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mercoledì 26 agosto 2015

Grande Guerra (1915-18) I caduti eoliani (rubrica a cura di Giuseppe Cirino) Il terzo caduto : Giovanni Fonti

IL TERZO CADUTO EOLIANO NELLA GRANDE GUERRA  
FONTI GIOVANNI 

Nella notte di San Bartolomeo del 24 agosto 1915, al grido di “Savoia” il 115° Reggimento di Fanteria, si lanciava all’assalto contro le postazioni austriache del Col Basson. Tra essi vi era anche il ventiduenne fante eoliano Fonti Giovanni, originario di Pianoconte.
            L’attacco al Col Basson, pianificato dal Comando Supremo Italiano, prevedeva una consistente azione contro la linea dei forti austriaci a ridosso della Valsugana che sbarravano al regio esercito i passi verso Trento. Lo svolgimento dell’operazione, era stata affidata alla 1^ Armata - settore della V Corpo d’Armata 34^ Divisione al comando del generale Pasquale Oro. All’alba del 14 agosto 1915, dai forti italiani di Verena e Campo Longo e dalle postazioni di artiglieria italiane del 41°reggimento, ebbe inizio un massiccio bombardamento verso i fori austriaci di Luserna – Busa Verle e lo Spitz Vezzena, con lo scopo di mettere fuori uso le difese pesanti del nemico, rendendo rapida l’avanzata su dette posizioni, da parte delle fanterie della Brigata Ivrea (161° e 162° rgt Fanteria) e della Brigata Treviso (115° e 116° rgt Fanteria).
            I bombardamenti si protrassero fino al 24 di agosto e i punti di osservazione italiani, riferirono ai comandi che i forti (soprattutto quello di Luserna posto a ridosso del Col Basson) apparivano gravemente danneggiati e pertanto non potevano, costituire una seria minaccia per l’operazione di conquista. Di tutt’altro parere apparve invece il colonnello Riveri comandante della Brigata Treviso. Secondo le informazioni raccolte dalle pattuglie incaricate di aprire varchi nei reticolati nemici, le difese del Basson apparivano provate ma non annientate e inoltre le brecce nei grovigli di filo spianto, erano troppo piccole a causa della mancanza d’idonei strumenti di taglio e potevano perciò rappresentare un serio ostacolo all’assalto, rendendo gli uomini facile bersaglio per le micidiali mitragliatrici Schwazlose. Come se non bastasse, il cielo sereno e la notte di luna piena prevista proprio per durante l’assalto, avrebbero reso ben visibili i movimenti delle truppe sul campo.
            Furono questi i motivi che Riveri, pose all’attenzione del generale Oro nel tentativo  di dissuaderlo nell’intraprendere l’attacco, ma la risposta del superiore fu inflessibile “l’attacco si farà questa notte… gli uomini apriranno le brecce nei reticolati con i petti e con i denti…” .
Forte Luserna, era già stato duramente bombardato nei primi mesi di guerra e il colonnello Ellison  comandante della piazzaforte,  dopo le azioni del giugno 1915, fu sul punto di negoziare con gli italiani una resa. Ma l’Austria non intendeva perdere per nessun motivo l’importante punto strategico ed inviò prontamente rimpiazzi alla guarnigione, arruolando Sud Tirolesi e richiamando alcuni reparti ben addestrati dal fronte Russo. Tappate le falle il colonnello Ellison von Nidlef (militare di carriera e abile stratega), rinforzo le difese del Basson, creando almeno tre linee di reticolati intricati e complessi, muniti di cavalli di Frisia e casematte, rendendo così il Lusern una fortezza difficile da espugnare.
            Un soldato austriaco, descrisse il bombardamento italiano sul Luserna e sulle postazioni di osservazione avanzate: "Ogni scoppio ha su di noi l'effetto di un poderoso pugno in testa, il sangue esce dalle orecchie, le ore passate nell'osservatorio servono a espiare tutti i peccati che un uomo normale può commettere durante tutta la vita". 
In quei giorni, essere inviati nei punti di osservazione avanzati, era come essere condannati a morte. Delle pattuglie uscite al mattino, il giorno seguente nessuno faceva ritorno. Un ufficiale austriaco rimase sconvolto, dalla rassegnazione con cui gli uomini impugnavano il fucile e si avviavano verso i punti avanzati e chiese perciò al proprio comandante, di non inviare più pattuglie almeno durante le ore diurne.
Alle ore 23:00 del 24 Agosto, la Brigata Ivrea e il battaglione alpini Val Brenta iniziarono la manovra di avvicinamento al Busa Verle ed al Passo Vezzena, ma furono immediatamente costretti a fermarsi e a trovare riparo nel Bosco Varanga, per la violenta reazione del nemico. Quasi contemporaneamente il suono di tromba, comandava l’assalto alla baionetta al 115° reggimento di fanteria (Brigata Treviso).
Il colonnello Riveri, postosi al comando dei suoi uomini e con fianco la bandiera del reggimento, li sospinse all’assalto al suono della marcia reale. Secondo alcune testimonianze però non confermate, il Riveri (cresciuto come il generale Oro nel mito garibaldino), indosso prima dell’attacco l’alta uniforme da ufficiale e la sciabola.
Nonostante la luce della luna e le fotoelettriche che illuminavano a giorno le pendici del Basson, Il magnifico slancio dei fanti del 115°, sfidò il fuco delle mitragliatrici austriache e i cannoni delle torrette girevoli del Luserna e travolse la prima linea nemica, con i varchi dei reticolati quasi completamente chiusi.
La reazione austriaca fu violente e micidiale, una pioggia di artiglieri di qualsiasi tipo (granate, proiettili di grosso e medio calibro, Shrapnel e fuoco di mitragliatrici), sconvolse le posizioni conquistate. Alle prime luci dell’alba, apparve chiaro al comando italiano, che la posizione non poteva essere tenuta. Il battaglione di Landsturm del capitano Bauer fu inviato alla riconquista delle posizioni delle prime linee e s’impegno in un sanguinoso corpo a corpo contro i fanti del 115° reggimento. Riveri gravemente ferito, non poté fare altro che comandare la ritirata sulle posizioni di partenza di Campo Rosà.

LA BANDIERA PERDUTA
               Durante l’assalto, per la violenza del bombardamento austriaco e per la crudezza dello scontro, la bandiera del 115°, andò perduta sulla prima linea di difesa nemica. Il colonnello Riveri ordinò ai suoi uomini prima della ritirata, di recuperare ad ogni costo il vessillo. Infatti, la perdita della bandiera rappresenta per un reggimento il più alto disonore, che avrebbe riso beffardo sul sangue eroicamente versato dai soldati della Treviso. Un piccolo manipolo di uomini,riuscì con sprezzo del pericolo e a rischio della vita a recuperare il tricolore e a riportarlo (anche se logorato) dietro le linee italiane.
Il ripiegamento ordinato al 115° reggimento non fu cosa facile, i fanti faticarono a trovare le uscite dal groviglio di reticolati, e secondo alcuni testimoni (non confermato), vennero anche investiti dal tiro troppo corto delle artiglierie italiane. All’imbrunire del 25 agosto, gli uomini ancora rimasti nelle trincee delle prime linee, a corto di munizioni e stremati dal combattimento, non poterono fare altro che arrendersi agli austriaci. Anche il colonnello del reggimento venne gravemente ferito e fatto prigioniero.
Con un tragico numero di morti, nella sera del 25 agosto, si pose fine all’ultima battaglia di stampo risorgimentale.
La Brigata Treviso lasciava sul campo nell’azione: 43 ufficiale e 1048 uomini tra truppa e graduati.
Oggi un cippo posto alle pendici del Basson, ricorda l’eroico coraggio dei fanti della Treviso che sacrificarono la loro vita per l’Italia nel primo conflitto mondiale.


Notizie sul  soccorso ed il conforto spirituale, dato ai poveri soldati italiani rimasti feriti ed in fin di vita sui reticolati, sono fornito dal racconto del cappellano austriaco di forte Luserna, padre Mattia Ortner, il quale sfidando il pericolo si avvio nelle trincee di prima linea. Il sacerdote nelle sue memorie ricorda le invocazioni di aiuto rivoltegli:
-          “ Padre, mio Padre, prete…”
-          “Dovetti somministrare i sacramenti ad ognuno – Cercai affannosamente quelli che giacevano sfracellati al suolo; talvolta i corpi erano così ammucchiati, che dovetti arrampicarmi sopra. Altri strisciarono e vennero verso di me – alcuni attendenti mi prelevarono per raggiungere rapidamente il capitano che stava morendo” – i sani raccoglievano i feriti, usando teli da tenda, coperte e altro, per radunarli – io impativo l’olio santo – Molti morivano durante il santo ufficio… mi gridavano siamo tutti cattolici…”
-           “I soldati italiani insistevano verso di me: “salvaci, padre, salvaci dai cannoni” – tutti volevano baciare la mia croce, mi abbracciavano , baciavano le mie mani e imprecavano contro i cannoni…”
-          “Alla vista degli ufficiali austriaci furono esplosi alcuni colpi – ma un capitano ferito lo evitò energicamente – io avevo attorno solo morti e feriti che soffrivano in modo incredibile soprattutto la sete. Per fortuna i morti avevano con se le fiasche ancora piene e così potei offrire acqua in abbondanza…”

Padre Ortner  sul campo di battaglia
Anche se non si ha  una testimonianza diretta con uno specifico riferimento, quasi certamente padre Mattia Ortner, amministro i sacramenti al fante eoliano Fonti Giovanni.  Le testimonianze di padre Ortenr si riferiscono alla notte  25 agosto (fine del combattimento). Il sacerdote e alcuni ufficiali austriaci al suo seguito, si spinsero fino ai punti, dove più duri erano stati i combattimenti, per recuperare i feriti di entrambe le parti.  Tra di essi vi era in gravi condizioni il soldato Fonti. Purtroppo non è stato possibile ne trovare l’atto di morte (mod.147) e lo stato di servizio, dal quale si sarebbero potute estrarre importanti informazioni. E’ certo che Fonti Giovanni del 115° reggimento, riuscì con i suoi compagni a penetrare nelle prime linee nemiche e insieme ad essi tentò il mantenimento della posizione, subendo la feroce reazione nemica. La missione di padre Mattia e degli atri soccorritori, non poté spingersi oltre le trincee riconquistate, perché secondo le testimonianze di alcuni soldati austriaci: “Gli italiani sparavano su qualunque cosa si muovesse”.
Fonti Giovanni fu recuperato gravemente ferito, e portato a forte Lusera, dove si spense il 26 agosto 1915. L’Albo d’oro dei caduti Italiani nella grande guerra, parla di morte in prigionia (durata meno di un giorno), ma è evidente che la morte avvenne per le ferite riportate nel combattimento dei giorni precedenti.

Dai riassunti del diario di guerra della Brigata Treviso:
All’inizio delle ostilità la brigata è dislocata a Morostica – Bassano – Vallonara – Mason Vicentino alle dipendenze della 34^ divisione. Inviata il 25 maggio nei dintorni di Thiene, il 3 giugno è in prima linea sull’altopiano di Asiago, nelle zone Costesin – Campo Rosà – Campo Posellaro – Ghertele -  Cima Manderiolo. Quivi fino al 23 agosto i suoi reparti si alternano fra periodi di linea e di riposo.
            Il 25 il 115° agisce dimostrativamente per agevolare l’attacco della brigata Ivrea contro le posizioni avversarie di Malga Costa Alta e Monte Basson; gli attacchi condotti con estrema violenza e più volte rinnovati da tutti i reparti del reggimento si infrangono contro le robuste difese passive del nemico che reagisce attivamente con fuoco di mitragliatrice e con intenso tiro delle artiglierie dei forti ancora efficienti di Luserna e Busa del Verle, si che il reggimento è obbligato a ripiegare sulle posizioni di partenza di Campo Rosà dopo aver perduto 36 ufficiali e 1041 militari di truppa.
L’eroica sua condotta in questa azione è compensata colla concessione della medaglia di bronzo alle bandiere del reggimento al valor militare.
            La brigata permane tutto l’anno nella zona ove, oltre ai quotidiani lavori di rafforzamento, esegue frequenti azioni dimostrative e di pattuglia, fra le quali sono di maggiore rilievo quelle svolte dal 19 al 21 ottobre e dal 4 al 6 dicembre.
Soldato Fonti Giovanni in divisa da franchigia
(foto gentilmente concessa dalla famiglia Fonti)

Fonti Giovanni  di Antonino  nato a Lipari (Pianoconte) 27 aprile 1893 – distretto militare di Messina
Soldato del 115° Reggimento di Fanteria – Fanteria di Linea
Morto il 26 agosto 1915 in prigionia per ferite riportate in combattimento all’età di 22 anni
Sepoltura originaria cimitero militare di Costalta  - sepoltura attuale tra gli ignoti del sacrario di Asiago.

Unità di appartenenza
Brigata Treviso 115 ° e  11 Reggimento di Fanteria e poi 99° e 100° Fanteria
Costituita nei primi giorni di Marzo del 1915:
il comando di brigata dal deposito del 55° Fanteria; il 115° dai depositi del 55° e del 56°; il 116° dal deposito del 1° Fanteria.
Nel novembre del 1917 la brigata e disciolta per essere ricostituita il 28 febbraio 1918 coi reggimenti del 99° e 100° dei quali il primo già formato fin dal 25 ottobre 1917 dal deposito del 65° fanteria; il secondo ed il nuovo Comando di Brigata dal deposito del 66° Fanteria e coi quarti battaglioni dei reggimenti 141°, 217° e 218°
Periodi di permanenza della Brigata Treviso al fronte:
Anno 1915:
-          Dal 15 giugno al 31 dicembre: Zona Campo Rosà – Campo Posellaro – Val Torra – Termine – Ghertele – Campo Manderiolo – Pianoro di Costesin – Millegrobe – Cima Torre.

Alla fine della Guerra le perdite della Brigata Treviso ammonteranno a :
115° Reggimento
Ufficiali
Truppa
Morti
Feriti
Dispersi
Morti
Feriti
Dispersi
46
142
47
639
3174
2177

116° Reggimento
Ufficiali
Truppa
Morti
Feriti
Dispersi
Morti
Feriti
Dispersi
29
112
39
697
3048
1896

Approfondimenti:
I corpi dei fanti italiani, recuperati sul Col Basso dagli austriaci, insieme a quelli dei feriti che morirono nelle ore successive a Luserna, vennero sepolti nell’improvvisato cimitero militare di Costalta, in fosse comuni. Il cimitero ospitava anche le sepolture di caduti Austriaci.
Secondo il racconto di Luis Trenker (libro Kameraden del Berge) i caduti italiani vennero caricati su muli e trasportati di notte al cimitero, poiché l’artiglieria italiana sparava su tutto ciò che si muoveva: e l’alpinista-scrittore descrive uno spettrale incontro notturno, una “processione orripilante” in cui gli alpini e i fanti erano “cavalieri muti”, e i “crani erano spalmati di calce”, “capelli impiastricciati di sangue sfioravano il suolo”, “mani penzolavano al passo del mulo”.
Il cimitero di Costalta fu dismesso nel 1921 e le salme in esso custodite vennero traslate nel sacrario militare di Asiago (Altipiano dei Sette Comuni). Il recupero e la conta dei corpi furono effettuati sui crani rinvenuti, perciò nel 1962 alcuni reduci, ritenendo ancora sacro quel suolo, chiesero e ottennero la riattivazione del piccolo camposanto.
All’entrata in guerra dell’Italia, il soldato Fonti Giovanni, faceva già parte del regio esercito (fanteria di linea). Chiamato alla leva all’età di vent’anni (1913), si accingeva al momento della mobilitazione dell’aprile 1915 a compiere il suo ultimo periodo sotto le armi. Nell’unica sua foto disponibile, Giovanni Fonti indossa la divisa da franchigia del regio esercito e le mostrine visibili su di essa, sono quelle del 55° reggimento di fanteria Brigata Marche, unità nella quale il soldato originario di Pianoconte, effettuo il suo periodo di leva obbligatoria della durata di due anni.
Nel marzo 1915, quando ormai apparve inevitabile un coinvolgimento dell’Italia nel conflitto, il Regio Esercito dovette necessariamente  incrementare il numero di uomini e di unità, costituendo nuovi reggimenti e divisioni. La Brigata Treviso, formatasi nei primi di marzo del 1915 attinse il suo organico per mobilitazione del deposito (disponibilità organica di uomini e mezzi) del 55° e 56° reggimento di fanteria (Brigata Marche) che costituirono il 115° reggimento, mentre il 116° reggimento attinse dal deposito del 1° reggimento Granatieri di Sardegna. La Brigata subì nel 1° conflitto mondiale ingentissime perdite di vite umane (vedi tabelle sopra inserite) e venne più volte ricostituita a causa del “logoramento”.

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