gradi Richter. I danni si estesero
sino a Palermo, alla Calabria meridionale e a Malta e la scossa maggiore
fu fortemente avvertita anche in Tunisia. Fonti storiche e ricerche
recenti sul campo, condotte dal team del professor Carmelo Monaco
(Università degli studi di Catania), evidenziano come entrambi gli
eventi siano stati accompagnati da un imponente tsunami che flagellò le
aree costiere di tutta la Sicilia sud-orientale. Da non dimenticare
che, in tempi più recenti, nella stessa parte della Sicilia, esattamente
a Carlentini, il 13 dicembre 1990 si è abbattuto un terremoto di
magnitudo 5,6 che ha provocato 17 morti e oltre 15 mila senza tetto. Un
monito per gli amministratori locali che non devono mai perdere di vista
l’applicazione rigorosa delle norme antisismiche, unica difesa
preventiva dagli effetti devastanti dei terremoti.
Franco Foresta Martin