Nella
notte di San Bartolomeo del 24 agosto 1915, al grido di “Savoia” il 115°
Reggimento di Fanteria, si lanciava all’assalto contro le postazioni austriache
del Col Basson. Tra essi vi era anche il ventiduenne fante eoliano Fonti
Giovanni, originario di Pianoconte.
L’attacco al Col Basson, pianificato
dal Comando Supremo Italiano, prevedeva una consistente azione contro la linea
dei forti austriaci a ridosso della Valsugana che sbarravano al regio esercito i
passi verso Trento. Lo svolgimento dell’operazione, era stata affidata alla 1^
Armata - settore della V Corpo d’Armata 34^ Divisione al comando del generale
Pasquale Oro. All’alba del 14 agosto 1915, dai forti italiani di Verena e Campo
Longo e dalle postazioni di artiglieria italiane del 41°reggimento, ebbe inizio
un massiccio bombardamento verso i fori austriaci di Luserna – Busa Verle e lo
Spitz Vezzena, con lo scopo di mettere fuori uso le difese pesanti del nemico,
rendendo rapida l’avanzata su dette posizioni, da parte delle fanterie della
Brigata Ivrea (161° e 162° rgt Fanteria) e della Brigata Treviso (115° e 116°
rgt Fanteria).
I bombardamenti si protrassero fino
al 24 di agosto e i punti di osservazione italiani, riferirono ai comandi che i
forti (soprattutto quello di Luserna posto a ridosso del Col Basson) apparivano
gravemente danneggiati e pertanto non potevano, costituire una seria minaccia
per l’operazione di conquista. Di tutt’altro parere apparve invece il
colonnello Riveri comandante della Brigata Treviso. Secondo le informazioni
raccolte dalle pattuglie incaricate di aprire varchi nei reticolati nemici, le
difese del Basson apparivano provate ma non annientate e inoltre le brecce nei
grovigli di filo spianto, erano troppo piccole a causa della mancanza d’idonei
strumenti di taglio e potevano perciò rappresentare un serio ostacolo all’assalto,
rendendo gli uomini facile bersaglio per le micidiali mitragliatrici
Schwazlose. Come se non bastasse, il cielo sereno e la notte di luna piena
prevista proprio per durante l’assalto, avrebbero reso ben visibili i movimenti
delle truppe sul campo.
Furono questi i motivi che Riveri,
pose all’attenzione del generale Oro nel tentativo di dissuaderlo nell’intraprendere l’attacco,
ma la risposta del superiore fu inflessibile “l’attacco si farà questa notte… gli uomini apriranno le brecce nei
reticolati con i petti e con i denti…” .
Forte Luserna, era già
stato duramente bombardato nei primi mesi di guerra e il colonnello
Ellison comandante della piazzaforte, dopo le azioni del giugno 1915, fu sul punto di
negoziare con gli italiani una resa. Ma l’Austria non intendeva perdere per
nessun motivo l’importante punto strategico ed inviò prontamente rimpiazzi alla
guarnigione, arruolando Sud Tirolesi e richiamando alcuni reparti ben
addestrati dal fronte Russo. Tappate le falle il colonnello Ellison von Nidlef
(militare di carriera e abile stratega), rinforzo le difese del Basson, creando
almeno tre linee di reticolati intricati e complessi, muniti di cavalli di
Frisia e casematte, rendendo così il Lusern una fortezza difficile da
espugnare.
Un soldato austriaco, descrisse il bombardamento
italiano sul Luserna e sulle postazioni di osservazione avanzate: "Ogni scoppio ha su di noi l'effetto di un poderoso pugno in testa, il sangue esce dalle orecchie, le ore passate nell'osservatorio servono a espiare tutti i peccati che un uomo normale può commettere durante tutta la vita".
In quei giorni, essere inviati nei punti di osservazione avanzati, era come essere condannati a morte. Delle pattuglie uscite al mattino, il giorno seguente nessuno faceva ritorno. Un ufficiale austriaco rimase sconvolto, dalla rassegnazione con cui gli uomini impugnavano il fucile e si avviavano verso i punti avanzati e chiese perciò al proprio comandante, di non inviare più pattuglie almeno durante le ore diurne.
Alle ore 23:00 del 24 Agosto, la Brigata Ivrea e il battaglione alpini Val Brenta iniziarono la manovra di avvicinamento al Busa Verle ed al Passo Vezzena, ma furono immediatamente costretti a fermarsi e a trovare riparo nel Bosco Varanga, per la violenta reazione del nemico. Quasi contemporaneamente il suono di tromba, comandava l’assalto alla baionetta al 115° reggimento di fanteria (Brigata Treviso).
Il colonnello Riveri, postosi al comando dei suoi uomini e con fianco la bandiera del reggimento, li sospinse all’assalto al suono della marcia reale. Secondo alcune testimonianze però non confermate, il Riveri (cresciuto come il generale Oro nel mito garibaldino), indosso prima dell’attacco l’alta uniforme da ufficiale e la sciabola.
Nonostante la luce della luna e le fotoelettriche che illuminavano a giorno le pendici del Basson, Il magnifico slancio dei fanti del 115°, sfidò il fuco delle mitragliatrici austriache e i cannoni delle torrette girevoli del Luserna e travolse la prima linea nemica, con i varchi dei reticolati quasi completamente chiusi.
La reazione austriaca fu violente e micidiale, una pioggia di artiglieri di qualsiasi tipo (granate, proiettili di grosso e medio calibro, Shrapnel e fuoco di mitragliatrici), sconvolse le posizioni conquistate. Alle prime luci dell’alba, apparve chiaro al comando italiano, che la posizione non poteva essere tenuta. Il battaglione di Landsturm del capitano Bauer fu inviato alla riconquista delle posizioni delle prime linee e s’impegno in un sanguinoso corpo a corpo contro i fanti del 115° reggimento. Riveri gravemente ferito, non poté fare altro che comandare la ritirata sulle posizioni di partenza di Campo Rosà.
In quei giorni, essere inviati nei punti di osservazione avanzati, era come essere condannati a morte. Delle pattuglie uscite al mattino, il giorno seguente nessuno faceva ritorno. Un ufficiale austriaco rimase sconvolto, dalla rassegnazione con cui gli uomini impugnavano il fucile e si avviavano verso i punti avanzati e chiese perciò al proprio comandante, di non inviare più pattuglie almeno durante le ore diurne.
Alle ore 23:00 del 24 Agosto, la Brigata Ivrea e il battaglione alpini Val Brenta iniziarono la manovra di avvicinamento al Busa Verle ed al Passo Vezzena, ma furono immediatamente costretti a fermarsi e a trovare riparo nel Bosco Varanga, per la violenta reazione del nemico. Quasi contemporaneamente il suono di tromba, comandava l’assalto alla baionetta al 115° reggimento di fanteria (Brigata Treviso).
Il colonnello Riveri, postosi al comando dei suoi uomini e con fianco la bandiera del reggimento, li sospinse all’assalto al suono della marcia reale. Secondo alcune testimonianze però non confermate, il Riveri (cresciuto come il generale Oro nel mito garibaldino), indosso prima dell’attacco l’alta uniforme da ufficiale e la sciabola.
Nonostante la luce della luna e le fotoelettriche che illuminavano a giorno le pendici del Basson, Il magnifico slancio dei fanti del 115°, sfidò il fuco delle mitragliatrici austriache e i cannoni delle torrette girevoli del Luserna e travolse la prima linea nemica, con i varchi dei reticolati quasi completamente chiusi.
La reazione austriaca fu violente e micidiale, una pioggia di artiglieri di qualsiasi tipo (granate, proiettili di grosso e medio calibro, Shrapnel e fuoco di mitragliatrici), sconvolse le posizioni conquistate. Alle prime luci dell’alba, apparve chiaro al comando italiano, che la posizione non poteva essere tenuta. Il battaglione di Landsturm del capitano Bauer fu inviato alla riconquista delle posizioni delle prime linee e s’impegno in un sanguinoso corpo a corpo contro i fanti del 115° reggimento. Riveri gravemente ferito, non poté fare altro che comandare la ritirata sulle posizioni di partenza di Campo Rosà.
LA BANDIERA PERDUTA
Durante l’assalto, per la violenza del bombardamento austriaco e per la crudezza dello scontro, la bandiera del 115°, andò perduta sulla prima linea di difesa nemica. Il colonnello Riveri ordinò ai suoi uomini prima della ritirata, di recuperare ad ogni costo il vessillo. Infatti, la perdita della bandiera rappresenta per un reggimento il più alto disonore, che avrebbe riso beffardo sul sangue eroicamente versato dai soldati della Treviso. Un piccolo manipolo di uomini,riuscì con sprezzo del pericolo e a rischio della vita a recuperare il tricolore e a riportarlo (anche se logorato) dietro le linee italiane.
Il ripiegamento ordinato al 115° reggimento non fu cosa facile, i fanti faticarono a trovare le uscite dal groviglio di reticolati, e secondo alcuni testimoni (non confermato), vennero anche investiti dal tiro troppo corto delle artiglierie italiane. All’imbrunire del 25 agosto, gli uomini ancora rimasti nelle trincee delle prime linee, a corto di munizioni e stremati dal combattimento, non poterono fare altro che arrendersi agli austriaci. Anche il colonnello del reggimento venne gravemente ferito e fatto prigioniero.Con un tragico numero di morti, nella sera del 25 agosto, si pose fine all’ultima battaglia di stampo risorgimentale.
La Brigata Treviso lasciava sul campo nell’azione: 43 ufficiale e 1048 uomini tra truppa e graduati.
Oggi un cippo posto alle pendici del Basson, ricorda l’eroico coraggio dei fanti della Treviso che sacrificarono la loro vita per l’Italia nel primo conflitto mondiale.
Notizie sul soccorso ed il conforto spirituale, dato ai
poveri soldati italiani rimasti feriti ed in fin di vita sui reticolati, sono
fornito dal racconto del cappellano austriaco di forte Luserna, padre Mattia
Ortner, il quale sfidando il pericolo si avvio nelle trincee di prima linea. Il
sacerdote nelle sue memorie ricorda le invocazioni di aiuto rivoltegli:
-
“ Padre, mio Padre, prete…”
-
“Dovetti somministrare i sacramenti ad ognuno – Cercai
affannosamente quelli che giacevano sfracellati al suolo; talvolta i corpi
erano così ammucchiati, che dovetti arrampicarmi sopra. Altri strisciarono e
vennero verso di me – alcuni attendenti mi prelevarono per raggiungere
rapidamente il capitano che stava morendo” – i sani raccoglievano i feriti,
usando teli da tenda, coperte e altro, per radunarli – io impativo l’olio santo
– Molti morivano durante il santo ufficio… mi gridavano siamo tutti cattolici…”
-
“I soldati
italiani insistevano verso di me: “salvaci, padre, salvaci dai cannoni” – tutti
volevano baciare la mia croce, mi abbracciavano , baciavano le mie mani e
imprecavano contro i cannoni…”
-
“Alla vista degli ufficiali austriaci furono esplosi
alcuni colpi – ma un capitano ferito lo evitò energicamente – io avevo attorno
solo morti e feriti che soffrivano in modo incredibile soprattutto la sete. Per
fortuna i morti avevano con se le fiasche ancora piene e così potei offrire
acqua in abbondanza…”
Padre Ortner
sul campo di battaglia
Anche se non si ha una testimonianza diretta con uno specifico
riferimento, quasi certamente padre Mattia Ortner, amministro i sacramenti al
fante eoliano Fonti Giovanni. Le
testimonianze di padre Ortenr si riferiscono alla notte 25 agosto (fine del combattimento). Il
sacerdote e alcuni ufficiali austriaci al suo seguito, si spinsero fino ai punti,
dove più duri erano stati i combattimenti, per recuperare i feriti di entrambe
le parti. Tra di essi vi era in gravi
condizioni il soldato Fonti. Purtroppo non è stato possibile ne trovare l’atto
di morte (mod.147) e lo stato di servizio, dal quale si sarebbero potute
estrarre importanti informazioni. E’ certo che Fonti Giovanni del 115°
reggimento, riuscì con i suoi compagni a penetrare nelle prime linee nemiche e
insieme ad essi tentò il mantenimento della posizione, subendo la feroce
reazione nemica. La missione di padre Mattia e degli atri soccorritori, non
poté spingersi oltre le trincee riconquistate, perché secondo le testimonianze
di alcuni soldati austriaci: “Gli
italiani sparavano su qualunque cosa si muovesse”.
Fonti Giovanni fu
recuperato gravemente ferito, e portato a forte Lusera, dove si spense il 26
agosto 1915. L’Albo d’oro dei caduti Italiani nella grande guerra, parla di
morte in prigionia (durata meno di un giorno), ma è evidente che la morte
avvenne per le ferite riportate nel combattimento dei giorni precedenti.
Dai riassunti del diario di guerra della Brigata
Treviso:
All’inizio delle ostilità la brigata è
dislocata a Morostica – Bassano – Vallonara – Mason Vicentino alle dipendenze
della 34^ divisione. Inviata il 25 maggio nei dintorni di Thiene, il 3 giugno è
in prima linea sull’altopiano di Asiago, nelle zone Costesin – Campo Rosà –
Campo Posellaro – Ghertele - Cima
Manderiolo. Quivi fino al 23 agosto i suoi reparti si alternano fra periodi di
linea e di riposo.
Il 25
il 115° agisce dimostrativamente per agevolare l’attacco della brigata Ivrea
contro le posizioni avversarie di Malga Costa Alta e Monte Basson; gli attacchi
condotti con estrema violenza e più volte rinnovati da tutti i reparti del
reggimento si infrangono contro le robuste difese passive del nemico che
reagisce attivamente con fuoco di mitragliatrice e con intenso tiro delle
artiglierie dei forti ancora efficienti di Luserna e Busa del Verle, si che il
reggimento è obbligato a ripiegare sulle posizioni di partenza di Campo Rosà dopo aver perduto 36
ufficiali e 1041 militari di truppa.
L’eroica sua condotta in questa azione è compensata
colla concessione della medaglia di bronzo alle bandiere del reggimento al valor
militare.
La
brigata permane tutto l’anno nella zona ove, oltre ai quotidiani lavori di
rafforzamento, esegue frequenti azioni dimostrative e di pattuglia, fra le
quali sono di maggiore rilievo quelle svolte dal 19 al 21 ottobre e dal 4 al 6
dicembre.
Soldato
Fonti Giovanni in divisa da franchigia
(foto
gentilmente concessa dalla famiglia Fonti)
Fonti
Giovanni di Antonino
nato a Lipari (Pianoconte) 27 aprile 1893 – distretto militare di
Messina
Soldato del 115° Reggimento di Fanteria –
Fanteria di Linea
Morto il 26 agosto 1915 in prigionia per
ferite riportate in combattimento all’età di 22 anni
Sepoltura originaria
cimitero militare di Costalta -
sepoltura attuale tra gli ignoti del sacrario di Asiago.
Unità
di appartenenza
Costituita
nei primi giorni di Marzo del 1915:
il comando di brigata dal deposito del
55° Fanteria; il 115° dai depositi del 55° e del 56°; il 116° dal deposito del
1° Fanteria.
Nel novembre del 1917 la brigata e
disciolta per essere ricostituita il 28 febbraio 1918 coi reggimenti del 99° e
100° dei quali il primo già formato fin dal 25 ottobre 1917 dal deposito del
65° fanteria; il secondo ed il nuovo Comando di Brigata dal deposito del 66° Fanteria
e coi quarti battaglioni dei reggimenti 141°, 217° e 218°
Periodi
di permanenza della Brigata Treviso al fronte:
Anno
1915:
-
Dal 15 giugno al 31 dicembre: Zona Campo Rosà – Campo Posellaro – Val Torra –
Termine – Ghertele – Campo Manderiolo – Pianoro di Costesin – Millegrobe – Cima
Torre.
Alla fine della Guerra le perdite della
Brigata Treviso ammonteranno a :
115°
Reggimento
Ufficiali
|
Truppa
|
||||
Morti
|
Feriti
|
Dispersi
|
Morti
|
Feriti
|
Dispersi
|
46
|
142
|
47
|
639
|
3174
|
2177
|
116°
Reggimento
Ufficiali
|
Truppa
|
||||
Morti
|
Feriti
|
Dispersi
|
Morti
|
Feriti
|
Dispersi
|
29
|
112
|
39
|
697
|
3048
|
1896
|
Approfondimenti:
I corpi dei fanti
italiani, recuperati sul Col Basso dagli austriaci, insieme a quelli dei feriti
che morirono nelle ore successive a Luserna, vennero sepolti nell’improvvisato
cimitero militare di Costalta, in fosse comuni. Il cimitero ospitava anche le
sepolture di caduti Austriaci.
Secondo il racconto di Luis Trenker (libro Kameraden del Berge) i caduti italiani vennero caricati su muli e trasportati di notte al cimitero, poiché l’artiglieria italiana sparava su tutto ciò che si muoveva: e l’alpinista-scrittore descrive uno spettrale incontro notturno, una “processione orripilante” in cui gli alpini e i fanti erano “cavalieri muti”, e i “crani erano spalmati di calce”, “capelli impiastricciati di sangue sfioravano il suolo”, “mani penzolavano al passo del mulo”.Il cimitero di Costalta fu dismesso nel 1921 e le salme in esso custodite vennero traslate nel sacrario militare di Asiago (Altipiano dei Sette Comuni). Il recupero e la conta dei corpi furono effettuati sui crani rinvenuti, perciò nel 1962 alcuni reduci, ritenendo ancora sacro quel suolo, chiesero e ottennero la riattivazione del piccolo camposanto.
All’entrata in
guerra dell’Italia, il soldato Fonti Giovanni, faceva già parte del regio
esercito (fanteria di linea). Chiamato alla leva all’età di vent’anni (1913),
si accingeva al momento della mobilitazione dell’aprile 1915 a compiere il suo
ultimo periodo sotto le armi. Nell’unica sua foto disponibile, Giovanni Fonti
indossa la divisa da franchigia del regio esercito e le mostrine visibili su di
essa, sono quelle del 55° reggimento di fanteria Brigata Marche, unità nella
quale il soldato originario di Pianoconte, effettuo il suo periodo di leva
obbligatoria della durata di due anni.
Nel marzo 1915,
quando ormai apparve inevitabile un coinvolgimento dell’Italia nel conflitto,
il Regio Esercito dovette necessariamente
incrementare il numero di uomini e di unità, costituendo nuovi
reggimenti e divisioni. La Brigata Treviso, formatasi nei primi di marzo del
1915 attinse il suo organico per mobilitazione del deposito (disponibilità
organica di uomini e mezzi) del 55° e 56° reggimento di fanteria (Brigata
Marche) che costituirono il 115° reggimento, mentre il 116° reggimento attinse
dal deposito del 1° reggimento Granatieri di Sardegna. La Brigata subì nel 1°
conflitto mondiale ingentissime perdite di vite umane (vedi tabelle sopra
inserite) e venne più volte ricostituita a causa del “logoramento”.