Ci vorrebbe un poeta per descrivere in maniera compiuta l’incanto di questo luogo, e io purtroppo non lo sono. Da tempo, però, mi interrogo sul perché tanta bellezza debba essere avvilita dall’incuria e dal degrado, e credo di non essere il solo a farlo.
Il sentiero che sale al cratere, infatti, è costellato dai relitti delle opere di “ingegneria” idraulica maldestramente realizzate più di venti anni fa: muri in pietra e cemento ormai divelti dal naturale corso delle acque meteoriche, tubi di plastica spaccati che affiorano dalla sabbia. Uno spettacolo desolante, frutto di interventi privi di senso che hanno lasciato inutili brutture a deturpare uno dei luoghi più visitati dell’arcipelago. E all’inizio del percorso, tanto per non farci mancare nulla, un pannello ormai sbiadito e illeggibile – realizzato nel corso di qualche progetto finanziato con fondi comunitari – giace disteso sull’erba, forse a beneficio delle prossime generazioni di archeologi.
Eppure nelle nostre isole il tema del decoro è al centro di una costante attenzione, almeno quando si tratta degli abitati: solerti funzionari sono impegnati a pronunciarsi sulla liceità delle verande, dei pannelli solari, dei colori delle case, delle fioriere, delle tende ombreggianti e delle insegne, mentre tanti cittadini si turbano alla vista di una buca nella strada o di un cumulo di rifiuti abbandonati. Ma quando si esce dal perimetro urbano, il territorio diviene estraneo, addirittura ignoto, come quelli indicati dai cartografi del Medio Evo con la celebre locuzione “hic sunt dracones”.
Se funzionari e cittadini lo frequentano poco o distrattamente, non si può dire altrettanto delle migliaia di escursionisti che, spinti dal desiderio di ricercare la bellezza, alimentano inconsapevolmente uno dei nostri sogni pluridecennali, la famosa destagionalizzazione. Nella cornice di una natura magnifica e generosa, offriamo loro lo spettacolo della nostra indifferenza. Magari qualcuno penserà che quei tubi rotti e quelle macerie siano i resti di antichi manufatti travolti dalla potenza eruttiva del vulcano, ma i più razionali rifletteranno sul fatto che all’epoca la plastica non era stata ancora inventata, e dunque ripartiranno con il dubbio che i fortunati che abitano quel luogo meraviglioso, in realtà, coltivino un tenace disprezzo nei suoi confronti.
Non sarebbe difficile rimuovere queste schifezze: basterebbero pochi operai e un paio di giornate di lavoro. Dunque scrivo queste righe non per sollevare l’ennesima polemica a uso e consumo locale, ma illudendomi che possa ripetersi quanto accaduto qualche anno fa, quando era stata sollevata la questione dell’orribile gabbiotto dell’INGV dismesso e abbandonato nei pressi delle fumarole di Timpone Pataso a Lipari e – incredibile a dirsi – la struttura venne rimossa dopo un paio di settimane.
Spero tuttavia di non illudermi troppo, o per troppo tempo, perché non stiamo parlando di un luogo qualsiasi, ma dell’eponimo di tutti i vulcani del pianeta.
Pietro Lo Cascio
Eppure nelle nostre isole il tema del decoro è al centro di una costante attenzione, almeno quando si tratta degli abitati: solerti funzionari sono impegnati a pronunciarsi sulla liceità delle verande, dei pannelli solari, dei colori delle case, delle fioriere, delle tende ombreggianti e delle insegne, mentre tanti cittadini si turbano alla vista di una buca nella strada o di un cumulo di rifiuti abbandonati. Ma quando si esce dal perimetro urbano, il territorio diviene estraneo, addirittura ignoto, come quelli indicati dai cartografi del Medio Evo con la celebre locuzione “hic sunt dracones”.
Se funzionari e cittadini lo frequentano poco o distrattamente, non si può dire altrettanto delle migliaia di escursionisti che, spinti dal desiderio di ricercare la bellezza, alimentano inconsapevolmente uno dei nostri sogni pluridecennali, la famosa destagionalizzazione. Nella cornice di una natura magnifica e generosa, offriamo loro lo spettacolo della nostra indifferenza. Magari qualcuno penserà che quei tubi rotti e quelle macerie siano i resti di antichi manufatti travolti dalla potenza eruttiva del vulcano, ma i più razionali rifletteranno sul fatto che all’epoca la plastica non era stata ancora inventata, e dunque ripartiranno con il dubbio che i fortunati che abitano quel luogo meraviglioso, in realtà, coltivino un tenace disprezzo nei suoi confronti.
Non sarebbe difficile rimuovere queste schifezze: basterebbero pochi operai e un paio di giornate di lavoro. Dunque scrivo queste righe non per sollevare l’ennesima polemica a uso e consumo locale, ma illudendomi che possa ripetersi quanto accaduto qualche anno fa, quando era stata sollevata la questione dell’orribile gabbiotto dell’INGV dismesso e abbandonato nei pressi delle fumarole di Timpone Pataso a Lipari e – incredibile a dirsi – la struttura venne rimossa dopo un paio di settimane.
Spero tuttavia di non illudermi troppo, o per troppo tempo, perché non stiamo parlando di un luogo qualsiasi, ma dell’eponimo di tutti i vulcani del pianeta.
Pietro Lo Cascio
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