Un terzo degli uscenti “sacrificati” ai nuovi equilibri politici ed alle ansie di rinnovamento, all’avvento delle primarie e dei grillini. I capibastone, però, ci sono tutti. Ci mettono la faccia e anche il futuro, perché la Sicilia resta una delle due “piazze”, con la Lombardia, in cui incombe l’incertezza. Qui si fa l’Italia o si muore, insomma, per dirla con Nino Bixio. Silvio Berlusconi, che guida le sue liste anche in Sicilia, schiera le sue legioni affollate di uscenti, costringendo Renato Schifani, Presidente del Senato, a lasciare il posto d’onore. Sicilia e Senato sono la stella polare. Se il Cav la spunta in Sicilia e in Lombardia, un obiettivo affatto impossibile, mette in scacco Bersani, costringendolo a miti consigli nella trattativa con Mario Monti.
Il Porcellum non è solo una legge truffa, ma incapretta chi si dà da fare con maggiore vigore.Se il centrodestra la spunta in Sicilia e in Lombardia, non sarà il Cav a trarne beneficio, ma Mario Monti. La deterrenza di Bersani, infatti, si accartoccia e al tavolo della trattativa i “secondi” del Prof, Casini e Fini, potranno tornare ai fasti della prima Repubblica.
Berlusconi, naturalmente, gioca per sé, figuriamoci, ma le cose stanno come stanno: più si muove più fa il gioco del nemico che gli sta alle spalle. A meno che non faccia l’en plein e batta i suoi avversari con un ritorno al mitico 61 a zero, l’ex Premier è destinato a stampellare, indirettamente, Mario Monti.
Il sorriso beffardo del Porcellum “campeggia” negli incubi dei leader. Ricorda il sorriso livido del suo inventore, Roberto Calderoli, quando è costretto a raccontare frottole impagabili per ingegnosità.
La partita si gioca nelle due Regioni-chiave “incerte”, Lombardia e Sicilia, dove a deciderla non sono le formazioni maggiori, il Pd e il Pdl, ma i Movimenti di nuovo conio. In specie nel’Isola, dove il Cavaliere ha schierato ben nove liste al Senato, e Bersani ha dato via libera all’estro del Presidente della Regione, Rosario Crocetta, leader del Megafono.
Per contenere il governatore Silvio Berlusconi ha richiamato in armi il predecessore, Raffaele Lombardo, che aveva annunciato il suo ritiro in campagna, dopo avere mandato in prima linea, senza ottenere grandi risultati, Gianpiero Samorì, imprenditore emiliano e leader del Mir. Non ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie, perché Lombardo era pronto a fare lì ennesimo salto della quaglia, essendo stato trattato a pesci in faccia dal centrosinistra.
Le forze in campo si equivalgono, sembra ripetersi la battaglia di ottobre: stessi numeri, steso equilibrio, stesse aspettative. Il premio al Senato se lo contendono le coalizioni maggiori, stando ai sondaggi, e la distanza fra centrodestra e centrosinistra rimarrebbe entro un punto percentuale. Chi vince si aggiudica 14 o 15 seggi, chi perde 11, ma non bisogna farsi ingannare da questo dato. Il maggior partito della coalizione, sia esso il Pd o il Pdl, in caso di successo fa quasi il pieno, in caso di sconfitta manda a Roma quattro o cinque senatori.
Con tutto il rispetto dei sondaggisti, la nostra personale idea è che a fare il risultato saranno le “mezze ali”, e cioè il Megafono di Crocetta da un lato, e l’Mpa-Pds di Lombardo. Korral, insomma, altro che spaghetti western. Il Megafono di Crocetta è molto attrezzato: la lista è affollata di big, segno che il governatore si gioca tutte le fiches. Non si è limitato all’armatura – i primi tre nomi in predicato per l’accesso a Palazzo Madama – ma ha fatto scendere in campo personaggi di primo piano. Tutte le caselle sono occupate da big, ben venticinque, come se dovesse fare l’en plein. Il fatto che ci sia riuscito è un indizio utile. Crocetta gode di buona salute e vuole utilizzare la sua luna di miele con il popolo siciliano per piazzare una zampata memorabile alle politiche. Un messaggio verso il suo partito, il Pd, non solo ai “nemici”. Se spende tutte le fiches, infatti, vuol dire che punta al bersaglio grosso. Se la sua lista trascina al successo il centrosinistra in Sicilia e grazie a ciò, determina il successo della coalizione al senato, mandando a Roma un drappello di senatori, non sarà più un leader regionale ma un interlocutore dei big, autorevole e considerato. L’avventura del Megafono, cominciata per dare una mano a Beppe Lumia, senatore uscente, si è trasformata cammin facendo in una partita della vita.
Il Pd siciliano alla Camera si colloca nella bassa classifica e, quindi, dovrà subire la ferrea legge dei numeri. Dato per scontata la conquista del premio di maggioranza a Montecitorio, dovrà accontentarsi delle briciole a causa della percentuale più bassa. Il riscatto, perciò, potrà avvenire al Senato.
Nel campo avverso c’è grande tensione. L’operazione D’Alì in Sicilia non ha avuto successo. Gli uscenti sai trovano nelle posizioni migliori, Angelino Alfano, Antonio Martino, Silvio Berlusconi, Renato Schifani e Stefania Prestigiacomo guidano le liste. Il sacrificio di nomi importanti – La Loggia, Nania – è giustificato dal prevedibile calo della rappresentanza parlamentare.
Il panorama, tuttavia, è più complicato di quanto non appaia. Rivoluzione civile di Antonio Ingroia naviga una spanna sopra il quattro per cento e il M5S resta forte. A Sel, che pesca in questa area, tocca il lavoro più difficile a causa della concorrenza agguerrita (Megafono, fra gli altri)
Potrebbe essere l’anello debole del centrosinistra. Il Centro democratico resta un’incognita, al pari di Voce della Sicilia, il movimento di Michele Cimino e Titti Bufardeci, usciti da Grande Sud, dopo l’abbraccio di Miccichè con Berlusconi.
Nessuno aveva in animo di chiedere il bis, ma la campagna di febbraio assomiglia sempre di più a quella di ottobre. Ma qualcosa è cambiato, tuttavia: si torna a votare. I sondaggi, nazionali, dicono che gli astenuti sono calati del trenta per cento. Saranno loro a fare la differenza.