Ieri venerdì 8 aprile, nella chiesetta del Pozzo si è tenuto il secondo incontro sulla misericordia: La misericordia nel Nuovo Testamento. L’attenzione del relatore, il dott. Michele Giacomantonio, in particolare si è concentrata su Gesù: i due anni con i discepoli che rappresentano una esperienza di coinvolgimento vitale fino ai due grandi momenti salvifici degli ultimi giorni della sua vita terrena: l’istituzione dell’Eucarestia ed il sacrificio della croce. Eventi che avvengono nel segno della misericordia e che sottolineano come Gesù ha incarnato la misericordia del Padre.
Gesù non ha teorizzato la misericordia, l’ha raccontata attraverso le parabole cioè sprazzi di vita concreta: la parabola del padre misericordioso e dei due figli: uno scapestrato e pentito ed uno geloso; la parabola del samaritano che soccorre un viandante derubato e ferito finito sul ciglio della strada che tutti scansano; la parabola del servo spietato che implora il padrone di condonargli il suo grosso debito ma non si comporta con la stessa misericordia verso il suo compagno che gli doveva pochi spiccioli.
Sprazzi di vita perché l’insegnamento evangelico è vita, è storia e non precettistica. Infatti quando ci si arrocca nell’osservanza dei precetti si perde lo slancio profetico e quella apertura che consente di rispondere con coraggio illimitato al passaggio di Dio che invita ad andare oltre.
Oltre i precetti, oltre le regole della legge, oltre la giustizia in nome della misericordia. Nell’Antico Testamento il culmine della Misericordia è annunziata dal profeta Osea: Dio di fronte all’ennesimo tradimento di Israele, invece di abbandonarlo al suo destino, antepone la misericordia alla giustizia e annunzia “Misericordia voglio non sacrifici” cioè amore e misericordia verso Dio e gli uomini e non olocausti, regole, precetti, divieti. Ma Gesù va oltre Osea. Per ben due volte cita il versetto del profeta ma non lo applica agli uomini ma a se stesso e a Dio. “Misericordia voglio non sacrifici” per Gesù significa che lui è venuto per salvare i peccatori non per condannarli.
Ed è sul grande interrogativo che queste affermazioni aprono che siamo chiamati a riflettere. Ma ci sarà un giudizio finale con la separazione dei buoni e dei malvagi o ci sarà il perdono, la redenzione universale? Certo noi siamo autorizzati a sperare nella redenzione universale perché la misericordia di Dio mantiene aperta una possibilità di salvezza per ogni essere umano che si pente della propria colpa qualunque questa sia. Di nessun essere umano concreto ci è stata rivelata la dannazione eterna, nemmeno di Giuda. E c’è una celebre omelia di don Primo Mazzolari del Giovedì Santo del 1958 nella chiesa di Bozzolo in cui “la tromba dello Spirito Santo” come ebbe a definirlo Giovanni XXIII, dice: ““ Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni. Un corteo che certamente pare che non faccia onore al figliolo di Dio, come qualcheduno lo concepisce, ma che è una grandezza della sua misericordia”.”
Vivace e ricco il dibattito alla fine dell’incontro con riferimenti ai suicidi, all’eutanasia ed all’atteggiamento di misericordia di fronte ai casi concreti, anche alla luce delle conclusioni sul Sinodo di cui hanno parlato in giornata i mezzi di comunicazione. Don Gaetano Sardella, a proposito del caso di Eluana Englaro che fece molto scalpore alcuni anni fa, ha sottolineato la grande prudenza allora manifestata della Chiesa ed il grande rispetto per i familiari di Eluana.