"Senza traghetti alle Isole Eolie diventeremo pirati"
I residenti: "Sfruttati dai vip e abbandonati"
È una Sicilia orgogliosa, lontana, quella sparpagliata nelle isole Eolie, terra di lava, zolfo, di gente orgogliosa, quella che combatte in questi giorni per il diritto ad avere navi che la colleghino al continente anche quando l’euforia estiva è cessata, anche quando l’ultima villa di vip è stata chiusa. Che si batte per poter continuare a pensare di essere «Italia», che le loro isole, Lipari, Stromboli, Salina, Vulcano, Alicudi, Filicudi, Panarea, meritino di essere assistite con trasposti pubblici che non guardino solo al profitto delle corse. Tra loro c’è Maria, solo 14 anni, che vive ad Alicudi ma che per andare a scuola deve prendere il traghetto fino a Lipari oppure farsi accogliere per la notte da qualcuno. Per lei la decisione del governo di privatizzare la Tirrenia e di conseguenza la Siremar significherà altre difficoltà. E, forse, anche la rinuncia agli studi.
La lunga battaglia
Una nave occupata è bastata solo a rimandare al venti di gennaio la sentenza che gli eoliani aspettano come un gong che cambierà le loro vite. Eccoli tutti i rivoltosi del comitato per i trasporti, capeggiati dal comandante Merenda che confessa di avere accettato di scendere dal traghetto anche perché «era pericoloso». «Lipari non ha un porto vero, è aperta ai venti e al mare e non potevamo rischiare». Eccoli, tutti qui, in una giornata di vento e di pioggia, riuniti nell’albergo «La Giara» a decidere del loro futuro, di quello che saranno costretti a fare se il governo non accetterà di versare i 46 milioni di euro necessari per fare andare avanti nel 2009 la Siremar. Il ministro Matteoli li ha garantiti, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianfranco Miccichè ha spiegato che il ministro dell’Economia Giulio Tremonti non ha nessuna intenzione di mollarli, poi è arrivata un’altra assicurazione, seguito da un’altra doccia fredda dettata da Salvino Caputo, presidente della Commissione Attività Produttive dell’Assemblea regionale siciliana che ha confermato la risposta negativa di Tremonti. Un balletto italiano. Comitato diviso
E intanto la nave se ne è andata lasciando in banchina il malcontento stretto alla paura. Umori che creano anche tensioni dentro il comitato. Carolina Conti, 75 anni, proprietaria dell’albergo dove nel 1949 Rossano Brazzi ha girato Vulcano, ci tiene a spiegare che i collegamenti sono fondamentali per i bilanci degli albergatori. Ma Piero Cascio, consigliere comunale di opposizione, si alza e se ne va non prima di avere urlato: «Che anche un solo studente che non va a scuola vale quanto i problemi economici degli albergatori», «che non ci sta a ridurre tutto a un problema di sviluppo». È Maria, la studentessa di Alicudi a cui si riferisce, una ragazzina trasformata in principio irrinunciabile, nel vessillo di questa battaglia. Ma lo sviluppo conta, eccome se conta in questa guerra per i traghetti visto che a dare forza alla richiesta di mantenere i collegamenti come sono ad oggi, anche quelli invernali per Napoli, certamente poco redditizi, si sventola la legge 684 del 1974 secondo la quale i «servizi di collegamento marittimo con le isole minori debbono assicurare il soddisfacimento delle esigenze connesse con lo sviluppo economico e sociale delle aree interessate...». Un problema che riguarda sicuramente anche le altre piccole isole italiane, come quelle campane e toscane, ma che qui, assicurano gli eoliani è molto più grave: «Siamo realtà simile ma diverse», assicura Emanuele Carnevale, presidente di una associazione di imprenditori. «Le nostre isole sono sette e molto lontane le une dalle altre, non è come per Capri e Ischia».
Ancora pochi giorni
Si aspetta con trepidazione il 14 gennaio quando, come da annuncio ufficiale, la Siremar dovrebbe scomparire dall’arcipelago eoliano diretta nelle braccia di qualche imprenditore privato. «Faranno come la Cai», dice qualcuno. «Non possiamo permettere che la Siremar venga privatizzata, spiega Christian Del Bon, presidente Federalberghi Isole Eolie, «considerato che è stato abbondantemente provato che in assenza di cospicui contributi pubblici, i vettori privati non sono in grado di garantire i servizi di collegamento necessari se non limitatamente ai brevi periodi di altissima stagione e solo sulle rotte principali. Fino al venti comunque siamo costretti alla tregua», dice. Ma i più battaglieri assicurano che sono disposti a tutto se il governo non accetterà di finanziare il dovuto e soprattutto di scorporare la Siremar dalla Tirrenia in modo che possa rimanere pubblica con una partecipazione della Regione Sicilia. Quel «tutto» dei più agguerriti comprende anche altre occupazioni ad oltranza di traghetti e aliscafi, oltre che del Consiglio comunale: «Come pirati, saliremo su tutte le navi che passano». Ma anche l’organizzazione di un referendum per fare delle Eolie un porto franco come Malta: «Se il governo ci abbandona non ci resta che fare da soli e allora lo faremo a modo nostro», spiegano i resistenti. «Giù la bandiera italiana e su quella eoliana».
Oltre i proclami
Provocazioni verbali, forse solo quelle, ma la spia di un grande disagio per sentirsi abbandonati dallo Stato. «Di noi si ricordano solo quando in estate vengono a fare i bagni», spiega Nino. «I vip devono avere tutte le comodità, noi dobbiamo arrangiarci. Succederà come quando tutti emigravano all’estero. E oggi dall’Australia, dall’America ci sono tanti nostri isolani che scrivono per darci la loro solidarietà e per chiederci di batterci».