Fulvio Boatta, Walter D’Alessandro, Lisa Gagliano, Sergio Calabrese, Marcello Liotta, Marco Milazzo e Francesco Parello, sono gli studiosi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del dipartimento di Scienza della Terra e del Mare dell’Università di Palermo, che hanno da poco presentato un interessante lavoro sull’acidificazione dell’acqua di mare in aree vulcaniche attive. Questa problematica è stata studiata sia dal punto di vista dell’impatto delle emissioni vulcaniche sull’ambiente e sulla salute umana, sia dal punto di vista della modellizzazione dell’acidificazione dell’acqua di mare e delle sue conseguenze ecologiche. Questo costituisce, inoltre, l’argomento della tesi di dottorato in Geochimica del primo degli autori. La Baia di Levante dell’isola di Vulcano, che è la più meridionale delle isole Eolie e che si trova nel Mar Tirreno Meridionale, a circa diciotto miglia al largo della costa Nord-Est della Sicilia, si è rivelata un ottimo laboratorio naturale per questo tipo di studi. In questa area esistono molte emissioni sottomarine che rilasciano anidride carbonica (CO2) di origine vulcanica. Quest’ultima si discioglie formando acido carbonico che contribuisce all’abbassamento del pH (acidificazione) dell’acqua di mare. Attraverso le indagini geochimiche, avvenute durante il 2011-2012, il team di esperti ha evidenziato come la zona della Baia del Levante possa essere considerata un laboratorio naturale dove molti dei processi biogeochimici, legati alla acidificazione degli oceani, possono essere studiati. Perché proprio la Baia del Levante si presta a laboratorio naturale per gli studi sulle conseguenze dell’acidificazione degli oceani e più in generale sul biosistema acquatico? “La Baia di Levante, spiega Walter D’Alessandro, si presta bene per varie ragioni. La prima è che la baia rappresenta un ambiente relativamente protetto, con uno scambio con il mare aperto sufficiente per mantenere condizioni chimico-fisiche e ambientali abbastanza stabili nel tempo. Inoltre è abbastanza grande perché si trovino condizioni relative ad un ampio intervallo di livelli di acidificazione. Questo punto è importante perché consente di studiare livelli di acidificazione dell’oceano riferibili a differenti periodi futuri e con vari scenari di incremento della CO2 atmosferica ed anche condizioni estreme legate a input localizzati di questo gas. Inoltre, da non trascurare, vi è pure una ragione logistica. L’isola è facilmente raggiungibile e la presenza del “Centro Carapezza” gestito dall’INGV dà la possibilità di alloggiare e di approntare un rudimentale ma funzionale laboratorio. L’aumento di CO2 in atmosfera, che il pianeta sta vivendo, farà sì che nel futuro degli oceani ci sarà un differente pH rispetto al normale? “Sicuramente, ed i primi effetti sono già stati registrati dal momento che il pH medio degli oceani è già sceso di circa 0.1 unità rispetto ai livelli preindustriali. Tale differenza, che potrebbe essere considerata trascurabile dalla maggior parte delle persone, in realtà sta già cominciando a creare dei problemi a tutti gli organismi marini che costruiscono strutture carbonatiche quali ad esempio le conchiglie dei molluschi ed i “rami” del corallo. Tali problemi ovviamente aumenteranno col diminuire del pH, continua D’Alessandro”. Dalla piccola scala di emissioni di anidride carbonica a Vulcano, si capisce la grande scala dell’atmosfera del Pianeta. Siete d’accordo con il quarto rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel On Climate Change) che stima che entro la fine del secolo il pH marino passerà dal livello attuale di 8,1 al 7,8 a causa della crescente concentrazione di CO2 nell’atmosfera? “Nonostante le polemiche che hanno caratterizzato il lavoro svolto dal IPCC e dall’incertezza che caratterizza alcuni dei risultati delle modellizzazioni future, dice il ricercatore Marcello Liotta, noi siamo convinti della sostanziale correttezza delle previsioni effettuate sull’acidificazione degli oceani. A tal proposito le condizioni ritrovate nella Baia di Levante, nella parte più lontana dalle emissioni gassose più abbondanti, presentano appunto un intervallo di pH tra 8,1 e 7,8 che sono riferibili a concentrazioni atmosferiche di CO2 comprese tra gli attuali 380 ppm e i 650 ppm previsti per fine del secolo con uno scenario intermedio di emissioni antropiche. Ma nella Baia si ritrovano anche valori di pH molto più bassi che potrebbero rivelarci le conseguenze sia di una acidificazione dell’oceano più spinta (scenari di emissione più pessimistici) sia quelle dovute per esempio ad una perdita di CO2 da un sito di stoccaggio sottomarino. Quest’ultimo caso, pur avendo effetti arealmente molto più ristretti, può avere come conseguenza un abbassamento molto più vistoso (pH <6 ambientale="" baia="" bassi="" biodisponibilit="" br="" co2.="" come="" con="" cos="" della="" di="" e="" emissione="" favorire="" importanti="" la="" metalli="" mobilit="" nella="" nelle="" pesanti="" possono="" qualit="" quello="" registrato="" ricadute="" salute="" sulla="" umana="" valori="" zone="">
Cosa vuol dire che l’acidificazione è legata con la mobilità e la biodisponibilità di metalli pesanti? “Tra i metalli pesanti si annoverano alcuni tra gli elementi più tossici per l’ambiente in genere e per gli organismi superiori in special modo. La loro tossicità però dipende molto dalla forma chimica in cui si presentano. Spesso questi sono immobilizzati in fasi solide relativamente innocue. La loro biodisponibilità e quindi la loro tossicità generalmente aumenta nelle loro forme più mobili, come per esempio gas e particelle sottili in atmosfera e specie disciolte in acqua. In quest’ultimo caso soluzioni molto acide favoriscono il rilascio di elementi tossici dalle fasi solide e la loro dissoluzione in acqua. Da questo punto di vista l’attività vulcanica in genere, rilasciando oltre alla CO2 anche molte altre specie acide, favorisce la mobilità di elementi tossici e può quindi avere un impatto non indifferente sull’ambiente circostante, conclude Liotta”.
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