Le vicende che hanno contrassegnato le prime due sedute dell’Assemblea regionale siciliana, con la risicata elezione del suo Presidente e i primi segnali di dissenso emersi in occasione dell’elezione dei componenti dell’Ufficio di Presidenza, confermano, se ce ne fosse stato bisogno, che quella appena inauguratasi non si prospetta come una legislatura facile. Le ragioni stanno innanzi tutto nei numeri.
Nella precedente legislatura, furono appena quattro i partiti che riuscirono a superare la soglia di sbarramento del 5% prevista dalla legge elettorale (Pdl, Mpa, Udc e Pd). Di questi, i primi tre, che appoggiavano quello che sarebbe stato il futuro Presidente della Regione, ottennero già a livello provinciale la maggioranza assoluta dei seggi, tant’è che il premio di maggioranza non fu loroassegnato e degli otto deputati del listino regionale beneficiò il Pd che così passò da 19 a 27 seggi(più la Finocchiaro, quale candidata migliore sconfitta, dimessasi subito dopo: ma questa è…un’altra storia).
Oggi la situazione è completamente diversa. Sono infatti nove le liste che hanno ottenuto seggi a livello provinciale. Tale risultato è dovuto alla frammentazione del quadro politico: il centro destraè diviso in tre liste (Pdl, Nello Musumeci presidente, Grande Sud Micciché), il centro in due (Udc ePid-Cantiere popolare) mentre il centro sinistra è diviso (solo tatticamente?) tra Pd e la lista del movimento che ha appoggiato il neo Presidente Crocetta. Completano il quadro l’Mpa e, soprattutto, il Movimento cinque stelle, che da solo ha ottenuto il 15% dei seggi complessivi.
Ciascuna di queste forze politiche si è costituita in gruppo parlamentare autonomo, ma non sono mancati i primi casi di mobilità parlamentare. Il gruppo della Lista Musumeci ha potuto raggiungere il numero minimo di cinque deputati richiesto dal regolamento perché la defezione del deputato transfuga Lo Giudice (eletto in tale lista e subito passato al gruppo Territorio: ormai non si cambia più casacca: si indossa direttamente quella altrui…) è stata compensata con l’adesione del deputato Formica (eletto nelle liste del Pdl) che ne ha assunto la presidenza.
A questi nove gruppi ne vanno aggiunti altri due: il gruppo misto al quale hanno aderito due deputati che non si sono iscritti al gruppo del partito per cui sono stati eletti: D’Agostino (eletto nella lista del Partito dei siciliani – Mpa) e Fazio (eletto nella lista del Pdl); ed il gruppo Territorio, formato da tre deputati eletti nella lista Crocetta (più uno eletto nella lista regionale) che hanno pensato bene di non confluire negli altri gruppi ma di costituirne uno proprio, al quale ha subito con entusiasmo aderito (almeno per ora) il citato Lo Giudice.
Il risultato di tutto ciò è che già sin d’ora non vi è corrispondenza tra i deputati eletti nelle liste provinciali e regionali ed il numero dei componenti dei relativi gruppi consiliari: la lista Crocetta ha perso tre deputati (Vullo, Greco e Di Pasquale); il Popolo delle Libertà due (Fazio e Formica); il Partito dei Siciliani – MPA uno (D’Agostino); la lista Musumeci uno (Lo Giudice). A guadagnarci è stato il gruppo Territorio (cinque deputati) ed il gruppo misto (due).
Di fronte a tale spettacolo non si può non comprendere lo sconcerto e l’indignazione degli elettori che si sentono traditi, defraudati della loro volontà elettorale e confermati nei loro sentimenti di disaffezione e di sfiducia verso la politica, come il crescente fenomeno dell’astensionismo elettorale dimostra. Gli elettori assistono – talvolta sbigottiti, di solito rassegnati – da semplici spettatori alla commedia (tragedia?) del deputato che passa ad altro gruppo ed, eventualmente, ad altro schieramento senza ricercarne e/o comprenderne le ragioni, ritenendole in ogni caso ingiustificate ed ingiustificabili di fronte all’alterazione da lui prodotta della propria volontà elettorale.
Il quadro politico, così frammentato, si complica ulteriormente appena si considera che il neo presidente Crocetta può contare, almeno sulla carta, su meno della metà dei 90 componenti dell’Ars (presumibilmente circa 40 deputati). La ragione di ciò è da ricercare, nuovamente, nella legge elettorale siciliana che prevede che le liste che hanno appoggiato il candidato Presidente eletto ottengano al massimo un premio di 8 seggi, anche quando – come nel caso in questione – essi non siano sufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta. Non così avviene nelle altre regioni a statuto ordinario, dove invece, in un simile caso, è prevista l’attribuzione di seggi aggiuntivi fino a quando i deputati eletti nelle liste collegate al Presidente vincente siano in maggioranza. Questo però non è possibile in Sicilia dove, al pari delle altre regioni a statuto speciale, il numero dei seggi dell’Assemblea regionale è fissato dallo Statuto, che è legge costituzionale e come tale inderogabile dal legislatore ordinario.
Ora è vero che per deliberare è prevista la maggioranza dei presenti e non dei componenti, per cui una quarantina di deputati potrebbe anche bastare (a patto che fossero però sempre presenti, il che non è scontato); ed è anche vero che, per fortuna, non è previsto alcun voto di fiducia iniziale sulla persona o sul programma del Presidente, traendo egli la sua legittimazione dalla sua elezione diretta. Ma è pur vero che in tal modo il Presidente sarà costretto a navigare a vista, cercando volta per volta sui suoi provvedimenti il consenso di un’Assemblea dove ancora il voto segreto prevale sul voto nominale (ed è ovvio che il voto segreto scatena l’indisciplina di gruppo).
In un’Assemblea regionale eletta con il voto di meno della metà degli aventi diritto, caratterizzata da un quadro politico fortemente frammentato, in cui una parte significativa è rappresentata dal movimento alternativo di Grillo (che ricorda molto la pattuglia dei radicali del 1976), il rischio, che pare concreto, è che nell’attuale legislatura l’assetto di governo oscillerà pericolosamente tra presidenzialismo ed assemblearismo, senza che si riesca a trovare un punto di equilibrio tra un Presidente che vorrà legittimamente tradurre in pratica i suoi ambiziosi progetti di riforma senza averne però gli strumenti istituzionali necessari (lo stesso ricorso alla questione di fiducia sarà rischioso) ed un’assemblea difficilmente governabile. Se a tutto questo aggiungiamo l’individualismo, incline spesso al clientelismo, che caratterizza buona parte della classe politica siciliana, e di cui si è avuto abbondante riprova nella passata legislatura, non è difficile immaginare quanto sarà forte la tentazione per il Presidente di conquistare il voto dei singoli deputati, magari con misure atte a premiare il territorio di appartenenza, analogamente a quanto avviene in simili casi negli Stati Uniti.
E di tutto questo che la Sicilia ha oggi veramente bisogno?
di Salvatore Curreri (Docente di Diritto costituzionale)