Inaugurato a Lipari il museo che racconta 60 anni di film e star
DI MARCELLO SORGI
Lipari - A vedere Nanni Moretti arrampicarsi a bordo di una motocarrozina Ape per le viuzze del paese, sembrava quasi di essere tornati ai tempi di «Caro Diario». La sua Ape, come la bicicletta di Massimo Troisi nel «Postino» o la carriola di Anna Magnani in «Vulcano», sono gli oggetti-simbolo del cinema delle Eolie. Almeno una volta grandi registi e attori che hanno fatto la storia del cinema italiano hanno ceduto al fascino di queste sette isole esotiche. Una sorta di set naturale che da ieri - con l’inaugurazione del «Museo del cinema e della civiltà del bello» - rivive in una mostra fotografica permanente curata da Nino Allegrino.
Ieri sera non c’era ancora (magari arriverà) la mitica macchina da presa subacquea del principe Francesco Alliata di Villafranca. Una scatola metallica con dentro la cinepresa con cui Alliata, pioniere negli Anni Quaranta, realizzava per la prima volta al mondo riprese girate sotto la superficie del mare.
La storia di questi aristocratici siciliani sbarcati nell’arcipelago dopo la guerra fa da sfondo a quella del triangolo BergmanMagnani-Rossellini, lo scandalo che inaugurò il giornalismo gossiparo. A volerla inventare, non sarebbe venuta così bene: gli ingredienti c’erano tutti. Nel 1948, reduce dai successi di «Roma città aperta» e «Paisà», la coppia arcifamosa Roberto RosselliniAnna Magnani insieme ad Alliata avevano progettato un film da girare alle Eolie sulla storia di una profuga che sposa un isolano e viene rifiutata dalla comunità locale. Ma quando tutto era pronto, Rossellini ricevette una lettera dalla Bergman, che in un cinemino d’essai a New York aveva visto un suo film ed era rimasta colpita. «Se ha bisogno di un’attrice svedese, che sa parlare inglese e tedesco, non ha dimenticato il francese, e in italiano sa dire solo ’ti amo’, sono pronta a venire in Italia a lavorare per lei», aveva scritto la Bergman. Rossellini perse la testa e scappò in America, abbandonando la Magnani, che per ripicca partì per le isole per fare lo stesso film che il grande regista italiano aveva regalato alla sua nuova musa.
Così la vera avventura si svolse dietro, più che davanti alle macchine da presa. La Magnani per vendicarsi usò qualsiasi espediente, anche lo spionaggio di un pescatore isolano, Gianni Pavone, con cui si era fidanzata e a cui aveva imposto il soprannome di «Colosseo». «A Colosse’ mimetizzate, fa er filo a quarche comparsa e nun te fa scoprì», gli raccomandò, prima di imbarcarlo da Vulcano per Stromboli, dov’era accampata la troupe del film concorrente. Intanto la Bergman, sfuggita a un marito nevrotico e disincantato, Petter Lindstrom (un dentista che in fatto di sesso aveva gusti geometrici e ripetitivi e odiava sudare), era rimasta incinta di Rossellini, mentre era contemporaneamente madre di una bimba di sei anni ,abbandonata in Usa. Comprensibile il suo stato d’ansia, che non giovava alla lavorazione. Inoltre non si adattava al metodo neorealista rosselliniano del lavoro occasionale, poetico, su ispirazione, e non sopportava l’inesperienza del coprotagonista Mario Vitale, un pescatore scoperto da Rossellini e subito reclutato sulla spiaggia di Salerno. Ne uscì un disastro: i due film uguali e concorrenti, intitolati alle isole Stromboli e Vulcano, furono un doppio flop. La sera della prima della Magnani nacque il figlio (illegittimo, per le leggi del tempo) della Bergman. Un cardinale ne annunciò incautamente il battesimo e dal Vaticano al clero americano partì un anatema definitivo.
Dopo Rossellini, fu Michelangelo Antonioni nel 1960 ad imbarcarsi per le Eolie. Il titolo del film, «L’avventura»,si ribaltò oltre ogni previsione sulle difficoltà del lavoro. La location scelta era infatti LiscaBianca, un suggestivo isolotto deserto, striato di venature di zolfo gialle e verdi, davanti a Panarea. Montare le attrezzature sugli scogli, far scivolare su binari incerti le cineprese che dovevano immortalare la scomparsa di Lea Massari, si rivelò più difficile del previsto. Tra la Massari e Monica Vitti, bellissime sullo sfondo dei colori eoliani ambrati, nacque qualche inevitabile rivalità. La produzione durò sei mesi, superando qualsiasi previsione, ma il risultato fu un capolavoro.
Geniale, nel 1984, si rivelò l’intuizione di Paolo e Vittorio Taviani di ambientare alle Eolie un film pirandelliano, «Kaos», che aveva tra i suoi episodi anche la famosa novella della «Giara», con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia usati come attori drammatici. In una delle scene finali, ambientata nel bianco abbagliante delle cave di pomice dove s’era già esibita la Magnani, compare da bambina anche Giovanna Taviani, che allora scherzosamente diceva d’essere «figlia dei fratelli Taviani» e 26 anni dopo, nel 2010, girerà il suo «Fughe e approdi»: la storia delle Eolie antiche e recenti attraverso le tradizioni, i miti, le superstizioni, e naturalmente anche i film.
Nel 1994 i due film isolani di Moretti e di Troisi non potevano essere più diversi. Moretti in realtà dedicò alle isole, che visitò una dopo l’altra inseguito dalla sua troupe, solo un episodio del suo affresco sulle nevrosi che cominciava da Roma, e dalla famosa passeggiata in Vespa alla Garbatella. La storia era quella di un uomo che approda a Lipari alla ricerca di tranquillità, ma a dispetto delle aspettative si sente inseguito dalla modernizzazione che ha ormai contagiato tutto. Ovunque vede televisione, madri ossessive con bambini piagnucolosi, sfoghi irati di amici ansiosi che lo inducono a scappare fino ad Alicudi, la più selvaggia delle sette, ma neppure lì riesce a rasserenarsi. Quello di Troisi, ambientato a Salina, oltre ad essere l’ultimo del grande attore napoletano, è invece straordinariamemte lento e contemplativo. La trasformazione in poeta del protagonista è descritta dal regista Michael Radford come una lenta fulminazione, e la malinconia della scomparsa unisce tragicamente finzione e realtà.
L’ultima volta che Lipari è tornata ad essere un set era nel 2010. Graziano Diana girava per Rai 1 «Edda Ciano e il comunista» con Alessandro Preziosi e Stefania Rocca, l’amore segreto della figlia del Duce al confino con un partigiano comunista. Grigia, sepolta da una sabbia scura e popolata di pescatori intabarrati in abiti cenciosi, la piazza di Marina Corta in versione Anni Quaranta somigliava a quel che il personaggio di Nanni Moretti aveva inutilmente cercato. Attraversandola nella luce incerta dell’alba o del tramonto, forse, finalmente, vi avrebbe trovato pace.
Ieri sera non c’era ancora (magari arriverà) la mitica macchina da presa subacquea del principe Francesco Alliata di Villafranca. Una scatola metallica con dentro la cinepresa con cui Alliata, pioniere negli Anni Quaranta, realizzava per la prima volta al mondo riprese girate sotto la superficie del mare.
La storia di questi aristocratici siciliani sbarcati nell’arcipelago dopo la guerra fa da sfondo a quella del triangolo BergmanMagnani-Rossellini, lo scandalo che inaugurò il giornalismo gossiparo. A volerla inventare, non sarebbe venuta così bene: gli ingredienti c’erano tutti. Nel 1948, reduce dai successi di «Roma città aperta» e «Paisà», la coppia arcifamosa Roberto RosselliniAnna Magnani insieme ad Alliata avevano progettato un film da girare alle Eolie sulla storia di una profuga che sposa un isolano e viene rifiutata dalla comunità locale. Ma quando tutto era pronto, Rossellini ricevette una lettera dalla Bergman, che in un cinemino d’essai a New York aveva visto un suo film ed era rimasta colpita. «Se ha bisogno di un’attrice svedese, che sa parlare inglese e tedesco, non ha dimenticato il francese, e in italiano sa dire solo ’ti amo’, sono pronta a venire in Italia a lavorare per lei», aveva scritto la Bergman. Rossellini perse la testa e scappò in America, abbandonando la Magnani, che per ripicca partì per le isole per fare lo stesso film che il grande regista italiano aveva regalato alla sua nuova musa.
Così la vera avventura si svolse dietro, più che davanti alle macchine da presa. La Magnani per vendicarsi usò qualsiasi espediente, anche lo spionaggio di un pescatore isolano, Gianni Pavone, con cui si era fidanzata e a cui aveva imposto il soprannome di «Colosseo». «A Colosse’ mimetizzate, fa er filo a quarche comparsa e nun te fa scoprì», gli raccomandò, prima di imbarcarlo da Vulcano per Stromboli, dov’era accampata la troupe del film concorrente. Intanto la Bergman, sfuggita a un marito nevrotico e disincantato, Petter Lindstrom (un dentista che in fatto di sesso aveva gusti geometrici e ripetitivi e odiava sudare), era rimasta incinta di Rossellini, mentre era contemporaneamente madre di una bimba di sei anni ,abbandonata in Usa. Comprensibile il suo stato d’ansia, che non giovava alla lavorazione. Inoltre non si adattava al metodo neorealista rosselliniano del lavoro occasionale, poetico, su ispirazione, e non sopportava l’inesperienza del coprotagonista Mario Vitale, un pescatore scoperto da Rossellini e subito reclutato sulla spiaggia di Salerno. Ne uscì un disastro: i due film uguali e concorrenti, intitolati alle isole Stromboli e Vulcano, furono un doppio flop. La sera della prima della Magnani nacque il figlio (illegittimo, per le leggi del tempo) della Bergman. Un cardinale ne annunciò incautamente il battesimo e dal Vaticano al clero americano partì un anatema definitivo.
Dopo Rossellini, fu Michelangelo Antonioni nel 1960 ad imbarcarsi per le Eolie. Il titolo del film, «L’avventura»,si ribaltò oltre ogni previsione sulle difficoltà del lavoro. La location scelta era infatti LiscaBianca, un suggestivo isolotto deserto, striato di venature di zolfo gialle e verdi, davanti a Panarea. Montare le attrezzature sugli scogli, far scivolare su binari incerti le cineprese che dovevano immortalare la scomparsa di Lea Massari, si rivelò più difficile del previsto. Tra la Massari e Monica Vitti, bellissime sullo sfondo dei colori eoliani ambrati, nacque qualche inevitabile rivalità. La produzione durò sei mesi, superando qualsiasi previsione, ma il risultato fu un capolavoro.
Geniale, nel 1984, si rivelò l’intuizione di Paolo e Vittorio Taviani di ambientare alle Eolie un film pirandelliano, «Kaos», che aveva tra i suoi episodi anche la famosa novella della «Giara», con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia usati come attori drammatici. In una delle scene finali, ambientata nel bianco abbagliante delle cave di pomice dove s’era già esibita la Magnani, compare da bambina anche Giovanna Taviani, che allora scherzosamente diceva d’essere «figlia dei fratelli Taviani» e 26 anni dopo, nel 2010, girerà il suo «Fughe e approdi»: la storia delle Eolie antiche e recenti attraverso le tradizioni, i miti, le superstizioni, e naturalmente anche i film.
Nel 1994 i due film isolani di Moretti e di Troisi non potevano essere più diversi. Moretti in realtà dedicò alle isole, che visitò una dopo l’altra inseguito dalla sua troupe, solo un episodio del suo affresco sulle nevrosi che cominciava da Roma, e dalla famosa passeggiata in Vespa alla Garbatella. La storia era quella di un uomo che approda a Lipari alla ricerca di tranquillità, ma a dispetto delle aspettative si sente inseguito dalla modernizzazione che ha ormai contagiato tutto. Ovunque vede televisione, madri ossessive con bambini piagnucolosi, sfoghi irati di amici ansiosi che lo inducono a scappare fino ad Alicudi, la più selvaggia delle sette, ma neppure lì riesce a rasserenarsi. Quello di Troisi, ambientato a Salina, oltre ad essere l’ultimo del grande attore napoletano, è invece straordinariamemte lento e contemplativo. La trasformazione in poeta del protagonista è descritta dal regista Michael Radford come una lenta fulminazione, e la malinconia della scomparsa unisce tragicamente finzione e realtà.
L’ultima volta che Lipari è tornata ad essere un set era nel 2010. Graziano Diana girava per Rai 1 «Edda Ciano e il comunista» con Alessandro Preziosi e Stefania Rocca, l’amore segreto della figlia del Duce al confino con un partigiano comunista. Grigia, sepolta da una sabbia scura e popolata di pescatori intabarrati in abiti cenciosi, la piazza di Marina Corta in versione Anni Quaranta somigliava a quel che il personaggio di Nanni Moretti aveva inutilmente cercato. Attraversandola nella luce incerta dell’alba o del tramonto, forse, finalmente, vi avrebbe trovato pace.