28 agosto 1926
Nella giornata del 28 agosto 1926 i
liparoti si ribellarono alla decisione del Governo Mussolini di
ripristinare nell'isola di Lipari il confino coatto. Fu una decisione
estrema, presa dopo mesi di agitazione e di speranze deluse.
Nel corso della primavera del 1926,
subito dopo l'insediamento del Podestà si cominciarono ad elaborare
i progetti per la sistemazione degli edifici presenti all'interno del
Castello tali da condurre alla costituzione di un comitato spontaneo
di cittadini. Il progetto prevedeva la demolizione delle case
medievali sul lato orientale del Castello per fare spazio a due nuovi
grandi padiglioni proprio sulla via della Cattedrale e ad altri
padiglioni minori intorno alla Chiesa delle Grazie, sul versante sud;
si volevano riattivate anche le vecchie case esistenti sul lato nord
occidentale e le case di proprietà privata sul versante sud
occidentale.
Nel mese di luglio le indiscrezioni
diventano certezze con l'invio a Lipari di un ispettore, il Comm.
Marroni, per esaminare alcuni edifici all'interno del castello.
Venne costituito un comitato cittadino
presieduto dall'autorevole Cavaliere Giuseppe Franza, già sindaco di
Lipari e che rappresentava, in qualche modo, la vecchia classe
politica pre-fascista.
Quali erano i sentimenti dei liparesi?
quali erano le considerazioni che circolavano per le vie e le piazze
dell'isola? La risposta è ovvia, nessuno voleva più i coatti a
Lipari.
Nel corso del mese di agosto si
susseguirono numerose riunioni del comitato, delle logge massoniche
allora esistenti a Lipari, con il sostegno del vescovo Ballo e da
alcune organizzazioni religiose come l'associazione delle Dame
cattoliche; il prof. Pino Paino, riferisce di un incontro in
Cattedrale e di numerosi incontri in Casa De Mauro.
La situazione precipitò la mattina del
28 agosto 1926 con l'arrivo del commissario di P.S. Attilio Stagni
per provvedere alla vigilanza dei lavori. Un gruppo di donne del
comitato chiese un incontro durante il quale fu comunicato che la
volontà era quella di sgomberare i locali occupati dall'ospedale
civile per adibirli a dormitorio. Era l'occasione attesa? Non lo
sappiamo, tuttavia, subito dopo, le signore, in corteo, chiesero di
poter accedere all'interno del castello, al rifiuto opposto dalle
forze dell'ordine i liparoti risposero occupando l'acropoli “ (foto a fianco) in
seguito l'esiguo cordone non poté resistere alla marea di popolo che
nel frattempo si era raccolto.
Vennero suonate a distesa tutte le
campane delle chiese ed un continuo accorrere di gente era verso il
Castello. (...) Il suono delle campane chiamò a raccolta i contadini
e i cittadini di Lipari. E tutti accorsero, dalle campagne e dal
Paese, e per le strade, si vide popolo, popolo, e poi popolo. Sbucare
da tutte le parti: fremente, sconvolto, furente. Convergere tutto in
un sol posto, al Castello. Urlando una sola voce “i coatti! I
coatti!”
Il castello fu assalito da una folla
armati di picconi, zappe, badili, vanghe e da ogni arnese possibile
atto a potere distruggere. Uomini e donne, al giro di “non vogliamo
più coatti” invasero i cameroni e le casette; tutto fu abbattuto
al suolo e ridotto in macerie dalla folla infuriata dando vita
all’unica insurrezione armata di un intero popolo contro un regime
che teneva già in catene tutta una nazione, mentr’era ancora vivo
nell’aria l’ultimo gemito di Matteotti.
Sette ore durò la distruzione del
Castello e quando l’ultimo degli insorti si ritirò, sembrava che
fosse passato di nuovo Barbarossa. Solo che questa volta nessuno
piangeva come allora, chè anzi ognuno felice di sentirsi nato.
Il commissario Stagni non esitò ad
avvertire la Prefettura di Messina comunicando l'esito della sommossa
e richiedendo rinforzi, nonostante che poco dopo il clima tra la
popolazione si fosse rasserenato. Così, per presidiare il paese, a
Lipari giunse una torpediniera carica di militari e, a quel punto,
scattarono i primi arresti: quelli del dott. Francesco De Mauro(foto a fianco) e di
Salvatore Paternò. Moltissimi giovani riuscirono a trovare rifugio
nella vicina isola di Vulcano, utilizzando barche da pesca prendendo
il mare della spiaggia di Valle Muria.
(...) La notte dal 29 al 30 vennero
arrestati 18 persone che furono con un rimorchiatore trasportati al
carcere di Milazzo. La mattina del 30 venne tratto in arresto il
Dott. De Mauro per istigazione a delinquere. Non è possibile neppure
brevemente, raccontare le manifestazioni di simpatia tributate dal
popolo di Lipari al Dott. De Mauro ed agli altri arrestati.
Sappiamo che il vescovo Ballo presentò
una petizione della popolazione all'Arcivescovo di Messina, mons.
Paino, e questi si attivò, ancora una volta, presso la Prefettura e
il governo affinché fosse trovata una pronta risposta alle pressanti
richieste dei liparesi. Così fu, dato che la colonia di coatti
comuni non se parlò più.
La sollevazione popolare del 28 agosto
1926 non rappresenta un semplice episodio nell'intera vicenda
confinaria, anzi ne costituisce un'importante cesura rispetto al
passato, una discriminante che, con l'istituzione del confino di
polizia connoterà Lipari – a differenza di altre isole – come
colonia di confinati politici evitando “un ritorno” disastroso e
disumano per l'intera comunità eoliana.
La sommossa non va accostata ad una
semplice “jacquerie” sviluppatasi tra le file di contadini
esasperati, o, comunque, all'interno di una massa d'indigenti.
Tutt'altro. La sollevazione fu capeggiata da quella che si può
considerare l'elitè di una comunità, la classe dirigente
pre-fascista proveniente dai due ex partiti, popolare e democratico.
Ma è indubbio che, a dar valore alla
sommossa, contribuirono i contadini insieme ad alcuni giovani
isolani, perché, evidentemente, la riattivazione della colonia di
relegati comuni avrebbe leso interessi che abbracciavano un po' tutti
gli strati sociali. Si avvertiva, poi, il bisogno di preservare la
comunità da una cattiva reputazione. L'intervento repressivo delle
forze dell'ordine contribuì notevolmente a consolidare
l'atteggiamento di diffidenza dei liparesi verso i vari corpi addetti
alla sorveglianza dei confinati politici come vedremo nel prossimo
decennio